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TERZA SERIE

AVVERTENZA

l. Il presente volume, nono e penultimo della serie terza, contiene la documentazione relativa alla politica estera dei due ministeri di Alessandro Fortis e del primo ministero di Sidney Sonnino. Nel primo Governo Fortis (29 marzo 24 dicembre 1905) il ministro degli esteri fu Tommaso Titttoni, mentre nel secondo (25 dicembre 1905 -8 febbraio 1906) lo fu Antonino di San Giuliano. Nel primo Ministero di Sonnino gli esteri furono assegnati a Francesco Guicciardini. Va anche ricordato che Tittoni tornò alla ribalta agli inizi di aprile del 1906 come ambasciatore a Londra.

Nella selezione del materiale archivistico esistente sono stati tenuti presenti tutti gli argomenti della situazione internazionale del momento, cui l'Italia era interessata, scelti in proporzione della loro maggiore o minore rilevanza. Fra questi si è dato ampio spazio alla Conferenza di Algeciras, che si svolse dal 16 gennaio al 7 aprile 1906, e ciò non solo in quanto si trattò dell'evento internazionale di maggior rilevanza del periodo, ma anche perché l 'Italia vi fu rappresentata dall'ormai anziano ex ministro degli affari esteri, il marchese Emilio Visconti Venosta. Si è quindi ritenuto opportuno pubblicare tutti gli ottanta dispacci che Visconti Venosta inviò da Algeciras alla Consulta, nei quali i negoziati della Conferenza vengono descritti in dettaglio. Il materiale esistente nell'Archivio del Ministero è stato anche integrato con quello dell'archivio privato del conte Carlo Sforza, recentemente versato nell'Archivio storico del Ministero, in quanto il diplomatico, futuro ministro degli esteri, accompagnò Visconti Venosta come suo unico segretario e, probabilmente, collaborò nella stesura di alcuni dei dispacci.

Un altro tema che è stato trattato con ampiezza è dato dai rapporti italo-austriaci, che in questo periodo divengono sempre più difficili dato il progressivo logoramento che si stava ormai verificando all'interno della Triplice Alleanza. Logoramento che viene dimostrato, fra l'altro, in modo evidente dall'"incidente Marcora" scoppiato, alla fine di luglio 1905, per le parole di commento pronunciate dal presidente della Camera nel discorso sulla morte dell'irrendentista Socci. Ci vollero, per comporlo, venticinque giorni di serrata e, da parte austriaca, intransigente trattativa.

Di particolare importanza, anche in vista delle vicende successive della politica coloniale italiana, sono le trattative con l'Inghilterra e la Francia sull'Etiopia, destinate a concludersi il 13 dicembre 1906 con la firma dell'Accordo Tripartito, mediante il quale le tre potenze si accordavano per una spartizione dell'Impero etiopico in tre "zone di influenza", e del quale si occuperà il successivo e ultimo volume della serie. A proposito delle trattative e, in particolare, sulle direttive seguite nel "Como d'Africa" dall'Ufficio coloniale della Consulta, è da segnalare l'atteggiamento critico del governatore dell'Eritrea, Ferdinando Martini, come risulta dalle carte dell'archivio privato di Martini, qui utilizzate. Un atteggiamento anche più critico di quanto appare dal suo stesso Diario Eritreo.

Le fonti di questo volume sono quelle conservate presso l'Archivio storico del Ministero: archivio segreto di Gabinetto e della Segreteria Generale, telegrammi in partenza e arrivo, Serie Politica "P" (1891-1916), archivi delle ambasciate, carte di personalità, archivio del Ministero de li'Africa Italiana. Un ristretto numero di telegrammi, non presenti nella serie dei registri, è stato rinvenuto in altri fondi ministeriali che sono stati segnalati in nota. Va ricordato al lettore che per i telegrammi provenienti dall'estero l'ora di partenza indicata nella intestazione è quella del fuso orario locale. Inoltre, per questa serie di anni, i registri non recano l'ora di arrivo che è stata integrata, ove possibile, sulla base delle copie conservate nella Serie "P". Le altre fonti che hanno concorso a costituire la documentazione raccolta in questo volume provengono dalle ricerche svolte presso l'Archivio Centrale dello Stato, in particolar modo dalle Carte Martini. Per colmare le poche lacune esistenti negli archivi italiani, si possono utilizzare le collezioni dei documenti tedeschi, inglesi e francesi: l) Die Grosse Politik der Europaischen Kabinette 1871-1914, Berlino, Deutsche Verlagsgesellschaft ftir Politik und Geschichte, 1922-1926; 2) British Documents on the Origins of the War, 1898-1914, Londra His Majesty's Stationery Office, 1926-1938; 3) Documents Diplomatiques Français (1871-1914), Parigi, Imprimerie Nationale, 1929-1959.

2. -Molti dei documenti qui pubblicati sono stati trascritti, integralmente o in parte, nell'opera di F. Tommasini, L 'Italia alla vigilia della guerra, voli. II e III, Bologna, Zanichelli, 1935-1937, spesso senza chiari elementi di identificazione. Non se ne è potuto tàre riferimento nelle note dato il loro numero, ma, nella ricerca, è stata verificata l'attuale reperibilità dei documenti citati. Qualche documento risultava edito nel Carteggio Sonnino e nel Diario Martini e se ne è dato, in questo caso, il riferimento. 3. -Per la preparazione di questo volume è stato indispensabile, come sempre, il lavoro svolto con capacità e passione dai funzionari archivisti di Stato presso la Segreteria Generale del Ministero degli affari esteri. In particolare, la dott. Maria Laura Piano Mortari e la dott. Rita Luisa De Palma hanno assicurato una preziosa assistenza in tutte le fasi necessarie per la pubblicazione del volume: le ricerche nell'Archivio storico del Ministero, la prima selezione dei documenti, la predisposizione dell'apparato critico e la preparazione per la stampa. La dott. De Palma, inoltre, ha curato le ricerche presso gli altri archivi esterni al Ministero degli affari esteri. Quanto alle sezioni accessorie del volume, la dott. Piano Mortari ha predisposto la tavola metodica e la dott. De Palma i regesti e l'indice dei nomi, quest'ultimo con la collaborazione della signora Andreina Marcocci; le appendici sono state redatte a cura del dott. Gian Luca Borghese, che ha anche collaborato alle ricerche. Il non semplice compito della decifrazione e trascrizione dei documenti, spesso manoscritti e in !in

gua straniera, è stato effettuato dalla signora Andreina Marcocci. La revisione e messa a punto finale del volume per la pubblicazione sono state curate in particolare dalla dott. De Palma con la collaborazione della dott. Ersilia Fabbricatore e della dott. Paola Tozzi Condivi per quanto riguarda la correzione delle bozze. A tutti va il più sentito ringraziamento dei curatori in modo particolare alle dott.sse Piano Mortari e De Palma per aver collaborato con professionalità e dedizione alla preparazione del volume.

FRANCESCO LEFEBVRE D'OVIDIO PIETRO PASTORELLI


DOCUMENTI
1

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 556/25. Londra, 30 marzo 1905, ore 22 (perv. ore 7 de/31).

Ho spedito a V.E. copia di una nota inglese comunicatami confidenzialmente dal marchese Lansdowne che risponde alla proposta austro-ungarica concernente dazi doganali ottomani ed il regolamento finanziario per la Macedonia. La nota obietta, fra altro, che codesto progetto implicherebbe un prolungamento indefinito del mandato delle due potenze, oltre il limite previsto dal programma di Murzsteg, abbandonando in loro mani intero controllo delle finanze in Macedonia. Essa suggerisce pure che tutte le riforme, compresa quella della gendarmeria, dovrebbero estendersi al vilayet di Adrianopoli1 .

2

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 5761 . Parigi, ] 0 aprile 1905, ore 17 (perv. ore 19,50).

Opinione pubblica francese ha veduto nella visita dell'Imperatore di Germania a Tangeri il proposito di nuocere all'azione che la Francia, in conformità del suo accordo con l'Inghilterra e la Spagna, sta esercitando a Fez; il linguaggio dei giornali tedeschi, ai quali fece larga eco quello dei giornali inglesi, ha precisato il carattere non amichevole di tale atto. La speranza, manifestatami dal sig. Delcassé, che tutto questo rumore rimarrebbe circoscritto e si esaurirebbe nel solito ambito della stampa,

2 1 Copia priva del protocollo di partenza.

si trovò delusa in seguito alla dichiarazione del Cancelliere tedesco di volere chiedere dirette guarentigie al Governo marocchino. Ambasciatore di Germania a Parigi sta da due settimane a Monaco, ospite del principe. Consiglio dei ministri deliberò di non indugiare a portare davanti il Parlamento la dichiarazione degli intendimenti della Francia in Marocco. Ieri, mentre Imperatore di Germania felicitava i tedeschi di Tangeri delle loro imprese commerciali in quel paese libero, il Senato francese interrompeva la discussione del bilancio per udire l'interrogazione dell'on. Decrais e la risposta del ministro degli affari esteri2 . La situazione finora non è pericolosa, ma esiste uno stato di tensione che la nervosità di questa nazione, accresciuta dalla inquietudine cagionata dallo sfacelo della potenza alleata, aggrava. Ne risulta una condizione di cose assai delicata nella quale le stesse ombre prendono corpo. Si annunziano e si commentano il prossimo passaggio per la Francia del re Edoardo VII, ed uno scambio di visite delle flotte francese e britannica. Nel ritiro del ministro degli affari esteri di Olanda, si è già pronti vedere il trionfo della politica che, per fronteggiare il pericolo giapponese nelle colonie neerlandesi, si cerca accordi speciali ed intimi coll'Impero germanico. Mentre si annunzia imminente l'incontro di S.M. il Re a Napoli coll'Imperatore di Germania, mi pare opportuno delinearsi per sommi capi, in questo telegramma, le odierne condizioni dell'opinione pubblica francese.

l 1 Per la risposta vedi D. 4.

3

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, CAETANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R.49. Addis Abeba, JD aprile 1905 (perv. i/6 maggio).

In conformità alle istruzioni contenute nel telegramma dell'E.V. n. 387, in data del 25 marzo u.s. 1 , mi sono recato a premura di portare a conoscenza del Negus la notizia dell'accordo concluso il 5 marzo u.s. tra il R. Governo e il Mullah e le modalità dell'accordo medesimo. Non ho mancato di far notare al Negus come questo accordo giovi grandemente anche ali' Abissinia poiché toglie il pericolo di future aggressioni da parte del Mullah contro i territori etiopici.

Il Negus mi ha risposto di essere lieto di tale notizia perché questa gli fa sperare che il Mullah non arrechi più fastidio, in avvenire, all'Italia, all'Inghilterra e all'Etiopia. Ha chiesto quindi se anche l'Inghilterra abbia concluso un accordo consimile. Gli ho fatto allora notare come, trovandosi il Mullah su territorio italiano, tale accordo non fosse necessario2 .

2 2 Vedi D. 12.

3 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 977. 2 Per la risposta vedi D. 93.

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 449. Roma, 2 aprile 1905, ore 13,30.

Prego ringraziare lord Lansdowne per la comunicazione confidenziale da lei riprodotta nel suo telegramma n. 25 1• I concetti enunciati da Sua Signoria nella sua risposta alla proposta austro-ungarica sono identici ai nostri. Saremmo quindi lieti se da questo scambio di idee tra Londra e Vienna potesse derivare una soluzione conforme al principio della competenza dell'intero concerto europeo nelle questioni balcaniche. Prego tenermi informato2 .

5

L'INCARICATO DELLA MISSIONE IN SOMALIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 93. Massaua, 2 aprile 1905 (perv. i/17).

A complemento del mio rapporto del 19 marzo u.s. n. 91 1 , ho l'onore informare la E.V. che, tornato in Berbera il 21 marzo, trovai che il generale Swayne, allontanatosi da Hergheisa e nell'impossibilità di più usare il telegrafo, aveva più specialmente delegato Mr. Jones, deputy commissioner in Berbera, a rappresentarlo per gli accordi colla deputazione del Mullah, mentre Mr. F. Smithman, assistente politico sul confine in Eldab, doveva portare il contributo della sua esperienza e del suo tatto; le istruzioni del generale erano di mettersi pienamente d'accordo con me e di soddisfare in quanto possibile i membri della deputazione se non che Mr. Jones, basandosi su precedente corrispondenza del Swayne in novembre, credeva di dover stabilire come uno speciale accordo con la deputazione accennando anche alla restituzione dei fucili presi ed a qualche altra più speciale determinazione di disarmo. A ciò gli osservai che la deputazione si sarebbe dichiarata non autorizzata, e che effettivamente non poteva esserlo, a modificare le basi di un accordo già firmato, il cui testo era già conosciuto e consentito dallo stesso Governo britannico; che desiderando stabilire qualche accordo scritto e diretto, più per l'apparenza che per la sostanza, esso non poteva che essere basato sull'accordo italiano del 5 marzo in Illig 2 , e conseguenza del medesimo, per confermare

2 Questo telegramma e il telegramma di cui alla nota precedente furono ritrasmessi da Tittoni all'ambasciatore Imperiali con T. 450 del2 aprile con l'aggiunta: «Non credo che ci convenga spingere oltre la nostra azione».

2 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 958.

l'accettazione della pace anche da parte di queste autorità britanniche del Somaliland e per qualche formalità riguardante il passaggio delle carovane; che la stessa imposizione del disarmo nel territorio inglese del Nogal concesso ai pascoli, oltreché non poter essere poi, in pratica, mantenuta, avrebbe creato aperto disgusto nella deputazione, la quale, non sentendosi autorizzata ad accettarlo, vi avrebbe ravvisato un'insidia ed il proposito di non voler la pace; che per ora, a mio parere, bisognava consolidare la base stabilita ossia l'accettazione reciproca della pace, poi dar tempo al tempo per il resto.

Mr. Jones, cui non manca l'esperienza di questi luoghi e che sa che i piccoli incidenti vanno evitati perché sono quelli che creano i grandi, accettò il mio modo di pensare e all'indomani, 22 marzo, riuniti alcuni principali capi delle tribù inglesi, io esponevo quanto era stato operato e annunziavo l'accordo stipulato e firmato il 5 marzo in Illig nelle sue fondamentali clausole, la deputazione del Saied Mohammed ben Abdallah confermava quanto io avevo esposto, e in ultimo Mr. Jones dichiarava che le autorità britanniche del Somaliland accoglievano esse pure la pace con piacere, che la libertà religiosa, purché non contraria ali' ordine, era acconsentita a tutti indistintamente, che il commercio lecito per tutti era autorizzato, e che subordinatamente ai regolamenti e disposizioni in vigore nel Protettorato, tutte le carovane avrebbero potuto transitare al confine.

A conferma di quelle dichiarazioni verbali persuasi la deputazione a firmare il Provisional Agreement di cui unisco copia1 , che fu redatto pure in arabo per maggiore intelligenza degli interessati; siccome la dichiarazione della libertà di religione non era stata inclusa nello scritto i deputati del Mullah se ne fecero dare dal sig. Jones una ulteriore dichiarazione scritta e speciale, con la quale il deputy commissioner conferma che la libertà religiosa è acconsentita per tutti indistintamente purché non contraria all'ordine pubblico.

Con ciò era regolata la parte ufficiale inglese, e la deputazione del Saied Mohammed ben Abdallah, che avevo persuasa a prendere per il ritorno la via di terra, sia da Berbera, sia da Bander Cassem, espresse il desiderio di aspettare il generale Swayne per avere dalla stessa sua bocca la conferma delle parole sentite e scritte, a maggior tranquillità del Saied Mohammed che conosceva il solo Swayne come capo di questo Governo inglese del Somaliland.

Osservai che per me e per essi quanto era stato fatto e definito era ufficiale, che la ristrettezza del tempo non mi permetteva di aspettare ancora per lo meno altri venti giorni, il ritorno del generale Swayne, che con lettere dettagliate e telegrammi ero stato in continua corrispondenza col sullodato generale, assicurandomi delle sue intenzioni conformi al già operato, che però non mi opponevo al desiderio manifestato, anzi lo approvavo, tanto più che quei membri che rimarrebbero in Berbera avrebbero poi preso la via di Eldab per rientrare presso il Saied; le autorità inglesi si dichiararono pronte ad assecondare quel viaggio, fornendo cammelli e cavalli.

Fu deciso che Abdallah Scehri, Diria Arrale e Moallem Mohammed Nur avrebbero aspettato il ritorno di Swayne dal confine abissino, per poi tornare in Illig per la via dell'interno.

Ad essi unii il mio interprete somalo Mohammed Adam che doveva accompagnarli presso il Saied Mohammed e rimanervi sino all'autunno.

Il quarto membro della deputazione, Adam Egal, avrebbe presa invece la via di Bander Cassero.

Di questo itinerario mi feci premura di informare il Saied Mohammed bin Abdallah con lettera del 24 marzo, di cui unisco traduzione 1 e che fu spedita per mezzo di tre prigionieri dervisci liberati dalle carceri inglesi.

Abdallah Scehri rimanendo colà, assistito dal mio interprete, doveva e poteva risolvere presso il generale Swayne la questione molto importante dei matrimoni e dello scambio di promesse a maggiore garanzia della pace.

La mia corrispondenza con Swayne, di cui unisco copia1 , ne darà un idea, ed ho ogni ragione di credere che lo stesso generale vorrà intervenire con tutta la sua autorità per definire nel senso desiderato da Abdallah Scehri la questione latente per la promessa di matrimonio della figlia di Mussa Fareh, principale agente somalo inglese, con lo stesso Abdallah Scehri.

Così tutto è stato regolato per il meglio anche in Berbera, e sarà, non ne dubito, ancora maggiormente consolidato dal diretto intervento dello stesso generale Swayne, che tanto si adoprò per assecondare il non facile mio compito.

Ai membri dell'Erko, da me affidati alle cure ed all'amicizia delle autorità britanniche, non mancheranno le regalie che cementano i buoni rapporti, ed a me stesso fu consegnata per il MuJlah una tenda grande, di cui il Saied Mohammed aveva manifestato il desiderio.

Il 25 marzo al mattino ripresi imbarco sulla r. nave «Aretusa», il 27 sbarcavo in Bander Cassero il quarto membro della deputazione, Adam Egal e raccomandatolo caldamente a quel capo, Ahmed Mohammed Tager, mi assicuravo all'indomani, presenti i capi dei principali quartieri, che quel delegato del Mullah sarebbe ripartito al più presto, ossia in due o tre giorni, per Illig, via dell'interno, fornito di scorta e di cammelli, con tutte le maggiori garanzie di incolumità, né mancai di rendere tanto Ahmed quanto quei capi tutti responsabili della persona di Adam Egal e ad essi tutti raccomandavo nuovamente di adoperarsi per far cessare le ruberìe e le depredazioni che gli Issa Mohammed continuano all'interno a danno e detrimento delle carovane.

Unisco traduzione delle lettere3 che indirizzai al sultano Osman dei Migiurtini ed al Saied Mohammed; rinnovai ad Ahmed Mohammed le più vive raccomandazioni per il buon andamento delle cose, e per l'astensione dall'illecito commercio delle armi; a lui affidai l 'interprete Hersi che rimarrà in Bander Cassero per mantenere il contatto con il Mullah e con i dervisci, ed informare, quanto possibile, durante la chiusura della costa, il consolato di Aden delle notizie di quelle regioni.

Con ciò credo di aver eseguito per ora quanto da me dipendeva nel senso desiderato dall'E.V.

Sono arrivato qui ieri sera, a bordo dell' «Aretusa», il cui equipaggio e Stato Maggiore sentono l'assoluto bisogno di scendere a terra dopo due mesi di continuata navigazione e di disagi.

Stante la necessità di conferire con l'E.V. per concretare un programma che permetta di continuare con utilità la missione affidatami, io partirei per l'Italia il 12 corrente col piroscafo diretto della navigazione generale, a meno di ordine in contrario dell'E.V., come da precedente mio telegramma4 .

Ringrazio la E.V. per le lusinghiere congratulazioni che, anche a nome del Governo del Re, ella volle rivolgermi con suo telegramma del 19 marzo u.s. per il successo della missione5 , e sono lieto di aver potuto ancora dimostrare che il mio dovere l 'ho sempre fatto con tutta coscienza e con tutto impegno; il benevolo incoraggiamento dell'E.V. mi manterrà ancora più saldo in quella via.

4 1 Vedi D. l.

5 1 Non pubblicato.

5 3 Non pubblicate.

6

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. URGENTISSIMO 17040/135. Roma, 3 aprile 1905.

In conseguenza delle ultime vicende parlamentari, è assai dubbio, come di leggeri comprenderà l'E.V., che il disegno di legge relativo al riscatto del Benadir, possa ottenere l'approvazione parlamentare entro il 13 aprile, giorno in cui scadono i tre mesi contemplati nello scambio di note del 13 gennaio u.s. per il pagamento della somma del riscatto.

È quindi molto probabile che il R. Governo debba chiedere al Governo britannico la concessione di una proroga per il pagamento in questione ed io prego l'E.V. di voler fin d'ora avvertirne il marchese di Lansdowne, riservandomi, quando vedrò la assoluta impossibilità di disporre il versamento della somma pattuita pel riscatto del 13 aprile p.v., di telegrafare alla E. V. dandole istruzioni di chiedere la proroga e indicando il termine.

Desidererebbe il R. Governo che, quando la proroga fosse chiesta durante il periodo decorrente dal 13 aprile fino al giorno in cui verrà eseguito il versamento alla Banca d'Inghilterra della somma pattuita di f st. 144 mila, il pagamento dell'aliquota di canone annuale che, a tenore del secondo alinea del primo articolo delle note del 13 gennaio, dovrà continuarsi a pagare a S.A. il Sultano di Zanzibar, sia computato giorno per giorno in base al numero dei giorni effettivamente trascorsi. Non dubito che il marchese di Lansdowne abbia nulla in contrario a questo equo provvedimento.

5 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 963.

5 4 T. 579 del 2 aprile, non pubblicato.

7

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 256/117. Atene, 3 aprile 1905 (perv. il 7).

Mi affretto a ringraziare l'E.V. dei telegrammi nn. 441 e 442 in data del l 0 aprile corrente', coi quali, in soddisfazione del desiderio da me espresso col telegramma

n. 3 del 31 marzo2 , che qui confermo, ella si compiaceva comunicarmi il tenore delle istruzioni state impartite dal R. Governo circa l'eventuale impiego delle truppe italiane stazionate nell'isola di Creta per la repressione del movimento insurrezionale colà scoppiato. Io mi ero permesso di rivolgere quella preghiera all'E.V., per avere precisa conoscenza dei propositi del R. Governo in questa congiuntura-come già l'avevano avuta, per quel che concerneva i loro Governi rispettivi, i miei colleghi di Francia, d'Inghilterra e di Russia -in presenza delle svariate dicerìe che qui circolano al riguardo; e per potermene valere come norma di linguaggio nel caso che avessi qui ad intrattenermi di nuovo sulla questione.

Dopo il colloquio che avevo avuto giorni sono con S. A. R. il Principe ereditario di Grecia, e del quale rendevo conto col mio rapporto n. 228/106 del 27 marzo u.s. 2 , anche questo ministro degli affari esteri mi parlò, ieri l'altro, dell'insurrezione di Creta. Egli non esitava a manifestare tutta la sua riprovazione per gli autori di questo inconsulto movimento, il cui risultato potrà essere soltanto di ritardare l'attuazione di quelle stesse aspirazioni dalle quali essi dichiarano di essere stati spinti a prender le armi. E mi ripeteva i poco favorevoli apprezzamenti sugli attuali capi degli insorti, e sui veri motivi che li hanno ispirati. Soggiungeva però che, anche indipendentemente dai voti da loro espressi -comuni a tutti i cretesi non meno che a tutti i greci-per l'unione dell'isola alla madrepatria, tal uni dei reclami messi innanzi dal partito del!' opposizione al Principe per ottenere una revisione della costituzione in senso più liberale, segnatamente per ciò che riguarda la libertà di stampa e di riunione, e le leggi municipali, potevano sembrare non completamente privi di fondamento. Soltanto, questi reclami essi avrebbero dovuto aspettare a farli valere nel nuovo Parlamento, per il quale le elezioni erano appunto state indette, e non pretendere di imporli con un'azione rivoluzionaria, sotto tutti gli aspetti condannabile. Come si vede, dunque, il linguaggio del sig. Skouzes sembrava non escludere l'eventualità di possibili e desiderabili concessioni agli insorti su questo terreno; e mi si afferma infatti che consigli e suggerimenti in tal senso furono da Atene rivolti al principe Giorgio; ma pare che sgraziatamente essi non abbiano sortito esito migliore degli ammoni

2 Non pubblicato.

menti che non gli furono risparmiati dai consoli delle potenze alla Canea. Poiché, ad onta del parere espresso da questi ultimi, che convenisse, per ragioni di elementare prudenza, rinviare ad altra epoca le elezioni, queste ebbero luogo ieri; e se sono vere le notizie telegrafiche riportate dai giornali di stamane, esse avrebbero suscitato nuovi e gravi disordini in diversi punti dell'isola. Un comunicato ufficioso afferma, invece, che la tranquillità sarebbe stata dappertutto mantenuta, e che la grande maggioranza dei candidati eletti sarebbe favorevole al Governo del principe.

Nell'opinione pubblica e nella stampa ateniese continua a dominare, in generale, una corrente piuttosto ostile agli insorti. Non mancano però, come già dissi, giornali che si dichiarano apertamente in loro favore, inneggiando, con pompose frasi retoriche, al patriottismo dei campioni dell'ellenismo cretese, che espongono la loro vita per far trionfare la causa nazionale, «anche contro l'inesplicabile ed ostinata cecità delle potenze». E non soltanto da parte di questi sostenitori di Venizclos ha dato luogo a vive proteste la notizia dell'intervento delle truppe internazionali, che si vuol considerare come una violenza e un attentato ai diritti dell'ellenismo. Alcuni fogli andarono fino a dire che, ove le truppe attaccassero realmente gli insorti, sarebbe un dovere assoluto per il principe Giorgio di unirsi a loro e di proclamare senz'altro l'annessione alla Grecia: «le potenze, messe in presenza di un fatto compiuto, non tarderebbero a riconoscerlo, come già fecero per la Rumelia orientale». Oggi però, in seguito ali 'informazione qui pervenuta che il colonnello francese, comandante delle truppe internazionali, avrebbe avuto un abboccamento coi capi degli insorti, gli apprezzamenti son diventati più pacifici. In complesso, ciò che più si teme ad Atene è che gli incidenti attuali possano determinare da parte delle potenze qualche provvedimento atto, non solo a ritardare una soluzione della questione cretese nel senso delle aspirazioni nazionali, ma anche a creare n eli'isola una situazione ancora meno favorevole a queste, che non sia la presente. È caratteristica a tale riguardo la notizia, stata telegrafata da Roma al giornale Estia che, in seguito all'insurrezione cretese, le potenze avrebbero deciso di togliere dalla risposta al principe Giorgio -che era già pronta e doveva essergli notificata in questi giorni-l'inciso concernente l'immediato ritiro dall'isola di una metà delle truppe internazionali. E ha fatto molta impressione il linguaggio dei giornali inglesi, particolarmente ostili al principe Giorgio, i quali sostenevano che, ove questi continuasse a mostrarsi impari alle esigenze del suo mandato, non sarebbe difficile trovare un funzionario britannico o appartenente ad un'altra delle potenze protettrici, che saprebbe sdebitarsi del compito di ristabilire l'ordine e di introdurre una buona amministrazione in Creta. Benché si qualifichino questi propositi di «irrisorie minaccie» c si pretenda che sarebbe impossibile a qualsiasi governatore straniero di mantenersi in Creta «anche se tutta la flotta inglese rimanesse permanentemente alla Suda», pure si scorge, in generale, un'ansiosa preoccupazione che qualche eventualità di questo genere non si produca. Tutto sommato, per quanto riguarda almeno gli apprezzamenti che qui se ne fanno, la situazione odierna dell'isola appare alquanto meno minacciosa, di quello che fosse otto giorni sono, e lascia àdito alla speranza, che finiscano col prevalere idee di moderazione e di prudenza.

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7 1 Non pubblicati.

8

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 598/67. Berlino, 4 aprile 1905, ore 17 (perv. ore 18,40).

S.M. l'Imperatore non ha pronunciato a Tangeri un vero e proprio discorso, ma ha risposto al saluto dell'inviato del Sultano in termini che questo Governo ha tenuto a precisare per mezzo della Norddeutsche Allgemeine Zeitung di jersera. I punti più salienti della risposta imperiale sono i seguenti: «Imperatore visita il Sultano del Marocco come sovrano indipendente e spera che sotto la dominazione di lui un libero Marocco sarà aperto alla pacifica concorrenza di tutte le nazioni senza monopoli ed esclusioni». Imperatore raccomandò ponderazione nelle riforme che il Sultano del Marocco ha in vista, e disse dover il massimo riguardo ai sentimenti religiosi della popolazione marocchina, allo scopo evitare turbamenti dell'ordine pubblico.

Col recente discorso di Delcassé, da una parte, e con l'autorevole parola di S.M. l'Imperatore, dall'altra, il quale ha dato la formula della politica germanica riguardo all'Impero sceriffiano, sembra chiudersi, per ora almeno, la discussione. La Germania andrà dritta per la sua strada, incominciando, fin d'ora, come fa, a svolgere una attiva azione per procurarsi considerevoli forniture di materiale militare. Per dirigere meglio la sua azione sul posto, questo Governo intende inviare al Marocco, quale nuovo titolare di quella legazione imperiale, un funzionario di speciale fiducia e valore: viene fatto il nome del consigliere di legazione Rosen, attualmente in servizio presso il Dipartimento affari esteri.

9

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 485/199. Costantinopoli, 4 aprile 1905 (perv. 1'11).

Ringrazio in particolar modo l'E.V. per essersi compiaciuta, col telegramma

n. 4501 di darmi notizia dell'atteggiamento adottato dal Governo di Sua Maestà nella questione della riforma finanziaria in Macedonia, nonché dei telegrammi al riguardo scambiati con l'ambasciatore del Re a Londra.

Le sollecitazioni del Gabinetto di San Giacomo debbono aver prodotto salutare effetto a Vienna. L'ambasciatore d'Inghilterra mi diceva domenica scorsa [il 2] che il linguaggio del barone Calice si è assai modificato ed è divenuto più conciliante, sir Nicholas O'Conor esprimeva quindi l'avviso che non si tarderà a raggiungere una perfetta intesa tra le potenze sulla base già nota di affidare cioè il controllo, o sorveglianza che sia, sulle finanze macedoni oltre che ai due agenti civili anche ai rappresentanti tecnici delle altre quattro potenze:

L'ambasciatore di Francia, presente ai colloqui, soggiunse che a tale soluzione si mostra favorevole il Governo della Repubblica. D'altro canto le dichiarazioni fattemi dall'ambasciatore di Russia (vedi mio telegramma del 24 marzo n. 26)2 lasciano supporre che non sorgeranno difficoltà da parte del Governo imperiale, il quale, come ebbe a dirmi il sig. Zinoviev, si è adoperato per persuadere il Gabinetto di Vienna a recedere dal rigido contegno primitivamente assunto.

Il mio ultimo colloquio col collega di Russia fu improntato ad una cordialità anche maggiore del consueto. Il sig. Zinoviev trovava perfettamente naturale e legittima la partecipazione di tutte le potenze alla riforma finanziaria. Tale partecipazione sembrava a lui anche giustificata dalla domanda turca per l'aumento del tre per cento sui dazi doganali. S.E. accennava poi alle note parole puissances intéressées e mi lasciava intendere che con quella locuzione si era voluto lasciare une porte ouverte per le rimanenti potenze. L'ambasciatore, di solito poco loquace e per nulla espansivo, menzionava pure, per la prima volta, gli accordi austro-russi, i quali -diceva egli-nulla, assolutamente a nulla altro hanno mirato e mirano, se non ad impedire più gravi complicazioni nei Balcani ed a mantenere lo statu-quo. A parere di S.E. la miglior via da seguire sarebbe, per il momento, di procedere presto alla riforma finanziaria, senza con ciò modificare in tutto ed in parte il programma di Murzsteg. Quando poi a suo tempo, quella combinazione risultasse in definitiva, inefficace od inadeguata, se ne potrà sempre escogitare qualche altra meglio atta a raggiungere l'intento. Circa la compilazione del progetto finanziario e la mancata previa comunicazione ai colleghi, il sig. Zinoviev, siccome ebbe a fare in occasione dell'aumento della gendarmeria, si espresse in termini vaghi, dai quali traspariva la solita tendenza a mettere innanzi l'azione del collega austro-ungarico.

In conclusione, S.E. mi disse che egli era lieto di trattare affari meco, in quanto finivamo sempre per trovarci d'accordo, persuasi, come siamo entrambi, che il miglior mezzo per assicurare il buon successo dell'ardua impresa è quello di mantenere, in ogni circostanza, saldo e compatto l'accordo fra le potenze, compresa la Germania, alla collaborazione della quale egli, per conto suo, annette singolare pregio.

Senza voler attribuire alle dichiarazioni del sig. Zinoviev importanza straordinaria e speciale significato politico, mi limito, nel riferirle, a segnalarnc soltanto l'intonazione più cordiale dell'usato.

Il contegno dell'ambasciatore di Russia, nella presente fase di questa multiforme quistione, darebbe qualche motivo a sospettare circa la perfetta sincerità dei sentimenti della Russia di fronte all'Austria-Ungheria. Si direbbe quasi che, dati i suoi imbarazzi all'interno ed all'estero, ed in attesa del giorno in cui le sarà possibile di riprendere la sua tradizionale preponderanza negli affari di questo vicino Oriente, la Russia preferisca di facilitare l'immistione europea negli affari macedoni anziché conservare intatta quell'azione a due nella quale essa è forzata a lasciare all'Austria-Ungheria la parte dirigente.

Non avrei osato menzionare tale mia impressione se essa non fosse stata divisa anche dal collega francese, il quale mi diceva al riguardo che, a suo giudizio, in questa ultima controversia «les russes ont tout bonnement làché les austrichiens». A giustificare tale sua impressione il sig. Costans mi ha narrato che il sig. Zinoviev non gli ha mai chiesto una sola volta di appoggiare seriamente il primitivo progetto austrorusso, e ciò malgrado che egli (Constans) gli avesse fin da principio replicatamente dichiarato, che, pur non essendo troppo entusiasta del progetto medesimo, era pronto e disposto a propugnarne l'adozione, per dimostrare bene come oggi più che mai la Francia desidera non creare imbarazzi alla Russia.

9 1 Vedi D. 4, nota 2.

9 2 Con il T. 512/26 del 24 marzo, non pubblicato nel vol. VIII, Imperiali aveva riferito di avere appreso in via confidenziale dall'ambasciatore russo che il Governo di Pietroburgo si stava adoperando per persuadere il Gabinetto austriaco ad acconsentire che alla supervisione delle riforme finanziarie dell 'Impero ottomano partecipassero anche i rappresentanti delle altre quattro Grandi Potenze. Soluzione che Zinoviev dichiarava di considerare «perfettamente naturale» purché fosse chiarito bene che i delegati non avrebbero invaso le attribuzioni già assegnate agli agenti civili.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 377/1301 . Londra, 6 aprile 1905 (perv. i/12).

Questa mattina S.M. il Re Edoardo è partito da Londra per recarsi a raggiungere in Marsiglia S.M. la Regina Alessandra insieme alla quale esso si tratterrà per alcune settimane in crociera nel Mediterraneo. Il programma delle escursioni degli augusti viaggiatori comprende una visita alla famiglia reale di Grecia, mentre gli altri loro movimenti, non ancora definiti dipenderanno dalla stagione e da altre circostanze del momento.

Al suo passaggio attorno a Parigi, S.M. il Re Edoardo si incontrerà stasera col presidente Loubet che ha annunciato l'intenzione di salutarlo. Per quanto questo incontro sia di per sé naturale e già fosse preveduto, esso acquista particolare importanza dalle presenti congiunture politiche; e riesce difatti difficile il considerarlo all'infuori della sua connessione, che ad ognuno s'impone, colla situazione creata alla Francia ed all'Inghilterra dalle recenti dimostrazioni germaniche contro l'accordo delle due potenze concernente il Marocco. Sul fatto di codesta opposizione non lasciano dubbio le ultime dichiarazioni del Governo a Berlino, seguite dalla visita dell'imperatore Guglielmo a Tangeri e dal linguaggio che Sua Maestà Imperiale avrebbe colà tenuto alle autorità marocchine. Ciò rende tanto più interessanti le domande che possono farsi sui veri motivi della nuova attitudine del Governo imperiale, sul punto fino al quale esso ha intenzione di mantenerla e sulle conseguenze che saranno per derivarne.

l O 1 Autografo.

Il marchese di Lansdowne, da me interrogato sulle sue impressioni, mi aveva già detto giorni sono e mi confermò nuovamente ieri non avere il Foreign Office ricevuto sull'argomento veruna comunicazione da questo ambasciatore di Germania: né Sua Signoria aveva quindi ritenuto opportuno di parlargliene per propria iniziativa. Il Governo, al pari del pubblico, in Inghilterra, rimase sorpreso dal contegno ora subitamente assunto dali' Imperatore verso l'accordo anglo-francese, circa il quale il conte di Biilow aveva un anno fa, otto giorni dopo la sua conclusione, dichiarato in Parlamento che esso nulla conteneva di offensivo per gli interessi tedeschi nel Marocco, d'indole esclusivamente commerciale. Lord Lansdowne-né egli può dire altrimenti -ritiene che l'azione della Francia, come conseguenza fin dal principio prevista dagli impegni da lui stesso stipulati, non lede alcun diritto di terze potenze. Dalle sue parole ho potuto intendere che egli attribuisce l'attuale incidente a uno scatto del carattere impulsivo dell'Imperatore. Ma Sua Signoria mi parve prendere la cosa con la sua consueta tranquillità, ed alla mia interrogazione come egli credesse che essa finirebbe, rispose non poter prevedere la forma del suo prossimo sviluppo ma confidare che si riuscirà senza strappi pericolosi ad un qualche aggiustamento.

Ieri stesso vidi pure l'ambasciatore di Germania col quale ebbi una generica conversazione su questo affare. Non avendo, come dissi, il conte Metternich incarico, almeno finora, d'intrattenerne il Governo britannico, non so se il suo linguaggio privato sia più o meno modellato su istruzioni ufficiali. Ad un'allusione da me fattagli all'ignoranza che qui si allegava delle cause determinanti dell'attuale incidente, egli però rispose che un fatto nuovo si era prodotto, tale da giustificare il contegno del suo Governo e questo era l 'avere il ministro francese a Fez affermato al Sultano che nel proporgli certe riforme etc., egli agiva «per mandato dell'Europa»: lo stesso Governo marocchino, soggiunse il mio collega, aveva riferito codesta affermazione a Berlino chiedendo se essa fosse fondata; e quindi il Governo germanico era perfettamente nel suo diritto quando esso faceva sapere al Sultano non essere ciò vero, almeno per proprio conto. Circa il punto riguardante le clausole dell'accordo anglo-francese confermate dalle dichiarazioni di M. Delcassé, nel senso del principio della «porta aperta» per tutti gli stranieri nel Marocco, il conte Metternich mi osservò che quell'accordo assicurava bensì la parità di trattamento in materia commerciale ma che ali' infuori delle tariffe doganali e ferroviarie, vi erano altri interessi, subordinati a disposizioni amministrative (concessioni di ferrovie, forniture e simili) i quali se lasciati all'influenza esclusiva di una qualsiasi potenza, potrebbero venir trattati in modo da pregiudicare quella parità cui la Germania intendeva avere uguali diritti: e di codesta categoria di interessi l 'accordo del 1904 non faceva parola. L'ambasciatore conchiudeva col dire che, contrariamente a quanto si era affermato a Parigi, il Governo francese non aveva mai dato comunicazione dell'accordo predetto: fino a che codesta comunicazione non avesse avuto luogo, il Governo germanico manterrebbe intatte le proprie riserve ed era suo proposito di insistervi fermamente. Trovandosi ora disgraziatamente assente M. Cambon (in congedo di convalescenza da grave malattia), manca con lui il tramite più autorevole pel quale avrebbero potuto scambiarsi in Londra le idee dei due Governi sulla importante questione e così manca pure a me un mezzo per attenerne qualche particolare notizia. Sarebbe interessante, per esempio, il poter verificare se realmente l'agente di Francia a Fez abbia preteso parlare al Sultano «in nome dell'Europa» e se il Sultano ne abbia riferito a Berlino, procurando così a quel Gabinetto la base legale di azione accennata dal mio collega di Germania.

Quanto alla mancata comunicazione francese al Governo germanico -sebbene si tratti di un punto sul quale V.E. sarà meglio rischiarata da altre parti -menzionerò tuttavia che, secondo qualche cenno da me qui rilevato, la convenienza, o meno di procedere a formale notificazione dell'accordo del 1904 sarebbe stata allora ventilata ex-professo a Parigi (e raccomandata, credo, da questo ambasciatore); ma vi si sarebbe opposto M. Delcassé, per non esporsi all'accusa di compiacenza o patteggiamenti colla Germania.

Non ho mestieri di segnalare a V.E. il contegno assunto in questa congiuntura dalla stampa in Inghilterra. Essa è unanime nel sostenere deliberatamente le parti della Francia. E se, come lo insinuano taluni di questi giornali più ostili alla Germania, vi fosse stata intenzione a Berlino di creare un dissidio fra la Francia e l'Inghilterra offrendo a questa l'occasione di lasciare nell'imbarazzo la sua nuova amica, deve riconoscersi che l'effetto ottenuto è stato diametralmente opposto. Indipendentemente dal debito di lealtà che gli è imposto verso un accordo al quale esso ha dato la sua firma, il Governo britannico sarà quindi spinto anche dall'opinione pubblica a prestare alla vicina Repubblica ogni possibile assistenza per farla uscire dalla presente difficoltà. Questa assistenza dovrebbe consistere in prima linea n eli' applicarsi a dissipare certi malintesi che, se sono esatte le cose sovra riferite, avrebbero in parte contribuito a creare la difficoltà stessa. Né è da escludersi che si cerchi un qualche espediente per far sì che l'accordo anglo-francese possa venire regolarmente notificato a tutte le potenze anche per la parte relativa al Marocco, ottenendo fors'anca una qualche assicurazione riguardo agli interessi che la Germania ha a cuore di tutelare, interessi che -giova pure notarlo -sono comuni ad altri paesi, a cominciare dalla stessa Inghilterra. Ma su questo argomento debbo riservarmi di ritornare dopo che avrò avuto ulteriore occasione d'intrattenermi col marchese di Lansdowne.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 955/407. Parigi, 6 aprile 1905 (perv. il 9).

L'opinione pubblica francese si era avvezzata a considerare che i rapporti fra la Francia e la potenza che le inflisse l'indimenticabile disastro dell870 erano entrati in una fase di permanente normalità la quale permetteva la previsione di una certa intimità in vista del regolamento di qualche speciale interesse comune.

Non mancavano di quando in quando gli episodi nei quali l'osservatore costante poteva trovare la prova che il sentimento dei francesi verso la Germania non avea subito una fondamentale modificazione; ma la generale tendenza ognor più pacifica dello spirito della nazione predominava anche in tal casi e toglieva agli episodi stessi ogni carattere di acuità. Così quando, sul finire dello scorso anno, si produsse un caso di espulsione dalla Francia in Germania di un alsaziano, per effetto della ordinaria applicazione della legge del 1849 relativa agli stranieri, la stampa francese gridò allo scandalo, e nel Parlamento fu depositata una legge per sottrarre agli effetti di quella del 1849 coloro che divennero stranieri per un fatto di forza maggiore indipendente dalla loro volontà (affare Delsor).

Ed in febbraio ultimo essendo corsa la voce che un club sportivo parigino avesse invitato il principe Enrico di Prussia ad assistere ad una grande gara internazionale in Francia, coloro stessi che aveano taciuto quando i rappresentanti dello sport francese aveano accettano consimili inviti in Germania, alzarono le più alte grida ed il presidente della Federazione delle Società alsaziane e lorenesi di Francia e delle Colonie trovò grandi giornali per pubblicare la più violenta protesta (Le Matin, 20 febbraio 1905).

Vi era bene chi cercava di accreditare la voce che, a complemento dell'accordo degli 8 aprile 1904, erano state prese fra la Francia e l 'Inghilterra intelligenze segrete dirette contro la Germania. In gennaio ultimo una notizia in questo senso raccolta nel Reynolds :~ [News] Paper fece il giro della stampa francese ultra-devota ali' alleanza russa, senza però riuscire a commuovere l'opinione pubblica e neppure a trovare chi ne facesse il soggetto di una interrogazione in Parlamento.

Era così fiacco il rumore cagionato da questi incidenti, che la stampa tedesca non dimostrava quasi di accorgersene; anzi i giornali francesi sembravano registrare, non senza compiacenza, le manifestazioni che, in contrario senso, si producevano in Germania. Sulla fine di gennaio ultimo la Deutsche Kolonial Zeitung inneggiava alla buona intelligenza che non si era mai smentita nella politica coloniale e particolarmente in Africa, fra la Germania e la Francia. Appena un piccolo nembo era sorto ali' orizzonte, come n eli' affare di T ahi ti, esso era stato dissolto rapidamente e cavallerescamente dalle due potenze. Il Gabinetto di Berlino si era astenuto dal protestare perfino quando, nel 1900-1902, nella regione del Tchad, la Francia avea inseguito Rabah fino sul territorio tedesco. In febbraio si ebbe una notevole manifestazione della esistenza della «Lega franco-tedesca» nella conferenza tenuta a Monaco di Baviera dal dott. Molenaar segretario della lega stessa. Il ravvicinamento della Francia alla Germania, reclamato dagli interessi politici ed economici comuni dei due paesi, vi fu proclamato condizione necessaria per la costituzione della federazione dell'Europa centrale. Un piccolo giornale parigino che prese in Victor Hugo il motto, «l'union de l'Allemagne et de la France ... ce serait le salut de l'Europe, la paix du Monde», pur non accettando tutte le idee del dott. Molenaar, ne prese argomento, per far fare un passo dippiù alla propaganda per la quale esso pare sia designato (L 'Europe nouvelle, n. 128 mars 1905). Quando si ricostituì il Gabinetto attuale francese, la presenza del sig. Delcassé al Ministero degli affari esteri fu salutata dalla stampa tedesca in generale con soddisfazione. In principio di marzo si ventilò in alcuni giornali dei due paesi la questione se, in presenza delle nuove stipulazioni commerciali conchiuse dalla Germania con la maggior parte degli Stati di Europa, l 'interesse comune della Francia e della Germania non richiederebbe una modificazione dell'articolo 11 del Trattato di Francoforte che resta tutt'ora il regolatore dei rapporti economici delle due nazioni. La polemica impegnatasi a tale riguardo si svolse sulle reciproche concessioni doganali che avrebbero potuto utilmente essere fatte e non mi risulta che vi sia stato chi abbia protestato in nome della intangibilità del celebre trattato.

Però nel coro delle accoglienze amichevoli fatte alla riconferma del sig. Delcassé nell 'uffizio di ministro degli affari esteri, apparve una nota oscura della Post di Berlino la quale, dopo di aver messo in sodo che l'Europa poteva contare che il ministro francese degli affari esteri continuerebbe la sua politica di buona ed amichevole intesa con tutte le potenze, compresa la Germania, diceva: «Non debbono tuttavia i tedeschi dimenticare che sotto l'impero di circostanze la volontà e la diplomazia di un ministro potrebbero modificarsi e che la massa della nazione francese non si è ancora rassegnata agli avvenimenti del1870-71».

Mi pare opportuno riassumere nei pochi cenni che precedono, quale fosse il carattere delle relazioni franco-germaniche alla vigilia del viaggio dell'imperatore Guglielmo Il a Tangeri, poiché anche coloro che stimano che tutto il rumore prodottosi intorno a tale evento non tarderà a calmarsi, sono con tutti gli altri d'avviso che, per parecchio tempo, la fiducia che si aveva nella permanente normalità delle relazioni fra le due nazioni ne risulterà notevolmente scemata. Della qual cosa conviene sia tenuto conto dall'Italia come alleata della Germania.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 966/413. Parigi, 6 aprile 1905 (perv. il 9).

L'ultimo corriere di Gabinetto, qui giunto il 4 corrente, mi portò il dispaccio ministeriale del 22 marzo al quale trovai unito copia del rapporto 5 marzo della r. legazione in Tangeri 1 . In esso è menzione del contrasto non dissimulato degli intenti politici della Germania e della Francia al Marocco. Risulterebbe anzi da informazioni che il comm. Malmusi ebbe direttamente dal sig. Kiihlmann, incaricato d'affari di Germania, che questi avea tenuto con il rappresentante francese un linguaggio talmente esplicito che il sig. Delcassé, telegraficamente avvisatone, avea dovuto tenerne parola con l'ambasciatore tedesco in Parigi. Quest'ultima circostanza sarebbe di qualche importanza nell'incidente che si è posteriormente svolto, sicché non è forse superfluo che da parte mia informi VE. che di una spiegazione avvenuta fra questo ministro degli affari esteri ed il principe Radolin prima della sua partenza per Monaco (Principato), avvenuta il mattino del 22 marzo, io non ebbi alcun sentore.

Appunto il 22 marzo, avendo io rilevato nei giornali un principio di agitazione provocato dalle notizie che pervenivano da Berlino e che la stampa inglese raccoglie

va, mi parve di essere autorizzato a chiedere al sig. Delcassé, nel corso della mia visita ebdomadaria, se avesse qualche fondamento l 'informazione di uno scambio di idee iniziato, o già avvenuto, fra il Gabinetto di Parigi e quello di Berlino relativamente al Marocco. Mi cagionò qualche sorpresa il trovare il mio interlocutore visibilmente preparato a rispondere categoricamente in un affare che mi era, fino a quel momento, sembrato dover rimanere nelle proporzioni di un semplice battibecco di giornali. Egli mi disse che, prima della conclusione dell'accordo franco-inglese dell'8 aprile 1904, e precisamente il 23 marzo di detto anno, avendo il principe Radolin desiderato conoscere se fossero vere le voci di trattative in corso fra Londra e Parigi, relative al Marocco, egli aveva detto al mio collega tedesco che i punti prestabiliti dell'intesa non ancora conchiusa, erano: integrità dell'Impero marocchino; riforme ed ordine interno di quell'Impero per influenza speciale della Francia; riconoscimento delle ragioni della Spagna; nessun monopolio commerciale. Non vi erano stati ulteriori scambi di idee poiché, quando l'accordo fattosi sovra questi stessi punti fu pubblicato, di esso ebbero notizia tutti i Governi: quello di Berlino, come quello di Roma e gli altri tutti.

Non si conosceva ancora a quel momento il discorso pronunciato a Brema dall'imperatore Guglielmo II il quale sembra alludere ad una nuova forma di diritto pubblico per la quale l'intromissione di un paese che aspira ad un'azione mondiale, deve prodursi ovunque esista un suo interesse economico. Gli apprezzamenti della stampa francese di quel discorso non sembravano voler mettere in evidenza ciò che esso poteva realmente contenere. La maggior parte dei giornali si soffermava a considerare nel viaggio dell'Imperatore a Tangeri un atto scortese destinato ad accrescere le difficoltà che la Francia incontrava nel compiere la sua pacifica azione presso la Corte di Fez. Però non mancavano coloro che, accettando l 'ipotesi che Delcassé avesse omessa qualche comunicazione verso la Germania, gli muovevano rimprovero di aver praticato verso quest'ultima potenza una riserva eccessiva. L'on. Jaurès, in un articolo comparso nell'Humanité del 24 marzo, scriveva: «l'ai essayé inutilement dans le débat sur l'accord franco-anglais, d'obtenir de M. Delcassé un mot disant que cet accord ne contenait contre l'Allemagne aucune arrière-pensée». E più oltre, insistendo sul punto che Delcassé ha di proposito deliberato evitato qualunque conversazione un poco seria con la Germania, egli ricorda che alcuni dei di lui colleghi del Gabinetto presieduto da Waldeck-Rousseau trovavano che «ce parti pris n'était ni prudent ni fiem. Questo atteggiamento di un capogruppo socialista non poteva sorprendere in vista di un incidente internazionale di qualche gravità, tanto più che le antipatie del partito per l'attuale ministro degli affari esteri non sono soltanto d'oggi.

Il linguaggio e gli apprezzamenti delle gazzette tedesche ed inglesi andarono ingrossando di giorno in giorno l'incidente che il sig. Delcassé però, in un colloquio che ebbe con me il 29 marzo, disse sperare dovesse rimanere circoscritto nell' àmbito della stampa periodica. Ma due giorni dopo egli dovette probabilmente modificare le sue idee poiché egli accettava di portare alla tribuna del Senato una dichiarazione, in verità assai circospetta e misurata, tendente soltanto a mettere in sodo che nessun fatto nuovo, dopo la pubblicazione dell'accordo delli 8 aprile 1904, era avvenuto che potesse giustificare le apprensioni di altri paesi aventi interessi commerciali al Marocco e che le clausole di quell'accordo non permettevano la supposizione che un'ineguaglianza economica potesse essere introdotta in quel paese a danno di chicchessia. Il sig. Delcassé parlandomi, alcuni giorni dopo, di questa sua dichiarazione non mi tacque ch'egli volle deliberatamente astenersi dal seguire l'on. Decrais che lo aveva interrogato pure sovra le comunicazioni con la Germania, ed avea evitato perfino di alludervi anche lontanamente. Ma, in questa conversazione che ebbe carattere intimo, questo ministro non cercò di dissimulare la viva impressione che gli cagionava la subitaneità di un incidente che le notizie che si avevano dei discorsi tenuti dall'Imperatore a Tangeri, ancorché incerte, aveano singolarmente aggravato.

E non vi è dubbio che, se la prima impressione prodotta in Francia dall'atteggiamento inaspettatamente preso dalla Germania in un affare che tocca forse ancor più che gli interessi, l'amor proprio di questo paese, fu di stupore, la riflessione ha ben presto condotto tutti a considerare il pericolo di lasciarsi strascinare a manifestazioni di cui gravissime potrebbero essere le conseguenze. È questo senso generale di ciò che la situazione impone, che ha prevalso anche nelle manifestazioni della stampa che si dimostrò fin qui abbastanza moderata. Ma forse questa circospezione ha oltrepassato la misura in occasione della prima visita fatta ieri dal principe Radolin, ritornato da Monaco il dì innanzi, al ministro degli affari esteri. Né l'uno né l'altro volle prendere l'iniziativa di una conversazione che parve forse ad entrambi non priva di difficoltà e di pericoli. Il silenzio serbato dalle due parti costituisce da solo un sintomo della tensione esistente.

Con i telegrammi che ebbi l'onore d'indirizzare a VE. il l 02 ed il 5 aprile3 ho stimato opportuno precisare, insieme ad alcune principali circostanze di fatto, ciò che ne risultava dal punto di vista del gravissimo nostro interesse connesso con il mantenimento delle buone relazioni fra la Francia e la Germania. E sempre cosa difficile il rendersi conto di situazioni nelle quali, insieme ad esuberanti apprezzamenti, si producono impressionanti silenzi. Non credo però di aver esagerato tracciando con quelle mie comunicazioni telegrafiche al R. Governo le linee generali di un quadro assai fosco 4 .

12 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 941.

13

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 970/298. Washington, 6 aprile 1905 (perv. i/19).

L'ambasciatore di Germania, barone Speck-Sternburg, si è recato ieri l'altro dal segretario della Guerra sig. Taft, che, durante l'assenza del sig. Hay, ha ufficiosamente l'interim degli affari esteri e gli ha lasciato un documento dichiarativo degli inten

3 Non rinvenuti.

4 Tittoni rispondeva con Disp. 19540/429 del 15 aprile ringraziando delle notizie c delle

importanti considerazioni.

dimenti della Germania riguardo al Marocco. Cotali intendimenti sembra possano riassumersi così: mantenimento dello statu qua politico, open door, nessuna potenza privilegiata. Il documento è stato mandato al Presidente. Si crede che il Governo federale si limiterà a prendere atto delle dichiarazioni fattegli.

È certo che la mossa dell'Imperatore è poco amichevole per la Francia. Ma i principi enunciati sono conformi a quelli che gli Stati Uniti fanno valere altrove. L'open door favorisce l'espansione dei loro commerci. Esso giova, in genere, ai più attivi, ed appunto, più che ad altri, ai tedeschi ed agli americani. Perciò si può ritenere che, le questioni di forma e di opportunità messe da parte, il Governo federale sia soddisfatto della dichiarazione imperiale.

Si loda la calma, almeno apparente, con cui il colpo è stato ricevuto in Francia. Sembra speciosa l'attenuante invocata che l'accordo anglo-francese circa all'assetto del Mediterraneo (al quale si sospetta rispondano altri accordi con la Spagna per il Marocco, con l'Italia per la Tripolitania) non essendo stato comunicato diplomaticamente alla Germania, questa dovesse ignorarlo.

Ma la mente va più oltre. Nei circoli politici americani si prevedono, come conseguenze dell'atteggiamento della Germania, da un lato, dell'impotenza a cui è ridotta la Russia, dall'altro, nuove combinazioni politiche, ed anzitutto e precipuamente, una più stretta e positiva intesa fra l 'Inghilterra e la Francia.

I vantaggi dell'alleanza russa sono ormai perduti per la Francia, che si ritrova isolata, e, in seguito alla mossa dell'Imperatore germanico, minacciata. Non dissimile, se esatto quanto si afferma, sarebbe la situazione dell'Inghilterra, i cui rapporti con la Germania appaiono estremamente tesi. Si pronostica che la prossima guerra sarà una guerra anglo-tedesca. Si assicura, anzi, che, nello scorso dicembre, la guerra fu sul punto di scoppiare, che l'Inghilterra ne era conscia ed, in tale persuasione, navi lontane furono subitamente richiamate nelle acque inglesi, e, nei due paesi, i congedi di Natale rifiutati agli ufficiali di terra e di mare. I preparativi sarebbero tuttora incessanti dalle due parti; ma più minacciosi, perché offensivi, dalla parte germanica. Si afferma che l'Imperatore, agognando di compiere ciò che Cesare fece e Napoleone non poté, prepari una invasione dell'Inghilterra. In vista di essa, si farebbero a Bremerhaven continue esercitazioni di imbarco e di sbarco, nelle quali le truppe tedesche, o buon numero di esse, avrebbero acquistato una prontezza ammirabile (e si precisa: seimila uomini si imbarcarono o sbarcarono in tre ore). Se la guerra venisse dichiarata, con la deficienza degli armamenti di terra inglesi, un errore che la flotta commettesse, uno scacco che essa subisse nel Mare del Nord, permetterebbe ai trasporti germanici di giungere alle coste inglesi. L'immaginazione americana vede già la possibilità che Londra, la quale è detta il primo obiettivo delle forze sbarcate, cada in mano ai tedeschi, e l'Impero britannico precipiti mole sua. Anche senza così estremi timori, l'Inghilterra deve sentirsi minacciata, come lo è la Francia; e, ciò essendo a dispetto delle tradizionali ritrosie, desiderosa di qualche patto, almeno difensivo.

Si osserva, però, che la nuova interpretazione della dottrina di Monroe giova ali 'Inghilterra. Essa, nel dicembre, ha potuto richiamare navi dalle acque americane e canadesi, e potrebbe, in caso di guerra lasciare il Dominio indifeso. In virtù della dottrina in parola, esso è protetto dagli Stati Uniti. L'Inghilterra è, difatti, considerata come potenza americana, e, se la Germania si attentasse ad occupare in modo durevole (od anche a titolo provvisorio, poiché le ambizioni germaniche sono sospette) un punto qualsiasi dei possedimenti inglesi in America, l'opinione pubblica agli Stati Uniti insorgerebbe ed il Governo non potrebbe tollerarlo. Nel fatto, gli Stati Uniti sono, in obbedienza ai loro principi, gli alleati forzati d eli 'Inghilterra o, sei si vuole altrimenti, i garanti dell'integrità territoriale dell'Inghilterra in America. Anzi la nuovissima interpretazione della vecchia dottrina potrebbe condurli ad occupare, essi, i territori che la Germania volesse occupare, cioè involgerli contro ogni loro desiderio, nell'eventuale conflitto anglo-americano.

Anche se l'immaginazione yankee esorbiti, e, nonostante che l'Imperatore si riposi a Taormina ed il presidente Roosevelt cacci nel Colorado, la situazione politica generale appare qui incerta, intricata, e tale da far temere qualunque sorpresa.

12 2 Vedi D. 2.

14

IL MINISTRO A LISBONA, GUASCO DI BISIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 123/50. Lisbona, 6 aprile 1905 (perv. i/12).

Riferendomi al telegramma n. 121 ed al rapporto n. 118/492 , ambedue in data del 3 corr., mi onoro informare l'E.V. che ieri al ricevimento settimanale del Corpo diplomatico questo ministro degli affari esteri introdusse nel discorso, che aggiravasi intorno a tutt'altra materia, una frase per dirmi che egli volle che anche all'Italia il Re, nell'apertura della nuova sessione parlamentare, indirizzasse parole cordiali. Non entrando in merito del discorso della Corona, tanto meno poi del periodo che concerne l'Italia e la Famiglia Reale, io feci solamente osservare al ministro, giacché egli stesso me ne porgeva l'occasione, che fra tutte queste visite reali mancava appunto quella che gli stretti legami di parentela, l'affinità di razza dei due popoli e l'appoggio che in addietro l'Italia e Casa Savoia hanno dato al Portogallo ed a Casa Braganza, consigliavano fosse tra le prime, la visita del Re di Portogallo al Re d'Italia in Roma; visita, aggiunsi in tono amichevole, che avrebbe già avuto luogo se Hintze Ribeiro col partito rigeneratore avesse ceduto il potere al partito progressista capitanato da Luciano de Castro due mesi dopo. S.E. Vilaça, sempre nel tono il più amichevole, mi rispose: persuaderemo anche Luciano de Castro, tale è il mio desiderio e tale è la mia speranza3 .

2 Trasmetteva il discorso della Corona di cui alla nota l.

3 Per la risposta vedi D. 47.

14 1 Presumibile riferimento al T. 599 (privo del protocollo di partenza): comunicazione di un brano del discorso della Corona sui rapporti di amicizia tra il Portogallo e l'Italia.

15

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. URGENTISSIMO 478. Roma, 7 aprile 1905, ore 18, 15.

Dovendo domani rispondere alla Camera ad un'interrogazione sull'accordo intervenuto col Mullah e dovendo esporre quale sia, a questo riguardo, secondo le precorse intese, le nostra situazione rispetto ali 'Inghilterra, prego telegrafarmi se sia avvenuto scambio di note di cui mio dispaccio 24 marzo u.s. n. 125 1 e, in caso negativo, se si possa ritenere come avvenuto. Domando ciò per correttezza verso codesto Governo, ritenendomi autorizzato dalle precorse intese, a comunicare al Parlamento tanto i termini dell'accordo dal quale risultano gli impegni che l'Italia ha appunto verso il Mullah per l'Inghilterra, quanto le assicurazioni inglesi che ci garantiscono la osservanza dei detti impegni 2 .

16

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. SEGRET01 . Roma, 7 aprile 1905, ore 19,45.

La visita di ieri fu molto cordiale2 . L'Imperatore parlò lungamente col Re e con me. A me regalò il suo ritratto con autografo. So che l 'Imperatore ieri stesso ha telegrafato e scritto a Berlino. V.E. potrà indagare quali siano state le impressioni dell'Imperatore soprattutto rispetto al Re. (A) L'Imperatore si mostrò sdegnato contro la Francia per la questione del Marocco. Disse che il presidente degli Stati Uniti è d'accordo con lui per opporsi alla pretesa della Francia la cui azione nel Marocco egli è risoluto a contrastare. Avendogli io riferito che l'ambasciatore Barrère mi aveva detto che Delcassé aveva comunicato a Radolin le clausole dell'accordo anglo-francese quindici giorni prima che fosse firmato e quindi ora attendeva che la Gennania gli chiedesse spiegazioni che egli si sarebbe affrettato a dare, l'Imperatore mi rispose che tutto ciò era falso che la Francia non aveva comunicato nulla, e che ora doveva comunicare l'accordo sul quale la Germania era libera di pronunciarsi come meglio

2 Con T. 632/27 del1'8 aprile Pansa rispondeva: «Non ricevetti ancora risposta ut1ìciale alla comunicazione qui fatta 28 marzo ma ho accertato che essa sarà favorevole conferma delle nostre precedenti intese».

credeva. L'Imperatore disse ciò in tono irritato epperò io dopo aver rilevato che il fatto della comunicazione o meno aveva una grande importanza non aggiunsi altro (B). V.E. dovrà ora seguire con vigilanza l'andamento della questione studiando anche, quando le circostanze favorevoli si presentino, l'opportunità di una mediazione dell'Italia ove questa alla Germania non riuscisse sgradita4 .

15 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 978.

16 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Si riferisce alla visita privata dell'imperatore Guglielmo II a Napoli dove s'incontrò con Vittorio Emanuele III e con Tittoni. Data la natura della visita non furono redatti verbali.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. SEGRET01 . Roma, 7 aprile 1905, ore 19,45.

Ieri a Napoli l'Imperatore di Germania parlò col Re e con me circa il Marocco (Ripetere dall'(A) al (B) il telegramma diretto a BerlinoP. A me pare che il peso nella bilancia sarà portato dall'attitudine dell'Inghilterra. Se si dovesse giudicare dal linguaggio della stampa l'Inghilterra parrebbe che dovesse prendere risolutamente le parti della Francia contro la Germania. A noi importa molto dati i nostri rapporti colla Francia e la nostra alleanza colla Germania di conoscere esattamente le istruzioni del Governo inglese e di sapere fino a che punto si spingerebbe per appoggiare la Francia in caso di conflitto colla Germania. Voglia perciò V.E. indagare il pensiero di lord Lansdowne. Io intanto cerco di esercitare a Parigi e Berlino un'azione calmante e conciliante3 .

18

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. SEGRET01 . Roma, 7 aprile 1905, ore 19,45.

La visita del Re all'Imperatore si è svolta senza che nulla vi fosse che potesse allarmare la Francia. I brindisi dei due sovrani sono correttissimi. Non vi è una parola che nemmeno incidentalmente faccia pensare alla questione del Marocco. L'ambasciatore Barrère venuto da me oggi si è mostrato soddisfatto del modo come sono procedute le cose. Però il Marocco fu oggetto di privata conversazione tra l'Imperatore il Re e me. (Ripetere dall'(A) al (B)) 2 .

2 Vedi D. 16.

3 Per la risposta vedi D. 20.

I nostri rapporti colla Francia e la nostra alleanza colla Germania rendono delicata la nostra posizione. Perciò V.E. vorrà spiegare a Parigi quell'azione calmante e conciliante che io ho pregato il generale Lanza di spiegare a Berlino.

16 4 Per la risposta vedi D. 19.

17 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

18 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

19

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIM0 1 . Berlino, 8 aprile 1905, ore 17,41 (perv. ore 21).

Ringrazio V.E. suo telegramma di ieri2 . Seguirò, naturalmente, questione Marocco circa la quale prevedibilmente nulla di nuovo si avrà dopo le recenti dichiarazioni da una parte e dall'altra ancora per alcuni giorni. Qualsiasi accenno ad intromissione soverchia dal canto nostro, nel momento presente, giungerebbe qui non bene accetta. Sorveglierò anche a questo riguardo, però, e se circostanze favorevoli si presentassero, non mancherei di riferime subito a V.E. Circa convegno di Napoli è giunto qui telegramma imperiale col quale Sua Maestà rende conto colloquio avuto con S.M. il Re e con V.E.3 , senza esprimere suoi apprezzamenti sulla persona del nostro Augusto Sovrano. Circa Marocco, cose dette tra i due Sovrani c con V.E. concordano sostanzialmente con quanto ella mi ha telegrafato. S.

M. il Re rassegnò a S.M. l'Imperatore, con qualche preoccupazione, della situazione della Francia: l'Imperatore rispose affermando non esservi luogo ad inquietudini. L'Imperatore ascoltò giudizio non oltremodo lusinghiero pronunziato dal Re circa il Re di Portogallo. Impressioni non eccessivamente favorevoli riguardo al principe Giorgio di Creta sono comuni ai due Sovrani. In verità non divide che fino ad un certo punto opinione di S. M. il Re, circa importanza complotto di Parigi, come conseguenza del quale, potrebbe aprirsi crisi ministeriale da risolversi nel! 'uscita di Delcassé, tra gli altri, dal Ministero per fare posto ali 'Èti enne o al Clémenceau. Rispetto al Delcassé

S. M. il Re si espresse nei termini più lusinghieri: S. M. l'Imperatore, riferendo discorso Delcassé, aggiunge: «Io non ho risposta». Impressione prodotta dal telegramma al Dipartimento di Stato affari esteri, è che colloquio fu oltremodo cordiale. In sostanza uniformità di vedute esiste tra i due Sovrani. Risposta che fece difetto circa Delcassé posso darla io: il ministro francese non è nelle simpatie dell'Imperatore, del quale egli non seppe o non volle apprezzare gli atti cortesi e deferenti compiuti verso la Francia. Ciò non si nega al Dipartimento di Stato, ma si riconosce pure che in fondo una crisi al Quai d'Orsay, la quale vi portasse un uomo politico come l'Ètienne, non sarebbe da

2 Vedi D. 16.

3 Vedi D. 16, nota 2.

desiderarsi, gli ardori coloniali di questo ultimo, essendo di natura da potere creare imbarazzi alla Germania, specie nella fase presente della questione marocchina. Non è impossibile che l 'Imperatore illustri con una lettera il suo telegramma destinata rimanere negli archivi del Dipartimento di Stato: in questo caso spererei di averne conoscenza per poteme riferire.

18 2 Vedi D. 16.

19 1 Dali" archivio segreto di Gabinetto.

20

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 640/28. Londra, 8 aprile 1905, ore 19,50 (perv. ore 23,55).

Sull'argomento del telegramma di VE. 1 giuntomi oggi ho scritto un rapporto riservato del62 . Marchese Lansdowne non si dimostra finora troppo inquieto per il Marocco e mi ha manifestato fiducia che non deriveranno conseguenze serie. Qui si farà certamente il più possibile per assistere Francia ma non credo che si ha pel momento una idea precisa del da farsi tanto più che nessuna comunicazione fu fatta finora dalla Germania. Cambon trovasi attualmente Parigi malato. Non mancherò indagare e riferire quanto potrà risultarmi dopo che avrò riveduto marchese Lansdowne fra qualche giomo3 .

21

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 645/37. Pera, 8 aprile 1905, ore 20,50.

Sultano ieri mi disse: «Oltre ai due ufficiali italiani già al mio servizio, desidererei avere ancora quattro tenenti carabinieri, i quali insieme con Tornassi potrebbero attendere riorganizzazione gendarmeria Adrianopoli». Sua Maestà aggiunse in tono insolitamente reciso, concitato: «In quel vilayet è assolutamente impossibile costringermi ad accettare ufficiali di altri eserciti; gli italiani sono i soli in cui ho fiducia. Nessuno, del resto, potrebbe trovarvi a ridire, gendarmeria italiana essendo notoriamente la prima del mondo; desidero ufficiali forti, buoni, buona salute, darò loro gradi come agli altri. Mi

2 Vedi D. 10.

3 Vedi D. 29.

riservo pure, eventualmente, inviarli in altro punto del mio Impero». Compiacendomi lusinghiera fiducia ufficiali italiani, mi limitai, naturalmente, replicare avrei trasmesso a

V.E. messaggio imperiale.

Dichiarazione categorica Sultano mi induce modificare parere espresso anno passato, parendomi oggi convenga bene ponderare prima di declinare missione destinata, riuscendo, accrescere indubbiamente prestigio, influenza Italia.

Ciò premesso, vedo due alternative: o inviare qui quattro ufficiali in condizioni simili Romei e Tornassi lasciando, cioè, Sultano libero adibirli dove, come, meglio crede. Ovvero stabilire a priori, che, col loro invio si intenda a noi affidata riorganizzazione gendarmeria in Adrianopoli.

Nel primo caso, non contribuiremo certo a fare opera seria e pratica ed avremmo aria prestarci favorire espediente escogitato evidentemente dal Sultano per evitare, mediante misure superficiali, temuta estensione riforme Adrianopoli, alla quale per conto, annette speciale importanza. Al riguardo aggiungo, ad ogni buon fine, O'Conor mi ha più di una volta manifestato suo vivo desiderio eventuale organizzazione gendarmeria Adrianopoli venga affidata ufficiali inglesi.

Nel secondo caso verremmo, è vero, ad assumere grave responsabilità, ma se Inghilterra e Germania ci appoggiassero, data speciale attitudine nostri carabinieri, e se Sublime Porta accetta nostre condizioni, avremmo ogni probabilità cavarcene con onore e con possibile vantaggio nostri interessi politici.

Adottando secondo partito, riterrei opportuno: l) assicurarci, mediante leali spiegazioni, adesione esplicita, appoggio efficace Inghilterra ad impedire intrighi altre potenze. Anche Germania potrebbe esserci utile in una questione in cui i desideri del Sultano si concilino con interessi nostri; 2) subordinare nostro eventuale consenso ad alcune condizioni, fra le quali, ad esempio, l'impegno Sublime Porta assicurare prima i precisi fondi occorrenti spese riorganizzazione Adrianopoli conformemente a quanto è stato fatto per Macedonia; 3) facoltà per noi, oltre quattro richiesti, designare ufficiale superiore come tenente colonnello carabinieri, quale capo nostra missione riorganizzatrice con poteri analoghi a quelli De Giorgis; 4) impegno Sublime Porta consentire eventuale aumento ufficiali, qualora numero risultasse insufficiente. Tali affidamenti od altri eventualmente desiderati dal R. Governo sarebbe indispensabile venissero estesi, dati per iscritto.

Reputo poco probabile Sultano consenta queste condizioni. Esse però sono assolutamente indispensabili per garantire serietà a successo riforme. Se il Sultano si rivolge a noi per organizzare sul serio la sua gendarmeria in Adrianopoli, deve fornirci i mezzi occorrenti, accettando nostre condizioni. Se poi intende solo trastullare l 'Europa con i soliti palliativi, non possiamo certo prestarci al suo giuoco ed esporre i nostri ufficiali, quando la riforma fallisse, per colpa della Turchia, a fare figura identica a quella degli ufficiali belgi, svedesi, primitivamente assunti gendarmeria Macedonia e poi sostituiti ufficiali grandi potenze. Avendo ora rispettosamente sottomesso a V.E. il mio parere attenderò ordini ed autorizzazione dare di tutto ciò confidenziale comunicazione colleghi Inghilterra e Germania. In caso affermativo mi riuscirebbe utile conoscere testo telegramma eventuale di V. E. a P ansa 1•

20 1 Vedi D. 17.

21 1 Con T. 654/39 del IO aprile, Imperiali chiese l'autorizzazione a comunicare subito il suo colloquio con il Sultano all'ambasciatore di Gran Bretagna per evitare che l'apprendesse da fonte turca. Per la risposta vedi D. 25.

22

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES

Roma, 9 aprile 1905, ore 18,15.

Germania ritiene di avere consenzienti Stati Uniti per impedire che la Francia prenda nel Marocco una posizione preponderante. Prego con prudenza e riservatezza indagare quali sono le precise intenzioni di codesto Governo al riguardo2 .

23

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 202/86. Pietroburgo, 9 aprile 1905 (perv. il 17).

Al suo ultimo ricevimento del Corpo diplomatico il conte Lamsdorf non poté che ripetermi, riguardo al noto programma finanziario austro-ungarico, quanto in precedenza mi era già stato confidato dal sig. Hartwig e da me comunicato all'E.V. col telegramma 26 marzo n. 261 che cioè gli ambasciatori di Russia e d'Austria-Ungheria stavano rimaneggiandolo al fine di metterlo possibilmente in concordanza colle vedute espresse dai vari Gabinetti. La proposta della nomina di un controllore generale britannico, avanzata dal Governo inglese, non aveva a vero dire avuto una molto buona accoglienza: maggior favore invece avrebbe incontrato quella suggerita dall'Italia che ogni potenza avesse il proprio controllore, il che, a quanto pare, sarebbe di già cosa decisa. In seguito alla opposizione della Germania contro la parte preponderante che nell'organizzazione della Macedonia sarebbe assunta dalla Banca ottomana (opposizione, a quanto mi lascia capire questo mio collega di Germania, originata dalle sospette attinenze della Banca colla Francia) cercavasi ora a quale altro instituto affidare il compito riservatole. Erasi pensato di incaricarne la Commissione internazionale del debito ottomano, ma il fatto del non essere la Russia rappresentata in quella Commissione né ritenere essa d'altra parte in questo momento opportuno di postulare per l'ammissione di un suo delegato, forma il principale ostacolo all'accettazione di detta proposta.

Le cose dettemi dal conte Lamsdorf saranno senza dubbio in gran parte già note da tempo all'E.V. ed io quindi le registro qui per semplice debito di coscienza. In generale devo riconoscere che per tutto quanto ha tratto ai Balcani non ho trovato qui

2 Per la risposta vedi D. 24. 23 1 Non pubblicato.

un terreno molto favorevole sia ad un buon servizio di informazioni sia pure ad un esauriente e veramente utile scambio di vedute sui vari problemi della politica orientale. Sebbene il conte Lamsdorf affetti sempre di dichiarare che l'attuale guerra contro il Giappone non abbia per nulla sottratto l'attenzione e le cure della Russia dal Vicino Oriente, è un fatto innegabile e da tutti qui riconosciuto, che sotto il grave incubo causato dalla disgraziata campagna in Manciuria e dalle gravi complicazioni interne, l'azione della Russia in tutte le altre questioni di politica estera rimane forzatamente paralizzata. Questo stato di cose si ripercuote pure nell'attitudine e nel linguaggio del conte Lamsdorf coi rappresentanti esteri, si vede in lui un uomo qui n 'a pas ses coudées franeh es e che si comporta in conseguenza ed io, pure già avvezzo al riserbo degli uomini di Stato giapponesi, ho a diverse riprese avuto campo di constatare come in certi rispetti il ministro imperiale degli affari esteri li superasse ancora in ritenutezza e taciturnità.

In quanto ai rappresentanti delle grandi potenze nella maggior parte dei casi non ho trovato nei miei colloqui con essi sulle questioni balcaniche all'ordine del giorno una molto utile fonte di apprezzamenti e di ragguagli. L'ambasciatore di Germania, conte Alvensleben, appare disinteressarsi, al pari del suo Governo, da tutta l'opera di riforme in Macedonia e si dice al riguardo male informato; l'ambasciatore di Francia, per soverchi riguardi verso la Russia, evita ogni occasione di emettere giudizi che possano essere non interamente conformi alla politica del Gabinetto di Pietroburgo: in quanto al mio collega d'Inghilterra, egli afferma, con manifesto compiacimento, che tutto quanto si riferisce alla Macedonia viene trattato a Londra all'infuori di ogni sua interferenza. L'ambasciatore d'Austria-Ungheria è forse qui il solo diplomatico che sia perfettamente al corrente di quanto succede al di là dei Balcani e nel segreto di tutta la politica del Gabinetto di Pietroburgo. Uomo accorto ed insinuante, egli ha fama di essere, dopo il conte Goluchowski ed il sig. Calice, il principale istigatore della azione diplomatica austro-ungarica nella penisola balcanica e caldo ed efficace sostenitore del programma di Miirzsteg. Gode indubbiamente di un grande ascendente presso il conte Lamsdorf e non di rado riuscì a far accettare proposte ideate a Vienna, che sulle prime non sembravano di natura a qui incontrare un'accoglienza molto calorosa. Ma nelle sue conversazioni coi colleghi egli mantiene abitualmente molte riserve; egli non dice se non ciò che sa di poter dire ed anche a quel poco non vi è spesso da dare molto peso.

Più loquaci e prolissi dimostransi i rappresentanti dei singoli Stati balcanici, soliti a fare di Pietroburgo, ove sanno trovare più favorevole ascolto che a Vienna, il centro dei loro maneggi e sempre pronti ad esagerare le pecche del vicino, mettendole in raffronto alla propria correttezza di attitudine e sincerità di propositi. Ma tali disquisizioni, tutte fatte a base di reciproche recriminazioni, non sono guarì atte a fornire una larga veduta di insieme del problema balcanico e a suggerire i mezzi di soluzione.

Del resto anche gli stessi Stati balcanici paiono attualmente rendersi conto della convenienza di non creare troppe difficoltà alla Russia nella grave crisi che ora attraversa e la loro azione politica qui si è conseguentemente rallentata. Ed è questo sentimento, puramente morale, che domina a parer mio tutta la situazione nei Balcani, e che ci eviterà forse lo scoppio di gravi conflagrazioni. Anche le altre potenze occidentali sembrano inspirare la loro politica al concetto di non creare imbarazzi alla

Russia; esse trattano questo Impero come un malato grave verso cui conviene avere insoliti riguardi. Tutto sta nell'impedire che altri, con meno scrupolo, cerchi di trar vantaggio da questo stato di cose a tutto proprio interesse2 .

22 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

24

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 491 . Washington, l O aprile 1905 (perv. ore 7 dell'll).

I tre principi, porta aperta, statu qua territoriale, nessuna nazione privilegiata enunciati riguardo al Marocco nel memorandum rimesso giorni sono dall'ambasciatore di Germania al Dipartimento di Stato, sono perfettamente conformi alle teorie generali ed agli interessi degli Stati Uniti nel Marocco. Questo Governo è però tenuto a qualche riguardo verso la Francia, i cui buoni uffici accettò lo scorso anno per liberazione Perdicardis. Questione attualmente pendente dinanzi presidente assente e lontano. Credesi Governo Stati Uniti prenderà atto puramente e semplicemente.

Ambasciatore di Germania non aspetta di più, sapendo Governo Stati Uniti favorevole principi enunciati.

25

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO 495 1 . Roma, 11 aprile 1905, ore 12.

La richiesta del Sultano per la gendarmeria di Adrianopoli merita cauta ponderazione e debbo riservarmi di telegrafarle più tardi opportune istruzioni2 . Intanto autorizzo V.E. a darne confidenziale notizia al collega inglese, ed anche, se ella crede, al collega tedesco, aggiungendo avermene puramente e semplicemente riferito. Così ella potrà ricavarne e telegrafarmi la loro prima impressione3 .

2 Vedi D. 46.

3 Per la risposta vedi DD. 28 c 30.

23 2 Per la risposta vedi D. 53.

24 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 22.

25 1 Risponde al D. 21.

26

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MADRID, PIETROBURGO, VIENNA E WASHINGTON

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1 . Roma, 12 aprile 1905, ore 20.

Questo ambasciatore di Germania mi ha comunicato oggi in forma confidenzialissima l'intenzione del suo Governo di proporre una conferenza internazionale fra le grandi potenze con la partecipazione degli Stati Uniti per regolare la questione del Marocco. Ho risposto in forma riservata ed evasiva2 . Mi è pertanto di sommo interesse conoscere con la massima sollecitudine se eguale comunicazione fu fatta a codesto Governo e quale è l'attitudine che esso si propone di prendere o che presumibilmente prenderà. Aggiungo che l'ambasciatore francese mi ha dichiarato che il suo Governo si opporrà recisamente alla progettata conferenza3 .

27

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 674/72. Berlino, 12 aprile 1905, ore 14,50 (perv. ore 17,55).

Ho avuto ieri col sig. MU!hberg, che sostituisce il segretario di Stato, una conversazione sulle cose del Marocco. Questo Governo non desidera per ora, almeno, entrare in trattative con la Francia, né direttamente né per mezzo di altra potenza: esso aspira a regolare la questione delle riforme e altre per mezzo di conferenza internazionale e lavora perché domanda ne sia fatta dal Sultano. Questa formerà uno dei compiti della missione del conte Tattenbach a Fez. Questi (già ministro a Tangeri e ora a Lisbona) è incaricato di reggere la legazione di Germania al Marocco fino all'arrivo del nuovo ministro Rosen, ed in tale qualità si recherà a porgere personalmente al Sultano del Marocco i ringraziamenti dell'Imperatore di Germania, per le accoglienze ricevute a Tangeri. In questo stato di cose, sembra a me che una nostra offerta di azione conciliativa non è consigliabile.

V.E. sarà già, per informazioni da Tangeri, a cognizione di pratiche fatte già dalla Germania in favore del suo cabotaggio sulle coste marocchine. Quelle pratiche,

2 Vedi D. 3!.

3 Per le risposte da Londra, e Washington vedi DD. 34 e 35. Non si pubblicano le risposte da Madrid, Pietroburgo e Vienna.

la cui spinta veniva dal noto sig. Ballin direttore della grande Società tedesca di navigazione, sono ora giunte a termine. Mediante scambio di note, è stato convenuto tra Germania e Marocco che qualunque concessione questo farà ad altre potenze, s'intenderà estesa anche alla bandiera germanica.

Questo Governo aveva portato la sua attenzione su quanto il Matin aveva stampato circa l'intervista di un suo redattore con V.E. e aveva già dato ordini al conte de Monts di informarsi e riferire sull'esatto fondamento delle allegazioni di quel giornale. La smentita di V.E. è venuta più che a proposito.

26 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

28

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 675/43. Pera, 12 aprile 1905, ore 14,40.

Telegramma di V.E. n. 495 1•

Impressione personale, in massima favorevole. O'Conor ritiene che il suo Governo spontaneo, strenuo, incessante, propugnatore riforme gendarmeria Adrianopoli potrebbe vedere con simpatia affidato a noi riorganizzazione, qualora, beninteso, intrapresa grazie previo preciso impegno Governo ottomano presentasse garanzia serietà probabilità successo. In queste condizioni S.E. suppone che Governo britannico non ci negherebbe nemmeno suo appoggio. Collega ha consigliato però bene premunirsi contro volubilità, duplicità Sultano capacissimo, quando nostri ufficiali fossero inviati senza condizioni, di tenerli inoperosi o di adibirli in altri punti dell'Impero oppure, dirigendoli Adrianopoli, di rendere vana, illusoria occupazione loro, col non adottare provvedimenti necessari. Telegraferò più tardi impressione barone MarschaW.

28 1 Vedi D. 25. 2 Vedi D. 30.

29

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 683/31. Londra, 12 aprile 1905, ore 21,30 (perv. ore 6 del 13).

Ho parlato oggi nuovamente col marchese Lansdowne sull'affare Marocco tenendo presente telegramma di VE. del 7 1• Sua Signoria mi confermò non avere finora ricevuto in proposito nessuna apertura né da Parigi né da Berlino. Egli non esclude che offerendosi occasione per un'amichevole azione, gli convenga, ad un dato momento, di valersene, per agevolare un componimento tra le due parti, ma ho compreso che per adesso egli preferisce astenersene per timore di complicare le cose con un intervento non richiesto e nella speranza che il conflitto possa risolversi di per sé gradatamente.

Questo ministro di Francia mi disse, a titolo opinione personale, ritenere che si troverà modo per fare giungere a Berlino una qualche dichiarazione tendente arassicurare la Germania circa il rispetto dei suoi interessi in Marocco.

30

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 686/45 1 . Pera, 12 aprile 1905, part. ore 1,50 de/13 (perv. ore 13,40).

In complesso opinione personale ambasciatore di Germania collima con quella ambasciatore d'Inghilterra. Barone Marschall considera richiesta Sultano come manifesto indizio fiducia Italia, dubita però ancora serietà propositi di S.M. Imperiale e ritiene pertanto indispensabile prendere opportune precauzioni per non avere aria aiutarlo ingannare potenze con misura illusoria; per conseguenza barone Marschall consiglia vivamente non mandare ufficiali prima che Sultano siasi esplicitamente impegnato accettare condizioni da noi eventualmente imposte per assicurare serietà intenzioni. A parere di S.E. timore inevitabile intervento di altra potenza potrebbe forse esercitare buona influenza per indurre Sultano acconciarsi nostre condizioni; in tutti i casi, barone Marschall suppone che Governo germanico non rifiuterebbe appoggiare nostra missione quando la medesima presentasse garanzia serietà.

30 1 Risponde al D. 25.

29 1 Vedi D. 17.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, FORTIS

APPUNTO. Roma, 12 aprile 1905.

Stamane si è recato da me il sig. Barrère per comunicarmi essere a cognizione del Governo francese che il Governo germanico aveva presentato o stava per presentare un progetto di conferenza internazionale, alla quale avrebbero dovuto prender parte le grandi potenze e gli Stati Uniti d'America, con lo scopo di regolare la questione del Marocco. Mi aggiunse che la Francia dal canto suo si opponeva a tale conferenza, ritenendo la questione del Marocco come già regolata per gli accordi intervenuti tra Francia, Inghilterra e Spagna, e tra Francia e Italia.

Venne quindi da me, poco dopo, il conte Monts, il quale in via confidenziale mi comunicò la notizia della proposta della detta conferenza da parte della Germania, chiedendo l'adesione dell'Italia. Il conte Monts prese tale occasione per esprimermi la grande soddisfazione che l'Imperatore aveva avuto del convegno col Re 1 , e le disposizioni della Germania, pronta a dare all'Italia tutta la sua assistenza per qualunque eventuale azione in Tripoli, e a prestarle ogni aiuto per la miglior soluzione della questione macedone. Il conte Monts, insistendo sull'attitudine assunta dalla Germania nel Marocco, volle rilevare come con ciò la Germania assumesse la difesa degli interessi generali, e anche di quelli dell'Italia. Disse che, se la Germania, come aveva intenzione, avesse fatto l'offerta di un prestito al Marocco, sarebbe stata pronta a fame partecipe l'Italia, qualora questa lo avesse desiderato. Si dolse perché il conte Tornielli, in un pranzo da Doumer, avrebbe espresso al principe Radolin degli apprezzamenti poco favorevoli all'attitudine della Germania nel Marocco.

Tanto all'uno che all'altro ambasciatore io risposi evasivamente, chiedendo se fosse nota l'attitudine che l'Inghilterra avrebbe assunta di fronte alla proposta germanica. Alla quale mia domanda non mi venne data risposta ben precisa.

32

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 283/130. Atene, 12 aprile 1905 (perv. i/19).

I numerosi telegrammi qui giunti da Corfù rendono conto dell'arrivo in quell'isola dell'Imperatore di Germania e dell'accoglienza che gli venne fatta. All'infuori di un lieve incidente, causato da un malinteso, in seguito al quale lo yacht del Re di

Grecia e le corazzate elleniche si recarono ad incontrare l'«Hohenzollem» per il canale meridionale dell'isola, mentre esso v'entrava per il canale settentrionale, di guisa che l'Imperatore giunse a Corfù quando non v'era nessuno ad attenderlo, all'infuori di ciò, sembra che tutto si sia passato in perfetto ordine; e qui viene espressa, in generale, una viva soddisfazione per la visita imperiale.

Il saluto di benvenuto che la stampa ateniese aveva mandato al!' Augusto Ospite non era stato, convien dirlo, troppo cordiale e caloroso. In molti articoli si rilevava che Guglielmo II, in momenti dolorosi, erasi mostrato assai duro verso la Grecia; che, dopo i tristi eventi della guerra turco-greca, fu alla Germania specialmente che si dovette l'umiliante1 imposizione di un controllo internazionale sulle finanze elleniche; e che, anche in seguito, la politica germanica non fu mai ispirata a molta simpatia per «questa debole ed infelice nazione». Ma questa nazione, ispirata da' suoi nobili sentimenti e dal dovere di ospitalità che le è innato, vuole ora dimenticare tutto ciò: ricorda solo la comunanza degli interessi greci e tedeschi in Oriente e nel Mediterraneo, e vede nell'Imperatore il fratello della principessa ereditaria di Grecia, adorata dal suo popolo, e il Sovrano dall'alta mente e dalle vaste vedute.

Così suonava, fino a ieri, il linguaggio della stampa; ma esso si è oggi singolarmente modificato, in seguito alle notizie venute da Corfù, che riportano lo scambio dei brindisi dei due Sovrani e la reciproca concessione delle dignità di ammiraglio delle due flotte rispettive. Alcuni giornali vanno fino a dire che la visita di Corfù segna il principio di un nuovo periodo nella politica greca; la Grecia potrà contare, d'ora innanzi, sul potente appoggio dell'amicizia germanica: appoggio tanto più prezioso in quanto che la Germania, coli 'Inghilterra e la Francia, è fra quelle potenze che non hanno alcuna mira di conquista in Oriente e che non minacciano in alcun modo l'ellenismo-e in quanto che la Germania deve essere unita colla Grecia dal comune intento della difesa contro il panslavismo che entrambe le minaccia.

A dir vero, può sembrare difficile, a chi giudica imparzialmente, di scoprire sì alti significati politici nel tenore del brindisi imperiale di Corfù. Si direbbe anzi che l'Imperatore siasi particolarmente studiato di togliere alle sue parole qualsiasi portata politica, accentuando, invece, colla allusione al Congresso archeologico che si è riunito in Atene, il suo interessamento per la Grecia antica, patria del bello, e oggetto di perenne ammirazione per gli scienziati e gli artisti tedeschi. Anche quando manifestò, come era naturale, la sua riconoscenza per la nomina ad ammiraglio della marina ellenica Guglielmo II insistette specialmente sulla gloria passata di questa marina e si limitò ad esprimere l'augurio e la speranza che essa saprebbe mostrarsi degna delle gloriose sue tradizioni.

Con tutto ciò è incontestabile che questa visita imperiale, dati i suoi precedenti e il modo come è seguita, deve esser tale da lusingare l'amor proprio nazionale, altrettanto vanitoso quanto suscettibile, dei greci. E che tale possa essere stato anche il proposito dell'Imperatore, non mi par nemmeno che si debba completamente escludere. Certo, agli affetti famigliari e ali 'irrequieta attività del!' Augusto Viaggiatore, doveva sorridere, anche indipendentemente da ogni veduta politica, la visita

fatta alla sorella in un luogo così ricco di bellezze naturali, qual è quell'isola di Corfù. Ma, d'altra parte, è anche permesso di supporre che l'Imperatore di Germania, dopo aver manifestato in modo così sensazionale il suo interesse per le cose del bacino occidentale del Mediterraneo, abbia voluto mostrare, colla sua presenza in Grecia, che non rimane indifferente a ciò che accade nel bacino orientale. Diversi fatti che si produssero in questi ultimi tempi, e che ebbi cura di riferire all'E.V. creazione di una banca greco-tedesca, offerte per forniture militari e marittime, progetti di nuove linee di navigazione-sembrano voler provare che la Germania si accinge ad inaugurare anche in Grecia quella politica di espansione economica, che da tempo segue con tanto successo in Turchia. La presenza dell'Imperatore a Corfù potrebbe avere per iscopo di dare maggiore rilievo e maggior prestigio agli inizi di questa politica; e fors'anche di neutralizzare e controbilanciare gli effetti di quella recente visita al Pireo della squadra austro-ungarica, che sembrò confermare la supposizione di un'intesa austro-greca, intesa che-se devo argomentare dal linguaggio e dall'attitudine di questo rappresentante germanico -non sarebbe certo vista di buon occhio a Berlino.

Durante la visita imperiale a Corfù trovavasi ancorata in quella rada una squadra inglese, al comando dell'ammiraglio Domvile. Questi diede un pranzo a bordo della sua nave in onore dell'Imperatore, il quale, a quanto vien qui riferito, colmò di cortesie l'ammiraglio e la famiglia sua, facendo loro splendidi regali e mostrandosi particolarmente espansivo nella espressione della sua ammirazione per la marina britannica. Dopo i recenti incidenti, che rivelarono un sì marcato contrasto fra la politica germanica e la politica inglese al Marocco, si potrebbe attribuire uno speciale significato anche a queste manifestazioni.

31 1 Vedi D. 16.

32 1 Annotazione a margine: «Umiliante, se si vuole, ma molto utile».

33

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 504. Roma, 13 aprile 1905, ore 15, 15.

Le notizie di Creta continuano sempre più gravi e vivamente mi preoccupano. Il movimento insurrezionale si estende e le truppe internazionali sono assolutamente insufficienti per fronteggiarlo e mi preoccupa anche la responsabilità che i Governi assumerebbero specialmente nei paesi a regime costituzionale qualora le truppe fossero costrette a usare le armi. D'altronde è evidente che il movimento è diretto specialmente contro l'attuale Governo e che le lagnanze non sono certamente del tutto ingiustificate. È dovere delle potenze protettrici di indagare ragione malcontento e sopprimerne se è possibile le cause. Per un tale esame e per i provvedimenti da prendere ritengo indispensabile la convocazione immediata di una conferenza sia a Roma sia in un'altra delle tre capitali. Voglia quindi comunicare a codesto Governo che io rinnovo formalmente la proposta di una tale conferenza che già in massima aveva trovato adesione a Londra e a Parigi e che rinnovo tale proposta anche per tutela di ogni mia responsabilità1•

34

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 33 1• Londra, 13 aprile 1905, ore 21 (perv. ore 23,30).

Rispondo suo telegramma giuntomi oggi2 .

Questo Governo non ha ricevuto veruna comunicazione dalla Germania circa il progetto di una conferenza internazionale per il Marocco. Marchese Lansdowne è di parere che non vi sarebbe motivo per una simile conferenza. In questo senso egli ha risposto oggi all'ambasciatore d'Inghilterra in Madrid, al quale quel sottosegretario di Stato per gli affari esteri si è rivolto per conoscere il suo modo di vedere circa analoga apertura fatta colà al Governo spagnolo.

Marchese Lansdowne, avendomi chiesto che cosa ne pensasse V.E., gli dissi che ella si era limitata a rispondere in termini generici e riservati, ma sembrarmi evidente che, se le tre potenze firmatarie dei recenti accordi erano unanimi nel respingere idea di una conferenza, ciò bastava senz'altro a renderla ineffettuabile.

Conversazione odierna col marchese Lansdowne mi ha confermato nella impressione che Sua Signoria intende, almeno per ora, astenersi da ogni ingerenza in questo affare.

2 Vedi D. 26.

33 1 Con T. 704/34 del 14 aprile Pansa comunicava che Lansdowne aveva dato istruzioni agli ambasciatori inglesi a Parigi, Pietroburgo e Roma di suggerire Roma come località adatta per discutere la situazione di Creta. Tornielli con Disp. 1144/481 del 22 aprile riferiva sulle perplessità del Governo francese circa la convocazione di una conferenza. Anche il Governo russo (T. 701 del 14 aprile) sembrava contrario alla proposta italiana.

34 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

35

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 501 . Washington, 13 aprile 1905, ore 22,40 (perv. ore 23,35).

Ho veduto segretario della Guerra, che fa funzioni segretario di Stato. Questo Governo non ha ricevuto né invito, né notificazione possibile conferenza circa Marocco. Se invitati, segretario della Guerra crede, Stati Uniti declineranno invito. Né il Senato, né il popolo approverebbe intromissione Governo americano in questione mediterranea e per paese ove interessi americani sono minimi. Presidente stesso ritiene che gli Stati Uniti hanno un compito già abbastanza vasto ed arduo nel mare delle Antille, nel sud-America e nell'Estremo Oriente.

36

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, CAETANI

Roma, 15 aprile 1905, ore 23.

Faccio seguito mio telegramma 18 marzo u.s. 2 .

Governo francese ha presentato a Londra osservazioni su accordo italo-britannico per Etiopia che non possono da noi essere accettate. Stiamo per rispondere in merito a dette osservazioni, ma intanto è necessario che la questione ferrovia non faccia alcun passo ma si mantenga statu qua, in attesa che le tre potenze si siano intese nel negoziato confidenziale ora in corso. Prego la S.V. di mettersi d'accordo con Harrington su questo punto e di agire con lui presso Menelik, se sarà necessario.

2 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 961.

35 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 26. 36 1 Trasmesso via Asmara.

37

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. SEGRETO 536. Roma, 16 aprile 1905, ore 10.

Mi riferisco telegramma di V.E. del l Ocorrente1 .

Reggente legislazione italiana Addis Abeba telegrafa2: «Negus oggi [il 12] ha convocato i capi delle quattro legazioni e rappresentante della Compagnia per la ferrovia etiopica e ci ha dichiarato, in forma solenne, che, finora, Italia, Inghilterra, e Francia non si sono potute mettere d'accordo riguardo proseguimento ferrovia sino Addis Abeba e hanno, in tal modo, impedito la costruzione di essa; che egli desidera ferrovia sia costruita per incremento della ricchezza del paese, e che, qualora tre potenze interessate non riescano a porsi d'accordo, egli ha risoluto di costruire ferrovia a sue spese. Ci ha pregato comunicare quanto precede ai rispettivi Governi, affinché la questione sia sollecitamente risoluta in un senso o nell'altro. Ci ha chiesto, quindi, nostro parere riguardo costruzione ferrovia e integrità territoriale dell'Etiopia. Ministro d'Inghilterra ha dichiarato che prendeva impegno solenne, in nome suo Governo, riguardo mantenimento della integrità territoriale de li'Abissinia, e che non comprendeva come Governo francese possa conciliare sua pretesa di conservare esclusivo controllo sulla ferrovia con rispetto della integrità territoriale dell'Etiopia, e che Governo inglese desidera ferrovia sia impresa commerciale e non politica. Ministro di Francia si limitò a dichiarare che egli è fautore convinto integrità territoriale Etiopia, e che, quanto alla ferrovia, essendo ora in corso trattative fra Governi interessati, egli non si riteneva in grado di fare veruna dichiarazione. Interrogato, a mia volta, in mancanza di istruzioni recenti da parte di V.E. e di informazioni circa ultime trattative, mi limitai dichiarare che Governo italiano desidera si giunga a un accordo fra le potenze interessate riguardo ferrovia, ciò nell'interesse stesso dell'Etiopia, e che desidera in sommo grado venga sempre rispettata integrità territoriale dell'Impero. Prego V. E, volermi telegrafare d'urgenza istruzioni circa linguaggio da tenere col Negus, allorché questi mi chiederà la risposta del R. Governo. Aggiungo constarmi che non debba in verun modo escludersi possibilità Negus costruisca ferrovia a sue spese, valendosi capitali Banca Etiopia. Sembrerebbe non debba nemmeno escludersi che recente missione germanica abbia potuto suggerire Negus idea ricorrere a capitali tedeschi».

Ho risposto col telegramma seguente3 : «Approvo suo operato. Governo francese ha presentato a Londra contro-progetto per accordo a tre per Etiopia. In esso si vorrebbe pattuire la garanzia dello statu quo politico territoriale in Etiopia per la salvaguardia degli ulteriori interessi francesi per la costruzione della ferrovia attraverso

2 T. 692/53, trasmesso via Asmara il 13.

3 T. segreto 527 del 15 aprile.

il bacino dell' Aussa fino Addis Abeba in base allo stato degli affari attualmente esistenti e in base alla concessione Menelik-Ilg del 9 marzo 1894, alla convenzione del 6 febbraio 1902 tra Colonia francese e Compagnia ferroviaria, e alla dichiarazione di Menelik dell'8 agosto 1904. Sta in fatto che di questi atti i due primi non possono evidentemente essere considerati come intervenuti tra Francia e Etiopia, e il terzo relativo alla costruzione del secondo tronco della ferrovia Gibuti-Addis Abeba è stato formalmente ritirato da Menelik, come risulta da ufficiale dichiarazione del Negus notificata a Italia e Inghilterra. Potendosi inoltre verificare l'ipotesi di una sostituzione della Francia alla Compagnia, in virtù della convenzione del 1902, ne verrebbe per conseguenza che la proprietà della ferrovia in territorio etiopico passerebbe alla Francia e il territorio percorso da essa diventerebbe possedimento francese. Per queste considerazioni, non essendo prevedibile che su questo punto della ferrovia possa intervenire una intesa fra le tre potenze, mi associo pienamente alle dichiarazioni fatte dal suo collega inglese, aggiungendo che, affinché ferrovia diventi impresa non politica, la miglior soluzione sarebbe che la costruzione fosse fatta direttamente da Menelik. Prego la S.V. di dar comunicazione di questo telegramma al colonnello Harrington, mettendosi d'accordo con lui per le comunicazioni da farsi a Menelik sulle basi del rispetto dell'integrità territoriale dell'Etiopia, sulla necessità che la ferrovia sia impresa commerciale e sulla soluzione da noi preferita che essa sia costruita a spese di Menelik. Naturalmente queste istruzioni riguardano i soli suoi rapporti con Harrington».

Contro-progetto francese, se accettato, avrebbe per conseguenza di mettere il territorio da Dire-Daua ad Addis Abeba in mano della Francia rendendo a noi impossibile quella continuità di territorio che, in caso di disintegrazione dell'Etiopia, noi vogliamo ci sia garantita tra le nostre due colonie dell'Eritrea e della Somalia meridionale. Non si tratta quindi di assicurarci una semplice comunicazione come vorrebbe la Francia, ma un vera contiguità di territori. Nel mio colloquio col sig. Barrère al quale si accenna nella memoria annessa al suo rapporto del 22 marzo4 , ciò espressamente dichiarai. Non ho mai detto che volevo riconoscere alla Francia un hinterland dei suoi possedimenti fino ad Addis Abeba, bensì ho detto essere equo che un hinterland potesse essere riconosciuto alla Francia. Ciò potrebbe avvenire in base ad accordi di delimitazioni che esistessero fra Etiopia e Francia. Esiste infatti un accordo tra Francia ed Etiopia del l O marzo 1897, di cui però non conosciamo il testo ufficiale. In base a queste e alle altre considerazioni esposte nel telegramma al reggente la legazione in Addis Abeba, la E.V. vorrà fare opportune notificazioni al marchese di Lansdowne dichiarandogli che le proposte modificazioni francesi non possono in nessun modo da noi essere accolte e che quindi nella questione speciale della ferrovia è necessario che Italia ed Inghilterra continuino a procedere unite dando analoghe istruzioni ai propri rappresentanti in Etiopia secondo le precedenti intese di cui prese l'iniziativa, per quanto riguarda la ferrovia, il Governo britannico.

La prego di volermi far conoscere quali istruzioni saranno impartite al colonnello Harrington.

3 7 1 Con T. 659/29 del l O aprile P ansa riferiva che Lansdowne attendeva il parere del Governo italiano sul controprogetto francese per l 'accordo etiopico.

37 4 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 972.

38

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 539. Roma, 16 aprile 1905, ore 14.

Ho parlato con questo ambasciatore di Francia de li'assicurazione che da lui sarebbe stata a me attribuita circa le rivendicazioni francesi per la ferrovia GibutiAddis Abeba, assicurazioni di cui è cenno nell'annesso al suo rapporto del 22 marzo u.s.n.ll01•

Dissi al sig. Barrère non avere mai io dato tale assicurazione ed egli ne convenne affermando di essere stato frainteso ed aggiungendo aver io espressamente detto che la guarentigia che l'Italia voleva che fosse assicurata nel caso di disintegrazione dell'Etiopia prevista all'articolo IV dell'accordo segreto, si riferiva, non ad una semplice comunicazione tra le due Colonie della Eritrea e della Somalia, ma ad un vero e proprio possesso di territorio in modo che tra di esse non vi fosse soluzione di continuità. Quanto alla questione della ferrovia, ho esplicitamente e lealmente significato il mio pensiero al sig. Barrère quale risulta dalle comunicazioni telegrafiche fatte alla

E.V. che, cioè, il Governo del Re non avrebbe, per parte sua, mai consentito a che la costruzione della ferrovia oltre Dire-Daua diventasse una impresa politica.

39

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 540. Roma, 16 aprile 1905, ore 13.

Voglia far rilevare conte Lamsdorf che mia proposta non implica affatto sospensione di ogni azione n eli 'isola finché siasi deliberato sulla responsabilità del presente regime e sulle riforme da introdursi. Il mantenimento dell'ordine pubblico e la ricerca delle cause del malcontento per dare soddisfazione a quella parte di giusto che esse possono avere devono, a mio avviso, procedere contemporaneamente e ritengo impossibile un'intesa sollecita fra le potenze senza una conferenza. Così continuando, né si provvede a vincere insurrezione, né a concertare riforme. Avendo ragione di ritenere che Inghilterra e Francia non si opporrebbero conferenza qualora Russia consentisse, è bene che codesto Governo sia consapevole della responsabilità che assume, lasciando continuare lo stato attuale che è grave e pieno di pericoli 1•

39 1 Vedi D. 43.

38 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 972.

40

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 720175. Berlino, 16 aprile 1905, ore 16 (perv. ore 19,40).

Conte di Biilow mi ha detto iersera che Delcassé ha espresso, in termini generali, il desiderio discorrere delle cose del Marocco. Il Cancelliere dell'Impero accoglie volentieri questa apertura che stima di buon augurio per l'ulteriore svolgimento della vertenza, e sta studiando modo di corrispondervi. Germania manterrà però fermo suo punto di vista che Marocco è questione internazionale, poiché essa non potrebbe tollerare che quel paese, per la sua posizione geografica e risorse, diventi monopolio d'altri. Conferenza internazionale sembra al conte di Biilow miglior mezzo soluzione, ma non si rifiuta accettarne altra se conveniente. Biilow si dimostrò molto soddisfatto discorsi che, a quanto pare, hanno avuto luogo tra S.E. Fortis e V.E. con codesto rappresentante germanico su questione Marocco, e non dubita che noi aiuteremo, e, in ogni caso, non intralceremo azione Germania la quale si risolve anche a nostro vantaggio. Non nascondo che dalle parole del sig. conte di Biilow trapela il timore che Barrère cerchi o riesca per avventura a trascinarci a qualche atto o manifestazione contraria all'attitudine assunta dalla Germania. Secondo il mio parere remissivo conviene astenerci dal prendere parte al dibattito, la cui soluzione nel senso voluto dalla Germania tornerà anche a nostro vantaggio.

41

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, CON IL PRINCIPE DI BULGARIA, FERDINANDO I

APPUNTO RISERVAT01 . Roma, 16 aprile 1905.

Il Principe di Bulgaria durante la sua permanenza a Roma ebbe occasione di dichiararmi ripetutamente il suo fermo intendimento di seguire una politica pacifica, evitando gli attriti con la Turchia, e non volendo creare imbarazzi alle potenze, specialmente in considerazione dell'opera da loro intrapresa per l'introduzione delle riforme in Macedonia. Egli ha pregato peraltro che raccomandazioni per un indirizzo politico e ugualmente pacifico ed amichevole fossero fatte dal R. Governo alla Turchia.

Io non mancai naturalmente di esortare il Principe, nel modo più efficace, ad attuare così lodevoli propositi e a perseverare in essi, assicurandolo che non avrei mancato di far giungere alla Porta amichevoli esortazioni nel senso da lui desiderato, conformemente del resto a quanto ripetutamente era già stato fatto dal R. Governo a Costantinopoli.

Il Principe ebbe a dichiararmi in forma del tutto confidenziale che egli si sarebbe opposto in ogni modo colle armi a qualunque proposito dell'Austria di avanzare nei Balcani. Mi dichiarò altresì di non avere alcuna fiducia negli intendimenti austriaci al proposito. Mi disse che appunto per potere eventualmente far argine all'Austria egli aveva cercato una più intima intesa con la Serbia, e che a tale intesa egli volentieri vorrebbe far partecipare anche il Montenegro.

Mi fece dichiarazioni di grande devozione e simpatia verso l'Italia e verso il nostro sovrano, considerando la politica italiana nei Balcani come corrispondente agli interessi della Bulgaria, sulla quale l'Italia avrebbe potuto fare in ogni caso assegnamento.

41 1 Trasmesso alle ambasciate a Costantinopoli e Vienna, alla legazione a Belgrado e all'agenzia diplomatica a Sofia, rispettivamente con i Disp. 21241/257,21242/304,21243/49,21244/9, de125 aprile.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, CAETANI

Roma, 17 aprile 1905, part. ore 0,35 de/18.

Mio telegramma 18 ottobre 19042 tendeva tenere Menelik informato di eventuale movimento offensivo di dervisci per impedirlo. Ora ci vien segnalato dal Benadir che truppe abissine, comandate da Lui Seghed, sarebbero giunte, seguendo Uebi Scebeli, fin presso Ballad, attraverso nostro hinterland, in pieno Benadir. Ciò ha causato panico popolazioni, che appena ora cominciano rientrare tranquillità dopo pacificazione Somalia per accordo con Mullah. Occorre truppe Lui Seghed si ritirino subito rifacendo strada Uebi. Confidiamo che lettere già scritte da Mercatelli lo convincano a ciò3 . Intanto prego V.S. interessare Menelik affinché dia a Lui Seghed ordini truppe abissine si mantengano nei loro territori e non compromettano una pace dopo grande lavoro ottenuta4 .

2 Non pubblicato.

3 Con T. 59! del 22 aprile Tittoni informava Caetani che, dopo l'invito rivoltogli da Mercatel

li, Lui Seghed si era allontanato. 4 Caetani rispondeva con T. 82 del 22 aprile che il Negus aveva assicurato che avrebbe agito presso Lui Seghed per il rientro delle truppe.

42 1 Trasmesso via Asmara.

43

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 727/29. Pietroburgo, 17 aprile 1905, ore 18,35.

Conte Lamsdorf, a cui ho oggi comunicato apprezzamenti telegramma V.E.

n. 5401 , ha dichiarato, in forma più recisa ancora della prima volta, mantenere fermo suo punto di vista dell'inopportunità riunire conferenza fino a che insurrezione non sia stata sedata. Il riunire ora per deliberare sulle cause malcontento, significherebbe, a suo parere, patteggiare in certo qual modo, con l'insurrezione, e ribelli ne trarrebbero argomento a continuate rivolte e a sempre maggiori pretese. Conviene ora, invece, assolutamente, che questi siano resi convinti unanimi ed inflessibili propositi delle potenze protettrici procedere con ogni fermezza alla repressione movimento insurrezionale, e di non addivenire all'esame loro reclami, che quando ordine sia ristabilito. Soltanto così si potrà raggiungere pacificazione isola. Ottenuta che sia, egli non si opporrebbe alla riunione della conferenza col programma indicato ultimo telegramma di V.E. Secondo il conte Lamsdorf Gabinetti di Londra e Parigi sembrerebbero dividere suo modo di vedere. Nella sua opposizione nostra proposta, conte Lamsdorf appare più che altro ispirato preoccupazione della possibile ripercussione che atto arrendevolezza potenze verso gli insorti cretesi potrebbe in questo momento avere sulle popolazioni Balcani, in mezzo alle presenti gravi difficoltà. La Russia è al sommo grado interessata a che nulla venga a maggiormente turbare situazione già così tesa in Macedonia e questo timore ha indubbiamente maggior peso agli occhi del conte Lamsdorf di qualsiasi altra considerazione.

44

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 553. Roma, 18 aprile 1905, ore 14.

Ricordando che le consuete conferenze degli ambasciatori a Roma furono interrotte specialmente per volontà del Governo russo, non vorrei che attuale ostilità Lamsdorf dipendesse da un preconcetto. Invero la Conferenza non avrebbe già per programma di soddisfare domande insorti ma esaminare questione di Creta e convenire mezzi più opportuni per fronteggiarla. Aggiungo che questo ambasciatore inglese mi ha comunicato adesso adesione di massima suo Governo progettata Conferenza alla quale anche il Governo francese sarebbe favorevole pur non avendomi fatto

finora comunicazioni dirette. Come risulterà a codesto Governo Francia rifiutasi autorizzare truppe a usare le armi, Inghilterra rifiutasi aumentare contingente. Quindi anche dal punto di vista russo che sembra ritenere necessaria più energica azione di repressione, parmi ben difficile qualunque accordo al di fuori di una conferenza.

Voglia fare in questo senso un altro tentativo presso il conte Lamsdorf comunicandomene risultato.

43 1 Vedi D. 39.

45

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 749/39. Londra, 19 aprile 1905, ore 19,40.

Marchese Lansdowne mi disse avere parlato a questo incaricato d'affari di Francia nel senso delle nostre obiezioni al controprogetto Delcassé per l'Etiopia. Associandosi, in ispecie, al concetto che la nuova ferrovia debba avere carattere commerciale e non politico, Sua Signoria gli osservò che, a parer suo, le convenzioni ad essa relative non potrebbero venire opportunatamente menzionate nell'attuale accordo, ma considerate in sede separata. Lansdowne mi confermò suo desiderio e fiducia di giungere ad un componimento, concludendo che non rimaneva, per ora, che da attendere risultato delle sue osservazioni che l'incaricato d'affari aveva comunicato a Parigi.

Prevengo V.E., ad ogni buon fine, che assentandosi ora il marchese Lansdowne per le vacanze pasquali, non potrò più conferire con lui prima del 3 maggio.

46

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

D!SP. CONFIDENZIALE 20444/250. Roma, 20 aprile 1905.

Ho voluto attentamente esaminare, sotto ogni suo aspetto, la questione prima di rispondere al telegramma di lei relativo alla richiesta di S.M. il Sultano per l'invio di altri nostri ufficiali a cui S.M. Imperiale vorrebbe affidare l'incarico di riordinare il servizio di gendarmeria nel vilayet di Adrianopoli 1• Ed ora, anziché risponderle per telegrafo2 , preferisco, per meglio manifestarle il mio pensiero, valermi del presente dispaccio.

2 Come anticipato nel D. 25.

Per quanto, mercé le caute indagini di lei presso i colleghi d'Inghilterra e di Germania3 , sembri eliminata la nostra preoccupazione circa le difficoltà che potrebbero derivare da suscettibilità del Governo britannico, a cui già spetta una iniziativa rispetto alle riforme nel vilayet di Adrianopoli, e nel tempo stesso sembri ottenibile, quando occorresse, l'appoggio del Governo tedesco presso la Sublime Porta per un più agevole ottenimento di opportune guarentige, riemergono pur sempre, con tutta la loro efficacia, le obiezioni a cui VE. già accennava fin dal primo momento in cui ebbe a riferirmi il discorso a lei tenuto, circa l'attuale argomento, da codesto Sovrano. E le obiezioni toccano tanto l'uno quanto l'altro dei due modi in cui la proposta di S.M. Imperiale potrebbe esplicarsi. Poiché, se si limita l'invio a pochi ufficiali di cui la Sublime Porta liberamente disponga, la loro presenza, senza avere pratica utilità, servirebbe come ottimo pretesto, da parte di codesto Governo, per eludere ogni eventuale domanda di più seri provvedimenti; e se noi ci assumessimo addirittura il compito di riordinare nel vilayet il servizio di gendarmeria, dovremmo necessariamente impegnarci con codesto Governo, per le indispensabili condizioni, in dibattiti di assai problematica riuscita e per giunta d'indole così in cresci osa da scemare d 'assai e forse annullare il vantaggio politico che potrebbe derivarci dall'ardua missione la quale, del resto, si svolgerebbe in regione nella quale non abbiamo alcun particolare nostro interesse.

La conclusione nostra non può quindi essere dubbia, e solo conviene trovare, per declinare l'invito di S.M. Imperiale, tale formola che tenga al giusto conto della suscettibilità sua, e mantenga immutata la benevola sua disposizione a nostro riguardo. Mi rimetto, a questo scopo, interamente alla sagacia di lei ed alla piena conoscenza, che ella oramai possiede, di codesto ambiente. Forse potrebbe, anche agli occhi del Sultano, opporre convincente spiegazione del nostro scrupolo la considerazione che, con l'assegnare all'Italia una parte prevalente per l'opera delle riforme del vilayet di Adrianopoli, non solo si potrebbero eccitare le gelosie altrui, ma si potrebbero altresì provocare ed in certo senso legittimare consimili pretese da parte di altre potenze in altra provincia balcanica dell'Impero.

Del resto, poiché dal presente dispaccio ella trae piena notizia del nostro intendimento, sono certo che VE. sappia regolarsi in modo che questo incidente si esaurisca senza inconveniente alcuno. Ond'io attendo, con fiducia, quanto ella potrà riferirmi a questo proposito4 .

46 1 Vedi D. 21.

46 3 Vedi DD. 28 e 30. 4 Per il seguito vedi D. 52.

47

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A LISBONA, GUASCO DI BISIO

D!SP. RISERVATO 20452/42. Roma, 20 aprile 1905.

Ringrazio la S.V. del rapporto in data del 6 corr. n. 123/501 , col quale la S.V. mi riferì il colloquio da lei avuto, il giorno precedente, con codesto ministro degli affari esteri.

Ho preso buona nota delle cose dettele, in quella occasione, dal sig. Vilaça. Per quanto riguarda, in particolar modo, il delicato argomento della eventuale visita di

S.M. il Re del Portogallo all'Augusto Nostro Sovrano, in questa capitale, non trovo di dover modificare le istruzioni già in passato impartite ai predecessori costì della

S.V. Occorre, cioè, che la S.V. si astenga, in proposito, da qualsiasi iniziativa nei suoi discorsi coi rappresentanti di codesto Governo; e, qualora tale argomento fosse da parte loro toccato, ella si mantenga nel più assoluto riserbo. Naturalmente, ella avrà cura di riferirmi quanto le fosse stato detto al riguardo.

48

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1142/480. Parigi, 22 aprile 1905 (perv. il 28).

Ho già informato V.E. con il mio rapporto del 6 aprile 1 che questo ministro degli affari esteri e l'ambasciatore di Germania si erano incontrati il giorno innanzi per la prima volta dopo una assenza di qualche settimana e né l'uno né l'altro avea voluto prendere l'iniziativa di una conversazione circa l'incidente marocchino. La stessa impressione che a me fece la notizia di quell'ostentato reciproco silenzio, si produsse qui generalmente tosto che i giornali ne furono informati. Dal maggior numero si disapprovava questo contegno del sig. Delcassé poiché si diceva che, se il principe di Radolin ubbidiva evidentemente alle istruzioni del suo Governo non prendendo egli l'iniziativa di una spiegazione, questo ministro degli affari era invece libero dell'iniziativa propria e non usandone, avea aggravato una tensione che nell'interesse della Francia conveniva diminuire almeno nella forma delle relazioni con la Germania. Fu sotto l'influenza di queste impressioni che si deliberò di promuovere una discussione alla Camera dei deputati e che il sig. Delcassé, in occasione di un

48 1 Vedi D. 12.

desinare da lui accettato da circa un mese all'ambasciata di Germania, ebbe un colloqui con questo ambasciatore tedesco al quale fece séguito un abboccamento dell'ambasciatore francese a Berlino con uno degli alti funzionari di quel Ministero degli affari esteri.

Ho saputo indirettamente che il principe Radolin era stato soddisfatto del suo colloquio. Circa l'importanza ed il carattere dell'abboccamento di Berlino non ho informazioni speciali. Quelle che si trovano nei giornali porterebbero a credere che non era, fino all'ultime date, risultato un sensibile appianamento delle difficoltà. Anzi qui, fra le persone le meglio informate, si persiste a ritenere che questo Governo continui ad ignorare ciò che propriamente sia nelle mente del Gabinetto di Berlino.

Le interrogazioni alla Camera dei deputati si svolsero nelle due tornate del 19 corrente. L'ambiente era palesemente sfavorevole al sig. Delcassé. Le sue risposte furono più che sobrie; ma ad ogni modo egli si mantenne in quella prudente misura di cui ha contratto l'abito nel settennio dacché occupa le sue funzioni. Il presidente del Consiglio, sig. Rouvier, intervenuto insolitamente nella discussione, non osservò le stesse cautele di linguaggio. Egli stimò necessario porre in termini assoluti la questione della solidarietà del Gabinetto; ma, contrariamente alla consuetudine qui prevalente, il dibattimento si chiuse senza presentazione e voto di alcuna mozione.

La conseguenza di questa non felice giornata pare sia stato un vivo risentimento del sig. Delcassé contro il sig. Rouvier, le dimissioni del primo, l 'intervento del secondo e di altri ministri perché le dimissioni fossero ritirate.

Fino all'ora in cui scrivo non ho saputo se la pratiche fatte presso il sig. Delcassé, sovra tutto dal punto di vista della ripercussione che questa situazione può avere sugli affari interni, abbiano avuto esito favorevole.

V.E., con telegramma del 7 aprile2 , mi ha prescritto di esercitare qui un'azione calmante e conciliante. È dunque opportuno ch'io le renda conto del pochissimo che ho fatto e delle ragioni del mio riserbo.

Ho indicato all'E.V. nel mio rapporto del 6 aprile le conversazioni che io avea avute col sig. Delcassé nel duplice scopo di conoscere gli elementi di fatto che cagionarono l'incidente e di rendermi conto delle disposizioni di questo Governo di fronte alla inattesa difficoltà.

Dopo di aver saputo, il giorno 5 aprile, che il mio collega di Germania ed il ministro degli affari esteri si erano incontrati senza avere fra di loro uno scambio di idee sovra la situazione prodottasi, manifestai al sig. Delcassé la mia sorpresa a tale riguardo facendogli qualche moderata osservazione circa la maggiore gravità che l'incidente acquisterebbe se le due potenze interessate assumevano reciprocamente un simile contegno. Lo stesso pensiero svolsi molto sobriamente in una visita privata che feci lo stesso giorno nel tardo pomeriggio al principe Radolin al quale non nascosi il dispiacere di vedere così compromesso in pochi giorni l'edificio delicato delle migliori e permanentemente normali relazioni ch'egli avea molto contribuito a creare fra il suo paese e la Francia.

Incontrai casualmente il sig. Delcassé qualche giorno dopo e gli domandai se un colloquio fosse incominciato fra Parigi e Berlino e ne ebbi risposta negativa.

La sera dell'8 aprile il presidente del Senato dava un pranzo di un centinaio d'invitati al quale assistevano gli ambasciatori, il ministro degli affari esteri e le più marcate personalità del Senato. Il principe di Radolin deve essersi accorto della freddezza dell'ambiente che si faceva intorno a lui. Le gazzette avevano annunciato il silenzio reciproco dell'ambasciatore germanico e del ministro degli affari esteri. La maggior parte dei presenti ne erano sfavorevolmente impressionati. In quell'ambiente non poteva essere il caso per me di ricercare una appartata conversazione con il principe di Radolin; ma quando stavamo entrambi nell'atrio del palazzo per aspettare le nostre carrozze e partire, domandai a voce bassa al collega se vi fosse stato fra lui ed il sig. Delcassé un colloquio. Egli mi rispose con voce piuttosto concitata eh 'egli non avea niente da dirgli ed io in brevissime parole gli replicai che pure le cose non potevano durare così.

Non ebbi altre occasioni di incontrarmi né col collega tedesco, né con il sig. Delcassé e tali occasioni non ho ricercate perché mi parve non convenisse dare credito alla voce corsa che, per intromissione amichevole dell'Italia, si sarebbe iniziata la conversazione fra Berlino e Parigi. Se ciò avesse dovuto aver luogo, io avrei avuto dalla E.V. le occorrenti istruzioni e se, nell'intimità di brevi colloqui, mi era lecito chiedere tanto al sig. Delcassé, quanto al principe Radolin se tale conversazione, certamente desiderabile, fosse incominciata, io avrei potuto difficilmente andare al di là di una ricerca d'informazione senza uscire dal limite che mi parve opportuno assegnarmi in una situazione tanto spinosa3 .

47 1 Vedi D. 14.

48 2 Vedi D. 18.

49

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, CAETANI

T. 6061• Roma, 24 aprile 1905, ore 18.

Ricevo telegramma n. 822•

Circa questione ferrovia sappiamo solo da Londra che Governo britannico ritiene con noi non potere atti concessione ferrovia essere compresi in accordo segreto. Ciò però non risolve questione che rimane tal quale come interessante statu qua Etiopia, essendo inconciliabile riconoscimento controllo Francia in ferrovia Addis Abeba, con riconoscimento integrità territoriale Etiopia. Fino ad avere spiegazioni chieste Londra non possiamo ritenere esatta affermazione Lagarde. Sappiamo che pochi giorni fa fu telegrafato a Menelik da Chefneux e da Hugues Le Roux su questo argomento.

2 Vedi D. 50.

48 3 Per la risposta vedi D. 69.

49 1 Trasmesso via Asmara.

50

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 607. Roma, 24 aprile 1905, ore 19,30.

Caetani telegrafa da Addis Abeba 20 corrente 1:

«Ministro di Francia ha dichiarato ieri [il 19] al Negus che il Governo inglese ha rinunziato ad opporsi al controllo esclusivo della Francia sulla ferrovia sino ad Addis Abeba. Ministro Inghilterra mi dice che egli non ha ricevuto istruzioni in tal senso, ma che circa un mese fa ebbe istruzione d'informare Menelik che Governo francese si opponeva internazionalizzazione della ferrovia, e che un accordo, il quale accordasse alla Francia il controllo esclusivo della ferrovia a patto che fosse riconosciuta l'integrità territoriale dell'Etiopia, sarebbe preferibile alla mancanza di un accordo qualsiasi. Per il caso, quindi, che veramente Governo inglese abbia rinunziato opporsi alla pretesa del Governo francese, prego V.E. di farmi conoscere se siano mantenute le istruzioni contenute nel suo telegramma 527 dell5 aprile2».

Credo che affermazione ministro di Francia in Etiopia non sia esatta, poiché, in una questione in cui il nostro atteggiamento in Addis Abeba conforme a quello Inghilterra fu assunto per invito di quest'ultima, saremmo stati informati da Gabinetto Londra dei mutati propositi, anche in ossequio alle intese corse di procedere di accordo in Etiopia in questa come nelle altre questioni. Riconoscimento integrità territoriale Etiopia e riconoscimento contratto esclusivo della Francia nella ferrovia fino ad Addis Abeba sono termini inconciliabili e che non possono avere che un significato formale, dando poi nella pratica luogo a situazione contraria comuni interessi italiani ed inglesi.

Ancorché Governo francese rinunci a comprendere nell'accordo segreto gli atti relativi concessione ferroviaria, rimane però sempre questione per se stessa interessante integrità Etiopia ed equilibrio interessi italo-inglesi che si vuole salvaguardare con accordo segreto.

Mentre prego pertanto V.E. chiedere spiegazioni amichevoli a lord Lansdowne, confermo precedenti istruzioni a Caetani nella fiducia che Harrington non sia lasciato senza istruzioni in questo momento in cui il sig. Lagarde afferma recisamente cosa ignorata dallo stesso rappresentante inglese. Da discorsi fattimi da ambasciatore Barrère ho ragione di ritenere che la Francia aderirà all'accordo segreto anglo-italiano, solo quando comprenderà che senza di ciò la questione della ferrovia non può essere risoluta.

50 1 T. 771/82, trasmesso via Asmara il 22 aprile. 2 Vedi D. 37, nota 3.

51

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, NEGRI

T. RISERVATO 617 1 . Roma, 25 aprile 1905, ore 17,15.

In una riunione che qui tenemmo ieri, i tre ambasciatori, ed io, abbiamo concordemente stabilito i seguenti punti: l) che le potenze respingano, mediante proclami dei loro consoli, ogni idea di annessione pur dichiarando che, cessata la rivolta, saranno da essi esaminate le riforme reclamate dalla popolazione o stimate necessarie dalle potenze stesse; 2) che i consoli tengano riunioni periodiche, sia per prendere d'accordo col Principe le misure atte a ristabilire l'ordine, sia per formulare tra i consoli proposte collettive da sottoporsi ai rispettivi Governi e per tener! i informati sullo stato della insurrezione. Intanto i consoli dovrebbero in una prima riunione, a cui interverrebbero i comandanti dei contingenti, far conoscere ai Governi con quali mezzi l'insurrezione può essere repressa; 3) che il ristabilimento dell'ordine debba essere presentemente assicurato coi mezzi di cui le potenze dispongono in Creta, ma occorre l'invio di navi in numero sufficiente per impedire il commercio di armi e munizioni e per coadiuvare eventualmente i contingenti nel loro compito. Prego ora la S.V. di tenersi in comunicazione coi tre colleghi, autorizzandola a dar seguito alle deliberazioni qui sopra riprodotte non appena i colleghi avranno ricevuto analoga autorizzazione.

52

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 801/55. Pera, 25 aprile 1905, ore 18,40.

Ieri Sultano inviò da me personaggio suo fido. Mi disse Sovrano alquanto preoccupato improvvisa notizia incontro di V.E. con Goluchowski; desiderava io le facessi subito sapere che egli oggi più che mai confida su sentimenti affezione, amicizia sempre dimostratigli da Sua Maestà il Re fino dall'avvento al trono, e spera che Governo italiano persevererà attuale politica amichevole Turchia. Per tranquillizzare subito Sultano, incaricai personaggio significargli, in mio nome, sentimenti del Re immutati, come immutata politica Governo; ricordai pure recente dichiarazione fatta

a nome di V.E. circa accordo italo-austriaco tendente unicamente mantenimento statu qua. Malgrado tali mie dichiarazioni, personaggio ha insistito perché telegrafassi. Causa attuale accentuata nervosità Sultano, debbo pregare V.E. inviarmi, al più presto, novello messaggio rassicurante, tanto più indicato ora, in quanto converrà attenuare spiacevole impressione, dissipare sospettose diffidenze che rifiuto inviare ufficiali carabinieri produrrà sull'animo del Sultano 1 .

51 1 Analoghe istruzioni furono inviate, in pari data, con T. 618 alle ambasciate a Berlino, Costantinopoli, Londra, Pietroburgo, Vienna e alla legazione ad Atene.

53

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. RISERVATO 21259. Roma, 25 aprile 1905.

Ho letto con speciale interesse il pregevole rapporto di V.E. in data 9 aprile,

n. 202/86 1 , relativo alla questione balcanica.

Mentre la ringrazio pei ragguagli confidenziali fornitimi, le significo, ad ogni buon fine, che, con telegramma del 15 corrente, n. 472 , il r. ambasciatore in Costantinopoli mi ha informato, in via confidenziale, che il suo collega di Russia ha proposto al proprio Governo di accettare, senz'altro, il progetto finanziario turco, già in via d'applicazione, aggiungendovi, però, l'articolo seguente: «... ad assicurare l'esecuzione del regolamento, le quattro potenze nomineranno ciascuna un delegato, incaricato d'assicurare l'andamento dei servizi finanziari, di concerto cogli agenti civili, nominati dai Governi austro-ungarico e russo».

Secondo mi riferisce il marchese Imperiali, questo articolo, redatto dall'ambasciatore di Francia, previo uno scambio d'idee col collega britannico, è stato accettato anche dall'ambasciatore d'Austria-Ungheria, che lo ha sottoposto all'approvazione del proprio Governo.

Nel compiacermi del fatto risultante da tali notizie, che il principio, sempre da noi propugnato, della competenza dell'intero concerto europeo nel regolamento delle questioni balcaniche, va ormai affermandosi, ...

52 1 Per la risposta vedi D. 56. 53 1 Vedi D. 23. 2 T. riservato 713/47. Il contenuto è qui riassunto.

54

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 21260/77. Roma, 25 aprile 1905.

Segno ricevuta e ringrazio l'E.V. dei rapporti in data del 3 e 8 di questo mese, nn. 79 e 841, relativi alle previsioni che, nelle presenti circostanze, possano farsi circa la disposizione della Russia e del Giappone a concludere la pace.

A tale proposito, nella fine del suo rapporto n. 79, ella accenna alla probabile necessità dell'intervento di una o più potenze neutrali, pur aggiungendo che anche da tale lato la questione si presenta di non facile soluzione.

Credo opportuno di ricordarle a tale proposito che un notevole movimento si è manifestato in Italia a favore di una mediazione nostra nell'attuale conflitto fra i due Stati. Fu a tale uopo redatta una petizione coperta da numerosissime firme, e furono presentate interrogazioni alla Camera dei deputati.

A tali interrogazioni ho dovuto rispondere che un Governo non può assumere iniziative di tal genere, quando sa preventivamente che esse non avrebbero probabilità d'essere accolte.

È per questa ragione che io credo opportuno che il R. Governo si astenga da qualunque apertura, la quale, secondo ogni probabilità, sarebbe sgradita alla Russia, e verrebbe da essa interpretata come atto non del tutto amichevole.

Che se, contrariamente a questa fondata supposizione, si presentasse ali 'E.V. qualche ragione o anche qualche indizio che potesse autorizzare a supposizioni diverse, è superfluo che io le dica come l 'Italia sarebbe lieta di poter interporre, se desiderata e gradita, la propria opera di mediazione e di pace. Ond'è che, se qualche indizio di tale natura le si presentasse, ella vorrà tosto rendermene informato2 •

54 1 RR. 190/79 e 198/84, rispettivamente del 3 e de li '8 aprile, non pubblicati. 2 Per la risposta vedi D. 84.

55

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. SEGRETO 628. Roma, 27 aprile 1905, ore 24.

Faccio seguito mio telegramma 24 aprile corrente 1 .

Caetani telegrafa in data Addis Abeba 22 corrente2: «Essendomi oggi recato dal Negus per comunicazione cui si riferisce mio telegramma 823 , egli mi accennò questione ferrovia insistendo sul fatto che il permesso da lui accordato nel!' agosto 1904 di proseguire la ferrovia era subordinato alla conclusione di un accordo fra le tre potenze interessate. Negus è assolutamente contrario all'esclusivo controllo francese sulla ferrovia e deciso ad impedirla per quanto gli sia possibile. Risposi che attendevo istruzioni complementari e che non potevo quindi ancora manifestare pensiero del

R. Governo in proposito».

È necessario che Menelik abbia l'appoggio Italia Inghilterra nell'atteggiamento giustamente assunto di opporsi in ogni modo esclusivo controllo francese ferrovia.

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 6361• Roma, 28 aprile 1905, ore 18.

Voglia rassicurare nel modo più esplicito il Sultano sul mio incontro Goluchowski e sulla lealtà assoluta della politica nostra nella penisola balcanica diretta mantenimento statu qua. Voglia confermargli altresì che Nostro Sovrano ricambia nel modo più vivo i suoi sentimenti di amicizia sincera2•

55 1 Vedi D. 50. 2 T. 783/84 trasmesso via Asmara il 22 aprile. 3 Vedi D. 50, nota l.

56 1 Risponde al D. 52. 2 Per il seguito vedi D. 73.

57

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 835/42. Londra, 28 aprile 1905, ore 23,45.

Ho ricevuto i telegrammi di V.E. nn. 607 e 628 1• In assenza del marchese Lansdowne, ho avuto alcune conversazioni con Gorst dalle quali risulta sostanzialmente quanto segue:

l) Date le attuali relazioni colla Francia, Governo britannico non crede si possa utilmente persistere a contrastare concessione ferrovia, circa la quale Delcassé [travasi] formalmente impegnato in Parlamento, se non sollevando un conflitto che qui si vuole assolutamente evitare per ragioni politiche di ordine superiore.

2) Bensì vi è luogo ad insistere affinché sia stabilito il carattere commerciale della ferrovia. Lansdowne pensa di domandare ammissione di un rappresentante italiano ed uno inglese nel consiglio di amministrazione, ma è pronto a prendere in considerazione qualsiasi altro suggerimento medesimo scopo che venisse proposto da V.E.

3) In seguito nostre ultime conversazioni, Lansdowne ha accettato di raccomandare che si proceda, anzitutto, all'accordo a tre in materia politica, sopprimendo tutte le clausole relative alla ferrovia, della quale si tratterebbe separatamcnte.

4) Marchese Lansdowne insiste, però, vivamente affinché si sopprima nel detto accordo politico qualsiasi clausola segreta, di modo che esso possa venire notificato integralmente a Menelik.

Trasmetto all'E.V. il testo cogli emendamenti in tale senso che fu comunicato ieri all'ambasciata di Francia2•

58

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 343/95. Il Cairo, 28 aprile 1905 (perv. il 3 maggio).

Col mio rapporto n. 329/891 avevo avuto l'onore di inviare a cotesto R. Ministero una copia della relazione annuale di lord Cromer, quando ieri egli venne a vedermi e si intrattenne lungamente meco a proposito di quella parte del suo rapporto che riguarda le capitolazioni e sulla quale mi ero già permesso di attirare l'attenzione dell'E.V.

2 Non pubblicato. 58 1 Del 24 aprile, non pubblicato.

Lo scopo della visita era evidentemente quello di attenuare l'impressione che quella pubblicazione doveva aver prodotto. Lord Cromer infatti cominciò dal dirmi esser sicuro che io avevo perfettamente capito esser stato suo intendimento di preparare l'opinione pubblica a vedere discutere e modificare l'istituzione secolare delle capitolazioni che ormai non hanno più ragione di esistere quali sono, perché riescono spesso di impaccio a coloro stessi che dovrebbero proteggere. Escluse quindi l'intenzione di voler procedere immediatamente alle riforme accennate nel suo rapporto e si diffuse poi in considerazioni che già avevo letto in un articolo, evidentemente ispirato, del Progrès che ho l'onore di accludere.

Osservai a lord Cromer come anche tutti coloro che convenivano con lui sulla opportunità di modificare poco o molto il regime delle capitolazioni sarebbero assai impressionati della precisa sua affermazione che non si sarebbe chiesta alle potenze di continuare a conferire ai tribunali misti altre prerogative fra quelle finora riserbate ai tribunali consolari, ma che invece si sarebbe domandato loro di delegare all 'Inghilterra l'esercizio di quelle funzioni che costituiscono le attuali garanzie degli stranieri. A ciò il rappresentante britannico mi osservò che egli si trova fra due tendenze opposte: se da un lato vi sono gli stranieri tenaci nella conservazione dei loro privilegi, dall'altra vi sono gli indigeni che sarebbero lieti di poter vedere uno straniero condannato ed appiccato da indigeni e «questo» soggiunse il mio interlocutore «non si vedrà mai finché io resto in Egitto. Lo straniero deve esser giudicato da stranieri». Aggiunse poi con molta franchezza che, dovendo riunire nelle mani di un solo le funzioni che ora spettano ad ognuna delle quattordici potenze, non poteva pensare ai tribunali misti perché «queste istituzioni internazionali costituiscono un mezzo d'ingerenza politica dei vari Governi nelle faccende d'Egitto, ingerenza che ormai non aveva più ragione d'essere e che egli non vuole».

Lord Cromer concluse poi assicurandomi che, quando avrà finito di studiare e di redigere i suoi progetti (il che non avverrebbe certamente prima delle vacanze estive) e me li comunicherà, io stesso, «che da molti anni lo conosco e so come cerchi sempre di ispirarsi alla più grande moderazione, sarò meravigliato della cura che avrà avuto di salvaguardare gli interessi ed i privilegi degli stranieri; tanto ch'egli è convinto aver con sé tutti i buoni elementi delle colonie estere e solo troverà ostili quelle minoranze di facinorosi e di delinquenti che a volte trovano nei loro paesi una più o meno completa impunità e delle cui simpatie egli preferisce far a meno».

Dopo quest'ultima osservazione non mancò di accennare ad alcune assoluzioni di assassini italiani che si ebbero a deplorare in questi ultimi anni, delle quali egli già mi aveva parlato ed io ho riferito a suo tempo. Senza negare l'importanza della nostra colonia in Egitto ed il contributo che essa porta alla ricchezza del paese, lord Cromer alluse a quella parte che purtroppo esiste, e che fornisce un largo contributo alla delinquenza; questa, secondo lui, avrebbe bisogno di una sorveglianza e di una repressione più efficace.

Che queste riforme saranno discusse in un avvenire più o meno prossimo (nell'anno venturo probabilmente) non vi ha dubbio e credo non errare aggiungendo che lord Cromer, con la tenacia e l'abilità delle quali ha sempre dato prova, vedrà anche in ciò coronata di successo l'opera sua.

L'accordo anglo-francese gli ha assicurato l'appoggio della Francia, ragioni di politica generale gli garantiscono l 'indifferenza della Russia e l'adesione

dell'Italia e d eli'Austria. La sola potenza colla quale dovrà contare [si c] sarà la Germania, la quale però finirà probabilmente ad acconsentire, dopo aver ottenuto qualche vantaggio in compenso de!l'atteggiamento meno arrendevole che forse sembrerà a tutta prima assumere.

Malgrado ciò potrebbe essere il caso di esaminare fin d'ora se, pure escludendo una opposizione che non credo sia nelle intenzioni del R. Governo, non si potrebbe ottenere qualcosa in cambio della arrendevolezza nostra.

Dato che il R. Governo volesse entrare in quest'ordine d'idee e studiare fin d'ora la questione sotto questo punto di vista, credo sarebbe da escludere che questi eventuali compensi si possano ottenere in Egitto.

In questo paese ormai è inutile cercare altro all'infuori di un avvenire puramente commerciale. La sua vicinanza all'Italia, l'importanza delle nostre colonie e l'aumento continuo delle importazioni italiane danno ragione di credere che si potrebbero ottenere risultati commerciali notevoli, ed a ciò, credo, bisognerebbe dedicare esclusivamente, per quanto concerne l 'Egitto, l 'attenzione del R. Governo e le iniziative individuali, rinunciando ad aspirazioni di esercitare qui una influenza, nonché politica, nemmeno nelle amministrazioni locali, nelle quali ormai gli elementi inglesi hanno escluso ed ogni giorno più escludono ogni ingerenza straniera.

57 1 Vedi DD. 50 e 55.

59

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 155. Londra, 29 aprile 1905 1•

Ho l'onore di confermare a V. E. il mio telegramma di ierF col quale le rendevo conto della situazione qui esistente per rispetto ai nostri progetti di convenzione relativi all'Abissinia, in connessione con la questione della ferrovia di Gibuti-Addis-Abeba.

Nell'assenza del marchese di Lansdowne, ho avuto in proposito alcune conversazioni con sir Eldon Gorst, il quale è in regolare comunicazione col suo ministro e quanto ho esposto nel telegramma sovracitato rappresenta in sostanza le disposizioni finali di questo Governo nella presente fase di quelle trattative.

È evidente che per effetto di eventi esteriori abbastanza noti codeste disposizioni hanno subìto una sensibile modificazione da quando, nel novembre-dicembre 1903, si discussero coi delegati inglesi in Roma i preliminari del nostro accordo3 . Se questo si fosse potuto stringere subito dopo fra i due Governi l'accessione posteriore della Francia si sarebbe rappresentata in condizioni diverse. Ma quando, alla fine del marzo 1904, quelle proposte e preliminari mi vennero comunicate coll'istruzione di trattarne col

2 Vedi D. 57.

3 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

marchese di Lansdowne4 , era già praticamente concluso l'accordo generale tra la Francia e l 'Inghilterra, che risultò infatti sottoscritto pochi giorni dopo: e lord Lansdowne sino dal principio ci dichiarò che, nelle mutate circostanze, non poteva tra noi trattarsi che di stabilire un progetto provvisorio, destinato a venire poscia comunicato al Governo francese, introducendovi le modificazioni necessarie per attenergli la sua adesione. Non mi occorre ricordare come l'effetto di codeste nuove disposizioni si sia fatto sentire in tutto il corso dei nostri successivi negoziati col Foreign Office. Ne faccio qui cenno soltanto per constatare che certe difficoltà quali ora si presentano al momento di ottenere quella adesione, sono difficoltà fino da quel tempo prevedibili e prevedute.

In quanto concerne la ferrovia di Gibuti, sir Eldon Gorst mi disse non essere esatto che Governo britannico abbia rinunciato ad opporsi al controllo esclusivo della Francia sul prolungamento di quella linea fino ad Addis-Abeba. Egli però ammise essere stato il colonnello Harrington informato che, allo stato delle cose, una vera internazionalizzazione di quella ferrovia era impraticabile (non essendo, fra altro, il Governo britannico disposto ad assumerne le relative responsabilità finanziarie), e che la Francia non potendo distogliersi dalla sua insistenza per attenerne la concessione, ciò che rimaneva a fare era tutelare con qualche opportuno accordo l'integrità dell'Abissinia, conciliandosi le condizioni della concessione stessa. Al punto cui si è giunti, mi espose sir Eldon, dato il sussidio francese stanziato a favore della Compagnia, e dopo soprattutto le formali dichiarazioni fatte in Parlamento da M. Delcassé per giustificare l'azione del suo Ministero, una sua completa desistenza non potrebbe ottenersi se non al prezzo di un conflitto al quale il Governo britannico non è preparato. Avendogli io ricordato certe clausole della nota Convenzione ferroviaria del 1902, a parer nostro inconciliabili con l'integrità dell'Etiopia e sulle quali lord Lansdowne stesso aveva a suo tempo chiamato la nostra attenzione, il mio interlocutore obbiettò che quella Convenzione, passata fra il Governo di Gibuti e la Compagnia, era un atto che si doveva da noi ignorare. Il marchese di Lansdowne, egli disse, in seguito alle conversazioni avute da ultimo con me, era venuto nell'idea che si dovesse cercare di ottenere anzitutto l'adesione della Francia al nostro accordo politico, eliminando in esso tutte le riferenze alla ferrovia introdotte dal Gabinetto di Parigi nel suo contro-progetto; e la questione della ferrovia verrebbe quindi trattata separatamente. Si negozierebbe allora col Governo francese per regolare la concessione ferroviaria in una forma che, pur dando soddisfazione al minimum delle sue esigenze, conferisse all'impresa un carattere commerciale e ciò anche con una qualche guarentigia a base internazionale. Circa quest'ultimo punto, il marchese Lansdowne aveva pensato di proporre che al Consiglio di amministrazione della Compagnia fossero aggiunti due membri, l'uno dei quali inglese e l'altro italiano. Questa era una idea da lui messa innanzi, ritenendo che il Governo italiano vi trovasse l'elemento di una equa soluzione: lord Lansdowne era però pronto ad accogliere qualsiasi altro suggerimento che V.E. credesse di proporre ed anzi sarebbe lieto se ella volesse entrare a tale effetto in qualche diretto scambio di idee col Governo francese.

A maggior chiarimento delle cose espostemi, sir Eldon Gorst mi diede comunicazione degli emendamenti che lord Lansdowne intenderebbe introdurre nel contro

progetto francese, emendamenti che, a titolo preliminare e per conto suo, erano stati pure comunicati la vigilia all'incaricato d'affari di Francia. Qui unito rimetto a V.E. codesto documento5 .

Nel percorrerlo in mia presenza, sir Eldon mi ripete una avvertenza che già mi era stata fatta da lord Lansdowne nell'ultimo nostro colloquio di alcuni giorni or sono: e cioè che, riferendo sul contenuto di questo atto, Sua Signoria intendeva modificarlo per modo da eliminare ogni clausola segreta ed allo scopo di poterlo notificare integralmente all'imperatore Menelik. [n quel colloquio, lord Lansdowne mi aveva detto, infatti, che le clausole segrete gli ispiravano una estrema ripugnanza, che simili accordi internazionali finivano poi sempre per trapelare più o meno imperfettamente nel pubblico, che presto o tardi essi davano occasione a imbarazzanti interrogazioni in Parlamento, che le domande formali dei deputati sull'esistenza o meno di patti reconditi ponevano il ministro degli esteri nell'alternativa o di falsare la verità con denegazioni menzoniere o di schermirsi con risposte equivoche il cui risultato era di accrescere anzi che dissipare i sospetti. Alla mia osservazione che l'articolo relativo alla segretezza dell'accordo era stato da lui stesso inserito nel progetto dello scorso agosto6 , Sua Signoria replicò che ciò era vero, ma che codesta paternità non lo distoglieva ora dal ripudiarla. Nel rimettermi ieri l'unito documento, sir Eldon Gorst mi fece notare che (oltre alla soppressione dei paragrafi francesi concernenti la ferrovia) vi erano state arrecate talune modificazioni di forma, tendenti appunto, dietro istruzione di lord Lansdowne, a eliminare le allusioni ad una disintegrazione dell'Abissinia che non converrebbe porre innanzi a Menelik. Per accentuare agli occhi di Sua Maestà gli innocui propositi delle potenze contraenti, si era anche ripristinata nel preambolo una frase sul «mantenere intatta l'integrità dell'Etiopia», riproducendola da uno dei progetti italiani dell'anno scorso ove essa figurava. Con le debite riserve circa il giudizio del R. Governo, osservai a sir Eldon, a titolo di impressione mia personale, che, senza contestare i vantaggi di un accordo aperto ed ostensibile, mi sembrava dubbio che nel caso attuale si potesse assolutamente dispensarsi da una qualche clausola segreta. Anche con le proposte soppressioni, dissi, rimaneva, nella Convenzione così ridotta, più del necessario perché essa potesse piacere a Menelik. Né sapevamo poi se la Francia si accontenterebbe della indicazione dei propri interessi così vagamente accennata come risulterebbe nel nuovo paragrafo (c). E già che, infine, era inutile il dissimularsi che si trattava realmente nella fattispecie di sfere d'influenza connesse alla previsione di una eventuale disintegrazione dcii' Abissina, vi era convenienza, a parer mio, a determinare il più chiaramente possibile i limiti, se si voleva che questi accordi servissero al loro scopo, di prevenire cioè ogni malinteso pel giorno in cui quell'eventualità si verificasse. Ma dalle risposte di sir Eldon Gorst, il quale mi ripeteva gli argomenti da me già uditi da lord Lansdowne, compresi che Sua Signoria doveva avergli dato in proposito istruzioni positive. Se, come non ne sarei sorpreso, queste fossero state deliberate in Consiglio dei ministri, sarà assai difficile il farne recedere il Gabinetto britannico. Nel contro-progetto concordato rimessomi da sir Eldon Gorst tosto rilevai che vi era conservata la dicitura proposta dalla

"Vedi serie terza, vol. VIII, D. 547.

Francia nel paragrafo (b) art. 4, concernente gli interessi italiani in Etiopia; e gli ricordai che contro codesta modificazione del nostro testo io già avevo avuto ad obiettare. A ciò rispose sir Eldon che, dietro informazioni comunicate da Parigi, aveva avuto luogo circa quel paragrafo uno scambio diretto di idee tra V.E. e M. Barrère col quale ella sarebbe venuto ad un accordo di massima. Non insistetti quindi altrimenti su questo punto, !imitandomi a concludere che avrei tosto sottomesso a

V.E. il nuovo progetto qui unito. Io non so se e sino a qual punto il Governo francese si associerà alla proposta di ridurre la Convenzione in termini totalmente ostensibili a Menelik. Ma se questa idea prevalesse, ne seguirebbe perciò solo la necessità di attenuare quei termini in forma assai generica laddove essi riguardano le aspirazioni territoriali di cui si tratta. In ogni caso mi sembra che, sia su questo punto come su quello concernente la ferrovia, risulti da tutto quanto precede la convenienza per noi di cercare una equa transazione con la Francia; giacché non occorre insistere sulle circostanze politiche e generali che

nel momento attuale renderebbero più che mai difficile al Gabinetto britannico l'entrare in grave dissidio con quella potenza a proposito di una simile questione.

59 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

59 4 lvi, D. 298.

59 5 Non pubblicato.

60

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Belgrado, 30 aprile 1905.

Facendo seguito alla lettera che ti diressi a Venezia il 25 corr. 1 , ti scrivo ora quello che avrei voluto dirti prima del tuo colloquio col conte Goluchowski.

Quando io fui destinato a Belgrado, le istruzioni che ricevetti da un augusto personaggio e dal ministro degli affari esteri furono le seguenti, e cioè: coltivare i buoni rapporti colla Scrbia, favorire lo sviluppo del suo benessere economico, cercare di consolidare l'attuale regime, mantenendolo sulla via della legalità e delle franchigie costituzionali, appoggiare una politica estera di indipendenza balcanica, mediante l'accordo colla Bulgaria e il Montenegro, reso efficace da saldi provvedimenti militari; consigliare il mantenimento dello status qua, per evitare pretesti ad interventi stranieri e pericolo alla pace d'Europa.

Completamente opposte alle mie, sono le istruzioni che questo ministro austroungarico sembra aver ricevute dal suo Governo, e cioè: trattare la Serbia come Stato vassallo, alimentarne le discordie intestine, intralciare lo sviluppo dei suoi commerci e delle sue industrie facendo bene intendere che essa deve interamente dipendere dagli interessi commerciali ed industriali austro-ungarici, spingere la Corona sulla

via dei colpi di stato per liberarsi dali' attuale Ministero radicale che l'Austria osteggia, perché favorevole ad una politica balcanica, e quindi agli armamenti ed alla alleanza bulgara. A questa alleanza il Gabinetto di Vienna si oppone apertamente,

unguibus et rostro.

Noi, diceva qualche tempo fa, senza perifrasi, il rappresentante della finitima Monarchia, non tollereremo mai che la Serbia stringa legami politici colla Bulgaria. È soltanto da noi che la Serbia può sperare qualche vantaggio politico, cioè una estensione di confini dal lato della Macedonia. A chi poi osservava come l'influenza austriaca potesse maggiormente giovarsi di un atteggiamento benevolo che di mali modi, si rispondeva, a nulla giovare le blandizie, perché ad ogni fanciullo serbo si inculca fin dai primi anni l'odio contro l'Austria, la gran nemica ereditaria della patria serba. Non vi è quindi speranza di farsi amare, bisogna cercare di farsi temere, concludeva.

Così stando le cose, è agevole intendere come qui l'antinomia fra la politica italiana e l'austriaca, malgrado i buoni rapporti personali, le parole amabili e le cortesie reciproche, sia sostanzialmente irriducibile. La mia prudenza, la mia riserva non possono bastare a togliere di mezzo i sospetti a cui dette luogo fino dai primi giorni la mia nomina a questo posto. A me risulta in modo certo che la mia scelta quale ministro a Belgrado, fu oggetto di commenti da parte della diplomazia austriaca, perché a Vienna, come del resto a Roma ed a Belgrado, non vi fu chi credesse che un uomo politico della mia età, il quale aveva occupate delle posizioni importanti nel suo paese e vi godeva di molta notorietà, si sarebbe rassegnato a venire in Serbia soltanto pel piacere di tener calda la poltrona lasciata vuota dal Magliano. Si disse dunque che dovevo avere una speciale missione e questo si dice ancora e da tutti si crede.

È questo uno dei punti molto delicati sui quali mi premeva attirare tutta la tua attenzione, giacché quando una situazione è anormale e racchiude in se stessa dei termini contraddittori, tutta la maggiore abilità e buona volontà non bastano talvolta ad eliminare i pericoli. Il pericolo sta in ciò, che Italia ed Austria sono alleate, ma che viceversa poi i loro interessi in questa regione sono completamente opposti e che ambedue le parti lo sanno benissimo, ed agiscono in conseguenza.

Un altro punto delicato ed oscuro, è la incertezza sulla linea politica che re Pietro finirà per seguire. Sarà quella del partito radicale, favorevole alle alleanze balcaniche, o quella del padre suo, favorevole all'Austria? È egli interamente libero delle proprie azioni, oppure vincolato da promesse, stretto da pressioni, tormentato da timori? Il dubbio è lecito e molte supposizioni possibili e tutte rafforzate da validi argomenti.

E per ultimo. Qual grado di stabilità ha il presente regime? Quanto potrà durare? Cosa verrà dopo? Un mutamento potrebbe essere di natura tale da diventare la favilla che accenda una gran fiamma, non solo in Serbia, ma anche oltre le sue frontiere.

Non pochi dunque sono i pericoli e non lievi le difficoltà. È mio dovere sottoporre i primi e le seconde al tuo esame, perché parti importanti di quel complesso di questioni e di interessi che costituiscono la politica orientale del nostro paese.

60 1 Non pubblicata.

61

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. 22612/279. Roma, 3 maggio 1905.

La notizia, pubblicata da un periodico settimanale (il Giornale dei Lavori Pubblici) e riprodotta poi da tutti i giornali, relativa ad una pretesa concessione di costruzione e di esercizio del porto di Tripoli ad una Compagnia francese, ha determinato, non solo nei circoli politici, ma in tutta l'opinione pubblica italiana un'agitazione vivissima, un vero e grave fermento, che si acquietò soltanto allorquando il Governo, in base al telegramma dell'E.V.l, fu in condizione di pubblicare, per mezzo dell'Agenzia Stefani, un comunicato ufficiale che smentiva quella notizia negli stessi termini precisi adoperati con lei dal Gran Vizir.

Di tutte le considerazioni alle quali potrebbe dar luogo l'incidente, credo opportuno di rilevare qui quella soltanto che è relativa alla indicazione dello stato dello spirito pubblico per ciò che si riferisce a Tripoli e agli interessi politici, materiali e morali, dell'Italia su quella regione.

Io desidero anzi che su questo punto l'E.V. richiami tutta l'attenzione della Sublime Porta, e, nel modo che le parrà più adatto, anche quella del Sultano.

L'attuale incidente ha dimostrato nella maniera più efficace che la nazione italiana non è disposta a tollerare che nella Tripolitania o nella Cirenaica si affermino ulteriormente, in qualunque forma, diretta od indiretta, speciali influenze straniere.

Occorre che di ciò la Turchia si renda ben conto, e che essa sappia che qualunque concessione, privilegio o speciali favori che essa concedesse, in quelle regioni, a Stati o a cittadini stranieri, determinerebbe in Italia un tale movimento d'opinione pubblica, che trascinerebbe irresistibilmente il Governo ad atti dei quali la Turchia dovrebbe poi amaramente dolersi.

È necessario che questo salutare timore (che sarà del resto pienamente giustificato) entri nell'animo del Sultano e del suo Governo. Noi troveremo in esso la più sicura garanzia contro sorprese, delle quali non può in modo assoluto escludersi la probabilità.

E questa garanzia riuscirà tanto più efficace quando ella saprà ben far comprendere al Sultano che è nostro costante e fermo intendimento di mantenere e rispettare lo status qua e che noi chiediamo quindi in certo modo la cooperazione di lui per evitare che si crei una situazione la quale potrebbe costringerci, contro ogni nostra volontà, a modificare la nostra attitudine.

Per ciò che si riferisce al caso presente, le dichiarazioni fatte all'E.V. dal Gran Vizir furono così esplicite e categoriche da rassicurarmi completamente. Né, per ogni ragione, ho creduto di poter dare alcuna importanza al fatto che nel telegramma dell'E.V. si parlava di concessioni riguardanti l'esercizio del porto di Tripoli, e non la sua costruzione.

D'altronde ho troppa fiducia nell'opera vigilante di lei per essere sicuro che una pratica di tale importanza non si sarebbe potuta svolgere senza che ella ne avesse qualche notizia.

Ad ogni modo, e pur non dubitando minimamente della sincerità delle dichiarazioni della Sublime Porta, le sarò grato se ella vorrà indagare se veramente nulla sia avvenuto costì, che possa anche indirettamente aver dato origine alla falsa notizia2 .

61 1 T. 859/67 del l o maggio, non pubblicato.

62

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 3101103. Pietroburgo, 3 maggio 1905 (perv. l'Il).

Il colpo di scena dell'imperatore Guglielmo nella questione marocchina è !ungi dall'aver qui prodotto l'impressione che era lecito attendersi. Non è sfuggita di certo all'intuizione di questi governanti come l'inattesa alzata di scudi contro la Francia fosse in fondo una diretta conseguenza della sconfitta di Mukden e costituisce un attestato assai umiliante per l'Impero russo il constatare sino a qual punto le dure sconfitte toccategli in Manciuria abbiano agli occhi del mondo rimpicciolito il suo prestigio politico e per conseguenza il valore della sua alleanza. Cionondimeno, nulla accenna nell'attitudine di queste sfere dirigenti che sia stata qui malamente risentita l'azione della Germania. Il linguaggio degli organi aventi attinenza col Governo appare sempre, ora come dianzi, inspirarsi ai più caldi sentimenti di stima e di simpatia verso l'Impero vicino, mentre, ancora pochi giorni fa, quella stessa stampa, dopo il fallito tentativo di imprestito e, più recentemente ancora, in occasione dell'incidente sollevato dalla permanenza della squadra russa nella baia di Kamrank, si lasciava andare all'indirizzo della sua alleata francese ad acerbe recriminazioni e mal celate minacce. Ciò si spiega anzitutto col fatto che prevalgono attualmente a Pietroburgo tendenze marcate a riavvicinarsi a Berlino ed a Vienna, in vista anzitutto della grave situazione politica interna. Davanti l'invadente agitazione che da ogni parte lo insidia, il presente regime ravvisa, nei due Imperi centrali i soli saldi baluardi di cui dispone ancora l'Europa conservatrice, contro il continuo dilagare delle idee avanzate e più particolarmente ancora vi scorge, in eventuali possibili sommosse, i gendarmi cui affidare la guardia delle sue frontiere occidentali ovc i turbolenti elementi polacchi rappresentano forse la più grave minaccia.

Davanti a queste considerazioni di difesa interna, che, come già dissi, forse qui più ancora preoccupano della stessa guerra contro il Giappone, l'autocrazia russa si vede spinta ad attribuire alla continuazione ed al rinsaldamento di buone relazioni colla Germania e l'Austria-Ungheria un 'importanza di primissimo ordine, tanto da

far quasi passare in seconda linea la stessa alleanza colla Francia. Sorta quest'ultima nelle circostanze speciali del regno di Alessandro III, ove lo slavismo imperante muoveva aspra guerra al germanismo, e rinforzatasi dipoi, quando alle larghe riforme finanziarie ed economiche del sig. Witte occorreva l'aiuto dei capitali francesi, essa rappresentò in fondo unicamente, al punto di vista russo, una coalizione temporanea di interessi, ma mai una di quelle intime unioni fra nazione e nazione basate su reciproci sentimenti di simpatia e deferenza. In certe sfere, poi, aristocratiche ed influenti, l'alleanza colla Francia repubblicana, considerata come una mésalliance, la di cui influenza potrebbe esser pericolosa ali 'infiltrarsi in paese di idee avanzate, non incontrò mai che uno scarso favore. Oggidì, a tutelare il presente regime contro le rivendicazioni liberali, havvi invero da fare ben poco assegnamento sull'appoggio dell'alleata, e se questa constatazione ha indubbiamente servito qui a scemare alquanto le simpatie francesi, ha contribuito al contrario a rialzare proporzionatamente il credito delle due potenze centrali. Del resto anche in Francia sembrasi, ormai, ben )ungi dai primitivi entusiasmi. Dopo adempiuto con coscienziosa lealtà ai loro doveri di alleati, prodigando a profusione il loro denaro ed il loro appoggio, senza riceverne in contraccambio nessun proporzionato vantaggio, i francesi appaiono ormai un po' stanchi di vedersi condannati in eterno a questa parte ingrata ed infeconda, ed è quindi naturale se i loro sguardi non si dirigono più, come una volta, verso Pietroburgo.

Nelle autocrazie, l' orientazione della politica estera è spesso determinata, più che dai grandi interessi nazionali, dagli umori e dai capricci del principe. La storia russa ce ne offre continui esempi, suscettibili ancora di ripetersi. Sotto le preoccupazioni angosciose degli avvenimenti che si stanno maturando, l'animo impressionabile dello Zar deve sentirsi fatalmente attratto ne Il' orbita di quegli Stati che più impersonificano i principi e le tradizioni conservatrici di cui è geloso guardiano, né sembrerebbemi improbabile che fin da adesso contempli con compiacenza la possibilità, a breve scadenza, di una più stretta ed intima unione politica coi due Imperi centrali.

Queste considerazioni varranno pure a dimostrare quanto sarebbe vano l'illudersi di poter ottenere che la Russia separi in questo momento nelle questioni balcaniche la sua azione da quella dell'Austria-Ungheria, verso cui vanno attualmente tutte le sue preferenze e, tanto meno poi, operi un riavvicinamento col nostro paese; verso il quale non nutre invece -occorre pure riconoscerlo-se non tiepide simpatie e mal celate diffidenze. L'autocrazia russa, che non sa perdonarci di esserci fatta un po' a sue spese la nostra indipendenza ed unità, grazie cioè alla nostra cooperazione alla campagna di Crimea, non può dimenticare neppure le origini rivoluzionarie dell'Italia moderna, che, quale campione di libertà e di progresso, vide poscia quasi sempre militare in campo opposto al suo ed accanto ai suoi tradizionali avversari.

Non è, a parer mio, che una profonda e radicale trasformazione degli attuali sistemi politici in senso più liberale e moderno che potrebbe mettere questo paese ali 'unisono delle idee e dei sentimenti delle più progredite nazioni latine, rinsaldare le basi della unione con la Francia e condurre ad un riavvicinamento con noi sincero e duraturo. Che la Russia mantenga intatta la sua potenza ed il suo prestigio nel mondo è cosa, ritengo, per noi non soltanto in nessuna guisa nocevole, ma anzi vantaggioso ai nostri interessi; ma solo una Russia liberale che dia sfogo ai generosi

istinti dell'animo slavo, che ha colla nostra razza tanti punti di contatto ed analogia, potrà fare dell'alleanza colla Francia una vera e solida unione affratellatrice, suscettibile di attrarre nella sua orbita altri interessi politici affini 1•

61 2 Per la risposta vedi D. 74.

63

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

L. PERSONALE. Parigi, 3 maggio 1905.

Mi riuscì utile e gradita la comunicazione dei due documenti che qui unito le restituisco'. Non so se il Ministero nostro l'abbia informata della vera situazione esistente qui circa l'affare etiopico. Ad ogni modo eccone i punti fissi.

La compagnia costituita da Jlg e Chefneux, concessionari, è una società anonima costituita in Francia che ha ottenuto una sovvenzione dal Governo francese.

La sovvenzione fu capitalizzata dalla società mediante la cessione fattane ad istituti bancari i quali anticiparono alla società stessa un capitale che occorreva per riacquistare le azioni passate in mani inglesi e per altri bisogni urgenti. Oggi il capitale è consumato e la sovvenzione di 500 mila franchi annui va agli istituti bancari e non alla società ferroviaria.

La compagnia non può dunque né fare nuove costruzioni, né vivere; è prossima alla liquidazione necessaria.

Liquidando la compagnia, è lo Stato francese che le succede in tutte le ragioni dipendenti dall'atto di concessione 9 marzo 1894. Questa sostituzione è portata dalla convenzione fra la colonia di Gibuti e la compagnia, 6 febbraio 1902, convenzione che ha accordato alla compagnia la sovvenzione. La convenzione non ebbe l'adesione di Menelik e la sostituzione dello Stato francese alla società anonima sovvenzionata è stata finora dal sovrano etiopico non riconosciuta.

Se lo Stato francese acquista nella valle o bacino dell' Aouache fino ad Addis Abeba la concessione della ferrovia e le regioni annesse alla concessione, il possesso della effettiva sovranità su quel territorio gli è acquisito.

La Francia vanta la concessione alla compagnia francese anche del terzo tronco (Addis Abeba al N ilo). Sarebbe il tronco che percorrerebbe il territorio compreso nel displuvio occidentale dell'Etiopia (zona britannica). Il Governo francese abbandonerebbe questa terza parte della sua concessione.

La società ferroviaria fin qui esistente si adopera come meglio può per salvarsi dalla liquidazione e cerca di fondersi in una costituenda compagnia generale delle ferrovie etiopiche per la quale, pare, siano pronti capitali inglesi. La società attuale non ha nessun interesse a scomparire per far posto allo Stato francese cd è essa che

63 1 Non allegati.

ha ideato la sua trasformazione in compagnia generale concessionaria della intiera rete etiopica internazionalizzata, messa cioè sotto l'amministrazione di un consiglio composto di francesi, inglesi ed italiani senza tener conto della nazionalità presente o futura dei detentori delle azioni della società.

Neutralità e riconoscimento della indipendenza dell'Etiopia. Internazionalizzazione della ferrovia. Ecco i desiderati veri della così detta compagnia francese.

La Francia non è d'accordo con l'interesse della sua compagnia il quale interesse è pure quello di una frazione del partito coloniale francese, legata d'interessi con la compagnia (Étienne etc.).

Il Governo francese attuale (Delcassé) cerca di entrare in possesso della valle dell' Aouache (hinterland di Gibuti) sostituendosi alla società condannata alla liquidazione. Non si dichiara perciò, almeno presentemente, avversario assoluto della spartizione di zone d'influenza. La frazione del partito coloniale che sta invece con gli interessi della società ferroviaria, dichiara in modo assoluto che ogni politica di zona d'influenza deve essere esclusa e combattuta.

Questi sono i capisaldi della situazione che ho chiaramente esposto al nostro Governo.

Ora aggiungerò che molto probabilmente Delcassé cerca di conseguire la sostituzione dello Stato francese alla società concessionaria francese e di compiere così la penetrazione pacifica che darà alla Francia la quasi sovranità del bacino dell' Aouache naturale hinterland di Gibuti. Ma nel ciò fare egli trova due soddisfazioni, non seconda delle quali, quella di fare scacco al collega Étienne.

La posizione di Delcassé è molto scossa.

Non è nel nostro interesse di affrettare la conclusione di una trattativa che si risolverebbe nelle circostanze presenti tutta a pregiudizio nostro. Neppure è nell'interesse inglese conchiudere ora il negoziato. L'aggiornamento sarebbe dunque tanto nel nostro che nell'interesse dell'Inghil

terra.

Però questa sente in questo momento di aver fatto con l'accordo dell'8 aprile 1904 un troppo buon affare con la Francia e potrebbe perciò essere inclinata a non lesinare nelle concessioni in Etiopia. Sarebbe un guaio per noi. Ma se a Londra si conoscessero bene le cose come stanno qui, credo che non si esiterebbe a soprassedere ad una intempestiva conclusione.

Ella comprende benissimo che vi è un punto della questione che mi sfugge completamente. Questo riguarda la serietà del concorso che la compagnia francese attuale potrà avere dai capitalisti inglesi. Io ignoro la entità e la consistenza del gruppo che si è formato in Inghilterra a tale proposito.

Questo so naturalmente che, se la linea Barrar Addis Abeba dovrà essere costrutta dalla compagnia attuale, questa mancherà di capitali e dovrà cedere il posto allo Stato francese il quale non potrà neppure promettere di creare un'altra compagnia francese perché non si troverà come costituirla per la sola concessione di questa seconda linea.

L'anormalità di uno Stato che possiede ed esercita una ferrovia sovra un territorio straniero, non ha bisogno di essere dimostrata giuridicamente. Mi pare che anche in omaggio alla sana dottrina non si dovrebbe riconoscere una simile anormalità in un accordo internazionale.

Ho letto che sir Eldon Gorst avrebbe osservato che i contratti fra lo Stato francese (Governo di Gibuti) e la società francese sono ignorati dai Governi contraenti. Ma come ignorarli quando si trovano negli atti parlamentari francesi?

Vi sarebbe anche un motivo dippiù di soprassedere ad ogni accordo. La Germania è entrata in relazioni ufficiali con Menelik. La Russia lo era già. Queste potenze riconosceranno gli accordi presi senza la loro adesione? È un principio di diritto nuovo: lo so. Ma è di attualità.

Si potrebbe ridurre la questione alla sistemazione dell'affare della ferrovia se la Francia dichiarasse che, qualora la società francese attuale non potesse sussistere, lo Stato francese rinunzia a prenderne la sostituzione per il percorso della linea che non è in territorio francese ed ammette che, se una nuova compagnia per azioni (società anonima) si dovrà formare, questa avrà un consiglio direttivo internazionale composto da delegati dei paesi europei finitimi all'Etiopia. Naturalmente la Francia, tanto per il caso di continuazione della Società attuale, quanto per l'altro di sostituzione di una nuova compagnia all'antica, dovrebbe assumere certi impegni relativi all'esercizio che assicurerebbero a tutti i porti uguaglianza di trattamento per i trasporti.

Il corriere è già qui pronto a proseguire il viaggio. Termino pertanto questa lettera che sebbene alquanto sconnessa, spero le dirà ciò che io deduco dai punti che ho indicati2 .

62 1 Per la risposta vedi D. 86.

64

L'AMBASCIATOREA VIENNA,AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 892/54. Vienna, 4 maggio 1905, ore 19.

Conte Goluchowski, che io ho potuto oggi appena vedere dopo il ritorno Vienna ed a cui ho accennato favorevole impressione prodotta Italia e Austria-Ungheria da sua visita Venezia 1 , mi ha detto essere stato lietissimo incontro avuto con V.E. e scambio d'idee al quale aveva dato luogo e che aveva confermato pieno accordo già esistente tra i due Governi circa questioni che li interessavano direttamente.

63 2 Per la risposta vedi D. 67. 64 1 Vedi D. 72.

65

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 457/159. Londra, 4 maggio 1905 (perv. il 9).

Nel corso di una conversazione da me avuta col marchese di Lansdowne, Sua Signoria mi domandò se io avessi notizia della decisione presa del Governo italiano di ritirare le sue truppe da Pechino e delle circostanze che lo avevano indotto. Risposi che infatti mi risultava essersi ordinato il richiamo di quel nostro reparto, lasciando a Pechino soltanto un numero di marinai necessari per la protezione della r. legazione: non mi erano stati comunicati, soggiunsi, i motivi di quella misura, ma ritenevo che fossero soprattutto ragioni di economia, e che, in difetto di un termine prestabilito per la durata di quella occupazione militare, si era probabilmente considerato essere ora venuta meno la sua pratica necessità.

Vedendo che lord Lansdowne non diceva altro, gli domandai a mia volta quale motivo speciale egli avesse per rivolgermi quella interrogazione. Egli allora mi disse che tempo fa questo ministro della guerra aveva appunto mostrato desiderio di richiamare da Pechino il reparto inglese; ma il Foreign Office aveva creduto dovergli rispondere che la cosa non poteva decidersi così subitamente giacché l'occupazione europea in Cina era stata stabilita d'accordo colle potenze -le quali avevano anzi espressamente determinato le zone da affidarsi a ciascun reparto straniero-epperciò si riteneva qui che il richiamo di quelle truppe s'intendesse dover rimanere subordinato ad un ulteriore accordo tra le potenze stesse. Da quanto ho creduto comprendere, il Ministero della guerra avrebbe ora richiamato l'attenzione del marchese di Lansdowne sulla determinazione presa per proprio conto dall'Italia, e Sua Signoria cercava perciò di conoscere gli argomenti che presso di noi prevalsero in senso contrario agli scrupoli da lui già opposti a quel suo collega.

Non essendo io preparato a codesta domanda del marchese di Lansdowne, e non avendo presenti al momento le condizioni specifiche degli accordi stabiliti cinque anni or sono a Pechino nella materia in cui si tratta, non stimai opportuno di prolungare su di essa il discorso; e mi limitai a dire a Sua Signoria che ne avrei riferito a Roma, con riserva di comunicargli quanto V. E. credesse farmi conoscere al riguardo 1•

65 1 Per la risposta vedi D. 90.

66

L'INCARICATO DELLA MISSIONE IN SOMALIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 96. Milano, 4 maggio 1905 (perv. i/17).

Da poco rientrato in Italia e ritardato nel recarmi a Roma da speciali cure in corso, credo opportuno di sciogliere la riserva cui accennavo nel mio rapporto del 19 marzo u.s. da Aden n. 91 1 , esponendo qualche considerazione più particolare in relazione alle conseguenze della mia missione presso il Mullah.

Per quanto l'accordo del 5 marzo u.s. col Saied Mohammed ben Abdallah sia stato stabilito su base seria come Io dimostrano le non facili e lunghe trattative occorse, pur non di meno, sia per le bizzarrie di cui ha spesso dato prova quel personaggio, sia per le tendenze razziatrici della gente che lo circonda, reputo indispensabile assicurarne la durata con provvedimenti che soddisfino alle aspirazioni di quel capo religioso e oramai anche politico, non meno che allo scopo cui tende il Governo.

Il Saied Mohammed ben Abdallah che, coll'accedere a trattative con cristiani, ha incontestabilmente attenuato, agli occhi degli ignoranti somali suoi correligionari, il prestigio e l'aureola direi quasi sopranaturale che lo circondava, sente più che mai il bisogno di appoggiarsi sul solido e sull'utile: egli a mio credere non attaccherà gli inglesi che sa sulla difensiva, né urterà i Migiurtini del nord coi quali gli conviene di stare in buona per i suoi rifornimenti, ma molto facilmente si volterà al sud e cercherà motivi di dissenso col Sultano di Obbia.

Difatti egli aveva già dato inizio a tale tattica contro gli Ornar Mahmud e contro la gente di Obbia, quando la conclusione dell'accordo del 5 marzo u.s., molto opportunamente e appena in tempo, arrestò maggiori guai in quella regione; allora mi era risultato effettivamente che già i suoi emissari erano partiti per sollevare i Bagheri (tribù vicina allo Scebeli, affine ed imparentata col Mullah) contro gli Hania, allo scopo di distaccare questi da Obbia e di isolare completamente quella sede; l'accordo con l'Italia fece soprassedere all'esecuzione del piano e corrieri furono spediti con tutta rapidità per richiamare quegli emissari.

Al primo malcontento, un tale tentativo potrà non solo rinnovarsi ma estendersi lungo la vallata dello Scebeli con minaccia diretta agli scali settentrionali del Benadir e per lo meno con perturbazione di quell'hinterland e conseguente danno a quella nostra colonia.

Perciò il Mullah non va abbandonato a se stesso ma bensì sorvegliato ed accontentato in quanto può essere suo materiale interesse: l'uomo è ovunque interessato e lo sono più specialmente i somali. Difatti, malgrado la povertà che il Saied Mohammed predica in teoria ai suoi dervisci somali, egli dimostra in pratica che dei beni di questo mondo non può disinteressarsi.

Per sorvegliare il Mullah sta la proposta di un residente italiano ai suoi fianchi nella di lui sede in Illig o in Gabbee, non dissimulo però la difficoltà di quell'installazione, e la spesa specialmente che trascinerebbe. Cosicché a noi resterebbe di saper crearci amici e persone relativamente a noi fedeli tra quelle stesse che circondano il Mullah e lo consigliano: una di queste l'abbiamo già in Abdallah Scehri che tanto si è adoperato meco per la pacificazione e continua ad adoperarsi in quel senso; ma esso pure va soddisfatto, né quel migliaio di rupìe concessogli di recente e che egli spese tutte pel rifornimento del suo padrone, può considerarsi sufficiente compenso all'opera sua, ed egli stesso non mancò di farmelo capire.

Ad accontentare questo principale ed indispensabile agente, insieme a chi lo asseconda, bisognerà provvedere, ma ciò non basta e per quanto il Saied Mohammed ben Abdallah non mi abbia mai chiesto direttamente né stipendio annuo né compenso speciale (la sua qualità di dervisci glielo proibisce), so che egli fa assegno sul primo e calcola di essere aiutato e favorito dal R. Governo per la installazione della sua sede in Illig o in Gabbee. Siccome non vi è dubbio che a noi convenga favorirlo nella installazione di una stabile sua sede a mare in località confacente, così spero che si potrà concretare qualche cosa in quel senso, quando fra breve si dovrà esaminare, presso codesto Ministero, questa e le altre proposte concernenti la Somalia settentrionale.

Così anche andrebbe simultaneamente esaminata la possibilità di stabilire in Obbia, invece che in lllig o in Gabbee un residente italiano, il quale avrebbe il duplice oggetto di indirizzare quel Sultano, e di sorvegliare più da vicino il Saied Mohammed, mantenendo con lui un contatto più diretto nel senso desiderato dal R. Governo.

Il compito di quel residente non sarà facile, e tanto meno lo sarà la scelta della persona adatta; ma riuscendo a concretare quanto ho sopra accennato sarebbe ottenuto, a mio debole parere, il doppio intento di potere meglio sorvegliare il Mullah con minor spesa e minore rischio, e compensarlo, interessando lo a favorirci per favorire se stesso.

Non mi dilungo in altre considerazioni per non ripetere quanto ho già scritto in precedenti rapporti, ma di quella tendenza del Mullah verso sud e verso lo Scebeli ho creduto necessario edurre più specialmente l 'E.V.

66 1 Non pubblicato.

67

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

L. PERSONALE. Londra, 4 maggio 1905.

Non avendo bisogno del corriere per la mia corrispondenza con Roma, rimetto questa a domani per poter subito rispondere alla sua lettera1 , di cui molto la ringrazio. Conoscevo le condizioni disperate dell'attuale Compagnia ferroviaria di Gibuti per la quale già fu mangiata, due anni or sono, anticipatamente la sovvenzione gover

nativa di venticinque milioni, e conoscevo pure, anzi ne scrissi a suo tempo a Roma, il punto di vista degli azionisti miranti esclusivamente al proprio salvataggio, in contraddizione col punto di vista politico del gruppo coloniale. Ma ritenevo che M. Etienne appartenesse a questo secondo partito, e ora sento invece che egli sta dal lato dei finanzieri. Ciò spiega forse un nuovo fatto venuto a mia cognizione dopo la mia ultima lettera a lei 2 , e cioè che Cambon fu autorizzato a dichiarare qui che il Governo francese accetta l'introduzione nel Consiglio d'amministrazione della ferrovia di tre nuovi membri, uno inglese, uno italiano, ed uno abissino.

A quanto mi disse lo stesso Cambon, si accetterebbe pure in massima una modificazione eventuale (in forma da determinarsi) delle clausole della convenzione del 1902 considerate come pregiudicievoli alla sovranità territoriale dell'Abissinia. Sarebbero le clausole di cui negli artt. 5 par. 8, 6 par. 2, 9 par. 3, 14 par. 2, 15 par. l, 16 par. 3 -specie le tre ultime, relative alla eventuale sostituzione del Governo francese nella proprietà della linea. Nota bene. Questa enumerazione la faccio io, sulla base delle osservazioni più volte scambiate con Lansdowne: Cambon si è limitato meco ad un'allusione generica alle modificazioni che si riconoscessero necessarie per eliminare le nostre opposizioni. Anzi, di questo ultimo punto egli parlò soltanto accademicamente con me. A Lansdowne egli fece soltanto finora la dichiarazione più sopra accennata circa i tre nuovi membri del Consiglio.

Noto ancora, riguardo a quella convenzione, che Gorst mi disse solo che si poteva ignorarla, procedendo a nuovi patti i quali ne annullassero implicitamente le clausole incriminate.

Sarei pur io di parere che a noi meglio converrebbe soprassedere alla conclusione di questi accordi; ma dubito che vi si possa riuscire, perché il Governo francese ha evidentemente premura (sia per ragioni parlamentari, sia per apprensione di una intromissione tedesca) e Lansdowne ha mille ed una ragione per desiderare in questo momento di non scontentare la Francia.

Come avrà veduto, l'ultimo contro-progetto inglese tende ad escludere la clausola ferroviaria dall'accordo politico che qui si vorrebbe stipulare per primo. Ma su questo punto Cambon ha dichiarato a Lansdowne che il suo Governo non poteva consentire a una tale esclusione, giacché la ferrovia costituiva l'unico interesse francese e non si poteva ammettere che se ne tacesse in quell'accordo mentre erano in esso menzionati gli interessi rispettivi della Gran Bretagna e dell'Italia. La sola concessione che (almeno parlando con me) egli disse potersi fare, sarebbe di limitarsi, nella convenzione politica, ad accennare genericamente alla tutela di quell'interesse francese-costruzione della ferrovia fino ad Addis Abeba-salvo a determinarne i particolari in un accordo separato. Queste però sono idee personali di Cambon ed io non so fino a qual punto sarebbero adottate dal suo Governo, sebbene mi sembri che, quando si venisse veramente ad una intesa sulla sostanza delle condizioni da stabilirsi, la questione di forma dovrebbe essere secondaria.

Dimenticavo un altro punto e cioè che ali 'ammissione di delegati inglesi editaliani nella ferrovia Gibuti-Addis Abeba dovrebbe (mi disse Cambon) corrispondere, nel futuro accordo, l'analoga ammissione di un delegato francese (e italiano) nel con

siglio di un'eventuale ferrovia inglese Addis Abeba-Nilo Bianco, e di un delegato francese (e inglese) presso un'eventuale ferrovia italiana dali 'Eritrea in Abissina.

Lo stesso Cambon ammise con me che la presente compagnia dovrà fatalmente liquidarsi, sostituendola con altra di nuova creazione e fu anzi a proposito di questa ricostruzione, che egli ammise la rinuncia alla successione dello Stato francese, in posto del quale la proprietà della ferrovia passerebbe dalla vecchia alla nuova compagnia. Malgrado la presenza dei delegati degli Stati finitimi, è però evidente che, nella sua idea, questa nuova compagnia dovrebbe essere una compagnia francese giacché al Governo francese toccherebbe di assisterla con nuove sovvenzioni, quali non potrebbero domandarsi al Parlamento per una società internazionale.

Ho cercato varie volte di verificare in quale proporzione le azioni dell'attuale compagnia siano ancora in mano d'inglesi; ma al Foreign Office sempre mi fu dichiarato essere impossibile di accertarlo. Come saprà, il capoccia degli azionisti è attualmente (od almeno era fino a poco tempo fa) un belga, M. Hoch o Koch che gira fra Londra, Parigi e Bruxelles. Ma ben non si può conoscere come stia quell'affare certo non brillante.

Quanto all'uguaglianza di trattamento per tutti in materia di tariffe ferroviarie ecc., è già cosa intesa fin da quando me ne parlò Cambon nella scorsa estate.

67 1 Vedi D. 63.

67 2 Non pubblicata.

68

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 701. Roma, 5 maggio 1905 (part. ore 0,15 del6).

Nella riunione odierna fra me e gli ambasciatori delle altre tre potenze protettrici di Creta si è convenuto nella opportunità di avere a conoscere di urgenza se i consoli in Creta hanno dato seguito alle misure deliberate nella precedente loro riunione specialmente in quanto concerne il proclama da lanciare ai cretesi nella forma da essi già stabilita, chiedendo altresì quale effetto abbia prodotto l'eventuale attuazione di siffatta iniziativa.

In quanto concerne la questione dell'aumento dei contingenti militari, abbiamo ritenuto che l'invio di nuovi rinforzi di truppe internazionali per reprimere vigorosamente l'insurrezione, dovrebbe essere accompagnato dalla nomina di un funzionario di capacità e di autorità generalmente conosciute, che diverrebbe il consigliere amministrativo dell'alto commissario e che, munito dei pieni poteri necessari per riformare l'amministrazione, presiederebbe la riunione dci consoli, in qualità di mandatario delle potenze protettrici, allo scopo di modificarne l'azione. Prego V.E. di partecipare siffatte conclusioni a codesto ministro degli affari esteri appoggiandole caldamente, così come ha promesso di fare con telegramma questo ambasciatore di (Inghilterra) (Francia) e (Russia). Le nostre proposte derivano dal convincimento che i reclami cretesi in materia amministrativa sono giustificati e che adottando le misure da noi suggerite si verrebbe a salvare, assieme coll'amor proprio e la dignità sua, la posizione dell'alto commissario, avvertendo inoltre che, senza un provvedimento che assicuri le riforme amministrative, non potremmo di fronte alla nostra opinione pubblica ed al nostro Parlamento assumere la responsabilità dell'invio di rinforzi.

69

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. 23025/508. Roma, 5 maggio 1905.

Segno ricevuta e ringrazio l'E.V. del suo rapporto in data del 22 aprile, or trascorso, n. 1142/480 1 , relativo alla vertenza riguardo al Marocco.

Nell'esprimerle la mia approvazione per il contegno ed il linguaggio da lei tenuto così col sig. Delcassé come col principe Radolin e ringraziandola in particolar modo per gli interessanti ragguagli fomitimi, mi compiaccio che ella abbia potuto annunziarmi, col telegramma di pari data2 del suo rapporto, che codesto sig. ministro degli affari [esteri] aveva ritirato le proprie dimissioni.

70

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 468/165 1• Londra, 5 maggio 1905.

M. Cambon, ritornato in questi giorni da Parigi, ha tosto ripreso le trattative circa il progetto di convenzione per l'Abissinia e la ferrovia di Gibuti, che, a quanto pare, starebbe assai a cuore del suo Governo di condurre a conclusione senza troppo ritardo.

Credo aver già accennato a V.E. che a questa premura contribuirebbe l'apprensione che si nutre a Parigi di una intromissione in Abissinia della Germania, la quale vi ha già mandato una missione e potrebbe quando che sia scoprirvi interessi economici tedeschi analoghi a quelli del Marocco.

Ho avuto di recente qualche conversazione col marchese di Lansdowne su codesto argomento e di esso m'intrattenne pure in via privata il mio collega di Francia. Non possedendo io speciali istruzioni di V.E. da dopo che l'affare è entrato nella

2 T. 773, non pubblicato. 70 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra.

attuale sua fase, mi sono naturalmente limitato in questi colloqui a sentire ciò che avevano da dirmi i miei interlocutori, facendomi tutto al più ad esprimere, a titolo personale, qualche osservazione nel senso generale delle intenzioni del R. Governo. Ma per norma di questo, è necessario ad ogni modo ch'ella sia informata di quanto risulta qui circa le disposizioni delle altre due parti interessate.

Col mio precedente rapporto del 29 aprile n. 1552 , comunicavo a V.E. il controprogetto di convenzione per l'Etiopia emendato da lord Lansdowne nel senso di eliminarvi tutte le clausole relative alla ferrovia, coll'idea di trattarne poi separatamente. Ora M. Cambon ha dichiarato a lord Lansdowne non essere quella soppressione ammessa dal suo Governo: egli rappresentò che il nostro accordo menziona espressamente certi interessi britannici in Abissinia e certi interessi italiani: se si tacesse della ferrovia che è l 'unico interesse francese da quelle parti, non rimarrebbe più nulla nella convenzione per motivare l'adesione ad essa della Francia: e perciò M. Cambon insistette affinché le clausole relative alla ferrovia venissero conservate, sia pure con quelle modificazioni ritenute necessarie per renderle accettabili.

Risultato di questo scambio di idee fu un abbozzo di nuovo articolo che lord Lansdowne mi comunicò stamane3 dicendomi di averlo or ora sottomesso a M. Cambon come formola approssimativa dei concetti fra loro manifestati. Lord Lansdowne, nel consegnarmelo, mi disse che questa era, ben inteso, soltanto l'indicazione di una idea da esaminarsi più da vicino, ma che egli teneva a informare esattamente V E. di tutte le fasi degli attuali suoi negoziati con M. Cambon, i quali servivano intanto a mettere in chiaro le reciproche disposizioni.

L'unito progetto dichiara, come si vede, l'adesione dell'Inghilterra e dell'Italia al proseguimento della linea di Gibuti fino ad Addis Abeba, in base alla concessione originaria del 1894. Per contro, vi è soppressa la menzione della convenzione del 1902 e vi si garantisce la parità di trattamento e l'immunità doganale nei transiti da Gibuti, l'ammissione di delegati inglesi italiani ed abissini nei consigli della Compagnia e l'abbandono dei titoli di questa sull'eventuale linea verso il Nilo che, se da farsi con capitali stranieri, si eseguirebbe sotto auspicii inglesi. E infine vi è aggiunta una conferma della concessione data da Menelik nel 1904 per una ferrovia inglese dalla Somalia al Sudan.

Non avendo potuto stamane parlare se non brevemente con lord Lansdowne quando egli mi consegnò l 'unito progetto, non ebbi agio di entrare in spiegazioni circa queste ultime clausole relative a ferrovie inglesi che Sua Signoria considera del resto come assai ipotetiche. Non mi soffermerò quindi per ora su codesto punto.

Alludendo al nuovo articolo, lord Lansdowne mi fece notare che esso tendeva ad eliminare praticamente la convenzione del 1902 contenente clausole che si prestavano a legittime diffidenze ed a sostituirla con disposizioni tassative che stabilivano il carattere commerciale della impresa, oltre alla guarentigia addizionale risultante dal concorso di rappresentanti inglesi e italiani nella direzione di essa.

Dissi a Sua Signoria che non mancherei di sottoporre la sua comunicazione a

3 Vedi Allegato.

V.E. Con ogni riserva circa il giudizio di lei, accennai però a Sua Signoria, a titolo di mia impressione personale, sembrarmi che certi punti della questione ferroviaria meritassero una specificazione più precisa di quella contenuta in questo progetto, la quale per contro mi pareva poi troppo dettagliata in proporzione delle altre parti dell'accordo cui la si era aggiunta. Per mantenere, dissi, codesta proporzione in conformità dell'economia generale dell'accordo stesso, mi pareva che meglio converrebbe limitarsi ad inserire nell'art. 4 un'allusione generica alla tutela degli interessi della Francia riguardo alla ferrovia, in quella stessa guisa che vi era fatta menzione generica degli interessi britannici riguardo al regime delle acque e degli interessi italiani riguardo alla eventuale congiunzione delle due Colonie: e le clausole specifiche concementi la ferrovia si rinvierebbero più opportunamente ad un altro apposito accordo (da formare all'occorrenza un annesso alla convenzione) nel quale si potrebbe allora entrare in tutti i particolari richiesti da quel complicato argomento. Lord Lansdowne prese nota ad ogni buon fine di questa mia osservazione. Io la presentai perché, oltre a sembrarmi realmente giustificata dalle ragioni suesposte, pensai che ci conveniva riservare così la discussione sui diversi punti relativi alla ferrovia, che meritano infatti di essere chiariti e sui quali non so se il R. Ministero si sia già formato un concetto preciso, di fronte alla nuova situazione creata dalle attuali trattative.

Noto che, avendo io già sottomesso due giorni or sono un'analoga osservazione a M. Cambon (presentandogliela più che altro come una questione di forma), egli non vi si era mostrato personalmente contrario.

Ricorderò ancora che, a proposito d eli' aggiunta di delegati inglesi e i tal i ani alla ferrovia di Addis Abeba, l'ambasciatore francese aveva accennato ali' idea di applicare il medesimo principio a tutte le ferrovie eventualmente da costruirsi con capitali esteri in territorio abissino: suggerendo cioè che per esempio in un eventuale ferrovia inglese verso il Sudan vi fossero rappresentanti francesi e italiani e che in un'eventuale ferrovia italiana verso l 'Eritrea vi fossero rappresentanti francesi ed inglesi. Non potrei però dire se ciò fosse suggerito a M. Cambon da una semplice vaghezza di simmetria occorsagli sul momento, o se fosse in lui cosa pensata.

Nella medesima occasione, il mio collega di Francia mi diceva che la liquidazione dell'attuale Compagnia ferroviaria sarebbe una conseguenza fatale delle sue strettezze finanziarie, giacché il primitivo sussidio fu già, com'è noto, interamente consumato e, per continuare la costruzione prevista, si renderanno necessarie nuove sovvenzioni del Governo francese: ora, se questo doveva presentarsi al Parlamento con nuove domande di fondi per quella ferrovia, esso certamente non potrebbe farlo a favore di una impresa che non fosse, almeno nominalmente, di nazionalità francese. Quanto però alla sostituzione nella proprietà della ferrovia, prevista dalla convenzione del 1902 a favore dello Stato, M. Cambon ammetteva la convenienza di una modificazione nel senso che i diritti dell'attuale Compagnia dovessero invece passare ad una nuova Compagnia ugualmente privata, da ricostituirsi con le debite guarentigie. Supposto ora che codesta condizione essenziale sia realmente accettata dal Governo francese, io non so se essa risulti abbastanza chiaramente specificata mediante il progetto di articolo qui unito. Sarebbe uno dei punti che potrebbero venire più opportunamente stabiliti nell'accordo ferroviario speciale al quale ho fatto più sopra allusione.

Gli elementi di fatto che ho cercato di raccogliere nel presente rapporto, mi sembrano in ogni caso confermare quanto già ebbi l'onore di rassegnare a VE., che cioè, allo stato delle cose, sarebbe opportuna ed anzi necessaria una diretta discussione di questo affare fra noi e il Gabinetto di Parigi. Lo scambio di idee che ha luogo qui fra il marchese Lansdowne e l'ambasciatore di Francia non può essere, ben inteso, che subordinato alla ulteriore approvazione del Governo italiano: ed anzi ritengo che, ove VE., dopo aver accertato presso il Governo francese il minimo delle sue esigenze, riuscisse a combinare con esso una transazione per noi soddisfacente, questa avrebbe ogni probabilità di venire senz'altro gradita anche dal Governo britannico. Ma mi pare che questa nostra azione presso la Francia dovrebbe riuscire più facile finché i suoi tentati accordi coll'Inghilterra si trovano allo stato fluido, che non il giorno in cui ci fosse presentata una soluzione concreta già combinata fra i due Governi amici.

Per guadagno di tempo, penso approfittare di una sicura occasione per far passare il presente rapporto sotto gli occhi del r. ambasciatore in Parigi.

ALLEGATO

PROGETTO DI ARTICOLO RIMESSO DA LANSDOWNE A CAMBON E A P ANSA

ABYSSIN/AN AGREEMENT

Londra, 5 maggio 1905.

The three Govemments will raise no objection to the extension of the Jibuti Railway from Dire Dawa to Adis Abeba by the Ethiopian Railway Company in virtue ofthe concession of Mare h 9th, 1894 an d of the authorization of King Menelik ofAugust 28th 1904, on the condition that the subjects and commerce of the three countries shall receive absolutely equal treatment both over the railway and at the port of Jibuti on transit trade.

Further, the French Govemment undertake that an Englishman, an Italian and a representative of the Emperor of Abyssinia, shall be appointed to the board of Directors of the Ethiopian Railway Company and thùt the aforesaid Company shall surrender their concession for a railway beyond Adis Abeba; the three Govemments agree that ali railway construction in Abyssinia to the West of Adis Abeba shall, in so far as foreign financial assistance is required, be executed under British auspices.

Lastly the three Govemments recognize the validity of the authorisation given by King Menelik to His Majesty's Government on August 28th 1904, to build a railway from British Somaliland through Abyssinia to the Soudan frontier.

69 1 Vedi D. 48.

70 2 Vedi D. 59.

71

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1265/527. Parigi, 5 maggio 1905 (perv. il 9).

La conversazione di cui la Francia prese l 'iniziativa con la Germania si è fermata alla spontanea dichiarazione partita di qui di essere il sig. Delcassé pronto ad appianare il malinteso che si fosse prodotto fra i due paesi relativamente ali' azione che, in conformità dell'accordo anglo-francese delli 8 aprile 1904, la Francia ha incominciato ad esercitare alla Corte sceriffiana. Le mie informazioni d'ieri sono nel senso che tale offerta di spiegazioni non ricevette risposta da Berlino.

Il punto sul quale avrebbe vertito l'equivoco, quello cioè di sapere se la Germania avesse diritto di avere ed avesse avuto effettivamente comunicazione dell'accordo anglo-francese, non ha dunque fin qui formato il soggetto di una spiegazione fra Parigi e Berlino. Qui si continua ad affermare che il principe Radolin fu informato il 23 marzo 1904 verbalmente dei punti sostanziali relativi al Marocco dell'accordo allora non ancora firmato con l'Inghilterra. Si mette in sodo che il Cancelliere dell'Impero parlò dell'accordo in termini favorevoli in una dichiarazione parlamentare del 12 aprile successivo. Si afferma che dopo la conclusione dell'intesa con la Spagna, ossia quando si verificò la condizione sospensiva sotto la quale l 'accordo con l 'Inghilterra era stato stipulato, di quella intesa fu data comunicazione al Governo tedesco e si osserva che l'atto da cui tale intesa risulta, si riferisce nel suo primo articolo all'accordo franco-britannico dell'8 aprile 1904.

In una recente conversazione il sig. Delcassé mi ripeteva, precisandole, queste circostanze di fatto e soggiungeva che gli si faceva carico di aver deliberatamente evitato di mantenere nelle relazioni con la Germania la correttezza e l'intimità desiderabili.

Ben sanno, esclamava il ministro, a Berlino quanto ingiusta sia questa accusa. Ed egli mi narrò che, mentre era ambasciatore in Germania il marchese di Noailles, questi ebbe a comunicare un invito del Gabinetto di Berlino ad intendersi con la Francia sovra parecchie questioni nelle quali gli interessi dei due paesi non erano divergenti. L'invito sarebbe stato accettato col consenso del presidente della Repubblica e dell'on. Waldeck-Rousseau allora presidente del Consiglio, nel termine di ventiquattro ore. Ma tosto che ebbe la risposta, il Gabinetto di Berlino ammutolì. Questo ricordo retrospettivo, confidatomi dal sig. Delcassé, ritornava alla di lui memoria non senza amarezza poiché egli diceva che pochi uomini parlamentari in Francia avrebbero avuto il coraggio di così pronta ed inutile risoluzione.

Attualmente qui non si contesta che il Governo tedesco eserciti un suo diritto mandando a Fez la missione condotta dal conte di Tattenbach. Si nutre però qualche inquietudine circa gli incidenti che potranno prodursi in quel lontano paese a causa della simultanea presenza alla Corte sceriffiana delle missioni di Francia e di Germania. Si è pertanto considerato come un atto amichevole l'invio a Fez della missione

inglese e forse anche di una missione spagnuola perché si avranno così testimoni autorevoli degli incidenti che potrebbero sopravvenire.

L'opinione si mantiene fermamente pacifica in questo paese. Ma nel tempo stesso la grande maggioranza è inclinata a credere che dalla Germania si sia voluto infliggere alla Francia un'immeritata umiliazione profittando delle transitorie difficoltà create dalla guerra dell'Estremo Oriente e questa persuasione dominerà il pensiero di questo popolo lungamente nei suoi rapporti col Governo tedesco.

72

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1 . Vienna, 5 maggio 1905.

Giusta le istruzioni impartitemi dalla E.V. nel partire da Venezia, mi pregio di inviarle col presente rapporto un breve riassunto della conversazione da lei avuta col conte Goluchowski nel recente incontro ch'ebbe con esso in quella città ed al quale ebbi l'onore di assistere.

Tale conversazione si aggirò intorno alla questione macedone ed a quella albanese, all'estensione delle riforme al vilayet di Adrianopoli, ai risultati finora ottenuti dalle riforme stesse ed alla necessità di mantenere saldo l'accordo tra le potenze per rimuovere la Sublime Porta dall'opposizione che continuava a fare alle medesime.

Nel darle lettura d'un telegramma pervenutogli dal barone Calice, relativo alla formula da esso e dal sig. Zinoviev messa innanzi per ciò che riguardava le attribuzioni dei delegati delle potenze incaricati di esercitare di concerto cogli agenti civili il controllo delle finanze nei tre vilayets macedoni, il conte Goluchowski espresse la speranza che l'E.V. avrebbe impartito istruzioni al r. ambasciatore in Costantinopoli per dare la sua adesione a quella formula.

Al che l'E.V. rispose ch'era stata già informata in via sommaria dei termini di tale formula dal r. ambasciatore in Costantinopoli al quale non avrebbe mancato di dare le necessarie istruzioni al riguardo.

In quest'occasione il conte Goluchowski accennò alla proposta fatta da lord Lansdowne di estendere le rifonne sancite nel programma di Mi.irzsteg anche al vilayet d'Adrianopoli, ma a tale proposta che era stata suggerita al ministro britannico dal desiderio di corrispondere alla domanda d'una parte dell'opinione pubblica inglese, che, per sentimenti umanitari, si occupava con vivo interesse della sorte delle popolazioni cristiane soggette alla Turchia, egli come il conte Lamsdorf non avevano

creduto di consentire. Quella proposta infatti era contraria in primo luogo a quanto era stato stabilito nel programma suddetto, che limitava le riforme ai soli vilayets di Macedonia, ed in secondo luogo la loro applicazione al vilayet di Adrianapoli, che ne era stato escluso a causa della sua vicinanza a Costantinopoli, avrebbe potuto indurre a fare estendere le riforme stesse alle altre provincie del! 'Impero, cioè, a quelle albanesi che erano state da esse eliminate.

Venendo a parlare del!' Albania il conte Goluchowski osservò che nella divisione amministrativa attuale dei vilayets macedoni vari distretti appartenenti a quella regione erano stati compresi arbitrariamente nella medesima, come quello di Elbassan ed altri nel vilayet di Monastir, ai quali però le riforme non erano ora applicate. N eli' interesse del!' avvenire d eli' Albania il ministro imperiale e reale degli affari esteri riconobbe la necessità di sviluppare in quelle popolazioni la coscienza nazionale per poter rendere possibile in un dato momento la loro costituzione in uno Stato autonomo, che era lo scopo a cui miravano l'Austria-Ungheria e l'Italia. A tal fine gli sembrava conveniente che i due Governi si adoperassero ad istituire in Albania non già scuole proprie nazionali, bensì scuole prettamente albanesi mediante le quali si avrebbe [sic] potuto raggiungere lo scopo suddetto.

Proseguendo il conte Goluchowski rilevò che, non sì tosto si sarebbe completata l'organizzazione della gendarmeria e quella delle finanze, che erano i punti capitali del programma di Mi.irzsteg, sarebbe stato necessario di procedere ali' esecuzione delle altre parti del programma stesso e specialmente alla delimitazione territoriale delle unità amministrative in vista di un aggruppamento più regolare delle varie nazionalità.

Ma tale delimitazione che era richiesta per eliminare ogni causa di discordia tra di esse non avrebbe potuto effettuarsi non senza lievi difficoltà per la confusione che esisteva tra quelle nazionalità, originata dal sistema seguito finora dalla Sublime Porta nell'inglobare in uno stesso distretto nazionalità diverse invece di aggrupparle in distretti separati, ciò che avrebbe impedito l 'inasprimento di lotta che tuttora regnava tra di esse.

Di tale lotta eransi prodotti di recente gravi episodi, quale il sanguinoso combattimento avvenuto a Zagoritchani tra una banda greca ed una banda bulgara ed eragli stato in questi giorni segnalato il passaggio sul territorio otto mano di un'altra banda greca. Non potevasi negare che le autorità ottomane mostravansi in generale meno severe nei loro provvedimenti di sorveglianza e di repressione verso le bande elleniche e anche verso le bande serbe che noi fossero verso le bande bulgare. Di fronte ai fatti suddetti egli aveva rivolto vive rimostranze al Governo ellenico, impegnandolo a non favorire la formazione di nuove bande e a sorvegliare meglio la propria frontiera per impedire il passaggio sul territorio ottomano.

Da varie parti e specialmente da parte della stampa inglese si lamentava che le riforme non avessero ancora prodotto i risultati che da esse ci si riprometteva. Non era da pretendere che nel breve spazio di tempo in cui erasi effettuata la loro applicazione, si avesse [sic] potuto riorganizzare del tutto la gendarmeria come l'amministrazione locale, avuto riguardo alle difficoltà che eransi dovute sormontare. Ed a questo proposito I 'E.V osservò come tali difficoltà non fossero state lievi per ciò che riguardava la gendarmeria essendo stato necessario anzi tutto di eliminare da essa gli elementi non idonei e provvedere quindi all'istruzione dei vari suoi componenti.

Nell'associarsi a tale osservazione il conte Goluchowski soggiunse che l'opera riformatrice sembravagli però bene avviata e citò a prova di ciò gli eccellenti risultati dati dal nuovo metodo istituito per la percezione della decima ed il miglioramento notevole prodottosi nelle disposizioni delle popolazioni in generale, che si dedicavano ora ai loro lavori domestici dimostrandosi meno disposte a partecipare ai maneggi dei comitati rivoluzionari. Non potevasi quindi dubitare, a suo parere, del salutare effetto che sarebbero per produrre le riforme quando la loro applicazione avesse potuto essere del tutto effettuata. Ma perché questo effetto potesse essere assicurato in modo stabile, egli insistette sulla convenienza per le potenze di continuare a camminare di comune accordo eliminando tra di loro qualsiasi screzio di opinione per impedire che la Sublime Porta ne profittasse per perdurare nel suo contegno poco favorevole alle riforme.

Al che l'E.V. replicò convenendo in tale dichiarazione e constatando alla sua volta la necessità che un tale accordo potesse essere mantenuto anche in avvenire tra le potenze, al fine di raggiungere lo scopo sopra accennato.

72 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto e privo dell'indicazione della data d'arrivo. Il presente rapporto è allegato alla seguente lettera di A varna, pari data: «Mi pregio di trasmettere ali 'E.V. il rapporto qui unito nel quale ho procurato di riprodurre, per quanto possibile, testualmente, la conversazione da lei avuta in Venezia col conte Goluchowski».

73

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 912/75. Pera, 6 maggio 1905, ore 13 (perv. ore 14,15).

Sultano, ricevutomi jeri, mi disse con speciale enfasi far egli oggi, più che mai, assegnamento sentimenti di S. M. il Re, il quale, confida egli, vorrà continuare a trattarlo da vero, fedele amico, inspirando a tali sentimenti tutta la politica del suo Governo verso la Turchia. Replicai sentimenti cordiali amicizia Sua Maestà rimangono invariati; politica italiana basata essenzialmente sul mantenimento statu quo. Sultano ebbe parole molto benevoli per opera mia durante primo periodo missione e mi conferì Ifticar diamanti. S.M. Imperiale, visibilmente preoccupata, non fece allusione domanda invio ufficiali Adrianopoli.

74

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 921/77. Pera, 7 maggio 1905, ore 23,45 (perv. ore 8 dell'B).

In mio nome Cangià, che trovasi ancora a Costantinopoli, ha fatto oggi al primo segretario del Sultano comunicazione prescrittami da V. E. 1 .

Premesso che, per un sentimento di personale deferenza verso S.M. Imperiale, io avevo preferito astenermi venerdì scorso [il 5] dall'intrattenerlo direttamente sullo affare del porto di Tripoli e, dopo aver specialmente insistito su perduranti intendimenti pacifici politica italiana, basati, come sempre, sul mantenimento statu qua, ed inspirati nel proposito di consolidare sempre più attuali cordiali relazioni con la Turchia, Cangià ha aggiunto: «Nell'interesse appunto mantenimento tali buone relazioni, ambasciatore crede suo stretto dovere attirare specialmente attenzione S. M. Imperiale su gravi conseguenze che potrebbero avere per la Turchia concessioni, privilegi a Stati o sudditi stranieri in Tripolitania, Cirenaica. Il giorno in cui S.M. Imperiale acconsentisse a che gli uni o gli altri acquistassero quivi direttamente od indirettamente una situazione privilegiata, nessun Governo potrebbe resistere impetuose pressioni opinione pubblica italiana, reclamante energici provvedimenti, di cui la Turchia avrebbe certo a dolersi».

Seduta stante, primo segretario ha trasmesso, per iscritto, mio messaggio al Sultano, il quale chiamatolo subito gli ha ordinato dichiararmi, per mezzo di Cangià, formalmente in suo nome: l) di questo affare Sua Maestà ha avuto notizia solo mercoledì [il 3], da comunicazione del Gran Vizir a cui manderà immediatamente ordini dare categorica smentita: 2) nessuna concessione relativa porto di Tripoli è stata data e da nessuno chiesta; 3) per ora almeno, nessuna intenzione ha Sua Maestà di costruire porto di Tripoli; quando il bisogno se ne facesse sentire, l'opera sarebbe intrapresa dal suo Governo: in nessun caso affidata a francesi, inglesi o altri sudditi esteri; 4) se la Sublime Porta gli proponesse di dare concessione a stranieri, Sua Maestà rifiuterebbe categoricamente.

Non sfuggirà a VE. importanza di queste solenni esaurienti dichiarazioni.

74 1 Vedi D. 61.

75

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 751/283. Costantinopoli, 8 maggio 1905 (perv. i/16).

Come ho avuto l'onore di annunziarlo a V.E. col mio telegramma n. 781, stamane abbiamo firmato, i miei colleghi ed io, la nota collettiva destinata ad accompagnare l'invio alla Sublime Porta dell'articolo addizionale, redatto dagli ambasciatori ed approvato dalle potenze, al regolamento finanziario ottomano del 7 marzo 1905 per i vilayet di Salonicco, Kossovo, e Monastir.

La nota avrebbe potuto essere firmata e consegnata fin da sabato [il 6], se all'ultimo momento l'ambasciatore d'Inghilterra non avesse espresso il desiderio di inserire nel testo già concordato ed approvato nella riunione di giovedì scorso (il 4], la variante «Sans distinction de nationalité» dopo le parole «pour chaque vilayet un inspecteur», (alinea 4).

Alla inserzione di tale variante si oppose decisamente l'ambasciatore di Germania. S. E. la riteneva superflua perché restrittiva della libertà della Commissione nello scegliere gli ispettori e, ad un tempo, pericolosa, in quanto si prestava a falsa interpretazione da parte della Turchia. A parere del barone Marschall, giocando sulle parole, la Sublime Porta non avrebbe certo mancato di sostenere che con la locuzione «sans distinction de nationa1ité» non si fosse voluto alludere alla qualità o meno di sudditi ottomani, come pensava sir Nicholas O'Conor, ma invece si avesse per scopo di sancire il diritto della Commissione di nominare come ispettore qualche bulgaro, serbo e greco.

Donde ottimo pretesto per la Porta a tirare in lungo la discussione e le contestazioni e a differire sempre più l'inizio della riforma.

L'opinione del barone Marschall era conforme a quella del barone Calice, il quale faceva inoltre osservare che non trovandosi le parole «sans distinction de nationalité» nel testo concordato nella riunione di giovedì scorso e già approvato dai vari Governi, non era possibile di introdurre la variante senza chiedere prima nuove istruzioni, ciò che avrebbe cagionato grande perdita di tempo, tanto più che il barone Marschall aveva dichiarato che sarebbe partito stamane per una escursione di otto giorni a Smirne e Metelino. In seguito a replicate conferenze, che nel corso del pomeriggio io ebbi successivamente coi colleghi di Austria-Ungheria, Francia, Germania, ed Inghilterra, mi riuscì, alla fine, di persuadere quest'ultimo a non insistere più oltre nella proposta e a sollecitare per telegrafo l 'autorizzazione del suo Governo a firmare la nota, lasciando immutato l'articolo addizionale.

Il Governo britannico avendo consentito alla omissione delle parole «sans distinction de nationalité», ogni difficoltà veniva rimossa e quindi la firma della nota ha potuto avere luogo oggi.

V. E. troverà, qui unita, copia della nota medesima nonché dell'articolo addizionale2, in cui viene stabilita l'istituzione di una Commissione internazionale destinata a vegliare alla esecuzione delle riforme finanziarie nonché all'applicazione del regolamento ottomano. La nota sarà, secondo la tradizione, rimessa oggi stesso alla Sublime Porta dal primo dragomanno dell'ambasciata austro-ungarica, il barone Calice essendo il decano del Corpo diplomatico. Gli ambasciatori sono enunciati nella nota per ordine di anzianità: nell'articolo addizionale per ordine alfabetico.

Con la consegna alla Sublime Porta della nota collettiva odierna, sembra a me che si sia fatto un passo importante nella buona via, in quanto si è raggiunto doppio scopo: si è impedito che l'Austria-Ungheria e la Russia consolidassero quella posizione privilegiata arrogatasi col programma di Miirzsteg, al quale intento mirava senza alcun dubbio il primitivo progetto austro-russo; e si è affermato d'altra parte in modo solenne il diritto di tutte le potenze firmatarie del Trattato di Berlino a partecipare alla riforma finanziaria, precipua ed essenziale fra tutte.

Ad accrescere l'importanza e il significato di tale riaffermazione del diritto pubblico europeo, contribuisce non poco a mio modesto parere l'entrata in linea della Germania, la quale, fino ad oggi, si era tenuta alquanto in disparte, in tutti i negoziati svoltisi nei due ultimi anni a proposito della Macedonia.

Degno di nota parmi altresì il contegno della Russia, la quale, questa volta, anziché incoraggiare l'Austria-Ungheria a perseverare nell'atteggiamento non certo conciliante dapprima assunto a Vienna dal conte Goluchowski e qui dal barone Calice, ha evidentemente favorito le giuste esigenze delle altre potenze, esercitando salutare influenza, per determinare l'acquiescenza di quel Gabinetto alla partecipazione di tutte le potenze al controllo finanziario in Macedonia.

Sulla decisione presa dal Gabinetto di Pietroburgo non poco ha influito l'azione personale di questo ambasciatore imperiale.

In uno degli ultimi colloqui che io ebbi con lui, il sig. Zinoviev mi narrò, in via strettamente confidenziale, che, in sulle prime, il conte Lamsdorf, vincolato da affidamenti dati al barone Aehrenthal, inclinava a far causa comune con l'Austria, nell'insistere per riservare ai soli agenti civili la supervisione della riforma finanziaria. Senonché in presenza degli argomenti con gran calore svolti dall'ambasciatore per sostenere l'impossibilità e l'inopportunità di un'ulteriore resistenza ai reclami delle altre potenze, il conte Lamsdorf, convintosi della loro ragionevolezza, mutò avviso, esercitò pressioni efficaci a Vienna e riuscì a persuadere quel Gabinetto ad acconciarsi alla inevitabile partecipazione dei quattro Governi al controllo finanziario in Macedonia.

Con l'istituzione della nuova Commissione internazionale, per quanto i suoi poteri siano al momento limitati agli affari finanziari, l'importanza e l'attività degli agenti civili viene ad essere sensibilmente diminuita.

«Qui a !es finances a le pays» mi diceva avant'ieri l'ambasciatore di Germania.

S. E., che non mi ha mai celato la mediocre simpatia che gli ha inspirato fino dal principio l'opera riformatrice concordata nel famoso programma di Miirzsteg, osservava altresì, in via affatto confidenziale, e quale opinione sua personale, che d'ora in poi gli agenti civili si possono considerare come Kalt Gestellt.

ALLEGATO

GLI AMBASCIATORI DI AUSTRIA-UNGHERIA, GERMANIA, RUSSIA, GRAN BRETAGNA, FRANCIA E ITALIA A COSTANTINOPOLI AL GOVERNO OTTOMANO

NOTA VERBALE. Costantinopoli. 8 maggio 1905.

Les soussignés ambassadeurs d'Autriche-Hongrie, d'Allemagne, de Russie, d'Angleterre, de France et d'Italie, ont l'honneur d'informer le Gouvemement Impérial qu'ils ont examiné le projet de règlement arrèté à la date du 22 février 1320 (7 mars 1905) entre la Sublime Porte et la Banque Impériale Ottomane, sur le mode d'encaissement et de payement des recettes et des dépenses des trois vilayets de Salonique, Kossovo et Monastir.

D'ordre de leurs Gouvemements respectifs, les ambassadeurs se déclarent prèts a donner leur adhésion au dit projet, à condition toutefois qu'il soit complété par !es dispositions cijointes.

Le Gouvemement Impérial ne méconnaltra pas le but poursuivi par les Puissances. Elles ne désirent qu'une chose, assurer d'accord avec lui le bon fonctionnement des services financiers des trois vilayets. Elles ont la ferme confiance que la Sublime Porte acceptera loyalement ce complément nécessaire au règlement du 7 mars, de façon à rendre définitive la solution de graves difficultés.

Annexe à la note des Ambassadeurs du 8 mai 1905

Pour veiller à l'exécution des réformes financières et à l'application du règlement qui précède et en assurer J'observation, Jes Gouvemements d'Allemagne, France, Grande-Bretagne et ltalie, nommeront chacun un délégué financier. Ces délégués des quatre puissances agiront de concert avec l'inspecteur général et les agents civils austro-hongrois et russe, dont les attributions ont été définies dans le programme de Murzsteg.

La Commission ainsi fonnée aura tous les pouvoirs nécessaires pour l'accomplissement de sa tàche, et notamment pour veiller à la perception régulière des taxes, compris la dirne.

Avant de devenir définitifs, les budgets devront lui ètre soumis. Elle aura le droit de rectifier dans le chapitrc des recettes et des dépenses !es dispositions qui ne seraient pas confonnes aux lois existantes ou ne répondraient point aux besoins économiques et financiers du Pays.

En vue de faciliter sa mission, la Commission aura la faculté de nommer pour chaque vilayet un inspecteur chargé de la surveillance des agents qui y sont employés aux divers services du fisc.

75 1 T. 925/78 dell'8 maggio il cui contenuto è qui indicato.

75 2 Vedi Allegato.

76

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 278/61. Pechino, 8 maggio 1905 (perv. i/17 giugno).

Ho l'onore di accusare ricevuta del dispaccio ministeriale n. 14683/37 datato 22 marzo u.s. avente per oggetto l'integrità della Cina1•

Ho avvicinato a questo proposito il sottosegretario di Stato Lien-fang il quale mi ha fatto la seguente dichiarazione:

«Il progetto di riunire una conferenza a Washington per definire un assetto delle cose di Estremo Oriente, fu originato dal nostro ministro di Cina in America Liangcheng il quale ne riferì a questo Governo centrale, per domandare l'avviso e chiedere istruzioni. Il Governo cinese è naturalmente favorevole a provocare la sanzione di un atto internazionale che, fondato sull'accordo di tutte le potenze, potrebbe essergli di gran vantaggio ed evitargli molte difficoltà in avvenire. Vennero perciò date istruzioni a Lian-cheng di tastare il terreno e infonnarci della opinione del Governo americano. Egli trovò invero benigna accoglienza ma soprattutto consigli di pazientare, vista l'assurdità di realizzare un simile progetto prima della fine della attuale guerra. La cosa è allora rimandata a tempo più opportuno e per ora nulla vi è di deciso neppure in forma di progetto per l'avvenire perché noi crediamo fin d'ora che qualche potenza, mossa da suoi privati interessi, rifiuterebbe di prendere parte all'accordo».

Non mi fu difficile accertarmi che questa potenza a cui si accennava era appunto la Germania, sempre più sospetta di mire sullo Shangtung. Della Russia non fu fatto parola non perché, come credo, il mio interlocutore volesse annoverarla tra le potenze ben disposte verso la Cina, ma solo perché il terrore che le eventuali future rappresaglie della Russia ispirano in questi circoli ufficiali è tale che si evita perfino di fame il nome come per allontanare un incubo di perpetua minaccia.

Riservandosi di infonnare la E.V qualora per l'avvenire, la idea di Liang-cheng cominci ad assumere forma concreta ...

76 1 Non pubblicato.

77

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

L. PERSONALE. Londra, 6-8 maggio 1905.

Giacché ella ha letto il mio precedente rapporto sull'Abissinia I, le mando pure il qui unito2 che la informerà dello stato della questione fino a ieri. La conclusione circa la necessità di cercare noi stessi una transazione colla Francia è a parer mio inevitabile. Fra gli interessi inglesi e francesi non esiste più su quel punto alcun conflitto sostanziale e se Lansdowne sostiene in una certa misura i termini del suo precedente accordo coli 'Italia egli lo fa più che altro per un riguardo di delicatezza verso di noi sebbene egli avesse fin dal principio dichiarato che quel progetto sarebbe da modificarsi in maniera da ottenervi l'adesione francese. L'appoggio di Lansdowne andrà quindi fino ad un certo punto e non oltre, e bisogna risolversi a trattare i nostri affari da noi là dove persiste la difficoltà cioè a Parigi. Beninteso che chi dice trattare dice transigere e sarà difficile riuscire al mantenimento letterale di tutte le nostre esigenze.

PS. (8 maggio): Leggo stamane nel Temps i telegrammi Ilg Menelik ed i commenti del Temps stesso. Sono i testimoni delle due correnti costì esistenti, fra le quali si tratta di trovare una via di mezzo che concili i diversi interessati in presenza. È una conciliazione che mi pare non debba essere impossibile specie mercé l'attitudine Menelik. Vedendo Gorst prima di partire cercherò persuaderlo che allo stato delle cose vi è interesse per l'Inghilterra a non aver prescia. Ma Cambon spinge molto.

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 716. Roma, 9 maggio 1905, ore 11,45.

In considerazione notizie sempre più gravi di Creta ho disposto immediata partenza altre due navi che potranno sbarcare circa duecento marinai con artiglieria. Voglia comunicare codesto Governo.

2 Vedi D. 70.

77 1 Vedi D. 67.

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 720. Roma, 9 maggio 1905, ore 13,40.

Nel colloquio di Venezia 1 ci trovammo d'accordo con Goluchowski nel riconoscere che, nell'eventualità di riordinamento delle circoscrizioni amministrative della Macedonia, le regioni prevalentemente albanesi oggi aggregate a vilayets macedoni, avrebbero dovuto essere aggregate all'Albania propriamente detta. Essendo probabile che nella imminente discussione del bilancio alla Camera io debba accennare a tale questione, pregola chiedere a Goluchowski di consentire che io eventualmente dica che ci siamo trovati d'accordo anche in questo punto2 .

80

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 929/80. Pera, 9 maggio 1905, ore 15,50 (perv. ore 17,10).

Con dettagli altrettanto chiari, quanto amichevoli, feci ieri al ministro degli affari esteri ed al gran vizir prescritta comunicazione circa Tripoli 1• Entrambi ascoltarono impassibili. Sua Altezza osservò solo che non ne vedeva la necessità dopo le esplicite esaurienti spiegazioni dateci circa inanità assurda notizia. Risposi comunicazione altra portata non aveva all'infuori di leale avvertimento ad amico col quale si tiene a conservare cordiali relazioni. Successivamente venne da mc Romei latore di un messaggio ufficiale del Sultano2 confermante, in sostanza, dichiarazioni fatte dal primo segretario a Cangià, menzionate nel mio telegramma n. 773 . Circa tale messaggio mi riservo riferire verbalmente a V.E. martedì prossimo [il 16].

79 1 Vedi D. 72. 2 Per la risposta vedi D. 83.

80 1 Vedi D. 61. 2 Vedi D. 81. 3 Vedi D. 74.

81

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 941/81. Pera, 10 maggio 1905, ore 11,44 (perv. ore 15,40).

Telegramma 726 1• Ad ogni buon fine riproduco messaggio imperiale comunicatomi da Romei:

«S.M. Imperiale tiene a fare dichiarare, nel modo il più esplicito, a S.E. ambasciatore di Sua Maestà che le voci corse in questi giorni circa la cessione porto di Tripoli Barberia ad una Società francese, sono invenzioni e fandonie. Porto Tripoli Barberia appartiene alla lista civile che provvederà, in seguito, lavori necessari per il suo riattamento lavori che, per ora, per mancanza di denaro, non è in grado iniziare. Non soltanto i pourparler per la cessione del porto di T ripoli ad una Società straniera non hanno [sic] mai esistito, ma tale idea non è mai sorta nella mente di S.M. Imperiale, né in quella dell'amministrazione dei beni della lista civile. S.M. Imperiale è dolente che la falsa notizia abbia raffreddato alquanto buoni rapporti che esistono tra il Governo e quello di Sua Maestà e tiene a fare sapere che è suo vivo desiderio che la sincera, provata amicizia che lega i due Sovrani, lega pure fra loro due Governi e due paesi. S.M. Imperiale, chiamando alla sua Corte un ufficiale di fiducia di Sua Maestà chiedendo nuovi ufficiali italiani per la riorganizzazione della gendarmeria nel vilayet di Adrianopoli soddisfacendo alle richieste di sudditi italiani che chiedevano posti nelle Amministrazioni e nella polizia ottomana, ha dato prova della sua grande simpatia per la nazione amica, né questa prova mancherà, in seguito, avendo

S.M. -Imperiale divisato di favorire industria italiana con numerose ordinazioni. S. M. -Imperiale prega S.E. ambasciatore di rendere noto al suo Governo la presente comunicazione ufficiale».

Messaggio dinotando apertamente preoccupazione Sultano giudicherà V.E. se non sia il caso, come a me parrebbe, rassicurare S.M. Imperiale mediante qualche dichiarazione amichevole2 . Parto direttamente Roma, via Brindisi.

2 Vedi D. 87.

81 1 Del 9 maggio. Tittoni-dovendo intervenire al Senato-dava istruzione di telegrafare con urgenza eventuali differenze tra il messaggio ufficiale del Sultano di cui al D. 80 rispetto alle dichiarazioni a Cangià di cui al D. 74.

82

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 947/46 bis. Londra, 10 maggio 1905, ore 21,35.

Ho accennato al marchese Lansdowne risposta contenuta nel telegramma di

V.E. n. 705 1 , circa invito del Sultano per invio di qualche ufficiale italiano nel vilayet di Adrianopoli. Sua Signoria mi disse che, qualora obiezioni di V.E. fossero motivate da una esitazione a fare assumere al solo Governo italiano le responsabilità di quella prestazione, egli non sarebbe alieno dal farvi cooperare Inghilterra con l'invio di qualche ufficiale inglese insieme agli italiani. Mi sono riservato intrattenere verbalmente V.E. di questa idea nella circostanza della mia venuta a Roma, ove sarò domenica prossima [ill4).

83

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 948/56. Vzenna, 10 maggio 1905, ore 22,45.

Ho parlato oggi a Goluchowski nel senso del telegramma di V.E. n. 7201 . Goluchowski mi ha detto che, siccome questione riorganizzazione circoscrizioni amministrative della Macedonia era contemplata nell'art. terzo del programma di Murzsteg, stato già accettato dali 'Italia e da altre potenze, egli non aveva difficoltà a che V. E. dichiari, in occasione discussione bilancio alla Camera dei deputati, che egli era d'accordo con lei nell'ammettere che, nella eventualità di tale riorganizzazione, regioni prevalentemente albanesi, oggi aggregate vilayet macedoni, avrebbero ad essere aggregate Albania propriamente detta. Ma il conte Goluchowski ha aggiunto che non sembravagli opportuno che VE. si esprima in tale occasione in modo come se si fosse addivenuto in Venezia ad un nuovo accordo sulla questione suddetta, perché ciò potrebbe forse sollevare suscettibilità conte Lamsdorf, facendo supporre esistenza intesa speciale coll'Italia, che di fatto non avvenne sopra un punto riguardante programma di Miirzsteg, pel quale Governi di Austria-Ungheria e di Russia erano, in primo luogo, chiamati a pronunziarsi.

83 1 Vedi D. 79.

82 1 Del 6 maggio, non pubblicato.

84

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 329/112. Pietroburgo, Il maggio 1905 (perv. il 22).

Con suo dispaccio n. 21260177, in data 25 aprile scorsoi, V.E., riferendosi ad alcune considerazioni da me svolte in precedenti rapporti circa i modi in cui potrebbe risolversi il conflitto russo-giapponese, si è compiaciuta informarmi che, ad onta delle correnti favorevoli ad una mediazione italiana che si fanno strada presso codesta pubblica opinione, il Governo del Re era d'avviso che fino a che non fossero segnalati indizi manifesti delle buone disposizioni del Governo russo riguardo ad una tale mediazione -disposizioni che attualmente non appaiono sussistere -ogni intromissione nostra sarebbe inopportuna.

Le dichiarazioni di V.E. mi sono riuscite tanto più gradite che esse corrispondono perfettamente ai concetti che, fin dal mio primo giungere in questa capitale, ho potuto formarmi sulla situazione, e che mi hanno poi servito di regola di condotta nei miei rapporti col Governo imperiale.

Allorquando lasciai il Giappone, verso la fine dell'ottobre scorso, ebbi campo di constatare come già allora si facesse strada nella parte più seria della popolazione un sincero desiderio di pace. Tali disposizioni erano particolarmente marcate presso quegli uomini di Stato, dentro e fuori il Governo, al cui senno ed esperienza non potevano sfuggire le disastrose conseguenze di una guerra prolungata, e che già sembravano inclinati ad accogliere ogni propizia occasione di venire a patti colla Russia e favorire e promuovere l'opera di qualunque intermediario che risultasse ai loro occhi sincera e disinteressata. L'insistenza con cui tennero ad espormi le condizioni più che moderate a cui il Giappone era disposto a trattare, le parole improntate a deferenza e simpatia con cui si espressero meco riguardo agli uomini ed alle cose di quest'Impero, e pronunziate molto probabilmente allo scopo che io le ripetessi a Pietroburgo, mi apparvero dirette a questo intento, quasi che già raffigurassero in me un possibile intermediario.

Tali erano allora gli umori dominanti a Tokio nelle sfere dirigenti. Esse avranno forse subito qualche modificazione in seguito ai rovesci russi a Port Arthur, e Mukden, che parvero far pendere definitivamente la bilancia a favore del Giappone. È probabile, però, che il formidabile punto interrogativo rappresentato dall'entrata in scena della squadra del Rojdestvenski abbia nuovamente ricondotto le cose al punto in cui si trovavano sei mesi sono.

Penetrato delle buone disposizioni del Giappone, speravo di trovare nel campo opposto, in mancanza di altrettanti concilianti umori, un terreno tuttavia non troppo scabroso sul quale poter eventualmente, se non iniziare direttamente un'azione a pro della pace -per cui mi sarebbe in ogni caso occorso il preventivo

assenso dell'E. V -almeno trovare il modo, nelle mie conversazioni con questi uomini di Governo e, valendomi della competenza datami da un lungo soggiorno presso la Corte del Mikado, di mettere convenientemente in luce gli intendimenti concilianti e le modeste pretese del Giappone, preparando forse la via a qualche passo più decisivo. Ma, al mio primo giungere a Pietroburgo, ho potuto convincermi del mio inganno. Ad eccezione dell'Imperatore e di qualche granduca che nelle brevi udienze di etichetta accordatemi mi rivolsero qualche interrogazione, aggirantesi invero più sulle risorse militari ed economiche del nemico che sui suoi propositi pacifici, nelle sfere dirigenti e responsabili mi sono dovunque urtato, per tutto ciò che ha tratto alla guerra ed al Giappone, ad un evidente partito preso di riserva e di silenzio. In questo senso, particolarmente rimarchevole fu il contegno del ministro degli affari esteri, conte Lamsdorf il quale, fin dalle prime nostre interviste, si studiò sempre di evitare ogni accenno (che pur presenta vasi così naturale) al mio ultimo soggiorno al Giappone, col fine evidente di impedire che la conversazione cadesse sul delicato argomento, ed a ciò ascrivo pure in parte il contegno insolitamente sostenuto c riservato tenuto sulle prime verso di me dal conte Lamsdorf. Ne trassi, quindi, la conclusione che ogni mia entratura al riguardo nel senso suespresso sarebbe qui stata sgradita, tanto più allora che sussistevano ancora i malumori causati dall'atteggiamento assunto dal nostro pubblico e dalla nostra stampa sia rispetto alla guerra sia alle condizioni politiche interne di questo Impero. In questi momenti, per me alquanto difficili, mi occorreva procedere con molta prudenza e cautela; credetti perciò dover uniformare il mio contegno, per quanto aveva tratto al conflitto russo-giapponese, a quello del conte Lamsdorf ed alla sua riserva e mutismo rispondere con eguale ritegno. Presentemente ancora, sebbene abbia ragione di ritenere, dalla accoglienza oltremodo cordiale ed affettuosa ora sempre fattami dal ministro, che le sue prevenzioni si siano totalmente dissipate, non ho creduto dovermi dipartire da tale linea di condotta, seguendo in ciò, del resto, l'esempio della maggior parte dei miei colleghi che sempre rifuggono di intrattenere il conte Lamsdorf sullo scottante e per la Russia doloroso soggetto.

La nota ripugnanza della Russia ad accettare la mediazione di terze potenze non risulta d'altronde, almeno in apparenza, essersi in questi ultimi tempi sensibilmente attenuata. Riguardo alla risoluzione del conflitto col Giappone, i concetti direttivi che ancora presentemente sembrano prevalere nelle sfere dirigenti, e come tali ufficialmente proclamati, possono, a mio giudizio, riassumersi nel modo seguente: il Governo russo non è alieno dal por termine alla guerra ma per il prestigio dell'Impero, ciò non potrà avvenire dopo qualche successo militare ottenuto su terra o sul mare. Riguardo al modo di trattare la pace, il Governo russo non è disposto ad ammettere che diretti negoziati fra le due potenze belligeranti, all'infuori di qualsiasi mediazione2 .

84 1 Vedi D. 54.

84 2 Tittoni rispondeva con Disp. 27358/99 del 29 maggio approvando il comportamento in una così delicata situazione.

85

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. l 007/60. Vienna, 16 maggio 1905, ore 19,55 (perv. ore 21,55).

Conte Goluchowski mi ha parlato oggi con viva soddisfazione delle dichiarazioni fatte dall'E. V. Camera dei deputati circa relazioni Italia Austria-Ungheria e convegno Venezia!, aggiungendo che avevale trovate eccellenti sotto ogni rispetto. Mi ha detto inoltre che era riconoscentissimo VE. per amabile telegramma da lei direttogli occasione decimo anniversario sua assunzione Ministero affari esteri.

86

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

D1sr. 25036/97. Roma, 16 maggio 1905.

Segno ricevuta e ringrazio V.E. del rapporto in data 3 maggio n. 910/103 1 avente per oggetto «Influenze delle condizioni politiche interne sulla orientazione della politica estera della Russia».

Per quanto specialmente riguarda l 'Italia è nostro proposito che le ingiusti ficate diffidenze le quali, siccome mi accenna, costì perdurano verso di noi vengano mano mano dileguandosi, e si stabilisca tra i due paesi quella corrente di sincera e cordiale simpatia che deve corrispondere ai buoni ed amichevoli rapporti esistenti fra i due Governi.

(p. 2729). [;6 1 Si tratta in realtà del R. 310/ l 03, vedi D. 62.

85 1 Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, l 904-l 905, vol. lll, tornata del 12 maggio. pp. 2703-2744: «... E se l'imperatore di Gcnnania fu ospite gradito dell'Italia e del suo Re, c se il conte Goluchowski restituì a me a Venezia con pari cortesia c cordialità la visita che io feci a lui ad Abbazia, né l'uno di questi avvenimenti poteva avere per i scopo di rafforzare i vincoli della Triplice Alleanza, che non erano mai rallentati, né l 'altro poteva avere per i scopo di migliorare i rapporti con l'AustriaUngheria, che erano già eccellenti, né di perfezionare un accordo, che con essa era già completo ....»

87

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO

T. CONFIDENZIALE 763. Roma, 18 maggio 1905, ore 15,50.

I particolareggiati rapporti verbali del r. ambasciatore hanno confermato sempre più favorevole impressione R. Governo per recenti leali esaurienti dichiarazioni Sultano e Governo imperiale circa Tripolitania Cirenaica 1• Conoscendo apprezzando sentimenti amicizia Sultano per il Re e I 'Italia, di quelle dichiarazioni siamo stati compiaciuti, non sorpresi.

Nel fare pervenire Sultano e Sublime Porta nostri ringraziamenti per gradite comunicazioni, importa ora V.S. si adoperi a rimuovere ogni qualsiasi apprensione che, in seguito recenti avvenimenti, possa ancora sussistere nell'animo di Sua Maestà circa nostri intendimenti. V. S. vorrà quindi insistere in modo particolare sulla continuità politica orientale R. Governo, essenzialmente interessato ad assicurare integrità Impero ottomano, fermamente deciso consolidare sempre più cordiali rapporti con Turchia2 .

Identica comunicazione farò a questo ambasciatore di Turchia.

88

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 342/113. Pietroburgo, 18 maggio 1905 (perv. il 29).

Traendo argomento dalle dichiarazioni da lei fatte alla Camera1 sui risultati politici dell'abboccamento avvenuto di recente a Venezia tra l'E.V. ed il conte Goluchowski -dichiarazioni su cui i resoconti dei giornali non furono in grado di fornirmi che ben sommarie informazioni -cercai, all'ultimo ricevimento al Ministero imperiale degli affari esteri, di raccogliere dalla bocca del conte Lamsdorf le sue impressioni intorno ali 'importante avvenimento. Il ministro, pur non dipartendosi anche in quell'occasione da quella riserva e parcità di parole con cui è solito abbordare ogni argomento interessante la politica balcanica, mi disse quanto era stato soddisfatto di quella intervista che, oltre al giovare direttamente alle relazioni fra l'Italia e l'Austria-Ungheria, avrebbe pure contribuito a mettere la posizione rispettiva delle due potenze nelle questioni balcaniche sopra un piede di maggior fiducia e concor

R7 1 Vedi DD. 74 e Rl. 2 Per la risposta vedi DD. 89 c 98. R8 1 Vedi D. 85, nota l.

dia, eliminando anche pel futuro molti motivi di malintesi e di attriti. Anche il conte Goluchowski aveva per mezzo di questo ambasciatore austro-ungarico barone di Aehrenthal fattogli esprimere tutta la sua soddisfazione per i favorevoli risultati raggiunti colla sua visita a Venezia.

Riguardo poi ai termini degli accordi intervenuti sulla questione albanese il conte Lamsdorf pretese nulla sapere di più di quanto avevano riferito i giornali. Aveva tuttavia ragione di credere che quelli stessi criteri direttivi che già inspirarono l'intesa e l'azione austro-ungarica in Macedonia-il mantenimento dello statu quo e l'impegno di non derogarvi che di comune accordo -abbiano del pari servito di guida, ora come nel primo convegno di Abbazia, alle deliberazioni ed agli accordi dei due ministri2 .

89

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1037/88. Pera, 19 maggio 1905, ore 23,35 (perv. ore 6 del 20).

Ricevuto in udienza privata dal Sultano con interprete Chabert, feci comunicazione ordinatami da V.E. con telegramma n. 763 1 . Addussi buoni argomenti dimostrando identità interessi Italia-Turchia mantenere, in ordine Tripolitania e Cirenaica, equilibrio del Mediterraneo. S.A. Imperiale ascoltò con visibile compiacimento, ringraziò per dichiarazioni amicizia R. Governo, ricordando pure precedenti assicurazioni r. ambasciatore. Si disse felice udire ora dichiarazioni rassicuranti di V.E. Si fece quindi recare testo telegramma di Sua Maestà e della sua risposta2 , facendomi insistentemente notare espressioni in essa da lui usate. Aggiunse: quei telegrammi, che saranno conosciuti da tutti, produrranno grande effetto, serviranno confermare buone relazioni esistenti fra i due paesi. S.M.Imperiale mi ripetè suoi sentimenti verso l'Italia specialmente verso persona S.M. il Re, pel quale ha speciale amicizia. Chiese notizie salute nostro Augusto Sovrano, pregandomi trasmettere a S.M. il Re suo desiderio essere, a suo tempo, infonnato futuro lieto avvenimento, onde poter subito inviare felicitazioni. S.M. Imperiale congedandomi, mi conferì gran cordone Medijdiè. Chiesto permesso, furono allora introdotti e presentati ministro Guiccioli e

2 Trasmessa con R. 846/317 del20 maggio: «A S.M. le Roi d'ltalie. C'est avec le plus vifplaisir que j'ai reçu le télégramme de Votre Majcsté. Les sentiments de cordiale sympathie nés depuis de si longues années cntre nous et les relations franchement amicales subsistant entre nos deux Gouvernements sont, j'en ai la ferme conviction, invariables et empreints toujours dc la mème sincérité. Les termes si confonnes à ces sentiments, du télégramme de Votrc Majesté sont fort précieux à mes yeux. Je remercic dc tout coeur V otre Majesté».

deputato Solimbergo. Mi risulta, da fonte autentica, che telegramma di S.M. il Re c comunicazione da VE. ordinatami produssero ottimo effetto sul Sultano, il quale dalle discussioni parlamentari aveva riportato qualche apprensione.

88 2 Per la risposta vedi D. l 05.

89 1 Vedi D. 87.

90

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 25534/196. Roma, 19 maggio 1905.

Ringrazio l'E. V. del rapporto in data 4 corrente, n. 159 1 , relativo al colloquio da Ici avuto col marchese Lansdowne, in ordine al ritiro delle truppe di terra dalla Cina, che il R. Governo ha effettivamente ordinato, secondo le disposizioni partecipate, a suo tempo, alla r. legazione in Pechino, col telegramma in data 9 marzo p.p2 , inserito nella raccolta dei documenti diplomatici della serie XX, suh n. 2522.

Le ragioni del provvedimento di cui si tratta sono, in sostanza, quelle dalla E.V. accennate nel rapporto. Nel tradurre in atto il provvedimento, abbiamo tuttavia avute presenti le intelligenze prese tra i rispettivi comandanti e ricordate nell'art. IX del protocollo di pace colla Cina del 7 settembre 190 l; impcrocché, dci tre impegni da noi presi, due sono tuttora osservati, essendo mantenuti, colla sola surrogazionc di marinai a soldati, i prcsidì di Pechino (r. legazione) e di Uang-sung, c cessa soltanto il nostro contributo, ormai superfluo, al presidio di Tientsin, nel quale consisteva il nostro terzo impegno. Bensì debbo aggiungere nostra intenzione essere di sgomberare più tardi anche Uang-sung; il r. ministro a Pechino ebbe, a tale riguardo, istruzione di consultarsi coi colleghi per decidere se i vi debba installarsi altro presidio estero od un presidio cinese.

91

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE ] 056. Francofòrte, 21 maggio 1905, ore 15,55 (perv. ore 18.35).

Empereur m'a di t cc ma tin avoir reçu rapport mission Tattenbach. Sultan Maroc aurait dit à Tattenbach qu'il n'a fait, ni fcra concessions spéciales à la France, qu'il est incxact qu'il ait approuvé accord français-anglais, que pour lui cet accord anglais n'existe pas.

è Non pubblicato.

90 1 Vedi D. 65.

92

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1075/10. Belgrado, 23 maggio 1905, ore 15,1 O.

Dovendo recarmi da S.M. Re di Serbia per portargli saluti di S.M. Sultano, è probabile si parli intorno oggetto del rapporto, n. l 07, 19 corrente, di questo incaricato d'affari 1 . Ne informo V. E. qualora creda opportuna qualche dichiarazione circa apprensione qui suscitata da parte del discorso di V.E. relativa limiti Albania2 .

N.B.: Il rapporto n. 107 non è ancora giunto al Ministero3 .

93

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Drsr. 26380/53. Roma, 23 maggio 1905.

Le segno ricevuta del rapporto n. 49 del l o aprilc 1 relativo all'accordo con il Mullah.

Circa all'accordo con l'Inghilterra per la Somalia del Nord di cui il Negus le chiese, ella può dichiarare che l'Italia ha concluso il suo accordo anche in nome dell'Inghilterra che per la parte che la riguarda è verso di noi garante dell'osservanza delle condizioni stipulate da noi col Mullah. Le unisco per sua opportuna conoscenza copia dell'accordo stesso2 .

92 1 Non pubblicato, ma vedi D. 99. 2 Nella tornata del 12 maggio alla Camera dci deputati di cui al D. 85, nota l. 3 Per la risposta vedi D. 94.

93 1 Vedi D. 3. 2 Vedi serie terza, vol. Vlll, D. 958.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

T. 801 1• Roma, 24 maggio 1905, ore 17,10.

Ella può dichiarare che effettivamente ci siamo trovati d'accordo con Goluchowski nel riconoscere per l'eventualità di una nuova circoscrizione amministrativa in Macedonia la convenienza di aggregare all'Albania i territori albanesi, attualmente inclusi nei vilayets macedoni. Ma questo principio generale dovrà essere poi eventualmente applicato caso per caso e villaggio per villaggio con criteri obbiettivi nella cui determinazione ella può rassicurare che non si troverebbero lesi i legittimi interessi nazionali della Serbia.

95

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1095/61. Vienna, 25 maggio 1905, ore 14,15 (perv. ore 18,35).

Durante ispezione truppe guarnigione Vienna, fatta ieri mattina al Prater dall'Imperatore, cui intervennero addetti militari esteri, S.M. l 'Imperatore espresse tenente colonnello Del Mastro sua viva soddisfazione per convegno avvenuto Venezia, tra V.E. ed il conte Goluchowski e, accennando discorso di lei Camera dei deputati circa relazioni Italia Austria-Ungheria, rilevò con compiacenza non avere mai letto dichiarazioni così chiare, esplicite e complete.

94 1 Risponde al D. 92.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 27123/204. Roma, 27 maggio 1905.

Ho il rapporto n. 162 del 4 maggio 1905 1 relativo alle minacce del Mullah contro alcune tribù lungo il Giuba.

Come bene osservò il marchese di Lansdowne trattasi evidentemente di informazioni anteriori all'accordo col Mullah e perché circa tre mesi fa quelle minacce avesser potuto conoscersi sul Giuba sarebbe stato necessario che gli emissari del Mullah fossero partiti dal campo suo almeno un paio di mesi in precedenza.

Le autorità britanniche, come del pari questo Ministero, debbono quindi allo stato attuale delle notizie ritenere destituite di ogni serio valore queste minacce che l'ulteriore svolgersi degli avvenimenti lascerà senza conseguenze.

Ad ogni modo, il R. Governo non crede nullamente che con la firma dell'accordo Pestalozza sia cessato il proprio compito ed il Sayed Mohammed bin Abdallah sarà, per quanto lo consentono le circostanze, attivamente sorvegliato e chiamato all'esatta osservanza dei patti sottoscritti.

97

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 536/187 1• Londra, 27 maggio 1905 (perv. il 31).

In conferma del mio telegramma di ieri a V.E. (n. 49f, ho l'onore di rimetterle in copia la nota pervenutami ieri stesso dal marchese di Lansdowne, con la quale il Governo britannico aderisce, per quanto lo concerne, alle clausole della convenzione di pace conchiusa il 5 marzo u.s. ad Illig dal cav. Pestalozza col scheik Mohammed ben Abdallah. Essa serve di risposta a quella da me indirizzata a Sua Signoria in data del 28 marzo, che pure trasmetto qui unita3 , per comunicargli il testo della convenzione predetta.

Come già ebbi ad avvertirne V. E., l'indugio subìto da codesto riscontro fu dovuto all'avere il Colonia] Office domandato, per buona regola, al generale Swayne in Berbera conferma ufficiale della sua intesa circa il contenuto di quell'accordo: il generale essendo allora appunto partito per un'escursione nell'interno, fu soltanto dopo alcune settimane che si poté qui ricevere la sua risposta telegrafica.

2 T. 1108/49 del 26 maggio, non pubblicato.

3 Non pubblicata.

Come risulta dall'unito documento, il Governo britannico si dichiara lieto di accettare i termini che lo concernono della nostra convenzione. Il marchese di Lansdowne desidererebbe però che il cav. Pestalozza cd il generale Swaync addivcnisscro fra loro alla redazione di un accordo suppletivo per meglio chiarire taluni punti relativi alla sua esecuzione, per quanto riguarda in ispccie i rapporti di vicinato con gli abissini, le località assegnate al Mullah nel Nogal c le sistemazioni delle eventuali contese con le tribù protette britanniche.

96 1 R. 461/162, non pubblicato.

97 1 Autografo.

98

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 887/330. Therapia, 29 maggio 1905 (perv. il 6 giugno).

Faccio seguito al mio rapporto n. 317 del 20 corrente 1•

Confom1e le istmzioni contenute nel telegramma n. 763 del 18 corrente:> feci, alla prima occasione, anche alla Sublime Porta, cioè al gran vizir ed al ministro degli aftàri esteri, le comunicazioni ordinatemi a proposito delle pretese concessioni del porto di Tripoli.

Il ministro degli affari esteri mi espresse il suo compiacimento e i suoi ringraziamenti. Lo stesso fece il gran vizir aggiungendo tuttavia che il discorso di V.E. al Scnato3 lo aveva posto in situazione difficile di fronte a taluni ministri suoi colleghi, avendo egli sempre sostenuto la politica dell'amicizia leale verso l'Italia. Sua Altezza mi citò il ministro dell'interno c soggiunse che l'Italia ha qui dei nemici che profittano d'ogni occasione per mettere la discordia.

Non saprei dire se con quest'ultima frase volesse alludere ancora a quei suoi colleghi ovvero all'ambasciata d'Austria. Io gli replicai ad ogni modo che il Governo ottomano aveva oramai avuto prove a sufficienza della leale amicizia c della schietta simpatia che costantemente ispirarono la politica d eli 'E.V. riguardo il Governo imperiale. E il gran vizir mi rispose che non ne dubitava menomamente.

Secondo ebbi l'onore di riferire col rapporto in principio citato, ritengo che lo scambio di telegrammi fra S. M. il Re, Nostro Augusto Sovrano c S.M. il Sultano, le comunicazioni tàtte da VE. a Rescid Bcy e le comunicazioni tàtte da me, per ordine dell'E.V., al Sultano cd alla Sublime Porta abbiano dissipato le preoccupazioni che gli ultimi avvenimenti avevano occasionato. Tuttavia, a maggionncnte conseguire questo scopo, qualora ve ne fosse bisogno, e in confonnità delle istmzioni contenute nel citato telegramma di VE. in data 18 corrente, ho incaricato il r. interprete Chabert di cogliere

2 Vedi D. 1\7.

" Vedi Atti parlamentari. Senato del Regno. Discussioni, 1904-1905, vol. IL tornata del

IO maggio 1905, pp. 741-768.

le propizie occasioni nel discorrere colle sue conoscenze del Palazzo e della Sublime Porta, per insistere sulle intenzioni sempre fermamente amichevoli del R. Governo verso l'Impero ottomano. Uguale incarico ho dato al capitano Romei che per la speciale ed eccellente posizione acquistatasi alla Corte imperiale è in grado di rendere utilmente tale servizio. E finalmente ne ho discorso a titolo assolutamente personale ed in linea generale col mio collega, barone Bodman, incaricato d'affari di Germania, sul quale posso fare affidamento, e che direttamente o per mezzo dei suoi dragomanni coglierà le favorevoli occasioni che si presenteranno per adoperarsi, come di propria iniziativa, a dissipare ogni equivoco che ancor potesse eventualmente sussistere.

Ma quanto alla questione propriamente detta di Tripoli ed alle aspirazioni che si attribuiscono all'Italia è ragionevole supporre che si tornerà allo stato di prima e cioè a quella amichevole diffidenza che la Sublime Porta da molti anni ci dimostra per tutto quanto riguarda la Tripolitania, come ne fanno fede le misure militari che in passato furono adottate in quella regione.

98 1 Vedi D. 119. nota 2.

99

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA

DISP. 28006/65. Roma, JO giugno 1905.

Ho ricevuto il rapporto di VS. in data 19 maggio, n. 3121107 1 , relativo alle preoccupazioni destate costì dalle mie recenti dichiarazioni alla Camcra2 sull'argomento di una eventuale aggregazione al!' Albania dci territori albanesi attualmente inclusi nei vilayct macedoni, quando si presenti l'opportunità di una nuova circoscrizione amministrativa della Macedonia.

La ringrazio pei ragguagli fomitimi, e mentre le confermo il mio telegramma del 24 maggio, n. 80 l', le partecipo che, il 23 corrente, è venuto da mc questo ambasciatore di Russia per darmi comunicazione di un telegramma col quale il ministro di Russia a Belgrado si faceva interprete delle preoccupazioni serbe, in ordine ai supposti nostri accordi col!' Austria-Ungheria, relativamente all'Albania.

Ho risposto al conte Mouraviev che, anzitutto, non si trattava di accordi intervenuti fra l 'ltalia e l'Austria. come egli sembrava chiedere, ma di semplici conversazioni svoltesi fra il conte Goluchowski c me. Gli ho, inoltre, fomiti schiarimcnti analoghi a quelli contenuti nel mio telegramma alla S.V. sopramenzionato.

L'ambasciatore di Russia si dichiarò pienamente soddisfatto delle mie assicurazioni.

Tanto partecipo a V. S. per opportuna sua notizia c norma eventuale di linguaggio.

Scrivo in senso analogo alla r. agenzia diplomatica a Sofia 1•

' Vedi D. 85, nota l.

3 Vedi D. 94.

99 1 Non pubblicato.

100

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. RISERVATO 8381 . Roma, 3 giugno 1905, ore 11,45.

Ho veduto2 il conte Monts il quale mi comunicò che il Sultano del Marocco, seguendo i suggerimenti della Germania, aveva rifiutato le proposte francesi. In risposta, la Francia avrebbe dichiarato al Sultano: l) che le potenze mediterranee sono d'accordo per escludere qualunque influenza della Germania nel Marocco; 2) che qualora il Sultano persistesse nel suo rifiuto d'accogliere le proposte francesi, la Francia avrebbe occupato militarmente il Marocco.

In ordine a queste due dichiarazioni del Governo francese, il conte Monts mi ha detto che quanto alla prima, il Governo germanico chiede all'Italia amichevoli chiarimenti, e quanto alla seconda esso dichiara nel modo più preciso che al primo passaggio della frontiera del Marocco da parte di truppe francesi, l'esercito germanico invaderebbe la Francia.

Ho risposto al conte Monts che noi avevamo con la Francia un solo impegno, di disinteressamento, e che né la Francia ci ha chiesto, né noi la abbiamo mai autorizzata a far dichiarazioni al Sultano circa l'esclusione dell'influenza germanica nel Marocco.

Avendo poi domandato all'ambasciatore se la Germania si fosse preoccupata di un possibile intervento del! 'Inghilterra in caso di conflitto fra la Germania e la Francia, egli mi ha risposto che certamente la Germania si era preoccupata di questa eventualità, e che aveva anche considerata la possibilità che l 'Inghilterra, intervenendo nel conflitto, riuscisse a distruggere il commercio germanico e a togliere alla Germania le sue colonie. Siccome peraltro (ha soggiunto il conte Monts) noi occuperemmo tutto il territorio francese, metteremmo anche questo in conto alla Francia.

Il conte Monts mi domandò infine come noi avremmo interpretato il trattato d'alleanza qualora il conflitto dovesse mai verificarsi. Gli ho risposto facendo riserva su questo punto.

Continuando la conversazione, il conte Monts mi disse che la Germania del resto è sempre pronta a venire ad un accomodamento con la Francia con l'intervento delle potenze firmatarie del Trattato di Madrid, e mi chiese, dopo aver preso atto delle risposte che gli avevo date, se avrei potuto dirgli in seguito qualche cosa di più preCISO.

Gli risposi che avrei intrattenuto della cosa il sig. Barrère e i rr. ambasciatori a Parigi e Londra, e che poi avrei nuovamente conferito con lui.

La gravità di queste comunicazioni fattemi dal conte Monts non hanno mancato di preoccuparmi seriamente come l'E. V. comprende, tanto più che mi hanno ricordato le parole di minaccia contro la Francia che l'Imperatore pronunciò in mia presenza

2 Il 2 giugno.

a Napoli 3• D'altra parte la conoscenza che ho del carattere del conte Monts non mi permette di escludere in modo assoluto che egli anche senza volerlo abbia forse aggravato gli intendimenti del suo Governo. Ad ogni modo prima di fare qualunque comunicazione al Governo francese, io desidererei essere ben assicurato sulle vere disposizioni di codesto Governo. Se io sono disposto ad esercitare col massimo buon volere ogni possibile azione per la pace d'altra parte io non vorrei che una comunicazione così grave, qualora essa non rappresentasse una reale e ben maturata decisione del Governo tedesco, potesse raggiungere un risultato opposto. Io mi affido alla sua esperienza al suo tatto e alla sua influenza per avere opportuni schiarimenti che mi possano servire da guida sicura. È superfluo che io le raccomandi che il passo che ella è per fare sia fatto in modo che quand'anche per avventura venisse a conoscenza del conte Monts non possa urtarne la suscettibilità4•

l 00 1 Dali' archivio segreto di Gabinetto.

101

IL MINISTRO A TANGERI, MALMUSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1180/7. Tangeri, 3 giugno 1905, ore 17,1 O (perv. ore 21,10).

A conferma del mio telegramma n. 61 .

Ricevetti poc'anzi al pari dei miei colleghi una nota del Governo imperiale con la quale partecipa che S.M. Sceriffiana chiede a tutte le potenze consentire ad una conferenza in Tangeri dei loro rappresentanti coi suoi da nominarsi per trattare attuazione riforme che il Sultano si è proposto introdurre adeguatamente alle presenti condizioni dell'Impero e dei relativi provvedimenti finanziari. Conclude pregando il R. Governo [ ...]2 me alla suddetta conferenza e opportunamente rispondere alla nota3 .

101 1 T. 1145/6 del31 maggio, non pubblicato. 2 Gruppo mancante. 3 Per la risposta vedi D. 128.

100 3 Vedi D. 16. 4 Per la risposta vedi D. l 02.

102

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

Berlino, 4 giugno 1905, ore 22,55 (perv. ore 6 del 5).

Réponse à votre dépèche n. 8382 .

Malgré fètc du marriage, qui prcnd matériellemcnt tout le temps du Chancelier et le mien, j 'ai pu avoir aujourd'hui une conversation avec le comte de Bi.ilow. Prévoyant le but dc la visite que je lui avais annoncée d'urgence, S.E. avait mis sur un bout de papier quelques notes qui, m'a-t-il dit, résument les déclarations qu'il a chargé le comtc de Monts dc faire à VE. C es notes sont à peu près ainsi conçues:

l) nous nous sommcs placé et nous resterons dans la questi o n du Maroc sur la base des traités cxistants;

2) nos droits reposent sur la Convcntion de Madrid, qui, pour nous, reste et restcra en vigueur tant que des modifications, par nous acceptées, n 'y sont pas introduites par une nouvelle conférencc, quc le Sultan du Maroc propose;

3) l'attitudc de quelques puissances nous fait encore douter quc cette nouvellc confércnce puisse avoir lieu: l'acccptation en principe par J'Italie est cependant jugée comme un acte amicai et une conséquence nécessairc de l'alliance.

Dans la suite dc la conversation, au cours de laquellc j'ai fait mcntion directe des paroles de Monts à VE. qu'autant qu'il était nécessairc pour cn éclaircir portéc, Chancclier m'a encore déclaré:

l) que la France aurait en effct notifié au Sultan du Maroc que l es puissances méditerranéenncs sont d'accord en écartcr toutc nouvcllc conférence, et surtout toute intluence de l'Allcmagnc;

2) que le Sultan ne peut accepter la proposition de la France sans dcvenir un second bcy dc Tunis; 3) que la France officiellcment n'a pas encore déclaré au Sultan que s'il persiste dans son refus elle occuperait militaircment Maroc, mais elle cn fait courir bruit;

4) quc sur cctte mcsure il y a divcrgence d'opinions en France et elle paraìt bien doutcuse: si, par malheur, cependant elies venaient à ètrc exécutécs, l'Allcmagne ne pourrait absolumcnt pas la tolércr: elle la considérerait comme véritable insultc, et une provocation à la guerre, à laquelle elle est prètc.

En conclusion, et cela résulte clairement dc tout le discours du Chancclier d'aujourd'hui, le Cabinet de Berlin travaille, et a encore espoir pouvoir régler I'affaire Maroc au moycn d'une conférence: si cct espoir ne se réalise pas, il désircrait ne pas trouvcr, parmi ccux qui l'ont tàit échouer, son alliée Italie. A mon humblc

Vedi D. l 00.

avis, puisque nous n'avons aucun engagement contraire et avons tout à gagner d'une confércnce, il nous conviendrait l'accepter en principe, si nous ne l'avons pas encorc fait.

l 02 1 Dali" archivio segreto di Gabinetto.

103

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 423/113. Il Cairo, 4 giugno 1905 (perv. i/13).

Col dispaccio n. 23771/1041 l'E.V. mi accusava ricevuta dei m1e1 rapporti nn. 89 1 e 95 2 (24 e 28 aprile u.s.) e mi infonnava che cotesto R. Ministero farà oggetto di studio le riforme accennate da lord Cromer nell'intento di salvaguardare gli interessi del nostro commercio e della nostra colonia. Da questo punto di vista ella mi incaricava di riferire quelle avvertenze e quelle proposte che mi sembrassero meritevoli di esser tenute presenti dal R. Governo.

Le riforme alle quali alluse lord Cromer nella sua relazione annuale vennero da lui appena accennate senza scendere a particolari precisi, difficile è quindi voler dire fin d'ora e con esattezza quali ne saranno tutte le conseguenze pratiche per la nostra colonia.

Volendo però fare un tentativo in tal senso si deve tener conto del fatto che la colonia italiana si compone per la maggior parte di elementi che vivono dell'industria, del commercio cd in una parola della ricchezza pubblica e nulla hanno da aspettarsi dal Governo.

La categoria degli impiegati governativi di nazionalità italiana può ormai dirsi sparita. Nella epurazione compiuta in questo ventcnnio, gli italiani vennero per la quasi totalità eliminati e la causa di ciò deve cercarsi nel sistema seguito per reclutar

li. Quando il Governo egiziano ricorreva volentieri ad clementi stranieri per cercare funzionari, si rivolgeva generalmente alle agenzie diplomatiche o, per esser più esatti, accoglieva le raccomandazioni delle agenzie stesse. In generale esse, e più specialmente quella di Francia che aveva maggiore attività ed influenza, cercavano di collocare nell'amministrazione egiziana elementi buoni, atti ad occupare gli alti gradi preoccupandosi del prestigio che ne veniva al loro paese.

L'agenzia d'Italia invece oppressa dalle numerosissime raccomandazioni rinunciò in pratica ad ottener buoni impieghi per gli italiani e si accontentò di impiegarne molti. In tal modo si venne a stabilire praticamente la regola che le alte posizioni erano occupate da francesi (tanto che non poche amministrazioni ebbero direzione esclusivamente francese), da alcuni austriaci, da pochi inglesi e da pochissimi tedeschi; quelle più umili da italiani e le infime da greci.

2 Vedi D. 5R.

Nessuna cura si ebbe naturalmente nella scelta del personale che si designava e, per spirito di carità o per arrendevolezza alle raccomandazioni ricevute, si contribuì a far entrare nelle amministrazioni egiziane elementi pessimi che pregiudicarono nella pubblica estimazione i buoni che pure non mancavano. Ne conseguì, come era logico, che quando Iord Cromer iniziò l'opera di risanamento di questa amministrazione, gli italiani vennero eliminati, molti fra di essi perché Io meritavano, gli altri perché, dipendendo da capi uffici stranieri, non vennero sostenuti neanche quando Io avrebbero potuto essere.

Oramai ben pochi sono gli italiani tuttora impiegati del Governo egiziano e quei pochi che Io sono stanno per ritirarsi godendo di pensioni relativamente larghe, onde il loro avvenire non deve dar luogo ad alcuna preoccupazione.

La nostra colonia in Egitto può calcolarsi ascenda, in cifre molto approssimative, a circa quarantamila individui, divisi fra Alessandria (diciannovemila), Cairo (quindicimila), Porto Said e Suez (cinquemila), e nei vari villaggi (mille).

L'incertezza di queste cifre dipende da due cause: l'irregolarità nelle iscrizioni ed il bisogno che avrebbero i registri dei nazionali di essere riordinati.

Gli italiani che vengono in Egitto hanno in generale una certa ripugnanza ad iscriversi nel consolato, perché, nel loro concetto, le autorità sono sinonimo di formalità e di tasse. Essi rimandano quindi per quanto possono la loro visita in consolato fino a che non si verifichi un caso in cui l 'intervento del console sia necessario. In realtà ormai in Egitto il forestiero gode di tanta sicurezza e libertà che passano a volte anni prima che uno senta il bisogno di ricorrere alle proprie autorità. Molti dei nuovi arrivati non figurano quindi fra gli iscritti nei consolati.

I registri dei nazionali rimontano a date assai lontane da noi, e non furono tenuti sempre con troppa regolarità. Sarebbe quindi necessario sottoporli ad una accurata revisione, il che non è possibile per la scarsità del personale dei varì consolati dove si hanno ora meno funzionari di quanti ve ne erano in passato, quando il numero degli affari era minore. Come è naturale, della mancanza di personale soffrono quelle parti del servizio che non riguardando interessi dei privati sono sottratte al quotidiano controllo del pubblico.

Per queste ragioni non è possibile fornire dati anche approssimativamente esatti, ma credo che la cifra da me indicata di quarantamila individui non sia molto lontana dal vero.

Una metà degli italiani di Egitto è costituita da operai, piccoli impiegati, di banche, amministrazioni private e garzoni di botteghe etc.

Un quarto circa sono italiani soltanto di nome, giacché nati in Egitto da famiglie originarie di qui, divenute suddite toscane per sottrarsi alle vessazioni alle quali erano esposti in questo paese gli israeliti, sessanta o settanta anni or sono.

Fra questi non pochi sono ricchi e alcuni ricchissimi. Una quarta parte degli italiani di Egitto sono commercianti, impresari di costruzioni, avvocati, ingegneri etc. Essi guadagnano assai e fra i primi specialmente se ne potrebbero indicare alcuni che hanno fatto una cospicua fortuna. La vita materiale di tutti questi non dovrà cambiare sensibilmente per il cessare delle capitolazioni in Egitto. Fra i primi, in quella che si potrebbe dire la plebe della nostra colonia, assieme a gente attiva, capace e generalmente apprezzata trovansi gruppi più numerosi di

quanto sarebbe desiderabile, che vegetano nell'ozio grazie a qualche soccorso che giunge loro dai privati o dalla società di beneficenza, altri che sfruttando la prostituzione riescono a vivere comodamente ed infine alcuni vagabondi che passano la loro vita fra la prigione, dove soggiornano una parte dell'anno, l'ospedale ed i quartieri più poveri dove trovano modo di farsi mantenere da qualcuno.

Questi risentiranno un grave danno dallo sparire delle capitolazioni, nelle quali trovano un rifugio contro la polizia e grazie alle quali vengono giudicati con meno severità.

Ma per il rimanente della nostra colonia non vi sarà granché di mutato. l lavori non cesseranno certamente, né altri muratori o altri falegnami etc. saranno preferiti agli italiani se questi lavoreranno meglio ed a miglior mercato degli altri. Il piccolo commercio, la banca etc., non avranno menomamente a soffrire dalla soppressione del regime capitolare, né si costruiranno meno edifici pubblici o il commercio diminuirà.

Con ciò non voglio dire che non vi siano fra la nostra colonia lagnanze all'annuncio della soppressione dei privilegi di cui ha goduto finora. L'idea di doversi sottomettere a dei regolamenti municipali, quella di dover comparire dinnanzi a magistrati inglesi o almeno dipendenti da una amministrazione inglese, che essi sanno rigida e piuttosto severa, non sorride ad alcuno, in modo speciale agli elementi poco disciplinati ed assai guasti da cattive consuetudini amministrative, come sono gli italiani di Egitto.

Per le suesposte ragioni credo che soltanto argomenti di indole prettamente politica debbano esser presi in considerazione dal R. Governo per decidere se gli convenga o no aderire alle proposte che gli verranno sottomesse, e mi par fuori di dubbio che nessun reale interesse economico della nostra colonia potrebbe esserne minacciato.

Nel mio rapporto n. 95 del 28 aprile scrivevo doversi escludere in ogni caso il concetto di ottenere qui in Egitto dei compensi in cambio dell'eventuale nostra arrendevolezza alle prevedibili domande inglesi. Non saprei infatti in che cosa questi compensi potrebbero consistere.

Dato che ogni barlume d'influenza politica non inglese sia destinato a scomparire dall'Egitto e siccome lord Cromer non nasconde che il suo scopo è quello di far cessare qualunque influenza dei Governi esteri nell'amministrazione egiziana e non essendo prevedibile che sorgano ostacoli all'opera sua non vedo che cosa si potrebbe chiedere con probabilità di riuscita.

Nel citato mio rapporto aggiungevo che in questo paese non è praticamente utile cercare altro che un avvenire puramente commerciale. Ma per questo nulla possiamo chiedere al Governo inglese. Quando avremo concluso la convenzione commerciale che dal 1903 si sta negoziando, avremo assicurato al nostro commercio un trattamento pari a quello accordato agli altri paesi, l'Inghilterra compresa, e nulla di più potremo sperare di ottenere.

Il nostro commercio va prendendo sempre maggiore importanza e molta più ne avrebbe già acquistata se mezzi di comunicazione fra l'Italia e l'Egitto non vi si opponessero. Su questo punto, del quale già ho avuto l'onore di riferire negli scorsi anni, credo potrebbe concentrarsi l 'attenzione del R. Governo giacché ciò che manca al nostro commercio per poter lottare vantaggiosamente con quello degli altri paesi è che i noli fra l'Italia e l'Egitto non siano superiori a quelli tra i porti della Germania del Belgio dell'Inghilterra e l'Egitto. Attualmente i noli della Navigazione Generale sono, come già scrissi, in alcuni casi tripli a quelli delle compagnie estere per i viaggi da Amburgo, Anversa etc. ad Alessandria.

Qualora il R. Governo volesse studiare in che cosa potrebbero consistere compensi di pratica utilità da chiedere eventualmente all'Inghilterra, io credo bisognerebbe cercarli fuori dali 'Egitto.

Uscirei dal mio compito se volessi potere indicare dove trovarli e non ho clementi per farlo; debbo però accennare alle eventualità che il Sudan meriti di attirare l'attenzione del R. Governo.

Io non conosco quella regione, dove del resto non fu mai alcun funzionario italiano eccettuati i due addetti militari che seguirono le spedizioni anglo-egiziane del 1896-97 e '98. Non potrei quindi nemmeno vagamente accennare se, c come, vi sia modo di trame per gli italiani un 'utilità qualunque. Da quanto leggo e sento a dire ogni giorno sembra che in Sudan abbondino terre fertili, il clima sia in alcuni luoghi sopportabile e manchino le braccia per sfruttare le ricchezze agricole naturali.

Queste condizioni di cose mi sembrano meritevoli di attenzione e forse vi potrebbe essere la convenienza che quelle regioni fossero studiate.

In una conversazione che ebbi recentemente con Iord Cromer egli sembrò !asciarmi intendere che quando i suoi progetti avessero preso una forma concreta e fossero dettagliatamente studiati, ve!Tebbero discussi con i vari Governi direttamente in Europa e non qui per mezzo dci rappresentanti esteri, giacché, secondo egli mi diceva, è da prevedersi che sottoponendoli ai Governi stessi sarà molto più facile ottenere l'adesione a tutto il complesso delle riforme evitando discussioni di dettaglio. Lord Cromer in appoggio di questo suo modo di vedere mi citava l'esempio delle relativamente poco importanti riforme giudiziarie la cui approvazione non ha ancora ottenuto benché si stiano discutendo da parecchi mesi, mentre l'accordo anglo-francese, la cui importanza è molto maggiore, fu concluso dopo pochi mesi di negoziati ed in pochi giorni I' Inghilte!Ta ottenne l'adesione dei vari Governi, trattando direttamente con essi ed evitando l'intermediario dei loro rappresentanti in Egitto.

Circa I' epoca in cui le proposte verrebbero presentate nulla seppi di preciso ma credo assai probabile ciò possa avvenire verso la fine del corrente anno o nei primi mesi del prossimo.

l 03 1 Non pubblicato.

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, E A PARIGI, TORNIELLI

Roma, 5 giugno 1905, ore 22,30.

Questo ambasciatore di Germania mi ha fatto l'altro giorno alcune comunicazioni relative al Marocco2 , le quali, completate dalle informazioni che ho ricevuto per mezzo del generale Lanza3 , si possono riassumere così. Il Sultano del Marocco seguendo i suggerimenti della Germania ha rifiutato le proposte francesi. In risposta la Francia avrebbe dichiarato al Sultano anzitutto che le potenze mediterranee sono d'accordo per scartare la convocazione di una nuova conferenza e soprattutto per escludere qualunque influenza della Germania nel Marocco. Inoltre la Francia, pur non avendone fatta ancora ufficiale dichiarazione al Sultano, avrebbe fatto correre la voce che qualora esso persistesse nel suo rifiuto essa occuperebbe militarmente il Marocco. Al quale proposito il Governo germanico dichiara nel modo più assoluto che considererebbe il passaggio della frontiera del Marocco da parte di truppe francesi come un insulto e una provocazione alla guerra alla quale la Germania è pronta. Per ciò che riguarda l'Italia ho risposto al conte Monts che noi avevamo con la Francia soltanto un impegno di disinteressamento e che né la Francia ci ha chiesto né noi l'abbiamo mai autorizzata a fare dichiarazioni al Sultano circa l'esclusione dell'influenza germanica nel Marocco. Nel frattempo il r. ministro a Tangeri4 mi ha comunicato di aver ricevuto al pari dei suoi colleghi una nota del Governo sceriffiano il quale chiede a tutte le potenze di consentire a una conferenza in Tangeri per trattare attuazione riforme che il Sultano desidera introdurre adeguatamente alle presenti condizioni dell'Impero e relativi provvedimenti finanziari. Evidentemente questa proposta viene fatta per suggestione della Germania la quale si dichiara pronta infatti a venire ad un accomodamento con la Francia con l'intervento delle potenze firmatarie del Trattato di Madrid e vede in ciò il solo modo di risolvere la vertenza. Di quanto precede ho chiesto comunicazione confidenziale a questo ambasciatore di Francia.

(Per Parigi) Prego pertanto V.E. di procurarsi sul grave argomento una conversazione col sig. Delcassé. È certo che la maniera come si presenta adesso la richiesta della conferenza non più come una proposta della Germania ma come una domanda del Sultano rivolta alle potenze per ottenere la cooperazione per l'attuazione delle riforme modifica alquanto la situazione. D'altra parte vista l'attitudine del Sultano risoluto a non aderire alle proposte francesi e non ritenendo che la Francia si deciderebbe ad atti di materiale coazione che avrebbero le più gravi conseguenze giova alla Francia medesima di cercare una via di onorevole accomodamento. Io desidero che

2 Vedi D. 100.

3 Vedi D. 102.

4 Vedi D. 101.

ella indaghi il pensiero di Delcassé al proposito dichiarandogli che da parte nostra ci considereremo lieti se la nostra posizione di alleati della Germania e di sinceri amici della Francia ci desse il modo di cooperare a una pacifica soluzione5 .

(Per Londra) È per noi importantissimo ed urgente di conoscere quale attitudine intenda di prendere codesto Governo di fronte alla nuova proposta del Sultano del Marocco e ali' atteggiamento della Germania. Io la prego di interrogare in proposito il marchese di Lansdowne dicendogli che da parte nostra saremo lieti se la situazione di alleati della Germania ed amici della Francia ci desse il modo di cooperare a una soluzione pacifica, e se l'Inghilterra volesse agire al medesimo intento, non senza osservare che la maniera come si presenta adesso la richiesta della conferenza non più come una proposta della Germania ma come una domanda del Sultano rivolta alle potenze per ottenere la cooperazione per l'attuazione delle riforme, modifica alquanto la situazione6•

104 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

105

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 28536/106. Roma, 5 giugno 1905.

Segno ricevuta e ringrazio l'E.V. del suo rapporto in data del 18 maggio, or decorso, n. 3421113 1 , da cui ho, con compiacimento, rilevato la buona impressione che aveva prodotto sul conte Lamsdorf il recente mio incontro a Venezia col conte Goluchowski. Mi preme al proposito di farle notare che in tale occasione non si trattò di addivenire ad accordi fra I'Italia e I'Austria come codesto ministro degli affari esteri sembrerebbe credere, ma bensì soltanto di un semplice scambio di idee fra il conte Goluchowski e me.

In tale conversazione ci trovammo entrambi d'accordo nel riconoscere il principio generale dell'opportunità di una aggregazione all'Albania dei territori albanesi attualmente inclusi nei vilayet macedoni.

La eventuale applicazione di siffatto principio dovrà, però in ogni ipotesi, essere fatta caso per caso e villaggio per villaggio, con criteri obbiettivi, senza ledere i legittimi interessi nazionali degli Stati vicini.

104 5 Vedi D. 109. 6 Vedi D. 110. 105 1 Vedi D. 88.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. CONFIDENZIALE 28763/644. Roma, 6 giugno 1905.

Ho ricevuto i suoi interessanti rapporti sulle cose di Etiopia in relazione con il progetto d'accordo con l'Inghilterra e la Francia, e, in ultimo, quello del 9 maggio corr.

n. 5401 .

Ho apprezzato le osservazioni e le conclusioni alle quali ella viene. Tutto ben considerato, però, parmi pericoloso abbandonare l'attuale negoziato per aprirne uno nuovo su altre basi che dubitiamo possano essere accettate. Credo preferibile giovarci degli impegni che moralmente ha preso l'Inghilterra verso di noi quando accettò in massima, prima di comunicarlo alla Francia, il progetto di accordo ora in discussione, e proseguire oltre tenendo presente gli scopi che vogliamo raggiungere.

Ad ogni modo dei rapporti succitati e di quello a lei noto del cav. Pansa, in data 5 [maggio] n. 1652 , tengo debito conto nel darle qui appresso le mie istruzioni.

Premetto aver nettamente dichiarato al sig. Barrère ed anche al sig. Legrand che l'avviamento dato a Londra dal Gabinetto di Parigi al negoziato per l'accordo sull'Etiopia non aveva affatto il mio aggradimento ed anzi mi aveva molto meravigliato.

Soggiunsi che il Governo italiano teneva moltissimo a che esso fosse ricondotto nei veri termini indicati dai reali reciproci interessi delle tre potenze, se non si voleva che l'atteggiamento ora assunto dal Governo francese nella questione turbasse quell'opera benefica di riavvicinamento tra Francia e Italia che stava a cuore delle due potenze di proseguire nell'interesse comune.

Il sig. Barrère, che partiva per Parigi, si mostrò compreso delle mie dichiarazioni, e mi promise che ne avrebbe parlato col sig. Delcassé; e recentemente mi ha fatto sapere per mezzo di questo incaricato d'affari di Francia che il sig. Delcassé era disposto a farci presentare altre proposte concilianti che avrebbero condotto ad amichevoli intese.

Il sig. Barrère, ritornato da Parigi, mi ha comunicato, a nome del suo Governo, il progetto di accordo qui unito 3 .

Desidero che il negoziato sia ripreso costì da V E. sulla base di detto progetto che noi accettiamo con le modificazioni che risultano nel controprogetto parimenti qui unito 3 e di cui si danno qui appresso opportune spiegazioni indicando i soli articoli del progetto francese da noi modificati o soppressi.

Le nostre modificazioni sono tutte ispirate dall'intendimento nostro di mantenere saldi i due concetti di salvaguardare gli interessi italiani territoriali tra l'Eritrea e la Somalia in caso di modificazione di statu qua in Etiopia, e di mantenere, a qualsiasi concessione ferroviaria nell'Impero, il carattere di un'impresa privata.

2 Vedi D. 70.

3 Non pubblicato.

Ad art. 1: l'inciso «par 1'état des affaires actuellement existant» altera il vero significato della guarentigia che le tre potenze possono dare, con cognizione di causa, per il mantenimento dello statu qua. È però, o deve essere soppresso, o sostituito dall'inciso «état de fait actuellement existant» che è l'espressione usata dal primo nostro testo, e che, tradotto in inglese «the state of affairs», è stato poi tradotto in francese «état des affaires actuellement existant».

[Lettera] a): se il Governo francese vuole che sia fatta menzione delle riserve francesi del 1894 e 1895 al protocollo anglo-italiano del 5 maggio 1894, è per noi necessario che vi si faccia anche menzione delle risposte italiane a quelle riserve (vedi telegramma a Parigi del 31 maggio 1894 n. 12804 : doc. dipl. serie XCIV,

n. 398; rapporto Parigi l o giugno 1894, n. 5135: doc. dipl. serie XCIV, n. 432; e corrispondenza con codesta ambasciata del 1895).

Ad art. 4: sebbene la redazione di questo articolo sia stata abilmente ritoccata dal marchese di Lansdowne e sebbene in esso il Negus possa vedere non solo la volontà, ma anche il comune interesse delle tre potenze a mantenere l'integrità dell'Impero, esso è tale che non può essere integralmente comunicato a Menelik.

Siccome noi teniamo in modo assoluto alla stipulazione del paragrafo b) del detto articolo, così è necessario che dell'articolo stesso sia mantenuta la parte generale da comunicarsi a Menelik e che i tre paragrafi susseguenti facciano parte di una stipulazione segreta, nella quale troveranno posto anche i richiami che ai tre paragrafi dell'art. 4 si fanno in altri articoli dell'accordo.

Lettera b): non possiamo ammettere la sola guarentigia «d'une communication» tra le due colonie dell'Eritrea e della Somalia. Noi abbiamo inteso ed intendiamo parlare di guarentigia di continuità territoriale, ciò che era appunto espresso, nella formula che manteniamo, che cioè, tra le due colonie non vi sia soluzione di continuità. Su questo punto ho avuto chiare, esplicite spiegazioni con il sig. Barrère che convenne con me nel fondamento della nostra tesi e mi disse ne avrebbe informato il sig. Delcassé dichiarando che l'opinione contraria a me attribuita nel memorandum del sig. Cambon al marchese di Lansdowne del 15 marzo 1905 era dovuta a mero equivoco.

Non comprendo come ora nel progetto francese sia riprodotta la stessa formula da me ripudiata.

Lettera c): affinché la determinazione degli interessi francesi sia fatta nei termini generici in cui è fatta quella degli interessi britannici nella valle del Nilo e degli interessi italiani in Etiopia per quanto riguarda l'Eritrea e la Somalia e nella zona intercedente tra le due Colonie e affinché alla costruzione della ferrovia fino ad Addis Abeba sia mantenuto il carattere di una impresa privata, senza l'ingerenza del Governo francese, parmi sia giusta la modificazione da noi apportata, lasciando al protettorato francese, l'hinterland necessario, oltre i 90 chilometri da Gibuti ufficialmente indicati dal Governo della Repubblica come territorio francese.

Mi servo, come punto di partenza, di questo dato di fatto che risulta dal carteggio tra codesta ambasciata ed il Governo francese nella quistione degli operai italiani lungo la linea ferroviaria, poiché il Governo del Re non ha avuto comunicazione

5 Non pubblicato.

ufficiale della convenzione franco-etiopica del 20 marzo 1897, sebbene questa sia indicata nel progetto francese di accordo. Di quella convenzione ne abbiamo un testo che non sappiamo se sia ufficiale e di cui non possiamo ancora valerci perché segretamente procuratosi e confidenzialmente comunicatoci dal r. ministro in Addis Abeba. Ad ogni modo, per sua personale informazione, dico che praticamente l'hinterland francese oltre i 90 chilometri dalla costa potrebbe essere delineato nel modo seguente: tenendo presenti le linee direttive dalla costa indicate a sud dall'accordo anglo-francese del 2-9 febbraio 1888 e a nord dai protocolli franco-italiani del 24 gennaio 1900 e 10 luglio 1901; il limite meridionale dell'hinterland francese seguirebbe il torrente Gildessa risalendo fino alla linea di displuvio, seguirebbe poi questa linea nella direzione generale est-ovest fino a raggiungere il torrente Mullu nel suo ramo più orientale, seguirebbe questo e poi il corso principale del Mullu fino alla sua confluenza coll' Auasch: seguirebbe quindi la riva destra dell' Auasch fino all' 11 ° parallelo, poscia questo parallelo fino al 41 o 30' di long. est Gr. e da questo punto raggiungerebbe, allago Abbe-Bad, l'attuale confine franco-etiopico.

Articolo 5): in linea generale, osservo, venendo alla questione della ferrovia, che occupa cinque articoli dell'accordo, che non sarebbe opera di civiltà l'ostacolarne il proseguimento e che il semplice fatto che una linea ferroviaria attraversi l'Etiopia da oriente a occidente passando per Addis Abeba, non può sostanzialmente turbare la guarentigia della contiguità territoriale tra l 'Eritrea e la Somalia, dall'Italia richiesta in date eventualità, purché per essa contiguità siano fatte espresse riserve e all'impresa ferroviaria sia mantenuto rigorosamente quel carattere commerciale che finora non ha avuto e che nel progetto francese non è riconosciuto neanche in modo formale poiché è sempre il Governo francese che agisce per la Compagnia.

Punto di partenza su questo soggetto credo debba essere il modo con cui il Sovrano di Etiopia intende che il proseguimento della ferrovia avvenga.

Menelik nella riunione tenuta presso di sé l'l l aprile in Addis Abeba dei capi delle legazioni estere e dei rappresentanti della Compagnia ferroviaria fece la seguente significativa dichiarazione: «Questa questione della ferrovia si sarebbe dovuta risolvere d'accordo tra la Francia, l'Inghilterra e l'Italia e d'intesa con me. Avrei molto gradito che la questione si fosse risoluta presto ma fino ad ora voi non avete conchiuso nulla e la ferrovia non è stata costruita. Però è necessario che questa ferrovia sia costruita nel mio Stato.

Qualora i tre Governi non si pongano d'accordo per costruirla io non permetterò che essa venga condotta a termine in altro modo e la costruirò a spese mie. Avvertite di questo i vostri Governi» (annesso rapporto Addis Abeba 16 aprile 1905 n. 52) 6 .

Il Negus riaffermò in questa occasione come le due questioni della costruzione della ferrovia e del mantenimento dell'integrità territoriale dell'Etiopia si debbano considerare inscindibili l'una dall'altra e come debba ritenersi una minaccia per l'indipendenza dell'Etiopia il controllo esclusivo di una delle tre potenze. Egli dichiarò inoltre apertamente che la causa del dissidio con la Francia era appunto dovuta al fatto che la primitiva sua concessione ad una società privata era passata, invece di rimaner tale, sotto il controllo del Governo francese.

Un dato di fatto importantissimo e che costituisce la più grande difficoltà nell'attuale negoziato è la condizione in cui si trova il Governo francese di fronte alla Compagnia costruttrice della ferrovia per la critica situazione di essa, condizione che favorisce le mire politiche della Francia di penetrazione in Etiopia oltre l'Auasch.

Il concetto della internazionalizzazione delle ferrovie etiopiche si infrange nelle difficoltà della pratica attuazione, giacché richiederebbe un equilibrio completo di capitali delle potenze.

Bisogna quindi cercare di avvicinarsi a quel concetto con tutti i mezzi che possono togliere ogni carattere politico all'impresa, mantenendola nei limiti di un affare puramente commerciale.

Nell'accordo non si parla che di atti internazionali veri, propri e vigenti; mentre l'atto del 9 marzo 1894 è un atto privato, del quale, essendo già costruito il tronco ferroviario Gibuti-Dire Daua, ed essendosi la Francia disinteressata pel tronco Addis Abeba-N ilo, non rimane che la concessione pel tronco Dire Daua-Addis Abeba la cui costruzione si guarentisce nell'accordo.

Quanto, poi, alla comunicazione di Menelik del 18 agosto 1894, essa è stata ritirata dal Negus, il quale dichiarò in quella occasione che la concessione di proseguire la ferrovia fino ad Addis Abeba era stata accordata alla Compagnia subordinatamente all'accettazione ed all'approvazione dei Governi italiano e britannico.

Per conseguenza l'art. 5, nella forma in cui è redatto, non contiene una stipulazione e non ha alcun valore come tale.

Che si volesse ad esso dare il valore che le potenze guarantiscono i due atti in esso indicati, ciò non possiamo consentire per le considerazioni suesposte. E però riteniamo debba essere soppresso.

Articolo 6): è sufficiente pertanto per la Francia ed è conforme agli intendimenti del Negus dai quali non possiamo prescindere, che, come è detto nell'art. 6, i tre Governi guarentiscono il prolungamento della ferrovia tino ad Addis Abeba, per parte della Compagnia, in conformità della concessione ad essa fatta da Menelik.

Le condizioni alle quali il Governo del Re, sotto riserva, s'intende, degli interessi italiani indicati alla lettera b) dell'art. 4, può mettersi d'accordo con Francia ed Inghilterra per tale prolungamento, sono le seguenti che debbono essere chiaramente espresse nell'articolo: a) che, in nessun caso, il Governo francese possa sostituirsi alla società; b) che sia assicurato il carattere commerciale d eli'impresa; c) che un posto di amministrazione nel Consiglio della società sia assicurato all'Italia, all'Inghilterra e all'Etiopia; d) che i sudditi ed il commercio dei tre paesi godano di un trattamento assolutamente eguale sia sulla linea ferroviaria, sia nel porto di Gibuti.

Art. 7: secondo il pensiero del R. Governo, questo articolo, che contempla in generale la costruzione di altre ferrovie nell'Etiopia, dovrebbe essere redatto genericamente e contenere l'indicazione delle stesse condizioni e delle stesse riserve contenute nell'art. 6 nell'interesse di tutte e tre le potenze, reciprocamente.

Art. 8: questo articolo contiene un atto di disinteressamento a favore dell'Inghilterra e noi l'accettiamo, purché nell'art. 9 sia considerata, in conformità degli interessi italiani, che noi vogliamo tutelare ne Il' art. 4 lettera b), l'eventualità di costruzioni ferroviarie a nord e a sud di Addis Abeba. In questo senso noi abbiamo modificato l'art. 9.

Art. 11: non abbiamo altra osservazione a fare se non questa che nella stipulazione segreta sia fatto opportuno riferimento all'art. 11.

Avvertendola che ho consegnato copia dell'unito controprogetto al sig. Barrère, la prego di volere di esso fare comunicazione al sig. Delcassé, servendosi delle presenti istruzioni per spiegare le modificazioni introdotte nel progetto francese.

Ho comunicato al cav. Pansa copia di questo dispaccio e del nostro controprogetto, interessandolo a pregare lord Lansdowne di volerlo sostenere ricordando che i principi che in esso si sono fatti valere sono quelli appunto che i rappresentanti britannico e italiano a Addis Abeba avevano istruzioni, per iniziativa del Governo inglese, di sostenere presso Menelik.

Unisco, per maggiore intelligenze delle cose esposte nel presente dispaccio, uno schizzo dimostrativo appositamente delineato a colori e nel quale si può avere una idea abbastanza esatta delle sfere d'azione d'interessi dell'Italia, della Francia e dell 'Inghilterra in Etiopia.

106 1 Non pubblicato.

106 4 Vedi serie seconda, vol. XXVI, D. 306.

106 6 Non pubblicato.

107

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1469/631. Parigi, 6 giugno 1905 (perv. i/12).

Mentre il Re di Spagna era in Parigi, il Parlamento sospese le sue sedute; ma per la ripresa di queste si annunziavano interpellanze burrascose nelle quali la ormai sdrucita nave del sig. Delcassé pareva destinata a fare naufragio.

Le cose precipitarono ancor più. Una nota comparsa nel pomeriggio d'oggi nell'Havas annunzia che, nel Consiglio dei ministri, presieduto oggi stesso dal presidente della Repubblica, il ministro degli affari esteri, essendosi accertato che delle divergenze di vedute si producevano fra i suoi colleghi e lui circa i mezzi di esecuzione della politica estera seguita fin qui dal Governo, ha rimesso la sua dimissione al presidente della Repubblica.

Quali siano tali divergenze di vedute ognuno indovina poiché le interpellanze annunziate riguardavano la politica seguita al Marocco e sostanzialmente gl'incidenti ultimi che ebbero per effetto l'alterazione dei rapporti della Francia con la Germania. Se il Consiglio dei ministri non poté intendersi con il sig. Delcassé sulle risposte e dichiarazioni ch'egli avrebbe voluto portare alla tribuna, bisogna ritenere che la divergenza delle opinioni in questa questione si sia palesata in fonna tale da rendere impossibile la permanenza nel Gabinetto del ministro degli affari esteri.

Non è il momento di redigere l'inventario dello stato in cui il sig. Delcassé lascia gli affari che ha diretto durante un settennio. La sua politica che, pur mantenendo l'alleanza russa, rese possibili le amicizie intime con l'Italia, l'Inghilterra e la Spagna, ha dato forse alla Francia la forza che le occorreva per non essere trascinata a partecipare materialmente alla guerra dell'Estremo Oriente; contribuì alla localizzazione di quella guerra ed ha probabilmente salvato tutta l 'Europa da più grave ed estesa conflagrazione. Ma di questi meriti del ministro uscente ben pochi qui sembrano disposti ad accorgersi e bisogna augurarsi che il linguaggio della stampa tedesca non venga a mettere in evidenza ancor maggiore che è appunto per tali meriti suoi che, nell'interesse di altro paese, il sig. Delcassé si trova costretto di ritirarsi. La principalissima questione che oggi si affaccia è quella della scelta del successore fra tutte le personalità delle quali si pronunziano i nomi, nessuna certamente ha per sé il corredo dell'esperienza di sette anni durante i quali, se la Francia ha ingrandita la sua posizione, ciò fece senza scosse pericolose né per sé, né per gli altri. La venuta agli affari esteri di una persona nuova, è per sé un evento che, nelle circostanze presenti, può costituire una grave incertezza.

108

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T.l202/115. Berlino, 7 giugno 1905, ore 17,58 (perv. ore 19,30).

Notizie che vengono da Parigi circa dimissione di Delcassé lasciano adito alla opinione che la questione Marocco entrerà in una fase di soluzione pacifica sia per mezzo conferenza sia mediante intesa diretta tra la Germania e la Francia, che ora non è del tutto da escludere che quest'ultima ne prenda l'iniziativa in modo da soddisfare codesto Governo. Nelle congiunture presenti sembra a me che a noi non convenga di tardare ad aderire alla conferenza proposta qualunque possa essere l'esito ad essa riservato.

Conte Goluchowski ha incaricato fin da ieri questo ambasciatore di AustriaUngheria di presentire Governo tedesco circa sua risposta al passo del Sultano del Marocco. Principe Biilow disse che naturalmente Germania aderiva e che anzi non dubitava che Austria-Ungheria avrebbe fatto altrettanto tanto più in seguito spiegazioni che ambasciatore Germania a Vienna ha già dovuto fornire al conte Goluchowski, le quali, credo io, saranno identiche a quelle date a V.E. Mio collega inglese mi ha detto che il suo Governo fino da ora mantiene attitudine contraria alla riunione della conferenza.

109

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 501 . Parigi, 7giugno 1905, ore 18 (perv. ore 23,50).

Ho avuto una conversazione con Rouvier dalla quale primieramente risulta che la Francia intende continuare la sua politica di amicizia intima con l'Italia e che nulla è cambiato nelle sue relazioni con l'Inghilterra e la Spagna. Il ritiro di Delcassé sarà stato [reso] quasi necessario dall'evidente rifiuto della Germania di trattare con lui e dal bisogno che la Francia sente invece trattare con la Germania per le cose del Marocco. Fino a che non sarà dimostrato che una trattativa diretta è impossibile, qui non si risponderà all'invito per la conferenza. Fin d'ora però il pensiero di Rouvier è che una conferenza, nella quale la Francia e la Germania non sarebbero disposte ad intendersi, può a nulla riuscire, e che se le due potenze sono pronte a trovare un accordo la conferenza è una formalità superflua. Nel corso della conversazione Rouvier mi ha detto che l'Italia aveva già respinto l'idea della conferenza. Gli ho risposto che io non avevo alcuna informazione in questo senso ed avendo a mia volta insistito perché precisasse il suo pensiero circa l'invito della conferenza fatto non dalla Germania, ma dal Marocco, egli mi rispose che non vedeva che cosa la Francia andrebbe a fare ad una conferenza e che, ad ogni modo, non era, per ora, pronta rispondere a quell'invito. Da tutto ciò risulta che Rouvier spera di poter trattare direttamente con la Germania e riservarsi ogni altra risoluzione fino a che tale speranza non gli sia stata tolta. Alla nostra indicazione fattagli di una nostra cooperazione per una pacifica soluzione, Rouvier rispose ringraziando e dicendomi che eventualmente vi avrebbe ricorso, ma soggiunse che a meno di un caso di follia furiosa non poteva concepire soluzioni che non fossero pacifiche2 .

2 Su questo colloquio si veda anche il D. 119. Per la risposta vedi D. 120.

109 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 104.

110

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 54 1 . Londra, 7 giugno 1905, ore 21,25 (perv. ore 6 del/'8).

Sull'argomento dell'ultimo telegramma di V.E.2 del quale gli ho dato comunicazione confidenziale tenore, marchese Lansdowne mi disse che alla proposta marocchina per una conferenza generale allo scopo di preparare le riforme, egli aveva risposto per mezzo del ministro d'Inghilterra in Fez non sembrargli una simile conferenza mezzo opportuno per la riuscita delle riforme stesse. Ieri poi questo ambasciatore di Germania ha comunicato qui una circolare del suo Governo che appoggia proposta della conferenza invocando art. 17 Convenzione di Madrid. Nel fare codesta comunicazione ambasciatore di Germania si è limitato a dire che qualora conferenza non fosse accettata, suo Governo considererebbe come immutata situazione legale preesistente. Egli dice però [che si] espresse in termini moderati e senza alcuno dei commenti ed allusioni minacciose costì usate dal conte Monts. Marchese Lansdowne si riserva di rispondere alla Germania dopo di aver esaminato punto legale sollevato relativamente alla portata della Convenzione di Madrid e Sua Signoria mi disse che le dimissioni di Delcassé lo obbligherebbero, in ogni caso, ad attendere il tempo necessario per rendersi conto delle intenzioni del nuovo ministro degli affari esteri di Francia. Egli intanto prese nota, ad ogni buon fine, delle disposizioni manifestate da

V.E. per un'eventuale azione conciliatrice. Ministro degli affari esteri spagnuolo che si trova qui al seguito del Re, mi disse che egli avrà domani su questo soggetto una conversazione con il marchese Lansdowne al quale egli proporrebbe concertarsi con Spagna e Francia per formulare d'accordo i termini di una dichiarazione identica in proposito.

111

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. 28886/647. Roma, 7 giugno 1905.

Il r. ambasciatore a Vienna mi ha riservatamente riferito 1 come l'ambasciatore di Francia abbia recentemente pregato il conte Goluchowski, d'ordine del sig. Delcassé, di volergli maggiormente precisare il suo pensiero circa la durata del mandato

IlO 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

2 Vedi D. 104.

III 1 Con R. l 083/550 del 29 maggio, non pubblicato.

affidato all'Austria-Ungheria e alla Russia per l'applicazione delle riforme in Macedonia, come circa la durata dei poteri degli agenti civili. Il conte Goluchowski rispose sostenendo la tesi che il mandato austro-russo non era stato mai limitato in guisa alcuna nel programma di Miirzsteg, e che il mandato doveva durare fino a completa esecuzione delle riforme. Quanto al mandato degli agenti civili, esso era stato limitato a due anni, ma non già nel programma di Miirzsteg, bensì nelle istruzioni impartite dalle due potenze ai rispettivi ambasciatori a Costantinopoli e da essi comunicate alla Sublime Porta. Tale limitazione era stata stabilita allo scopo di far scadere i loro poteri contemporaneamente a quelli dell'ispettore generale, ma sarebbe bastata una proroga, alla scadenza di quel termine, da parte del!' Austria-Ungheria e della Russia, dandone comunicazione al Governo ottomano.

Avendo osservato il marchese di Reverseaux che non tutte le potenze sembravano considerare la questione dallo stesso punto di vista, il conte Goluchowski avrebbe replicato che non ignorava le obbiezioni sollevate dall'Inghilterra. Ma sperava che questa avrebbe finito per recedere: facendo comprendere a tale proposito che, se non si riuscisse a vincere le obbiezioni inglesi, non sarebbe rimasto altro a !l'AustriaUngheria e alla Russia che riprendere la propria libertà di azione, lasciando cadere il programma di Miirzsteg.

Il conte Goluchowski avrebbe aggiunto che il conte Lamsdorf partecipava al suo modo di vedere al riguardo.

Io prego pertanto l 'E. V. di volersi procurare una conversazione col sig. Delcassé per conoscerne il vero pensiero in proposito. Specialmente gradirei di sapere da quali moventi il sig. Delcassé sia stato spinto nel dare al marchese di Reverseaux l'incarico di provocare le dichiarazioni del conte Goluchowski. Vorrei particolarmente conoscere, per quanto è possibile, quale sia l'attitudine che codesto Governo si propone di prendere in seguito alle dichiarazioni assai precise ed esplicite del Governo austro-ungarico.

Nel merito della questione, a me sembra per lo meno assai dubbia la tesi sostenuta dal conte Goluchowski. Le mando, qui unito, esclusivamente per suo uso personale, un pro-memoria redatto da questo Ministero, e nel quale sono riassunte le principali ragioni che permettono di concludere nel senso che il programma di Miirzsteg sia stato limitato fin dalla sua origine a un periodo di due anni.

Ma io non credo che il Governo francese sia disposto a sostenere questa tesi; e se lo fosse, ciò denoterebbe un radicale mutamento nella politica russa (alla quale la politica francese nella questione di Macedonia si è sempre strettamente associata), che reclamerebbe da parte nostra la più cauta attenzione.

È probabile che l'ambasciatore di Francia a Vienna abbia interrogato il conte Goluchowski a semplice titolo informativo, e che il Governo francese finisca per associarsi alla tesi austro-russa.

Ignoro ancora fino a quale punto, dal canto suo, il Governo britannico intenda di sostenere e difendere il proprio punto di vista.

Quanto a noi, salvo a prendere una decisione definitiva quando meglio si siano conosciute le disposizioni dei Gabinetti di Parigi e di Londra, certo è che i nostri rapporti attuali con l'Austria e le eventualità che potrebbero derivare da un abbandono dell'azione austro-russa, specialmente nelle attuali condizioni politiche del Governo russo, ci impongono molta cautela e molto riserbo.

Io penso, intanto, che, forse, una soluzione che, dando sostanzialmente soddisfazione ali' Austria-Ungheria e alla Russia potrebbe in un certo senso accontentare l'Inghilterra e corrisponderebbe a quell'azione politica che noi abbiamo costantemente esercitato nella questione macedone, potrebbe essere la seguente: che allo scadere del biennio, cioè, il programma di Miirzsteg e i poteri degli agenti civili fossero bensì prorogati, ma per dichiarazione e mandato esplicito delle potenze; mentre finora il mandato delle potenze all'Austria e alla Russia fu tacito, se pure seriamente di un mandato si può parlare.

Io desidero che di ciò ella faccia accenno al sig. Delcassé, come iniziativa di lei, e in forma incidentale, riservandosi di svolgere più ampiamente la proposta in base all'accoglienza che il sig. Delcassé sarà per farle 2 .

ALLEGATO

PROMEMORIA SULLE RIFORME IN MACEDONIA

Le ròle des puissances dans l'a:uvre des réformes en Macédoine est réglé, soit pour l'Autriche-Hongrie et la Russi e, so i t pour !es autres, par !es pièces diplomatiques qui, à deux reprises, en février et en octobre-novembre I 903, ont été échangées avec la Sublime Porte. C'est dans ces pièces qu'il faut chercher le caractère et la durée de ce ròle, surtout pour ce qui concerne le mandat conféré aux deux puissances: l'Autriche-Hongrie et la Russie.

Une limite de durée ressort, dès le premier moment, du mémorandum que !es ambassadeurs d'Autriche-Hongrie et de Russie ont présenté à la Sublime Porte, avec l'appui des Ieurs collègues, en février I 903. En effet !es deux puissances, présumant que la réalisation des réformes projetées comporterai! une période de trois ans à compter du jour où l'inspecteur général Hilmi pacha a vai t été installé en Macédoine, déclaraient, dans leur mémorandum, que, «pour assurer le succès de la mission confiée à I'inspecteur général, il était de la plus haute importance que ce dignitaire fùt maintenu à son poste durant une période de trois ans». Les deux puissances exigeaient, à c et effet, la promesse que l 'inspecteur général ne serait pas révoqué avant l'expiration de ce délai sans qu 'eli es fussent préalablement consultées.

Le programme de Miirzsteg est encore plus explicite sur ce point. Au moment où !es deux ambassadeurs impériaux le communiquaient, en octobre 1903 à la Sublime Porte, sous la forme de «Décisions arrètées pour ètre transmises à titre d'instructions identiques aux ambassadeurs d'Autriche-Hongrie et de Russi e à Constantinople», la mission triennale de l'inspecteur général approchait de la fin d'une première année. Les deux puissances, s 'inspirant de la mème pensée qui avait suggéré, à cet égard, la clause du mémorandum de février, après avoir établi que deux agents civils, un russe et un austro-hongrois, seraient adjoints à l 'inspecteur général, ajoutaient exprcssément que, «la tàche des agents civils étant de vciller à l'introduc-

Ili 2 L'ambasciatore Tornielli rispondeva (con R. 688 del 20 giugno) di non essere in grado di accertare la posizione del Governo francese dopo che, a seguito delle dimissioni di Delcassé, il portafoglio degli Esteri era stato assunto dal presidente Rouvier ma che, nei contatti avuti alla direzione affari politici del Ministero, gli era stato detto che per il momento si era orientati a lasciare l'affare «in silenzio».

tion des réformes età l'apaisement des populations, leur mandat expirera dans le délai de deux ans à partir de leur nominatiom>; on voit, ici, que dans la pensée des deux puissances, la durée de deux ans pour la mission des agents civils se rattachait intimement à la durée présumée de l'ceuvre réformatrice. À son tour, la Sublime Porte, dans une note en date du 3 novembre, constatait que, «le mandat de l'inspecteur général ne devant expirer que dans deux ans et le calme et la tranquillité se rétablissant de jour en jour sous !es auspices de S.M.I. le Sultan, il était évident que ce délai sera amplement suffisant pour parachever l'application des mesures décrétées». La réponse ottomane, contenue dans la note du 3 novembre, n'ayant pas semblé assez satisfaisante, les deux ambassadeurs insistèrent pour une acceptation pure et simple, mais ils ont eu so in, dans leur réplique, en date du l Onovembre, de bien marquer le caractère temporaire de la participation des puissances à l'ceuvre des réformes. Voici les mots textuels: «Les deux puissances !es plus intéressées au mantien de la paix et du bon ordre dans les Balcans n'ont pas moins tenu compte, dans leur propositions, des légitimes susceptibilités du Gouvernement ottoman; e n assignant un terme à leur concours effectif à l'ceuvre des réformes, elles en soulignent le caractère provisoire et par conséquent ne portent aucune atteinte aux droits souverains de S. M. I. le Sultan». Cette affirmation décide la Sublime Porte, qui, en notifiant son acceptation définitive, a soin de prendre acte des assurances qui lui ont été données dès le début, «ainsi que des déclarations subséquentes relatives au caractère provisoire et à la limitation a deux ans des dispositions supplémentaires proposées en vue d'assurer l'accomplissement des réformes (note du 24 novembre 1903)».

On peut maintenant admettre que le fait n'a pas donné raison à la prévision de 1903 au sujet de l'accomplissement, dans les deux années, d'une tàche qui était loin d'ètre facile, et que cette tàche devant ètre continuée, le concours des puissances sera encore nécessaire. Mais il n'en est pas moins évident que ceci devra former l'objet d'une entente ultérieure, et qu'il appartiendra alors au plenum des six puissances de décider la façon dont leur participation à l'ceuvre des réformes do i t ètre réglée.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

0ISP. CONFIDENZIALE 28998/652. Roma, 7 giugno 1905.

Faccio seguito al mio dispaccio del6 corrente relativo all'accordo per l'Etiopia1•

Le nostre relazioni di alleanza con la Germania e ragioni di convenienza internazionale, che è superfluo spiegare alla E.V., mi fanno ritenere opportuno e utile di comunicare a suo tempo l'accordo per la Etiopia al Governo germanico. Confido che la E.V. e il sig. Delcassé condividano il mio modo di vedere.

Se non che, temo che il paragrafo d) dell'art. 5 «les sujets et le commerce des trois pays jouiront d'un traitement absolument égal sur le chemin de fer et dans le

port de Djibouti» e l'art. 6 possano apparire al Gabinetto di Berlino come una voluta esclusione delle altre potenze dai vantaggi assicurati a Italia, Francia e Inghilterra sulla ferrovia Gibuti-Harar e su quelle che si costruissero in avvenire per iniziativa delle dette potenze in Etiopia.

La Germania non ha aspirazioni territoriali in Etiopia, ma, come lo dimostra anche la recente missione germanica in Addis Abeba, essa desidera profittare dei vantaggi commerciali che su quel mercato possono esserle assicurati.

Mi pare, pertanto, opportuno, che la E.V fenni la attenzione del sig. Delcassé su questo punto che mi pare importante ed abbia con lui uno scambio di idee, dopo di che gradirò me ne riferisca2 .

112 1 Vedi D. 106.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 584/201 1• Londra. 7 giugno 1905.

Ho ricevuto il telegramma n. 8152 col quale VE. m'informa aver ella pure avuto comunicazione delle nuove proposte francesi circa l'accordo per l'Abissinia che io la avevo avvisata essere state qui presentate dall'ambasciatore di Francia. Col telegramma stesso l'E.V mi faceva conoscere che opportune istruzioni stavano per essere da lei mandate al r. ambasciatore a Parigi e a me comunicate in copia.

Su quel progetto di convenzione hanno frattanto avuto luogo negli scorsi giorni nuovi scambi d'idee fra lord Lansdowne e M. Cambon, c Sua Signoria, nel tenermene come di consueto informato, mi ha ora rimesso il testo recante gli ultimi emendamenti quali appunto risultarono condizionalmente concordati fra lui e l'ambasciatore di Francia in una conversazione che ebbe luogo tra loro ieri stesso.

Di codesto progetto emendato ho l'onore di rimettere qui unito, ad ogni buon fine, la copia per opportuna informazione di VE.; annessi alla medesima troverà anche copia di due altri documenti, cioè, il testo della concessione fatta da Menelik al colonnello Harrington per la costruzione d'una ferrovia dalla Somalia britannica al Nilo Azzurro ed il testo di comunicazione che farebbe il Governo francese a lord Lansdowne per assicurare che si adopererà allo scopo che la società delle ferrovie etiopiche rinunzi al progetto di costruire il tronco della ferrovia da Addis Abeba al Nilo 3 .

Lord Lansdowne, nel comunicarmi il progetto stesso, osservò che l'ambasciatore di Francia si era riservato di consultare ulteriormente il suo Governo sovra alcuni dei termini in esso adoperati; ed essendo frattanto sopravvenuta la dimissione del sig.

2 Del 28 maggio, non pubblicato.

1 Vedi Allegato. Il secondo ed il terzo documento non si pubblicano.

Delcassé, è probabile che accorreranno alcuni giorni prima che su questo argomento si siano dichiarate le definitive intenzioni del suo successore4 .

P.S. Nelle clausole relative alla rappresentanza di delegati di altre potenze nei consigli di amministrazione delle ferrovie da costruirsi in Abissinia, il Foreign Office ha proposto la dicitura «prètera son concours pour que ... etc....» notando che, se il Governo francese era in grado d 'imporre una simile condizione alla propria compagnia sussidiata, il Governo britannico non si trovava nelle medesime condizioni verso un'eventuale compagnia inglese non vincolata da alcuna sovvenzione.

ALLEGATO

DRAFT OF TRIPLE AGREEMENT RESPECTING ABYSSINIA DERNIER TEXTE PROPOSÉ PAR LORD LANSDOWNE

Londra, 6 giugno 1905.

L'intérèt commun de la France, de la Grande-Bretagne et de l'Italie étant de maintenir intact l'intégrité de l'Éthiopie, de prévenir toute espèce de trouble dans les conditions politiques de l'Empire éthiopien, d'arriverà une entente commune en ce qui concerne leur conduite en cas d'un changement de situation qui pourrait se produire en Éthiopie et de pourvoir à ce que de l'action des trois États, en protégeant leurs intérèts respectifs tant dans les possessions Françaises, Italiennes et Britanniques avoisinant l'Éthiopie qu'en Éthiopie mème, il ne résulte pas de dommages préjudiciables aux intérèts de l'une quelconque des trois Puissances, la France, la Grande-Bretagne et l 'Italie donnent leur agrément à l' Arrangement suivant:

Art. l) La France, la Grande-Bretagne et l'Italie coopéreront pour maintenir le statu qua politique et territorial en Éthiopie tel qu'il est déterminé par l'état des affaires actuellement existant et par les Arrangements suivants:

a) Les Protocoles Anglo-Italiens des 24 mars et 15 avril 1891, et du 5 mai 1894, et !es Arrangements subséquents qui les ont modifiés, y compris 1es réserves formulées par le Gouvemement Français à ce su jet en 1891 et 1895;

b) Le Traité Ang1o-Éthiopien du lO juillet 1900;

c) Le Traité Anglo-Éthiopien du 15 mai 1902;

d) La Note annexée au Traité précité du 15 mai 1902;

e) L' Arrangement Franco-Anglais des 2-9 février 1888;

f) Les Protocols Franco-Italiens du 24 janvier 1900, et du 10 juillet 1901, pour la délimitation des possessions Italiennes et Françaises dans le littoral de la Mer Rouge et le Golfe d'Aden; g) La Convention Franco-Éthiopienne pour !es frontières du 20 mars 1897.

Art. 2) Pour !es demandes de Concessions agricoles, commerciales et industrielles en Éthiopie, les trois Puissances donneront pour instructions à leurs Représentants d'agir de telle sorte que les Concessions qui seront accordées dans l'intérèt d'un des trois États ne nuisent pas aux intérèts des deux autres.

Art. 3) Si des compétitions ou d es changements intérieurs se produisaient en Éthiopie, !es Représentants de la France, de la Grande-Bretagne et de l'Italie observeraient une attitude de neutralité, s'abstenant de toute intervention dans !es affaires du pays, et se bornant à exercer telle action qui serait, d'un commun accord, considérée comme nécessaire pour la protection des Légations, des vies et des propriétés des étrangers et des intérèts communs des trois Puissances.

En tout cas, aucun des trois Gouvernements n'interviendrait d'une manière et dans une mesure quelconque qu'après entente avec !es deux autres. Art. 4) Dans le cas où !es événements rendraient impossible le maintien du statu quo prévu par l 'art. Jer, la France, la Grande-Bretagne et l' Italie se concerteraient pour sauvegarder:

a) !es intérèts de la Grande-Bretagne et de l 'Egypte dans le Bassin du N il et plus spécialement en ce qui concerne la réglementation des eaux de ce fleuve et de ses affluents (la considération qui leur est dù étant donnée aux intérèts locaux);

b) !es intérèts de l'Italie en Éthiopie par rapport à I'Érythrée et en Somaliland (y compris le Benadir) de telle sorte, notamment, qu'on puisse établir une communication terrestre entre ces deux possessions, sans réserve, toutefois, des intérèts français indiqués ci après au c);

c) et !es intérèts français en Éthiopie par rapport au Protectorat Français de la Cote des Somalis, à l'hinterland de ce Protectorat et au second tronçon de chemin de fer de Djibouti à Adis Abeba.

Art. 5) Le Gouvernement Français communique aux Gouvernements Britannique et Italien l'Acte de Concession du Chemin de Fer Franco-Éthiopien du 9 mars 1894, et une communication de I'Empereur Ménélik, en date du 8 aoùt, 1904, dont la traduction est annexée au présent accord.

Art. 6) Les trois Gouvernements sont d'accord pour que le chemin de fer de Djibouti soit prolongé de Diré-Daoua à Adis Abeba parla Compagnie des Chemins de Fer Éthiopien, Compagnie privée en vertu des Actes énumérés à l'art. précédent, à la condition que !es sujets et le commerce des trois pays jouiront d'un traitement absolument égal à la fois sur le chemin de fer et dans le port de Djibouti; et que Ics marchandises ne seront passible d'aucun droit de transit.

Art. 7) Le Gouvernement Français prètera son concours pour qu'un Anglais, un ltalien et un Représentant de l'Empereur d'Abyssinie fassent partie du Consci! d'Administration de la Compagnie des Chemins de Fer Éthiopien, te! qu 'il est constitué par !es art. 14 et 15 des statuts actuels de la Société. Il est stipulé par réciprocité que !es Gouvemements Anglais et ftalien prèteront leur concours pour qu 'un poste d'Administrateur sera également assuré dans !es mèmes conditions à un Français dans toute société Anglaise ou Italienne qui aurait été formée, ou se formerai t pour la construction ou l'exploitation de chemins de fer en Abyssinie. De mème, il est entendu que !es sujets et le commerce des trois pays jouiront d'un traitement absolument égal à la fois sur !es chemins de fer qui seraient construits par des sociétés Anglaises ou Italiennes et dans !es ports Anglais ou Italiens d'où partiraient ces chemins de fer tant au point de vue des droits de port ou de tarifs de transport qu'à celui des droits de transit.

Art. 8) Le Gouvernement Français s'abstiendra de toute intervention en ce qui concerne la Concession précédemment accordée au de là d'Adis Abeba.

Art. 9) Les trois Gouvernements sont d'accord pour que toute construction de chemin de fer en Abyssinie à l'ouest d'Adis Abeba so i t, dans la mesure où un concours étranger est nécessaire, exécuté sous !es auspices de l'Angleterre. Le Gouvernement Britannique se réserve aussi le droit de se servir, le cas échéant, de l'autorisation accordée par l'Empereur Ménélik à la date du 28 aoùt 1904, de construire un chemin de fer du Somaliland Britannique à travers

l'Éthiopie jusqu'à la frontière soudanaise, à la condition toutefois de s'entendre au préalable avec le Gouvemement Français afin d'empècher toute concurrence inutile.

Art. lO) Les Représentants des trois Puissances se tiendront, réciproquement, complètement informés et coopéreront pour la protection de leurs intérèts respectifs. Dans le cas où les Représentants Français et ltaliens ne pourraient pas se mettre d'accord, il en référeraient à leurs Gouvemements respectifs, suspendant en attendant toute action.

Art. Il) E n dehors des arrangements énumérés à l'art. rer et à l'art. yème de la présente Convention, aucun accord conclu par l'une quelconque des Puissances Contractantes en ce qui concerne la région Éthiopienne ne sera opposable aux autres Puissances signataires du présent Arrangement.

112 2 Vedi D. 119.

113 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra.

113 4 Vedi D. 144.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 380/129. Pietroburgo, 7giugno 1905 (perv. il 25).

Fra le altre gravi condizioni di pace che il Giappone intenderebbe imporre alla Russia, figurerebbe pure, a quanto almeno mi fu qui assicurato da sorgente che ho motivo di credere attendibile, una limitazione nel numero delle navi da guerra che quest'ultima potenza dovrebbe tenere nelle acque dell'Estremo Oriente. Accanto alla chiesta indennità di guerra, questa esigenza del Giappone rappresenta pure un quasi insormontabile ostacolo alla conclusione della pace, perché troppo umiliante per l'amor proprio russo. È evidentemente nell'interesse dei giapponesi di astenersi dal troppo inasprire le loro condizioni di pace, se non vogliono contribuire a dare a questa guerra, finora così poco accetta dall'opinione pubblica, l'appoggio del suffragio popolare, grazie a cui soltanto potrebbe il Governo, valendosi di tutte le risorse di cui dispone ancora il paese, proseguire la lotta con ogni pertinacia, riuscendo così forse a giustificare le parole pronunciate dallo Zar, all'indomani della battaglia di Tsushima, e che parvero a molti alquanto paradossali, secondo cui le disfatte della Russia finirebbero per avere ragione delle vittorie del Giappone. Ed in verità, se ogni speranza di rivincita sembra ormai definitivamente scartata, resta alla Russia (ben inteso sempre quando le condizioni interne del paese lo permettessero) la suprema risorsa di protrarre definitivamente a lungo la guerra, perseverando in una campagna quasi puramente passiva, fatta a base di ritirate ed avente come unica strategia il tempo e la pazienza. Di tutte le soluzioni, è questa certamente che più potrebbe riescire a pregiudizio del Giappone, poiché tenuto conto delle risorse forzatamente limitate dell'Impero del Mikado, in una lotta di esaurimento fra i due paesi, a quest'ultimo toccherebbe molto probabilmente la peggio.

Una limitazione delle forze navali russe nell'Estremo Oriente non avrebbe del resto, a mio giudizio, che un assai scarso valore. Se, come non appare improbabile, la

Russia si lasciasse indurre alla cessione dell'isola di Sachalin, anche conservando il litorale siberiano, la potenza navale russa sul Pacifico sarebbe per sempre finita. Col Giappone definitivamente insediato in Corea ed avente l'assoluta padronanza dei tre stretti che soli vi danno accesso, Vladivostok, ridotto alla condizione di un porto russo in un mare giapponese, perderebbe ogni importanza come base navale, rendendo quindi affatto inutile il costoso mantenimento di una numerosa flotta militare. Del resto un esperimento, sul genere di quello ora toccato alla Russia nell'Estremo Oriente, non si ripete due volte nel corso di un secolo, ed ogni speranza di rivincita sui mari è destinata a rimanere un sogno irrealizzabile. Così senza che la sua supremazia avesse da correre alcun rischio, potrebbe facilmente il Giappone far rinunzia di questa condizione che, mentre rappresenterebbe per la Russia una intollerabile umiliazione, non costituirebbe per esso che una inutile salvaguardia.

Del pari, ho sentito qui assicurare, non so invero con quale fondamento, che i giapponesi si proponevano, in seguito alle ultime disfatte russe, di aumentare di molto le loro domande per una indennità di guerra. Su questa base è inutile poter sperare di giungere a una soluzione pacifica dell'attuale conflitto, e mi pare strano che il senso politico così pratico e giusto dei giapponesi non lo abbia intuito. Come già dissi, è su questa questione dell'indennità che qui più si concentra lo sfavore popolare, che dà maggior valore all'azione dei fautori della guerra ad oltranza e che più tende a rallentare ed ostacolare il movimento a favore della pace. Nel corso dei tre ultimi secoli, la Russia, anche dopo le sue più disastrose guerre, non ebbe mai ad assoggettarsi a tali umilianti condizioni. È d 'uopo risalire ai tristi tempi delle invasioni tartare, per ritrovame un esempio, ed il Giappone, il quale non detiene ancora un solo lembo di territorio russo, potrebbe difficilmente pretendere di imporne la rinnovazione a suo beneficio.

Se quindi i giapponesi sono, come lo credo, sinceramente desiderosi di por termine ad una guerra che difficilmente potrà portar loro molto maggior copia di prestigio e di gloria militare e minaccia, invece, se continuata, di esser fonte per essi di esaurimento e rovina finanziaria, essi non soltanto dovranno ridurre e limitare alle più esigue proporzioni possibili le loro domande in quel senso, ma trovar modo di presentarle, non sotto la cruda denominazione di indennità di guerra, che ha ormai assunto il significato del tributo dovuto dal vinto al vincitore, ma sotto qualche altra forma meno lesiva dell'amor proprio nazionale russo, come sarebbe, ad esempio, un compenso per la retrocessione della ferrovia dell'est cinese e di altre opere di pubblica utilità in Manciuria, che la Russia ricederebbe dopo alla Cina, od all'industria privata, un risarcimento dovutogli pel mantenimento dei numerosi prigionieri di guerra, ed altro. Se ad indurre il Giappone a quel passo potesse servire l'azione diplomatica delle potenze amiche, un notevole passo avanti sarebbe indubbiamente fatto sulla via della pacificazione.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. CONFIDENZIALE 1 . Roma, 8 giugno 1905, ore 22,55.

Appena ricevuta comunicazione della proposta fatta dal Sultano del Marocco per la convocazione conferenza, telegrafai agli ambasciatori a Parigi e a Londra perché indagassero il pensiero dei due Governi e li persuadessero ad aderire facendo rilevare come la situazione fosse modificata dal fatto che l'invito partiva adesso dal Sultano stesso che chiede la cooperazione delle potenze per l'introduzione delle riforme2• Il conte Tornielli mi risponde3 di aver avuto una conversazione con Rouvier il quale dimostrando le disposizioni più pacifiche e concilianti ritiene peraltro che una conferenza nella quale la Francia e la Germania non siano disposte ad intendersi non può riuscire a nulla mentre la conferenza diventa una formalità superflua se le due potenze sono pronte a trovare un accordo. Risulta in sostanza che Rouvier spera di poter trattare direttamente colla Germania e che esso si riserva ogni altra risoluzione sino a che tale speranza non gli sia stata tolta. Quanto all'Inghilterra essa ha già fatto conoscere al Sultano per mezzo del proprio ministro in Fez che una conferenza non le sembra mezzo opportuno per la riuscita delle riforme. Quanto a noi siamo animati dal più vivo desiderio di una soluzione conciliante che gli ultimi avvenimenti sembrano rendere ancora più probabile e per la quale saremmo pronti a cooperare qualora si presentasse adatta occasione. Ripeto all 'E.V. che i nostri impegni con la Francia rispetto al Marocco sono di natura puramente negativa ma appunto perciò ci impongono in questa prima fase della vertenza un certo riserbo dal quale non gioverebbe a nessuno che noi ci discostassimo4 .

116

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1221/73. Vienna, 8 giugno 1905, ore 19, l O (perv. ore 21,10).

Conte Goluchowski mi ha detto avere Governo imperiale e reale ricevuto dal Sultano del Marocco invito conferenza Tangeri, ed esser sua intenzione accettarlo se tutte le potenze già rappresentate Conferenza Madrid fossero disposte a darvi loro

2 Vedi 0.104.

3 VediD.l09.

4 Per la risposta vedi D. 118.

adesione. Ignorava intenzioni Governo inglese, francese, spagnolo. Ambasciatori d'Austria-Ungheria a Parigi, Londra, Madrid, che aveva interpellato al riguardo, gli hanno telegrafato non aver potuto ancora, il primo conferire col sig. Rouvier, a causa crisi parziale Gabinetto; secondo per momentanea assenza capitale marchese Lansdowne, e terzo avendo sig. Villaurrutia accompagnato re Alfonso Londra. Credeva però che dimissioni Delcassé avrebbero potuto modificare contegno Francia rispetto conferenza. Alla divisata riunione Governo inglese sembrava tuttora poco favorevole, a quanto aveva fatto conoscere ieri al sig. de Mérey, incaricato d'affari britannico.

115 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

117

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYORDES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1363/403. Washington, 8 giugno 1905 (perv. il 22).

Nel colloquio che ho avuto col presidente Roosevelt, questi è spontaneamente entrato a parlare della guerra russo-giapponese, insistendo sulla convenienza della Russia di venire a patti poiché non ha più nulla da guadagnare colla guerra. Gli ho ricordato che il conte Cassini replica a tale argomento che la Russia non ha nemmeno più alcunché da perdere. Egli ha risposto che la Russia ha da perdere Vladivostok ed il bacino dell' Amur, e che indubbiamente li perderà se si ostina. Gli ho fatto notare che la presa di Vladivstok potrà esigere grandi sacrifici da parte dei giapponesi se, come assicura questo ambasciatore di Russia, la piazza è fortissima dalla parte di mare come dalla parte di terra, e che, pertanto, anche al Giappone potrebbe convenire facilitare la pacificazione con non accampare pretese che la Russia considera inaccettabili.

Il presidente è manifestamente molto desideroso che la pace si concluda. I termini delle entrature da lui fatte aii'ambasciatore di Russia ed al ministro del Giappone sono che egli sarebbe felice a interporre i suoi buoni uffici fra le potenze belligeranti se essi gli venissero richiesti ed avessero probabilità di essere accolti. Così il sig. Meyer avrebbe fatto a Pietroburgo, non un offerta di mediazione, ma «a friendly offer of good will».

118

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE ]l91 . Berlino, 9 giugno 1905, ore 17,25 (perv. ore 20,15).

Ho veduto stamane barone Richthofen, che io ho intrattenuto circa quanto ella mi ha telegrafato iersera2 . Le dichiarazioni di Rouvier a Tornielli hanno in qualche modo sorpreso barone Richthofen. Questi mi ha detto che la Germania non avrà difficoltà di trattare direttamente con la Francia, se questa le farà proposte che la soddisfacciano. Germania considera però la questione come riguardante le potenze tutte firmatarie della Convenzione di Madrid e crede che non potrà essere regolata se non col concorso e col consenso delle potenze stesse.

Per quanto ci concerne io persisto a ritenere, per mio conto, che i nostri interessi nella questione hanno maggior probabilità di essere salvaguardati mediante un accordo internazionale per il quale anche noi dovremo dire la nostra parola anziché colla intesa diretta tra Francia e Germania la quale si potrebbe verificare anche senza alcun nostro intervento. Non so vedere come la nostra adesione in principio alla proposta conferenza possa non conciliarsi con gli impegni negativi che abbiamo con la Francia, tanto più che questi riguardano il lato politico e non il lato economico della questione.

Del resto posso assicurarla che il Governo imperiale fa sicuro assegnamento su attitudine amichevole dell'Italia e a noi, mi sembra, non conviene tenerci troppo indietro.

119

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1592/639. Parigi, 9 giugno 1905 (perv. i/14).

Nella notte dal 5 al 6 di questo mese è qui pervenuto il telegramma riservatissimo di VE. relativo alle comunicazioni a lei fatte da parte della Germania circa le cose del Marocco 1 . Il Sultano di quel paese avea, seguendo i suggerimenti dell'inviato tedesco, rifiutato le proposte francesi. La Francia avrebbe dal canto suo, dichiarato al Sultano che le potenze mediterranee sono d'accordo per scartare la convocazione di una conferenza e per escludere qualunque influenza della Germania nel Marocco.

2 Vedi D. 115. 119 1 Vedi D. 104.

Inoltre la Francia, pur non avendone fatto oggetto di ufficiale dichiarazione al Governo marocchino, avrebbe fatto correre la voce che qualora esso persistesse nel suo rifiuto, il territorio del Marocco verrebbe militarmente occupato dalle forze francesi. In seguito a ciò il Governo germanico dichiaravaci nel modo più assoluto che egli considererebbe il passaggio della frontiera del Marocco da parte di truppe francesi come un insulto e una provocazione alla guerra alla quale la Germania è pronta. A tali e gravissime comunicazioni l'E. V. avea risposto mettendo in sodo che l'Italia circa il Marocco avea con la Francia soltanto un impegno di disinteressamento, e che né la Francia ci ha chiesto, né noi l'abbiamo mai autorizzata a fare al Sultano dichiarazioni in ordine alla esclusione della influenza germanica al Marocco.

A queste informazioni V.E. aggiungeva l 'altra di essere nel frattempo pervenuta al r. ministro a Tangeri la nota del Governo marocchino il quale chiede alle potenze di consentire ad una conferenza in Tangeri per trattare della attuazione delle riforme che il Sultano desidera introdurre adeguatamente alle condizioni presenti nel suo Impero e dei relativi provvedimenti finanziari. La suggestione della Germania in questa proposta appariva evidente poiché la Germania stessa si dichiarava pronta a venire ad un accomodamento con la Francia mediante l'intervento delle potenze firmatarie del Trattato di Madrid e vedeva in ciò il solo modo di risolvere la vertenza.

Premesse queste informazioni, l'E.V. mi incaricava di procurarmi una conversazione con il sig. Delcassé e mi faceva notare che il modo con cui la formale richiesta della conferenza si presentava, modificava alquanto la situazione. La domanda non veniva presentata come una richiesta della Germania, ma come una richiesta del Sultano alle potenze, intesa ad ottenerne la cooperazione per l'attuazione delle riforme. D'altronde, vista l'attitudine del Sultano risoluto a non aderire alle proposte francesi e ritenendo che la Francia non si deciderebbe ad atti di materiale coazione che avrebbero le più gravi conseguenze, l'E.V. osservava che alla Francia stessa giovava di cercare una via di onorevole accomodamento. Io dovevo pertanto, in conformità delle premesse cose indagare il pensiero del sig. Delcassé dichiarandogli che da parte nostra ci considereremmo lieti se la nostra posizione di alleati della Germania e di sinceri amici della Francia ci desse il modo di cooperare a una pacifica soluzione.

Infine l'E.V. mi faceva nel precitato telegramma conoscere di aver dato confidenziale comunicazione a codesto ambasciatore di Francia delle informazioni contenute nel telegramma stesso.

Ho informato l'E.V. 2 che nel Consiglio dei ministri tenutosi il mattino del giorno 6 sotto la presidenza del capo dello Stato, il sig. Delcassé aveva date le sue dimissioni da ministro degli affari esteri. Il presidente del Consiglio, on. Rouvier, col quale il sig. Delcassé si era trovato in dissidio, assumeva il giorno stesso l'interim degli affari esteri. Fu pertanto con lui che il dì seguente mi procurai il colloquio prescrittomi dalle impartitemi istruzioni. Ne resi sommariamente conto con il telegramma del 7 corrente3 che ora mi preme confermare dandovi lo sviluppo che l'importanza del soggetto comporta.

3 Vedi D. l 09.

Le mie relazioni con il sig. Rouvier mi permettevano, come a lui stesso dissi, di abbreviare i complimenti d'uso, per entrare subito nel soggetto principale del colloquio che mi importava di avere con lui senza ritardo. L'ambasciatore di Francia a Roma, gli dissi, doveva avere comunicato qui talune informazioni che circa l'atteggiamento della Germania nelle cose del Marocco gli erano state date da V.E. a titolo confidenziale. Il sig. Rouvier mi rispose che quelle comunicazioni erano infatti state ricevute dal suo predecessore, ma che egli ne aveva preso notizia. Mi premeva, replicai tosto, riferirmi alle medesime per il colloquio che io avevo avuto istruzione di procurarmi con il ministro francese degli affari esteri. Il sig. Rouvier m 'interruppe dicendo che aveva trovato nelle informazioni mandate qui da Roma che la Germania, formando l'ipotesi di un'aggressione militare del Marocco da parte della Francia, ci aveva fatto sapere di essere pronta, in tal caso, a fare la guerra. L'ipotesi era puramente gratuita, poiché si sapeva in Francia e fuori, che nessuno aveva mai pensato ad intraprendere operazioni che avrebbero richiesto l'impiego di duecento mila uomini, qualche miliardo di spesa e cinquanta anni prima di riuscire. La gratuità della ipotesi toglieva valore pratico alla minaccia. Di questa, egli, Rouvier, era però stato avvisato anche dal linguaggio degli agenti tedeschi ed ancor più da quello di alcuni intermediari. Costoro non avevano adoperato termini così brutali, ma avevano detto che la Germania non rimarrebbe impassibile in caso di invasione francese in Marocco. Queste parole equivalevano evidentemente, osservò il sig. Rouvier, a quelle adoperate nella comunicazione fatta a Roma; ma tale linguaggio riusciva tanto più straordinario in quanto che, non da ora, bensì da ogni tempo, si sapeva a Berlino che la Francia avea nessuna intenzione di conquistare il Marocco. La verità, così prosseguì il mio interlocutore, è che l'irritazione della Germania si è prodotta e manifestata quando il Governo tedesco ha creduto che l'intesa franco-britannica potesse essere spinta più oltre e diventare per lui una minaccia. Tutto il resto altro non è che pretesto. Ma, dappoiché le cose erano giunte a tal segno che con Delcassé il Governo tedesco pareva non voler consentire a trattare e d'altra parte era indispensabile che si tentasse per lo meno di avere col Gabinetto di Berlino una diretta spiegazione, il sig. Delcassé si è ritirato. Le linee direttive della politica estera della Francia non hanno, per questo fatto, subìto alcuna modificazione; rapporti con l'Italia restano inalterati. Del pari avviene con l'Inghilterra e con la Spagna.

A questo punto ho stimato convenisse introdurre la domanda che cosa pensasse il Governo francese della richiesta indirizzata dal Marocco alle potenze per riunirsi in conferenza a Tangeri? Le prime frasi della risposta del sig. Rouvier a tale domanda apparvero assai imbarazzate. Ne emergeva però il concetto, non espresso formalmente, che non si rispondeva prima di aver perduto la speranza di conseguire un accomodamento mediante una trattativa diretta con il Governo germanico. Nell'esprimersi in questo senso, il mio interlocutore indicò incidentalmente che già si sapeva aver l 'Italia respinta l'idea della conferenza, provocando così una mia breve ma immediata replica ben precisa che io avea ricevuto nessuna informazione in tal senso. Io sapevo soltanto che il Gabinetto di Berlino era informato che l'Italia avea, circa il Marocco, con la Francia un semplice impegno di disinteressamento. Nelle situazioni difficili, soggiunsi, conveniva evitare qualunque imprecisione di linguaggio ed io mi permetteva perciò di insistere per conoscere con maggiore esattezza il pensiero del Governo francese in ordine alla conferenza alla quale, non la Germania, ma il Marocco aveva convocato gli Stati firmatari del Trattato di Madrid.

Il sig. Rouvier a questo punto mi disse che, il dì innanzi, l'incaricato d'affari di Germania era venuto al Ministero degli affari esteri ed avea parlato della conferenza col Direttore degli affari politici; ma egli non sapeva ancora precisamente quale carattere aveva od avrebbe dovuto avere, nel concetto del Governo tedesco, quella conversazione. Intanto egli non vedeva a che cosa di utile avrebbe potuto riuscire una conferenza nella quale la Francia e la Germania entrassero senza la decisa disposizione d'intendersi fra di loro ed era evidente che, se tale disposizione esisteva, la formalità della conferenza riusciva superflua potendo i due Gabinetti stabilire fra di loro un'intesa diretta. Vedendo io che il sig. Rouvier ripigliava a divagare, stimai opportuno riepilogare, dicendogli che in sostanza io avrei informato VE. che il Governo francese non è pronto a rispondere all'invito della conferenza perché spera nella possibilità di un'intesa diretta con Berlino la quale escluderebbe la necessità di una tale risposta. Il sig. Rouvier nulla ha opposto a questa dichiarazione che riassumeva il suo pensiero.

Nel corso del colloquio non mancai di dire a questo ministro che, nelle sue istruzioni, il Governo di Sua Maestà mi aveva fatto conoscere che si sarebbe considerato lieto se la sua posizione di amico sincero della Francia e di alleato della Germania gli desse modo di cooperare ad una soluzione pacifica. A tali mie parole risposero i più cordiali ringraziamenti del sig. Rouvier; ma egli espresse contemporaneamente la fiducia che non occorrerà l'intervento di alcuna potenza perché possano i due Gabinetti di Parigi e di Berlino avere fra di loro le spiegazioni che condurranno a soddisfacente risoluzione le difficoltà presenti.

Eravamo già in piedi ed io mi accomiatavo dal sig. Rouvier quando, avendogli io manifestato a mia volta la speranza di una pacifica soluzione, egli esclamò che, salvo il caso di pazzia furiosa, egli non poteva immaginare soluzioni che non fossero pacifiche.

118 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

119 2 T. 1198/49 del 6 giugno, non pubblicato.

120

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENZIALE1 . Roma, l O giugno 1905, ore Il, l O.

Confermo a V.E. che noi non abbiamo finora né accettato né rifiutato l'invito del Sultano del Marocco alla Conferenza. Desideriamo vivamente e confidiamo che si giunga ad una soluzione soddisfacente. Anche indipendentemente da una mediazione che non potremmo esercitare che richiesti da ambe le parti, io seguito ad esercitare in tutti i modi possibili un'azione moderatrice. Confido che la Francia possa venire ad una diretta intesa con la Germania e che essa possa eventualmente considerare la conferenza come un mezzo adatto per raggiungere questo scopo. Le sarò grato delle ulteriori informazioni che potrà comunicarmi in proposito.

120 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. Risponde al D. 109.

121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. CONFIDENZIALE1 . Roma, 10 giugno 1905, ore 11,30.

Il duca A varna mi telegrafa2 avergli detto il conte Goluchowski che l'intenzione del Governo austriaco è quella di accettare l'invito del Sultano del Marocco per la conferenza se tutte le potenze già rappresentate alla Conferenza di Madrid fossero disposte ad aderirvi. Codesto Governo non potrebbe chiedere di più a noi stretti con esso da vincoli di alleanza eguali a quelli dell'Austria e che per di più abbiamo degli impegni con la Francia sebbene siano d'indole puramente negativa. Tuttavia noi fino ad ora non abbiamo nemmeno dichiarato quanto ha detto l'Austria di voler l 'unanimità delle potenze, ma ci siamo tenuti in riserva non accettando né rifiutando l'invito del Sultano del Marocco. Le confermo di avere esercitata e di esercitare a Parigi e a Londra quella migliore azione moderatrice possibile nel senso di una intesa colla Germania, non avendo mancato di alludere ai gravi propositi eventuali della Germania quali mi furono comunicati dal conte Monts. Però a questo riguardo il r. ambasciatore a Londra mi ha fatto sapere che l'ambasciatore di Germania nelle sue comunicazioni a quel Governo si è limitato a dire che qualora la conferenza non fosse accettata il suo Governo considererebbe come immutata la situazione legale preesistente, esprimendosi in termini moderati e senza alcuno dei commenti e allusioni minacciose qui usate dal conte Monts. Sembra a me che sarebbe opportuno che codesto Governo desse ai propri rappresentanti istruzioni di analogo linguaggio perché la situazione non abbia ad apparire in modo diverso a Londra ed a Roma.

122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. CONFIDENZIALE 1 . Roma, 10 giugno l 905, ore 13,20.

Nel telegramma testé speditole2 le ho esposto la ragione per la quale io ritenevo che la nostra attitudine di fronte all'invio del Sultano del Marocco dovesse considerarsi più favorevole alla convocazione della conferenza di quella del Governo austro

2 Vedi D. 116. 122 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Vedi D. 121.

ungarico. Ma se V.E. ritiene che possa essere gradita a Berlino una nostra dichiarazione identica a quella de li'Austria e cioè essere nostra intenzione accettare invito conferenza se tutte le potenze già rappresentate Conferenza Madrid fossero disposte a aderirvi, io la autorizzo a fare tale dichiarazione a codesto Governo3 .

121 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

123

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 10 giugno 1905, ore 22,20.

Ella sa che, secondo le intese dopo fatta la concessione da Menelik alla Banca nazionale egiziana, si sarebbe dovuta costituire la Banca d'Abissinia con carattere internazionale. Invece gli statuti della nuova Banca approvati con decreto kediviale e che ci vengono adesso comunicati a cosa fatta costituiscono la nuova Banca come una vera e propria succursale della Banca nazionale egiziana. È specialmente importantissimo l'art. 15 il quale affida la presidenza del Consiglio di amministrazione della nuova Banca al governatore della Banca nazionale egiziana e garantisce alla Banca stessa la maggioranza nel Consiglio. Ciò ripeto equivale letteralmente a costituire la Banca d'Abissinia come una vera e propria succursale della Banca nazionale egiziana. Si aggiunga che la sede sociale e quella del Consiglio di amministrazione sono fissate al Cairo. Io la prego di richiamare su ciò confidenzialmente l'attenzione di Menelik persuadendolo se possibile a opporsi a tali condizioni pretendendo specialmente carattere effettivamente internazionale nella composizione del Consiglio d'amministrazione. Mi telegrafi tosto pensiero di lui intendendo di averne norma per la nostra condotta.

122 3 Per la risposta vedi D. 124. 123 1 Ed., con la data dell'Il giugno, in F. MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. III, Firenze Vallecchi, [s.d.] pp. 584-585. 2 Trasmesso via Asmara.

124

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 1221 . Berlino, l O giugno 1905, ore 15,45 (perv. ore 19).

Avevo spedito telegramma 121 2 , quando mi è venuto suo secondo telegramma d'oggi3 .

È mio parere che alla Germania possa dichiararsi nostra accettazione in massima invito conferenza, la quale naturalmente non si riunirà se tutte le potenze firmatarie del Trattato di Madrid non aderiscono. Circa la forma di questa dichiarazione V.E. può scegliere tra una sua comunicazione diretta al conte Monts, ovvero una comunicazione mia qui. In quest'ultimo caso V.E. vorrà, a scanso di equivoci, inviarmi il testo della dichiarazione che avessi da fare io.

125

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 599/2101 . Londra, l O giugno 1905 (perv. i/15).

Ho l'onore di confermare il telegramma da me diretto il 7 corrente a V.E. (54)2 in risposta al suo del 53 che m'informava dell'attitudine assunta dalla Germania nella questione del Marocco, quali risultavano dalle dichiarazioni a lei fatte costì dal conte Monts e dalle notizie della nostra ambasciata in Berlino.

Nell'intervallo di un giorno corso fra i due telegrammi sovracitati si erano prodotte a Parigi le dimissioni del ministro Delcassé, evento questo che per essere in evidente connessione cogli affari del Marocco, non potrà rimanere senza influenza sul loro ulteriore sviluppo. Il marchese Lansdowne al quale comunicai secondo le intenzioni dell'E.V. la sostanza del suo telegramma, mi disse infatti che, prima di pronunciarsi in alcun modo sulla questione, egli doveva anzitutto riservarsi di cono

2 Pari data, non pubblicato.

3 Vedi D. 122.

2 Vedi D. 110.

3 Vedi D. 104.

scere al riguardo le intenzioni del nuovo ministro degli esteri francese. E la medesima riserva mi venne espressa dal ministro degli esteri spagnolo che, trovandosi ora appunto in Londra al seguito del proprio Sovrano, ebbi pure occasione di interrogare su quell'argomento. Il sig. di Villaurrutia nel lasciare Parigi la vigilia stessa del ritiro di M. Delcassé, aveva avuto con questo un colloquio, nel quale egli (Delcassé) gli aveva suggerito di approfittare del viaggio di Londra per proporre a lord Lansdowne la redazione di una risposta in termini identici che i tre Gabinetti di Parigi Londra e Madrid potrebbero dare in comune per declinare la domandata conferenza. E il sig. di Villaurrutia avendo aderito a questa idea, M. Delcassé gli aveva aggiunto che egli gli spedirebbe a Londra un progetto di nota in tal senso, da sottoporsi alla approvazione del marchese Lansdowne.

Tutto ciò era naturalmente rimasto arenato in seguito alla notizia sopraggiunta delle dimissioni del ministro francese.

Il sig. di Villaurrutia che rividi ieri sera, mi disse però che, secondo un telegramma pervenutogli dall'ambasciatore spagnuolo in Parigi il presidente del Consiglio M. Rouvier gli aveva dichiarato essere sua intenzione di mantenere in quest'affare la linea di condotta seguita da M. Delcassé. Alla mia osservazione che se così fosse rimaneva a spiegarsi il subitaneo ritiro di quest'ultimo, il sig. di Villaurrutia rispose che esso aveva dovuto essere determinato dalle difficoltà create dalla posizione personale di lui, in quanto che il Gabinetto di Berlino avrebbe chiaramente dimostrato col suo contegno di non volere in alcun modo trattare con M. Delcassé ed a Parigi evidentemente si sperava che la sua scomparsa faciliterebbe un pacifico componimento colla Germania.

Come l 'ho riferito nel mio telegramma del 7 il marchese di Lansdowne mi disse che quest'ambasciatore germanico, nell'appoggiare in nome del suo Governo la proposta marocchina per una conferenza, gli aveva dichiarato che nel caso di un rifiuto, la situazione legale preesistente nel Marocco rimarrebbe inalterata agli occhi della Germania con riserva di tutti i diritti a questa conferiti dalla convenzione di Madrid: il conte Metternich non aveva però aggiunto veruna allusione ad una eventuale violazione di frontiera per parte della Francia né alle gravi conseguenze di un tal fatto. Dopo quella conversazione, mi è poi risultato essere qui pervenuta notizia che certe dichiarazioni minacciose dei rappresentanti tedeschi, come quelle adoperate dal conte Monts avrebbero prodotto a Parigi un panico che non fu probabilmente estraneo al ritiro di M. Delcassé.

Qui si farà certamente tutto il possibile per sostenere la Francia. Come lo dimostra il linguaggio della stampa domina nel pubblico e credo anche nelle sfere governative l'idea che l'azione della Germania nella presente congiuntura non ha tanto per iscopo il Marocco per sé, quanto il proposito di scuotere la fiducia della Francia nel valore dei suoi recenti accordi coll'Inghilterra; e data l'immensa importanza che qui loro si annette, nulla si tralascerà per isventare quel tentativo.

In quanto concerne il progetto di conferenza è quindi a prevedersi che il Gabinetto britannico attenderà di conoscere le ulteriori decisioni di quello di Parigi per prestargli una efficace assistenza. Al ballo di Corte ieri sera, il Re Edoardo si avvicinò a me, e, dopo di avermi espresso i suoi complimenti per il Nostro Augusto Sovrano (alludendo al suo generoso dono alla Società di Agricoltura), Sua Maestà passò senza preamboli a parlarmi della questione che evidentemente lo preoccupava.

«Questa conferenza», egli mi disse ad un tratto con vivacità, «bisogna mandarla a monte: il far discutere gli affari del Marocco da una folla di potenze che non hanno nulla a vedervi, è cosa che non sta». Avendo io accennato che la Germania molto insisteva per promuoverla: «SÌ sì» replicò il Re, «ma se tutte le potenze mediterranee si mantengono strette fra loro, essa avrà pure a cedere».

Questo ambasciatore di Francia parte domani per Parigi allo scopo evidentemente di procurarsi dirette istruzioni dal nuovo ministro. E in questa settimana gli affari essendo anche generalmente sospesi in Londra per causa delle feste di Pentecoste, nessuna decisione sarà certamente presa qui prima del ritorno di M. Cambon, che avrà luogo fra quattro o cinque giorni. Se la Francia si risolvesse, malgrado tutto, ad accettare una conferenza, credo che l 'Inghilterra per parte sua non vi farebbe difficoltà, e meno ancora la Spagna come me lo lasciò comprendere lo stesso sig. di Villaurrutia. In caso contrario, sarà gioco forza escogitare un qualche altro espediente, nel sostenere il quale, gli scambi di idee avvenuti in questi giorni, nell'occasione della visita di Re Alfonso, fra i rappresentanti delle tre potenze in Londra, permettono di ritenere che esse procederanno in perfetto accordo.

Riservandomi di tenere informata VE. di quanto altro mi risultasse su quest'argomento.

124 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

125 1 Autografo.

126

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1272/57. Washington, [12] giugno 1905 1 (perv. ore 7,50 del 13).

Stati Uniti interverranno conferenza Marocco, se tutte le grandi potenze vi partecipano. Qualora Inghilterra e Francia, oppure Inghilterra ed altra potenza rifiutassero parteciparvi, Stati Uniti si asterrebbero.

126 1 Manca l'indicazione del giorno e dell'ora di partenza.

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANZA, A LONDRA, PANSA, E A PARIGI, TORNIELLI

T. SEGRET01 . Roma, 13 giugno 1905, ore 17,30.

Ho telegrafato al r. ministro in Tangeri2 di rispondere alla circolare circa conferenza che R. Governo è disposto intervenire se intervengono le altre maggiori potenze firmatarie della Convenzione di Madrid. V.E. può dame confidenziale notizia a codesto Governo.

(Per Berlino) Ne ho pure informato confidenzialmente questo ambasciatore di Germania.

(Per Parigi) Ne ho pure informato confidenzialmente questo ambasciatore di Francia il quale ha meco riconosciuto che questa nostra risposta si concilia perfettamente coi noti nostri impegni3 .

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A TANGERI, MALMUSI

T. 912. Roma, 13 giugno 1905, ore 18.

Prego rispondere alla circolare circa conferenza 1 che Governo è disposto ad intervenire se intervengono le altre maggiori potenze firmatarie della Convenzione di Madrid.

127 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Vedi D. 128. 3 Per il seguito vedi DD. 133 e 141.

128 1 Vedi D. IO!.

129

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1277/125. Berlino, 13 giugno 1905, ore 22,56 (perv. ore 6 del 14).

Ho avuto occasione conferire con il principe Biilow e col barone Richthofen. Ambedue non hanno ancora perduto speranza riunione conferenza per il Marocco, che, accettata dalla Francia, sarà naturalmente accettata dalle altre potenze. Essi non hanno fatto più con me alcuna insistenza per la nostra adesione, limitandosi a deplorare che il desiderio del Governo imperiale non sia stato da noi soddisfatto. Se la conferenza non si riunirà, dissemi Biilow, la Germania si rassegnerà e tratterà direttamente con la Francia, che sembra già disposta a farle serie proposte. Poiché Germania e Francia ormai sanno di potersi intendere fra loro, insistenza per riunione conferenza da un lato, e desiderio [ ... ] 1 dall'altro, è divenuta questione di [ ... ]1 ma appunto perciò meno facile a risolvere. Germania vi insisterà fino all'ultimo, per quanto, forse, abbia maggiore interesse in una intesa diretta.

130

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T.916. Roma, 14 giugno 1905, ore 11,45.

Tra le varie proposte dei consoli in Cairo [sic] era stata concordemente giudicata opportuna quella di una commissione per le riforme finanziarie ed amministrative in Creta. Gli ambasciatori d'Inghilterra e di Francia erano venuti da me per parlarmi di tale proposta alla quale si dichiararono favorevoli. L'incaricato di affari di Russia, che già era venuto anche lui a parlarmi di tale proposta, mi fa ora conoscere che il suo Governo, avendo appreso che gli insorti non si contenterebbero delle riforme e non cederanno che alla forza, non vede l'utilità di tale proposta. Così persiste la confusione delle idee e tutto rimane nel vago. In tale stato di cose io non posso, per parte mia, che mantenermi in un atteggiamento di attesa.

129 1 Gruppo mancante.

131

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

Roma, 14 giugno 1905.

Riterrei opportuno che V.E. facesse rilevare al principe Biilow come nostro ritardo nell'aderire alla conferenza proposta dal Sultano del Marocco è dipeso dalle pratiche amichevoli da me fatte a Parigi e Londra per persuadere Francia e Inghilterra ad aderire alla conferenza secondo il desiderio della Germania. Monts era stato da me preventivamente informato di queste pratiche. Ritengo che ora Germania non possa non essere soddisfatta poiché nostra adesione alla conferenza è stata già data Tangeri negli stessi termini di quella dell'Austria e degli Stati Uniti.

132

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 1• Roma, 14 giugno 1905.

Mi è pervenuto un diffuso memoriale, in data del 27 maggio u. 2 , che il principe alto commissario a Creta ha diretto alle potenze protettrici, circa le cause del movimento insurrezionale attuale che, a suo avviso, debbono attribuirsi, non, come fu detto, al malcontento della popolazione per l'opera delle persone che circondano il principe, e specialmente del suo segretario privato, ma bensì ali' eccessivo protrarsi di una situazione provvisoria ed alle misure inefficaci prese dai consoli, contro i suoi suggerimenti, od a sua insaputa.

Gradirò che la S.V. si ponga al caso di rifcrirmi l'impressione costì fatta dal documento in parola, informandomi se e quale seguito si intende di dare da codesto Governo alla comunicazione di S.A.R. il principe Giorgio.

131 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 132 1 Inviato a Londra, Parigi c Pietroburgo, rispettivamente con i numeri di protocollo 30279/228, 30278/679 e 30280/116. 2 Non pubblicato.

133

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 571 . Londra, 15 giugno 1905, ore 19,40 (perv. ore 22,30).

Ho dato comunicazione al marchese Lansdowne del telegramma di V.E. 13 corrente2 , relativo alla conferenza per il Marocco. Governo britannico mantiene a tale riguardo il proposito di uniformarsi alle intenzioni della Francia. Ora il sig. Cambon mi [ha] detto essergli stato significato da Rouvier che una conferenza sarebbe inutile nel caso di previo accordo diretto tra la Francia e la Germania ed in difetto di tale previo accordo, sarebbe dannoso non potendo esso che accentuare il dissidio. Ambasciatore d'Inghilterra a Berlino, di là giunto ieri, mi disse avere riportato l'impressione che, malgrado tutto, questa vertenza non potrà infine condurre a conseguenze gravi.

134

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1312/44. Pietroburgo, 16 giugno 1905, ore 20,40 (perv. ore 6,40 del17).

Aggiunto ministro degli affari esteri mi ha detto che Governo imperiale nell 'ultima circolare alle potenze protettrici, che sarebbe quella, a suo giudizio, cui riferivasi comunicazione incaricato d'affari di Russia, accennata telegramma di

V.E. 1 , parlava bensì proposta commissione riforme amministrative-finanziarie Creta, deli'opposizione che essa incontrava presso alto commissario, che consoli speravano poter superare, ma non esprimeva, per conto proprio, nessun parere sull'utilità, o meno, tale proposta: tratterebbesi, quindi, di una loro intenzione. Principe Obolenski mi ha detto che una comunicazione era ultimamente partita da Pietroburgo ai Gabinetti Roma, Parigi per sollecitarli ad inviare Creta promessi rinforzi e mi pregava insistentemente, anche nome conte Lamsdorf, di appoggiare caldamente tale domanda presso V.E.

2 Vedi D. 127. 134 1 Vedi D. 130.

133 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

135

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 686/281. Madrid, 17 giugno 1905 (perv. il 22).

Al ricevimento diplomatico di ieri, il ministro degli affari esteri mi disse che il Governo spagnuolo non aveva risposto ancora all'invito del Sultano del Marocco relativo alla conferenza internazionale; legato dalle recenti convenzioni, non riteneva opportuna una tale convocazione, e non vi prenderebbe parte a meno che v'intervenissero l'Inghilterra e la Francia. Aggiunse che la Francia non aveva dato sinora alcuna risposta, e mi riferì infine che questo ambasciatore di Germania aveva assicurato tanto lui che il presidente del Consiglio che l'Italia non era legata da alcun impegno verso la Francia circa il Marocco. Io mi limitai a rispondergli evasivamente che ignorava il fondamento d'una tale assicurazione, e lasciai cadere il discorso.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi ha informato che il Governo britannico ha fatto dichiarare al Sultano del Marocco di ritenere inopportuna la conferenza, non sapendo comprendere cosa possa giovare ai suoi interessi.

L'ambasciatore d'Austria-Ungheria mi ha detto che il suo Governo aveva risposto che si riservava di esaminare il testo dell'invito, ma non interverrebbe alla conferenza se non fosse accettata da tutte le grandi potenze interessate.

Per quanto concerne la Spagna, la sua attitudine è logica e non potrebbe essere diversa. La coincidenza, tuttavia, del viaggio del Re Alfonso in Francia ed in Inghilterra col ritiro del sig. Delcassé, ha messo in situazione alquanto critica il sig. de Villaurrutia, che in vari discorsi ed interviste accentuò, anche più del bisogno, durante il viaggio suddetto, la piena intesa in tutte le questioni fra il Governo spagnuolo ed i Gabinetti di Parigi e di Londra. I giornali d'opposizione l'hanno quindi attaccato, trovando curiosa quella dichiarazione nel momento proprio che gli accordi stipulati stavano diventando lettera morta: ed in tale polemica tutte le velleità mal definite ed indeterminate della Spagna verso il Marocco sono ricomparse, rimettendo in discussione le convenzioni firmate ed invitando il Governo a conseguire maggiori vantaggi. Come, con che mezzo e coll'aiuto di chi, i fogli liberali si astengono naturalmente dal dirlo, ed a raffreddare i loro entusiasmi bastò la notizia, ora smentita, della concessione di Mogador domandata dalla Germania.

Questo ministro del Belgio, barone Joostens, è d'avviso che l'atteggiamento ora assunto dal Governo di Berlino e la caduta del sig. Delcassé avranno per effetto di assicurare in modo definitivo l'integrità del Marocco e di proclamarvi il principio della porta aperta. Tali conclusioni, corrispondenti ai desideri del suo Governo, mi sembrano, in ogni caso, premature, il solo fatto accertato essendo sinora l'insuccesso della missione francese. E mentre a Fez ed a Tangeri i musulmani ripetono che Iddio mandò loro l'Imperatore di Germania per salvarli dalle bramosie della Francia, è ancora dubbio a cosa tenda realmente la Germania coll'azione recisa adesso spiegata, e cosa farebbe se i francesi si decidessero presto o tardi di ricorrere alle armi e invadere l'Impero sceriffiano. Come diceva infatti il Temps, in un sensato articolo di fondo di questi ultimi giorni, il presente frastuono può semplicemente ridursi ad una sosta, più o meno lunga, nell'attuazione dei progetti francesi, fermi rimanendo fra le potenze che li stipularono, i patti internazionali relativi all'avvenire del Marocco.

136

IL MINISTRO A TOKYO, VINCI GIGLIUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 241/84 bis. Tokyo, 17 giugno 1905 (perv. il 4 settembre).

Alla fine, la terribile guerra tra il Giappone e la Russia sembra esser giunta alla vigilia di una probabile conclusione.

L'iniziativa di pace del presidente Roosevelt è stata comunicata a questo Governo da questo ministro degli Stati Uniti colla nota in data 9 corr. della quale qui unita trasmetto una copia a VE. 1•

Com'è già noto a VE., il presidente Roosevelt si è rivolto al Giappone ed alla Russia affinché, ritenendo esser giunto il momento di por fine ad un terribile e lamentevole conflitto, vogliano, nell'interesse loro stesso e di tutto il mondo civile, nominare dei plenipotenziari ed aprire trattative esclusivamente dirette, senza alcun intermediario, allo scopo di esaminare se sia possibile di giungere ad un accordo sopra termini di pace.

L'iniziativa del presidente degli Stati Uniti non è certo giunta inaspettata a questo Governo, né tanto meno in Russia. Senza dubbio il presidente Roosevelt non avrebbe voluto azzardarsi a far un tal passo se non dopo aver presentito e aver ricevuto assicurazione che esso sarebbe stato accolto favorevolmente da ambedue le parti.

Siccome ho già accennato a VE. in altra occasione, qui è assai più difficile che altrove avere il benché minimo sentore di ciò che non sia a conoscenza del pubblico. Sembra tuttavia assicurato che il presidente Roosevelt avesse già fatto pratiche, subito dopo la battaglia di Mukden, tanto a Tokio quanto a Pietroburgo, per ottenere che le sue proposte di pace fossero accolte con favore; ma a quel tempo esisteva ancora la flotta del Baltico e prima di parlare di negoziati di pace si volle attendere la futura battaglia navale.

Il Giappone ha ora voluto addimostrare la più grande sollecitudine nell'accettare la proposta del presidente degli Stati Uniti. La nota di S.E. il barone Komura, della quale qui unita trasmetto pure una copia, è formulata negli stessi termini di quella del ministro degli Stati Uniti, alla quale risponde; è da notarsi solamente che là dove si parla dell'interesse del Giappone nel ristabilimento della pace, si dice che ciò deve aver luogo in termini e condizioni da guarentire pienamente la stabilità della pace medesima.

Su questo punto, il principale, sono interamente d'accordo Governo e paese. Dopo tanti sacrifizi di uomini e di danaro, dopo tanti successi per mare e per terra, il Giappone è disposto ad addivenire ora alla cessazione della guerra, ma solo nel caso

che possa essere conclusa una pace stabile e duratura. Esso ha impegnato nella attuale guerra, che considera di esistenza nazionale, tutte le sue forze, tutte le sue risorse, ha messo in giuoco il suo avvenire politico e economico ed ora che, tenuto conto delle circostanze speciali del luogo dove svolgesi la lotta, ha sempre completamente battuto il nemico, non ha riportato che vittorie, non vuole uscire dalla presente guerra se non colla certezza di non esser costretto a riprender le armi entro brevi anni. Piuttosto che una pace che potrebbe paragonarsi ad una tregua meglio sarebbe andare avanti colla guerra fino al giorno in cui potrà esser raggiunto lo scopo proposto. Se il Governo vacillasse ed accennasse ad allontanarsi su tal via esso vi sarebbe spinto dal partito militare, anelante una soddisfazione, e dalla opinione pubblica.

Non si conoscono esattamente quali saranno le condizioni che il Governo giapponese esigerà dalla Russia. Ma se il Governo russo potrà convincersi della inutilità di continuare la guerra, anche a causa delle condizioni interne del paese, e si presenterà alla prossima riunione dei plenipotenziari con desiderio sincero di pace, credo che verrà accolto dal Giappone con relativa equa moderazione.

Come segno di tal spirito di moderazione da parte del Governo possono anche essere interpretati vari articoli pubblicati in questi ultimi giorni dal Kokumin, che viene considerato come più o meno riflettente il pensiero del Governo medesimo, in aperto contrasto col linguaggio della rimanente stampa, più avanzata o intransigente, la quale soprattutto per quanto riguarda le condizioni di pace sembra spingere le sue aspirazioni un poco troppo lontano.

Il Kokumin ha usato ogni parola per raccomandare la calma. Oggi esso dice è il giorno in cui il Giappone deve addimostrare la sua magnanimità. La nazione non deve abusare dei suoi successi. Ogni discussione sui termini di pace è inopportuna e dannosa. Il paese deve continuare ad essere unito e confidare nell'azione del Governo.

Tutti gli altri giornali hanno espresso la più viva soddisfazione per la umanitaria e disinteressata iniziativa del presidente Roosevelt, dicendola chiamata a stringere sempre più i vincoli di reciproca stima e amicizia tra questo paese e la grande Repubblica americana. Tuttavia, strano a dirsi, ha, sotto un certo riguardo, accolto le prime parole di pace, con parole di guerra. Tutti i giornali dei quali qui unisco alcuni brani, tutti diffidano o non credono che la Russia abbia sincere intenzioni di far la pace. Le conferenze dei plenipotenziari, essi dicono, è possibile non approdino a nulla. L'attuale momento non è ancora il più opportuno per finire la guerra perché il Giappone non ha ancora messo piede su territorio russo. Viene quindi raccomandato al Governo di esercitare la massima precauzione nello svolgimento dei negoziati. Nessun armistizio deve essere accordato a meno che la Russia sia disposta a dare un pegno ed una garanzia territoriale, perché se i negoziati avessero a fallire, l'armistizio tornerebbe tutto a vantaggio del nemico. Le operazioni militari non devono essere interrotte dalla conferenza della pace. E quanto alle condizioni di pace ognuno vuoi dire la sua, a finire con coloro, che per fortuna non sono molti, e che vorrebbero cinque milioni di yen e delle concessioni territoriali che o non sarebbero effettivamente possibili o sarebbero troppo umilianti per la Russia.

Dato questo linguaggio della stampa, non è impossibile che le intenzioni e l'atteggiamento, senza dubbio più moderato del Governo, possano incontrare qualche difficoltà ed imbarazzo. Giova sperare tuttavia che passato il primo momento venga a prevalere nell'opinione pubblica uno spirito più ragionevole ed equanime a proposito delle condizioni di pace, tale da facilitare l'opera del Governo.

Non si potrebbe in alcun modo affermare quali saranno le condizioni che il Governo giapponese esigerà dalla Russia. Sembra tuttavia che più o meno potranno essere le seguenti: restituzione di Saghalien, Vladivostok dichiarato porto libero, cessione della ferrovia dell'Est Cinese, cessione di Port Arthur, di Dalmy e di tutti gli altri diritti posseduti dalla Russia in Manciuria, abbandono della Manciuria e apertura di quella provincia al commercio del mondo e da ultimo una indennità tra i due e i tre milioni di yen.

Se tali concessioni fossero accettate, privata del Liantung, privata di Saghalien, che comanda le bocche dell' Amur, la prima via trascorsa dall'espansione russa verso l'est, privata di Vladivostok siccome base navale, la Russia dovrà rinunziare per sempre ad una guerra di rivincita.

Come VE. è già informata, il luogo fissato per la riunione dei plenipotenziari è Washington ma nulla si sa circa l'epoca in cui effettivamente essi si riuniranno. Certo non sarà molto sollecita.

I plenipotenziari giapponesi non sono ancora nominati. Pare però che probabilmente saranno il marchese Ito, l 'uomo di Stato più prominente al Giappone, ed il barone Komura, attuale ministro degli affari esteri. In ogni modo prima di annunziare i nomi dei plenipotenziari giapponesi sembra si voglia attendere di conoscere definitivamente quali sono i plenipotenziari russi.

136 1 Gli allegati non si pubblicano.

137

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 1320/62. Parigi, 18 giugno 1905, ore 22,49 (perv. ore 0,45 de/19).

La tensione fra la Francia e la Germania è sensibilmente diminuita. Il nodo della difficoltà pare stia nel trovare, per il programma della conferenza, una formula che escluda in modo assoluto che alla medesima abbiano a sottoporsi gli atti stipulati fra la Francia e l 'Inghilterra e fra la Francia e la Spagna. Tale formula si potrebbe trovare, a parer mio, se, prendendo atto delle dichiarazioni relative al mantenimento dello stato politico del Marocco, contenute negli accordi anglo-francese ed ispanofrancese ed al regime della «porta aperta», si ammettesse, rispetto a quell'Impero, il principio dell'interesse preponderante di alcuni Stati con esso confinanti c si riconoscesse nei medesimi il mandato di conseguire applicazione di riforme, delle quali il programma verrebbe comunicato alla conferenza. Potrei suggerire questo ordine di idee, che troverebbe un certo riscontro con ciò che avviene per la Macedonia, ma, naturalmente, non ne parlerò col Rouvier senza preventivo assenso di V.E. 1 .

137 1 Per la risposta vedi D. 139.

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

D!SP. 31026/74. Roma, 18 giugno 1905.

Mi è pervenuto il rapporto della S.V. Illustrissima in data 6 corr. n. I 2 I 1 , dal quale ho rilevato come ella, pur riconoscendo la necessità di far sentire a codesto Governo quanto sia rincrescevole e dannosa una tensione di rapporti fra rappresentanti serbi e bulgari, sovra tutto in paesi ottomani, abbia luogo di temere che dei suggerimenti che ella sarà per dare al riguardo, non si tenga (massime a causa della situazione politica, costì creata in seguito al recente cambiamento ministeriale) quel conto che sarebbe desiderabile.

Ringrazio la S.V. delle opportune sue osservazioni. Quali che siano, però, le tendenze che, originate da apprezzamenti più o meno giustificati dallo stato reale delle cose, abbiano a prevalere costì, è chiaro che, nell'interesse stesso della Serbia noi dobbiamo, per parte nostra, rimanere fermi al programma che ci siamo prefissi, ed alla cui attuazione sempre abbiamo mirato, di favorire, cioè, l'amicizia e la concordia tra gli Stati balcanici.

Attenderò, quindi, conoscere, a suo tempo, quale accoglienza sarà costì stata fatta agli amichevoli suoi consigli2 .

139

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 940. Roma, 19 giugno 1905, ore 17,10.

Ricevo suo telegramma n. 62 1 , e ne la ringrazio.

Di fronte alla presente incertezza di situazione, penso che sarebbe prematura ogni nostra intromissione oltre gli amichevoli generici ufficì, nel senso della conciliazione, per i quali V. E. già si è adoperata e potrebbe ancora adoperarsi avendone l'opportunità.

2 Per la risposta vedi D. 154. 139 1 Vedi D. 137.

138 1 Non pubblicato.

140

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1704/683. Parigi, 20 giugno 1905 (perv. il 26).

Il giorno 8 di questo mese ricevetti regolarmente il dispaccio di V.E. del 6 corrente1, relativo alle trattative affidatemi per l'accordo concernente l'Etiopia. Fra gli annessi di quel dispaccio trovai il controprogetto francese portato a Roma da S.E. Barrère e l'altro controprogetto elaborato in ultimo dal R. Ministero2 . Ne ho curato il raffronto, articolo per articolo, come da noi si suol fare nella compilazione degli atti parlamentari, di guisa che lo studio delle modificazioni che noi proponiamo, riuscirà facilitato quando verrà il momento di aprire sovra ciascuna di esse la discussione.

Durante la prima visita che feci al sig. Rouvier, il 7 corrente, gli annunziai che io aspettava entro pochissimi giorni le istruzioni che mi avrebbero abilitato a trattare con lui di questo affare, ma egli tosto mi obbiettò che le trattative erano aperte a Londra fra lord Lansdowne, il sig. P. Cambon ed il cav. Pansa, sicché dovetti rettificare, sovra questo punto, le sue idee esponendogli ch'io avea formale e precisa istruzione di negoziare qui le modificazioni che riteniamo necessarie di introdurre nel controprogetto comunicatoci dalla Francia.

L'attenzione del sig. Rouvier che non avea ancora optato per il portafoglio degli affari esteri, era, in quel giorno, assorta da un interesse per lui assai più vivo e più urgente. Mi parve perciò convenisse a me di esprimergli l'intenzione di avviare le pratiche preliminari con il sig. G Louis, direttore degli affari politici, tosto che sarei stato in possesso delle istruzioni annunziatemi dal R. Governo ed il sig. Rouvier non vi dissentì.

Il giorno 9 corrente mi pervenne il dispaccio di V.E. in data del 73 e relativo alla eventuale comunicazione che converrà sia fatta alla Germania, a suo tempo, dell'accordo per l'Etiopia. L'E.V. desiderava che io avessi in proposito uno scambio di idee con questo ministro degli affari esteri.

In attesa che qui si decidesse la quistione della permanenza al Ministero degli affari esteri del sig. Rouvier, mi procurai un abboccamento il 14 giugno con il sig. G Louis dal quale seppi che il nostro controprogetto, comunicato da V.E. all'ambasciatore francese a Roma, era stato di qui mandato direttamente a Londra, senza teneme copia, perché era colà che si svolgevano le trattative fra l'Inghilterra, l'Italia e la Francia per l'Etiopia. Debbo peraltro affrettarmi a dire che questo direttore degli affari politici non insistette sovra questa sua osservazione appena io gli feci notare che le mie istruzioni di negoziare qui erano precise e che gli avrei conseguentemente rimesso senza ritardo il testo del nostro controprogetto accompagnato del raffronto, articolo per articolo, con quello che dall'ambasciatore francese era stato presentato a V.E.

2 Non pubblicati.

3 Vedi D. 112.

Ritornai infatti il 16 di questo mese dal sig. G. Louis e gli consegnai i due documenti pregandolo di volerne fare un sollecito esame e di farmi sapere quando egli sarebbe pronto a procedere con me allo scambio di osservazioni che avrebbe condotto ad un 'intesa sovra le modificazioni da noi desiderate. Il sig. Louis non mosse obbiezioni a questo modo di procedere e intanto io gli dissi che, sovra due questioni preliminari mi premeva chiamare subito la di lui attenzione. La prima riguardava la comunicazione che, a tempo debito, gioverà fare alla Germania dell'accordo che l'Italia, la Francia e l'Inghilterra avranno stipulato fra di loro per l'Etiopia. La seconda concerneva la necessità di riservare ad un atto segreto le disposizioni che non potrebbero essere comunicate ali 'Imperatore di Etiopia.

Il sig. Louis con parole tronche, ma con gesti di assenso, dimostrò di rendersi perfettamente conto dell'opportunità di prevedere la comunicazione da farsi al Governo germanico il quale, con la recente missione compiuta dal barone Roseo ad Addis Abeba, avea preso posizione negli affari economici c commerciali dell'Etiopia. Ma quando io gli indicai il paragrafo d) dell'art. 5 come quello che avrebbe potuto formare il soggetto delle obbiezioni del Gabinetto di Berlino perché per esso i tre Stati contraenti del!' accordo si sarebbero reciprocamente assicurati parità di trattamento sulle loro rispettive ferrovie e nei loro rispettivi porti, il sig. Louis osservò che questo patto evidentemente non poteva essere stipulato che fra i paesi limitrofi dell'Etiopia e conseguentemente fra i soli contraenti del!' accordo gli altri non trovandosi in situazione di offrire il corrispettivo nella reciprocità del trattamento. Pare infatti che quando il carattere di reciprocità del patto di cui si tratta, sarà stato messo in piena evidenza, difficilmente si potrebbe vedere in esso l'intenzione di escludere gli altri Stati dai vantaggi che le tre potenze contraenti reciprocamente si guarantiscono. Queste non si impegnano a non concedere ad altre, sulle proprie ferrovie e nei loro porti, il trattamento nazionale. E la Germania potrà tale trattamento conseguire negoziando con ciascuna delle tre potenze limitrofe dell'Etiopia offrendo i compensi che sarà nel suo interesse di proporre.

Sovra la seconda questione il sig. Louis convenne facilmente non essere cosa opportuna il comunicare a Menelik le clausole dell'accordo che manifestamente si riferiscono alla previsione della disintegrazione del suo Impero. Ma egli mi fece notare che non dalla Francia, ma bensì dall'Inghilterra erano state mosse le obbiezioni contro le clausole segrete. Lord Lansdowne avea manifestato la sua ripugnanza contro le medesime non per ragioni d'indole internazionale, ma per motivi d'ordine parlamentare. La Francia desidera naturalmente, per quanto è possibile, rispettare questa ripugnanza del ministro degli affari esteri britannico; ma la difficoltà dovrebbe essere appianata a Londra.

Ora che il sig. Rouvier ha assunto definitivamente il portafoglio degli affari esteri, mi propongo, in occasione della mia prossima visita ebdomadaria, d'intrattenerlo di queste prime pratiche eseguite presso il direttore degli affari politici e solleciterò da lui le decisioni che permetteranno, spero, di dare seguito soddisfacente al negoziato.

140 1 Vedi D. 106.

141

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1732/694. Parigi, 20 giugno 1905 (perv. il 24).

In mezzo alle incertezze prodotte dall'intreccio di notizie accolte con vario criterio dalla stampa francese, tedesca ed inglese non riuscì facile negli ultimi quindici giorni il formarsi un concetto del vero grado di pericolo inerente alla situazione estremamente tesa che si era rivelata fra la Francia e la Germania con il ritiro del sig. Delcassé dal Ministero degli affari esteri. Ho procurato con i miei telegrammi dell' 11 1 , 162 e 18 corrente3 di tenere informata V.E. e con il rapporto del 9 giugno4 le ho reso conto del primo mio colloquio con il sig. Rouvier.

Dippoi ebbi con questo ministro un'altra conversazione nella quale, senza aspettare ch'io lo interrogassi, egli mi disse nutrire speranza che fra lui ed il principe Radolin s'incomincerebbe a conversare. Eravamo al dì 14 di questo mese e sebbene il sig. Rouvier già tenesse l'interim degli affari esteri da nove giorni, egli era costretto di esprimersi così perché in realtà non gli era ancora riuscito di sapere che cosa, all'infuori della conferenza, la Germania volesse.

Essendo io in possesso delle istruzioni telegrafiche impartitemi da V.E. il 13 corrente5 , le eseguii dicendo tosto al sig. Rouvier ch'io era autorizzato a dargli confidenziale notizia della risposta che il ministro di Sua Maestà a Tangeri avea fatta all'invito del Marocco. Noi avevamo detto al Governo sceriffiano che l'Italia è disposta ad intervenire alla conferenza se vi intervengono le altre maggiori potenze firmatarie del trattato di Madrid. V.E. avea di ciò conferito con il sig. Barrère.

Il mio interlocutore, sentendo che avevamo risposto al Marocco, fece l'atto di chi trangugia un disgustoso farmaco; ma, tratta a sé la carta che gli stava dinanzi, vergò rapidamente un appunto mentre diceva: «è lo stesso atteggiamento del!' Austria-Ungheria».

Malgrado questo intermezzo il colloquio riprese presto l'intonazione della consueta cordialità. Rouvier si dimostrava fermo nel concetto già esposto nella nostra prima conversazione, che cioè occorreva alla Francia, prima di accettare una proposta qualsiasi, di sapere che cosa la Germania domanda. Una conferenza può interinare accordi prestabiliti. Essa non può riuscire ad alcun soddisfacente esito se le potenze vi entrano con intendimenti divergenti. Avendo io, a questo punto, cercato di esprimere il concetto suggerito da V.E. nel telegramma del 5 giugno6 , che cioè la proposta della conferenza fatta, non dalla Germania, ma dal Marocco, prendeva il carat

2 T. 1313, non pubblicato.

3 Vedi D. 137.

4 Vedi D. 119.

5 Vedi D. 127.

6 Vedi D. 104.

tere di una domanda del Sultano rivolta alle potenze per ottenere la cooperazione nell'attuazione delle riforme, il sig. Rouvier m'interruppe chiedendomi se io conoscessi la comunicazione, probabilmente circolare, con cui il Gabinetto di Berlino avea appoggiata e precisata la proposta della conferenza determinando fra l'altre cose che basterebbe l'opposizione di uno solo degli Stati convocati per impedire le deliberazioni. A questa condizione che del resto avrebbe nulla d'insolito, mi parve che il sig. Rouvier annettesse un'importanza che non sono riuscito a spiegarmi. Ma siccome dal suo linguaggio risultava che la sua ripugnanza per la conferenza non era più così assoluta come si era a me palesata nel precedente nostro colloquio, così stimai di potergli porre un'interrogazione precisa al riguardo e gli chiesi se, qualora una preventiva intesa si fosse stabilita fra lui e il principe Radolin in linea generale, il Governo francese avrebbe persistito nel rifiuto di andare alla conferenza. Il sig. Rouvier mi rispose senza soverchia esitazione che quando risultasse che nella conferenza si tratterebbe soltanto d'interinare l'accordo prestabilito, non sarebbe cosa ragionevole lo ostinarsi sovra una questione di pura forma. Ma riprendendo tosto l'iniziativa del discorso, il sig. Rouvier prese a dire non essere cosa seria il fermarsi alla supposizione che, con un paese col quale si fanno affari che rappresentano appena il profitto di un milione all'anno, due grandi Stati si trovino in procinto di farsi la guerra. La perplessità che perdura da parecchi giorni, egli soggiunse, è mantenuta dall'ignoranza in cui si è tutt'ora di ciò che la Germania si propone di conseguire. A queste osservazioni, fatte con un linguaggio abbastanza asciutto, risposi ricordando che fin dal primo momento io gli avea fatto sapere le buone disposizioni del mio Governo per adoperarsi nel senso della conciliazione. Il sig. Rouvier mi disse a sua volta che ciò egli non avea dimenticato e me ne ringraziava. Poi, quasi in forma interrogativa, egli soggiunse che quando si seppe che da Tangeri l'imperatore Guglielmo si recava a Napoli, egli avea suggerito ali 'on. Delcassé di valersi dci buoni ed intimi rapporti nostri per richiederci di interporci presso l'Imperatore; ma credo-così conchiuse-ch'egli ne fece niente. («Il n'en a rien fait»). Mi limitai a dire che io avea saputo soltanto che in quei giorni il Sovrano tedesco si era dimostrato molto irritato. Lo abbiamo saputo anche noi -replicò il sig. Rouvier -ed è appunto per questo che abbiamo dovuto ricorrere allora ai buoni uffici personali che l'Italia avrebbe potuto esercitare. La conversazione si aggirò in seguito sovra la falsa opinione che delle disposizioni dei francesi verso la Germania aveano potuto concepirsi a Berlino dando troppa importanza al linguaggio irresponsabile di coloro che rappresentavano la Francia come pronta ad unirsi alla Germania rinunciando ad ogni idea di rivincita. Poi si parlò della impossibilità di procedere fra la Francia e la Germania ad un ravvicinamento sulla base del regolamento di questioni interessanti i due paesi come si era fatto nei ravvicinamenti con l 'Italia e con l 'Inghilterra. Il sig. Rouvier mi disse che quistioni siffatte da regolare fra i due paesi non esistevano. Delcassé, egli soggiunse, avea invero rifiutato il concorso della Francia alla costruzione di certe ferrovie nella Turchia d'Asia e si era parlato della necessità di passare sul territorio francese per una ferrovia che la Germania ha progettato in Africa; ma questioni aperte da regolare non vi erano, perché a Berlino si sapeva bene che questi affari non avrebbero bastato a creare una difficoltà permanente fra la Germania e la Francia.

Ho notato nel sig. Rouvier un senso di stanchezza che si spiegherebbe se fosse vero ch'egli avesse creduto che bastasse ritirare il portafoglio al sig. Delcassé per trovare nella Germania una arrendevolezza che effettivamente questa non ha dimostrato finora. Pare che in tale falsa opinione il sig. Rouvier sia stato indotto non solamente dal linguaggio insinuante e mellifluo dell'ambasciatore tedesco ordinario, ma anche dalle conversazioni avute con certi emissari che il Gabinetto di Berlino avea mandati qui ultimamente.

Mi premeva, per quanto era compatibile con certi riguardi indispensabili verso i colleghi, di sapere quale atteggiamento aveano preso qui gli ambasciatori di Germania e d'Inghilterra.

Il principe Radolin si dimostra dolente della situazione presente. Egli mi disse che il sig. Rouvier e lui erano animati da uguale desiderio di appianare le difficoltà. Una sola cosa di notevole mi parve emergere nelle cose dettemi dall'ambasciatore tedesco. «Voi comprendete-egli mi disse-che il Marocco fu la goccia che fece debordare il vaso». E, se l'osservazione è sincera, essa darebbe ragione piena alle perplessità della Francia.

Sir Francis Bertie nei primi giorni tenne un linguaggio molto asciutto. L'Inghilterra e la Spagna stavano, egli andava dicendo, con la Francia. Ma quando si affermò nei giornali che il Gabinetto di Londra rifiutava la conferenza, voci uscite dall'ambasciata britannica si affrettarono a rettificare la esagerata notizia nel senso che l'Inghilterra avea riservata la sua accettazione e non si era pronunciata in proposito. Si è pur detto qui che il re Edoardo avrebbe fatto esprimere a Parigi come a Berlino il suo profondo desiderio di pace7 .

141 1 Non rinvenuto.

142

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1341/63. Parigi, 21 giugno 1905, part. ore 0,45 del 22 (perv. ore 6.55).

La nota rimessa oggi da Rouvier alla Germania è la risposta di quella con cui la Germania ha appoggiato la proposta di conferenza. Essa contiene esposizione delle vedute della Francia circa il Marocco, e mette in sodo che il rispetto della indipendenza del Sovrano di quell'Impero ed il principio della «porta aperta» furono sempre ammessi dalla Francia. Invita la Germania a manifestare chiaramente ciò che desidera, e conclude con l'osservazione che se vi è divergenza di vedute, non conviene riunire la conferenza senza prima avere stabilito accordo, e se tale divergenza non esiste, la conferenza è inutile. Tuttavia la Francia non è contraria ad ammettere, in massima, la riunione della conferenza. La nota sarà rimessa in copia a Londra, Roma dagli ambasciatori francesi.

Avendo Rouvier fatto rimarcare che tale comunicazione agli altri Governi non era un atto insolito, io gli ho fatto sentire che non conveniva, però, che alla comunicazione si desse carattere quasi di un appello al giudizio delle potenze sulla correttezza e sincerità della politica seguita dalla Francia. Rouvier accolse questa mia osservazione personale come una prova dello spirito di conciliazione che la aveva ispirata.

141 7 Con dispaccio n. 32870/738 de\29 giugno Tittoni ringraziava in particolar modo per le interessanti notizie fornitegli.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. 954. Roma, 23 giugno 1905, ore 14,30.

Non è improbabile che progettata visita governatore di Gibuti su nostra nave da guerra celi intendimento Governo francese, ora che si tratta tra Londra, Roma, Parigi accordo per Etiopia e per questione ferrovia, dimostrare a Menelik che Governo italiano e francese sono di accordo a tutelare propri interessi e non quelli Etiopia. Non è facile trovare espediente dilatorio, trattandosi atto di cortesia. Ad ogni modo, se fosse possibile, sarebbe bene ritardare qualche tempo adducendo necessità stazionario rimanga in un dato punto ed intanto rispondere accettando scambio visita. Telegrafo a Ciccodicola per incaricarlo avvertire Menelik che trattasi scambio di cortesia, già fin dal 1902 progettato, ma che nulla è mutato quanto al nostro atteggiamento nella questione ferrovia2 .

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 31927/239. Roma, 23 giugno 1905.

Ho ricevuto il nuovo progetto per l'accorda relativo all'Etiopia rimesso all'E.V. dal marchese di Lansdowne ed a me comunicato col suo rapporto n. 20 l del 7 giugno 1905 1•

Ella è oramai già in possesso del nostro controprogetto inviatole con mio dispaccio del 7 giugno n. 2142 , controprogetto che io mantengo integralmente ciò che mi dispensa dal fare all'E.V. una disamina del nuovo documento rimessole dal marchese di Lansdowne.

La E.V. vorrà quindi uniformare il proprio linguaggio con il marchese di Lansdowne alle istruzioni contenute nel mio dispaccio del 7 giugno.

143 1 Ed., con varianti in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. Ili, cit., p. 589. 2 Con T. 1360 del 24 giugno, non pubblicato, Martini suggeriva altro pretesto trovando quello qui indicato poco credibile. 144 1 Vedi D. 113. 2 Dispaccio confidenziale 28997/214, non pubblicato, ma vedi D. 112.

145

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATISSIMO 1775/710. Parigi, 23 giugno 1905 (perv. il 4 luglio).

Lo stato delle relazioni fra la Francia e la Germania continua a formare il soggetto di seria incertezza e siccome potrebbe prodursi per il Governo del Re il momento di accertarsi delle circostanze di fatto che hanno determinata tale situazione e le responsabilità che ne derivano, così mi parve convenisse che, con ogni cautela, mi procurassi sovra i singoli punti, sui quali cadono, per quanto si dice, le lagnanze del Gabinetto di Berlino, gli opportuni schiarimenti.

Profitto pertanto del prossimo ritorno in Italia del sig. duca d'Ascoli per mandare a V.E. questo rapporto d'indole strettamente confidenziale.

l gravami della Germania furono fin qui resi pubblici in Francia soltanto dai giornali. Il Gaulois del 17 giugno, riferendo una conversazione del principe Henckel de Donnersmarck, ne ha fornito l'elenco al quale si attribuisce generalmente un carattere ufficioso.

Questo personaggio, entrato inopinatamente in scena in quest'ultimo periodo, fu altre volte molto conosciuto in Parigi quando si sposò con la Pai"va di celebre memoria nei fasti di una galanteria ormai scomparsa. Egli contrasse allora varie intime conoscenze in questo paese e sembra le coltivasse; sicché i suoi rapporti personali con taluni uomini politici attuali risalgono all'epoca in cui egli avea qualche domestichezza con Gambetta. Molti ritengono che il principe Henckel appartenga a quella diplomazia occulta di cui si crede che il Governo tedesco non esiti ancor oggi a valersi nei casi più gravi.

Il certo è che poco prima che scoppiasse l'incidente del Marocco che fu la causa determinante del ritiro del! 'on. Delcassé dal Ministero degli affari esteri, il principe Henckel era in Parigi dove trovava modo di vedere frequentemente il sig. Rouvier ed il sig. Etienne e di persuaderli entrambi che l 'irritazione dell'imperatore Guglielmo II era dovuta alla condotta politica seguita negli ultimi anni dall'an. Delcassé. Egli sfruttava le personali antipatie esistenti fra quei due ministri ed il loro collega degli affari esteri e delle quali, per vero dire, quest'ultimo non celava sempre l'esistenza. Dal canto suo il rappresentante ufficiale della diplomazia tedesca, il principe Radolin, avea procurato con ogni arte di circuire il presidente del Consiglio facendo nascere in lui la persuasione che basterebbero l'allontanamento dell'an. Delcassé dal Ministero ed una amichevole spiegazione verbale dell'ambasciatore tedesco per far scomparire tutte le nubi dall'orizzonte politico della Francia.

In realtà si volle che Delcassé si ritirasse credendo di portare con ciò un colpo decisivo che avrebbe bastato a disciogliere l 'intimità franco-inglese. Si pretende che quest'azione s'imponesse urgentemente alla Germania nella previsione di una trasformazione prossima dell'intimità in alleanza.

Mi resi conto del carattere ufficioso della lista dei gravami della Germania contro la Francia, pubblicata nei giornali, quando potei accertarmi che qui tutti coloro che subivano, sotto una forma qualsiasi, un 'influenza tedesca, se ne facevano il portavoce. Lo stesso principe Radolin mi avea detto che i motivi d'irritazione del suo Sovrano si erano venuti accumulando e che l'affare del Marocco era la goccia che avea fatto traboccare il vaso. Mi premeva pertanto mettermi in grado di far sentire, come suoi dirsi volgarmente, il suono delle due campane al mio Governo e mi procurai, con una visita fatta all'antico ministro degli affari esteri, l'occasione di sapere ciò che egli opponeva ai gravami contro di lui accumulati.

Lo trovai ch'egli stava facendo lo spoglio di giornali tedeschi ed era perciò probabilmente sotto un'impressione assai viva del linguaggio di quelli che, senza reticenze, dicono che non bisogna lasciare alla Francia la possibilità di mettersi a fianco dell'Inghilterra e costringerla invece a stare dalla parte della Germania. «Or si vede bene, mi disse l'on. Delcassé, che non è soltanto la mia persona che dispiaceva a Berlino e che non è l'antipatia ch'io ho inspirato all'Imperatore che impediva al Governo imperiale di conversare con me. Ma quali sarebbero state le cause di tale antipatia? Futili incidenti: per dippiù non veri; ma coi quali si volle preoccupare calunniosamente l'opinione in Germania ed in Francia». Quindi, riferendosi al noto articolo del Gaulois al quale il principe Henckel ha fatto le sue confidenze, il signor Delcassé mi chiese egli stesso di farmi conoscere, sovra ciascuno dei gravami mossi contro di lui, la verità punto per punto.

«Si è detto che quando passai per Berlino nei miei viaggi a Pietroburgo -cominciò a dire il sig. Delcassé-io mi sia ricusato ad avere un colloquio con l'Imperatore che me ne avea espresso il desiderio. Si faccia pur avanti chi mi avrebbe fatto conoscere tale desiderio dell'Imperatore. Nessuno me ne parlò mai. E se avessi ricevuto una tale confidenza in tal senso, non mi sarei mai fatto arbitro di accettare o di rifiutare un invito simile senza che il presidente della Repubblica ed il presidente del Consiglio ne avessero potuto deliberare. Ma vi è dippiù: se a Berlino conservano la memoria della situazione che esisteva al momento eh 'io feci quei viaggi, mi pare assai dubbio che alla politica tedesca potesse convenire ch'io mi fermassi allora in quella città che ho soltanto traversata».

Ignoro a quale situazione precisamente si volessero riferire quest'ultime parole del mio interlocutore il quale proseguì tosto dicendo che in ciò che oggi si vuole qualificare come un atto di scortesia e quasi di ineducazione da parte sua, egli non avrebbe fatto, in ogni caso, che seguire l'esempio datogli dal principe di Hohenlohe, in quel tempo Cancelliere dell'Impero, il quale, durante il periodo in cui tenne l'alta carica, venne per ben due volte a Parigi e vi soggiornò qualche settimana ali 'Hòtel d'Albe, senza portare neppure un biglietto di visita al presidente della Repubblica, mostrando di voler ignorare completamente il Governo presso il quale egli era pur stato per parecchi anni accreditato come ambasciatore.

Passando ad un altro punto, alla voce cioè sparsa che quando la principessa Cecilia di Meclemburgo si recò a Cannes, si sarebbe fatto sapere al suo fidanzato, il principe imperiale, ch'egli farebbe bene di non venirla a vedere in territorio francese, è precisamente nel contrario, esclama il sig. Delcassé, che sta il vero. Ed egli mi narra che, appena saputosi che la fidanzata del principe imperiale avrebbe fatto un prolungato soggiorno a Cannes, il sig. Bihourd a Berlino ebbe istruzione di non fare alcuna abbiezione ad un eventuale viaggio a Cannes del principe e che egli stesso, il sig. Delcassé, parlando di ciò con l'ambasciatore di Germania a Parigi, si espresse in termini che, alludendo alla eventualità di tale viaggio, erano fatti per incoraggiare l'esecuzione e non per distogliere dal progetto se avesse esistito. «lo mi aspettava conchiuse il signor Delcassé -di aver aperto così la via ad una domanda circa la opportunità del viaggio del principe imperiale a Cannes; ma né allora, né dippoi, il principe Radolin mi fece un cenno a tale riguardo».

«Un terzo gravame -continuò l'ex ministro -consisterebbe nel mio rifiuto di rispondere ad una domanda del Governo tedesco relativa ad un progetto di ferrovia in Africa. Ma io non ebbi mai notizia di tale progetto. Ed è completamente falso che se ne sia con me parlato. Col mio metodo minuzioso di lavoro, consistente nel leggere personalmente tutti i rapporti, io ho la certezza -affermò con energia l'on. Delcassé -che una proposta di questo genere non fu mai fatta durante il mio Ministero».

Ma oltre a queste così dette mancanze di cortesia-proseguì egli -la Germania imputa alla Francia di aver stabilito con l'Inghilterra un'intimità cordiale di rapporti, delle conseguenze de' quali il Governo tedesco si preoccupa. E qui il sig. Delcassé, senza alcuna enfasi, ma con linguaggio molto fermo, prese a dire eh' egli, come francese, si felicita grandemente di aver potuto stabilire con la Gran Bretagna l'intimità veramente solida, esistente attualmente, ch'egli crede convenga alla Francia di rendere ancora più forte e consistente e ch'egli spera risulterà tale dopo la prova alla quale l'hanno messa le attuali manifestazioni ostili della Germania. E, con la stessa calma fermezza, proseguì difendendosi dall'intenzione attribuitagli di avere preconcettamente indirizzata la politica del suo paese in un senso di ostilità contro la Germania. Egli dice di aver invece voluto sempre mantenere con quell'Impero relazioni non solamente corrette, ma amichevoli ed aggiunge che avrebbe avuto ogni ragione di credere di esservi riuscito perché più e più volte il principe Radolin gliene espresse, nei termini i più enfatici, tutta la sua soddisfazione. «lo non gli chiedeva -osserva, con accento fra il sardonico ed il triste l'on. Delcassé-tanta espansione di sentimenti; ma neppure mi sarei aspettato a ciò che si è complottato contro di me negli ultimi giorni del mio Ministero!».

Nell'opinione del sig. Delcassé la questione del Marocco od è passata, o sta per passare in seconda linea. Ciò che la Germania vuole è un cambiamento di orientazione nella politica estera della Francia. Si vorrebbe che, abbandonando l'intimità con l 'Inghilterra, questa si accostasse alla Germania. Un tale concetto non può essere altro che l'effetto di una mancanza completa e deplorevole di informazioni esatte sullo stato dell'opinione pubblica francese.

A questo punto del colloquio mi parve di poter introdurre io stesso qualche osservazione nello scopo di rendere più complete le informazioni che il sig. Delcassé avrebbe potuto fornirmi. Rimarcai dunque che non si era in verità parlato soltanto dei gravami che il Gaulois avea registrati. Si era detto che il concorso del capitale francese alla costruzione della ferrovia di Bagdad fosse stato distolto per influenza, o consiglio speciale del Ministero degli affari esteri di Francia. Appena ebbi toccato a questo soggetto, l'ex ministro m'interruppe dicendo ch'egli non avea alcuna difficoltà a farmi conoscere come stavano precisamente le cose. La Germania avea ottenuto la concessione di quella ferrovia dal Sultano: poi venne a cercare capitali a Parigi. I capitalisti francesi chiesero al ministro degli affari esteri se conveniva esporre il loro denaro in quell'impresa. Loro fu risposto che non vi erano difficoltà purché fosse riservata alla Francia in quell'affare un'influenza proporzionata al concorso finanziario che le si chiedeva. Questo concorso eccedeva la metà d eli' opera; ma, quando si venne a stringere il contratto, le cariche di presidente, di amministratore delegato ed una grande maggioranza nel consiglio di amministrazione erano state riservate alla Germania ed alla Francia era data nessuna guarentigia che nella esecuzione dei lavori sarebbe accordata alla sua industria la parte che legittimamente le competeva. In quelle condizioni il Ministero francese non poteva favorire la conclusione del contratto. Dal momento che si sentiva il bisogno del concorso dei capitali francesi, questo creava degli interessi che il Governo francese avea il dovere di tutelare.

Ricordai al sig. Delcassé che vi fu un momento in cui nella stampa si era propagata la voce che la Germania avesse sollecitato la Francia per riprendere insieme l'azione politica del 1894 e fermare i giapponesi nelle loro vittorie e che il Gabinetto di Parigi vi si fosse rifiutato. La risposta del mio interlocutore escluse recisamente che questa situazione si sia mai prodotta.

Mi premeva anche di sapere se l'on. Delcassé ammetteva che il principe Henckel de Donnersmarck avesse esercitato recentemente in Francia una certa azione e se questo personaggio avea avuto con lui stesso qualche rapporto. La risposta del mio interlocutore fu molto precisa. Tutto ciò che sente del raggiro politico -mi diss'egli-mi ha sempre dispiaciuto e credo che la diplomazia si debba fare solamente con i mezzi ordinari e palesi. Non ebbi pertanto rapporti né col principe Henckel, né con altri emissari. Io era però informato di ciò che erano venuti a fare a Parigi. Il principe ebbe per commensali Rouvier ed Etienne: vi fu un vero complotto per costringermi a sortire dal Ministero. Ne ho conosciuto tutti i particolari. Ma ciò che importa ritenere è che tutto ciò non sarebbe stato fatto se a Berlino le informazioni che si aveano sullo stato dell'opinione pubblica francese rispetto alla Germania, non fossero state completamente erronee.

Quando il sig. Delcassé ricapitolò i punti sovra i quali cadevano le lagnanze mosse contro di lui dal principe Henckel sul Gaulois, due ne ammise. L'una di esse riguardava l'avviso che si disse essere stato dato al principe Enrico di non accettare l'invito fattogli dall'Automobile Club di Parigi di assistere a certe feste sportive in Francia e questa ammissione può essere stata fortuita. Ma l'altra non può essere stata invece altrimenti che voluta. Nell'articolo del Gaulois si parla infatti anche del tentativo fatto dalla Francia di distornare (détourner) dalla Germania una potenza che ne era l'alleata (qui était l'alliée). Non avrei potuto chiedergli di spiegarsi circa questo ultimo gravame fattogli e non stimai utile di parlargli del progetto di viaggio a Parigi del principe Enrico perché, quando si annunziò tale progetto, io stesso avea potuto rendermi conto che esso produceva nel pubblico un'emozione che pareva abbastanza significativa.

Ma all'infuori delle cose che il sig. Delcassé mi espose nel surriferito nostro colloquio, era a me pervenuto, da due parti diverse, che l'imperatore Guglielmo II si lagna di certi disappunti cagionatigli durante la sua presenza non so se a Siracusa od a Bari, al momento del viaggio del presidente Loubet a Roma. Egli attribuisce ciò che allora avvenne a lui in quella città, all'opera occulta della diplomazia francese in Italia e ne serba, mi si assicura, una profonda irritazione. Non sentii parlare, in quel tempo, di alcun incidente speciale che avesse potuto riuscire personalmente offensivo per l 'Imperatore. Ma V. E. potrebbe forse aver avuto sovra questo punto, informazioni che io non ebbi.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. 32156/714. Roma, 24 giugno 1905.

Mi riferisco al dispaccio per corriere n. 6441 . Il marchese di Lansdowne ha rimesso al cav. Pansa una copia del progetto francese dell'accordo relativo all'Etiopia modificato secondo gli intendimenti del Foreign Office. Dall'esame di questo documento 2 che io accludo in copia all'E.V. per semplice sua cognizione, ella rileverà, come per ciò che ha riguardo all'Italia ed alle nostre legittime aspirazioni, le modificazioni britanniche non rechino alcun vantaggio. Io ho di conseguenza informato il cav. Pansa, affinché a sua volta ne informi il marchese di Lansdowne, che il R. Governo mantiene integralmente il controprogetto che la E.V. col detto dispaccio, che pienamente le confermo, ebbe istruzioni di far tenere a codesto Governo. Ciò non toglie che per quanto si riferisce alla clausola relativa alla rappresentanza delle altre potenze nei consigli di amministrazione delle ferrovie etiopiche se la dicitura proposta dal Foreign Office «prètera son concours ... etc.» le fosse indicata altresì da cotesto Governo siccome più conveniente, ella sia autorizzata ad accettarla.

146 1 Vedi D. 106. 2 Vedi 0.113.

147

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 1367/133. Berlino, 25 giugno 1905, ore 12,50 (perv. ore 13,55).

Faccio seguito mio telegramma 132 dopo di avere conferito con barone Richtofen 1•

La nota francese 2 , mi ha detto barone Richthofen, non solo non significa un passo avanti, ma ha dimostrato che Rouvier, contrariamente a quanto lasciavano sperare le sue parole, continua, nella sostanza se non nella forma, per la via tracciata da Delcassé. Rouvier non rifiuta in modo assoluto idea della conferenza, ma vorrebbe mettere fuori discussione certi punti, certe prerogative cui aspira Francia e che Germania non potrebbe senz'altro ammettere. L'escludere quei punti o l'approvarli in precedenza renderebbe, come del resto osserva lo stesso Rouvier, la conferenza inutile. Ciò è in aperta opposizione colle vedute esposte dalla Germania, e rende, quindi, abbastanza difficile intesa. A questa non si dubita che si arriverà, però nota francese, che si dice comunicata alle grandi potenze e specialmente la pubblicazione di sunto della stessa fatta dai giornali francesi, rendono più lungo e difficile andamento ulteriore delle trattative, mentre, in vista eccitazione degli animi in Francia, converrebbe condurle a termine con sollecitudine e grande riserbo.

Una risposta ufficiale alla nota francese non è stata ancora data. Ieri l'altro ebbe luogo conversazione tra Biilow e ambasciatore di Francia: quest'ultimo, che riprende ora per la prima volta il discorso sulla questione, mi ha detto aver trovato Biilow animato dalle migliori intenzioni, ma fermo nel proposito di non venire ad accordi speciali con la Francia. Ambasciatore di Francia mi ha detto inoltre che il contenuto della nota francese non rappresenta certo, a suo parere, l 'ultima parola di Rouvier, il quale riuscirà a trovare il modo di accettare conferenza senza porre condizioni o almeno con programma di cui possa essere soddisfatta Germania, e ciò senza che dignità della Francia abbia a soffrime.

Secondo che mi è stato detto dal mio collega di Francia, Barrère avrebbe già comunicato a V.E. nota Rouvier, o almeno ne la avrebbe intrattenuta. Se ciò è esatto, il silenzio di V.E. con me significa certo che ella ha giustamente osservato il più gran riserbo nelle sue conversazioni con codesto rappresentante della Repubblica francese 3 .

147 1 Del23 giugno, non pubblicato. 2 Nota del21 giugno: vedi D. 142. 3 Per la risposta vedi D. 149.

148

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1376/91. Addis Abeba, 25 giugno 19052 .

Menelik informato dai giornali e da Lagarde trattative accordo tra noi Francia Inghilterra per ferrovia: confidenzialmente mi ha avvertito che da parte nostra sarà bene indurre tutti a concretare soluzione senza però impegnarsi prima di essere sicuri del suo consenso. Egli persiste nel rifiuto qualsiasi soluzione che darebbe ad un solo stato intera linea ferroviaria sino Addis Abeba e perciò panni sarebbe troppo grave responsabilità da parte nostra se ci impegnassimo indurre Menelik accettare un qualsiasi nostro accordo con altri senza essere già sicuri di potere determinare riuscita3 .

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 967. Roma, 26 giugno 1905, ore 23.

Ricevo il telegramma n. 133 1 . La ringrazio. Essendo assente l'ambasciatore da Roma, il consigliere dell'ambasciata mi ha dato lettura della memoria Rouvier2 avvertendo essere comunicazione confidenziale per mia personale notizia, di guisa che non ebbi a pronunziarmi né a fame uso qualsiasi.

148 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. III, cit., p. 602. 2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martini con T. 78 del 27 giugno. 3 Per la risposta vedi D. 174.

149 1 Vedi D. 147. 2 Nota de121 giugno: vedi D. 142.

150

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1789/719. Parigi, 26 giugno 1905 (perv. il 28).

Confermo il telegramma che ho avuto l'onore d'indirizzare a V.E. il 21 corrente immediatamente dopo la visita da me fatta al signor Rouvier1 , durante la quale questo ministro mi fece conoscere, per sommi capi, la nota che, in quel giorno stesso, egli avea indirizzato alla Germania.

Io era appena entrato nel Gabinetto del sig. Rouvier quando egli mi disse che, senza aspettare la mia interrogazione, mi faceva sapere di avere rimesso alla Germania una nota scritta in risposta a quella del Gabinetto di Berlino relativa alla conferenza proposta dal Marocco. La nota contiene l'esposizione dello svolgimento della politica francese al Marocco, ribatte punto per punto le erronee idee che di questa politica si fece la Germania e conchiude ripetendo che, se vi è accordo, la conferenza è inutile e, se l'accordo manca, non conviene convocarla. Però-e qui sta, osservò il sig. Rouvier, il punto sostanziale della concessione che noi facciamo alla Germania -la Francia non rifiuta in massima la conferenza ma, prima di pronunciarsi definitivamente, le occorre di conoscere ciò che la Germania vuole.

Non tacqui al sig. Rouvier ch'io provava una certa sorpresa udendo dei termini nei quali egli riassumeva il contenuto della nota mandata a Berlino, che sostanzialmente da una settimana in poi le trattative verbali che pure erano aperte, non aveano fatto fare un passo alla questione. La Francia non conosceva dunque ancora le intenzioni del Governo germanico? Il sig. Rouvier risposemi che le cose stavano proprio così.

Il ministro, mentre riassumeva il contenuto della sua nota, ne teneva fra le mani il testo; ma ne toglieva qua e là qualche frase di cui mi dava lettura, sicché non ebbi di quel documento un'impressione completa e sicura. Mi sembrò tuttavia che la forma ne fosse corretta; ma che lo stile adoperato fosse alquanto asciutto.

Nell'intenzione del sig. Rouvier questo atto della diplomazia francese sarebbe destinato a mettere in sodo, ora e poi, la rettitudine e la sincerità dell'azione politica della Francia nell'affare del Marocco ed a provocare dal Gabinetto di Berlino la dichiarazione delle sue intenzioni, fin qui inutilmente domandata verbalmente. Perciò, dopo di aver lasciato trascorrere il tempo occorrente per la consegna della nota al Governo tedesco le altre potenze interessate ne riceverebbero comunicazione. S.E. Barrère ne rimetterebbe una copia a V.E.

Mi parve utile di far osservare al sig. Rouvier che la comunicazione ch'egli si proponeva di fare della sua nota ad altre potenze avea nulla d'insolito poiché la nota stessa rispondeva a quella che il Governo germanico avea del pari comunicato alle potenze medesime. Ma mi sarebbero sembrati prematuri tanto la pubblicazione del documento francese, quanto tutto ciò che potesse sembrare fatto con I'intenzione di

!50 1 Vedi D. 142.

provocare un giudizio sovra la reciproca azione dei due Governi contendenti. Il sig. Rouvier trovò giusta la mia osservazione e rettificò parzialmente ciò che prima avea detto notando che non si trattava di dare subito pubblicità alla nota; ma che questa starebbe a far fede, a tempo debito, delle vere intenzioni della Francia.

Nel corso della conversazione, questo sig. ministro ebbe ad osservare che, accettando il principio della porta libera e del mantenimento dello stato politico al Marocco, egli non faceva che ripetere ciò che già risultava dagli accordi stipulati dalla Francia con l'Inghilterra e con la Spagna. La Germania pareva disposta a riconoscere che la lunga frontiera che mette il Marocco in contatto con l'Algeria creava alla Francia una situazione speciale. Se così era, insinuai a mia volta, non pareva ben lungo il passo da fare per intendersi sovra l'attuazione delle riforme e misure che, per generale consenso, sembrano desiderabili in Marocco. Mi pareva però, soggiunsi io, che nell'accordo franco-britannico l'applicazione del principio della porta aperta al Marocco soffriva una limitazione di tempo. Vi si parlava soltanto di un trentennio. A questa mia osservazione Rouvier rispose senza esitazione che se l 'impegno di trenta anni pareva corto, egli era pronto a trattare per una durata maggiore.

Si venne anche a parlare incidentalmente del trattato franco-marocchino di frontiera del 1845 e del droit de poursuite che esso riconosce alla Francia nei casi di aggressione da parte delle tribù appartenenti al Marocco. Sarebbe stato conveniente, a scanso di qualche improvvisa complicazione, che sovra il senso di quella convenzione non sussistessero equivoci fra la Francia e la Germania perché qualche irruzione di marocchini sul territorio algerino era sempre prevedibile ed, in questo momento, l'esercizio del diritto d'inseguimento avrebbe potuto dare luogo ad interpretazioni pericolose. Mentre io faceva questa semplice osservazione notai che il sig. Rouvier ne prendeva un appunto per iscritto.

151

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1377/134. Berlino, 27 giugno 1905, ore 20 (perv. ore 21,13).

Risposta germanica alla nota francese 1 deve essere stata rimessa oggi a Parigi dal Radolin2; essa è redatta nei termini più amichevoli e concilianti senza che però Germania receda dai propositi, fino ad ora manifestati, riguardo alla conferenza. Barone Richthofen mi ha detto, ed il mio collega francese confermato, che ormai non v'è più dubbio circa riunione conferenza si tratta soltanto trovare formula che per

metta al Governo francese accettare senza pregiudizio suo prestigio specie all'interno. Siccome ambo le parti sono animate desiderio chiudere incidente non si dubita formula stessa sarà trovata senza difficoltà.

151 1 Nota del 21 giugno: vedi D. 142. 2 Nota de124 giugno: testo in Documents diplomatiquesfrançais (1871-1914), Parigi, Imprimerie Nationale, 1929-1959, serie seconda, vol. VII, D. 140.

152

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1384/46. Pietroburgo, 28 giugno 1905, ore 19 (perv. ore 21,40).

Conte Lamsdorf, venendo oggi spontaneamente a parlarmi della questione cretese, mi ha espresso suo vivo rincrescimento per non avere Italia, Francia inviato ancora rinforzi nell'isola, parendo attribuire a questo mancato invio, e, forse anche all'attitudine troppo remissiva contingenti italiano, francese riguardo insorti -e che questi interpretano come prova scissione fra le potenze protettrici -motivi principali prolungarsi insurrezione. Nello stesso senso si è pronunziato con l'ambasciatore di Francia.

153

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1390/60. Londra, 28 giugno 1905, ore 20,45 (perv. ore 7 del 29).

Marchese Lansdowne mi ha rimesso copia del memorandum su Creta, che spedisco per posta, nel quale [riferendosi egli] ultimi due messaggi del principe Giorgio alle potenze, si osserva in sostanza: l) che, mentre consoli di Inghilterra e di Russia si sono dichiarati disposti ad emanare un proclama agli insorti, nel senso delle proposte comuni dell '8 giugno, i loro colleghi d'Italia e Francia hanno declinato associarvisi; 2) che, mentre Gran Bretagna mantiene ora nell'isola una forza di oltre 900 uomini e la Russia ne avrà tra poco altrettanti, la Francia ne ha solo 480 e l'Italia

290. Memorandum conclude essere urgente che Italia e Francia dichiarino, senza alcun ritardo loro intenzioni circa proclama e circa invio adeguati rinforzi senza i quali potenze sarebbero costrette a limitarsi a tenere soltanto principali città 1•

153 1 Con T. 1440/63 del 5 luglio Pansa comunicava che: «marchese Lansdowne mi ha detto che anche il console francese fu ora autorizzato sottoscrivere noto proclama agli insorti. Sua Signoria mi ha rinnovato la preghiera di raccomandare a V.E. analoga autorizzazione al rappresentante italiano, osservando che sarebbe urgente che proclama venisse emanato prima adunarsi assemblea prevista per domani».

154

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 432/134. Belgrado, 28 giugno 1905 (perv. i/12 luglio).

Persuaso di conformarmi alle vedute della E.V., delle quali trovo una speciale affermazione nel dispaccio del 18 giugno n. 741 mi sono recato di nuovo da questo ministro interinale per gli affari esteri e gli ho chiesto se avesse ulteriori notizie circa ai dissapori fra l'agente bulgaro e il console serbo a Uskub. Il ministro mi rispose che, prese informazioni al proposito, aveva constatato le cose stare realmente così come io avevo riferito. Che però le cause dei dissensi di carattere personale e molto futile, rimontavano a parecchi mesi addietro.

Colsi allora la occasione per dire al ministro che, se avevo insistito nell'attirare la sua attenzione sull'incidente, ciò dipendeva dal desiderio vivissimo dell'Italia che fra il Governo serbo e il bulgaro regnassero i migliori rapporti, anzi andassero consolidandosi quelli che già esistevano sotto il precedente Ministero. L'Italia, aggiunsi, non ha punto l'intenzione di disinteressarsi alle quistioni balcaniche, nutre molta simpatia per la Serbia e la Bulgaria e ritiene che il buono accordo fra questi due popoli sia la più salda garanzia pel mantenimento della loro indipendenza, lo sviluppo delle loro forze e la conservazione della pace in Oriente.

«Sono ben lieto, -mi rispose il sig. Zujovié -di quello che ella mi dice. Quando la Serbia, scosso il giogo turco, sorse a nazione, ebbe sempre a dibattersi fra l'influenza russa e l'austriaca, e molti de' suoi mali debbono ascriversi all'antagonismo che ne derivò. Pertanto se ora l'Italia si decide ad esercitare una azione efficace e non soltanto platonica nella penisola balcanica, si stabilirà un equilibrio di forze, di interessi e di tendenze dal quale la Serbia avrà grande giovamento».

«Noi però» replicai, «dobbiamo sapere anzitutto quali sono veramente i vostri intendimenti in fatto di politica estera, se voi volete seguire l'indirizzo dei vostri predecessori o prendere un'altra rotta».

«l miei colleghi ed io», disse il ministro, «abbiamo naturalmente ciascuno le nostre idee al proposito, ma non abbiamo trattata ancora la questione collettivamente, persuasi di essere un Ministero transitorio, destinato sopratutto a fare le elezioni. Quindi, non avendo nulla deciso e nulla fatto di nuovo, è rimasta immutata per ora la politica dei nostri predecessori».

A meglio determinare il valore di questa risposta chiesi formalmente di qual natura fossero gli attuali rapporti del Governo serbo col bulgaro, ed il sig. Zujovié dovette confessarmi che se erano regolari mancavano però di qualsiasi carattere di intimità, ed aggiunse, mostrandone rammarico, che così fatta freddezza non era da ascriversi alla Serbia, ma alla Bulgaria o piuttosto al principe Ferdinando che dirige personalmente la politica estera del paese e che, a quanto pare, diffida del nuovo Ministero. «< nostri

avversari», mi diceva il ministro, «ci accusano di austrofilia. Questa accusa che noi non meritiamo, ha per effetto di creare la sfiducia intorno a noi e sopratutto a Sofia».

Osservai allora che, se da parte del principe Ferdinando mancava la fiducia, questo forse era da ascriversi anche ad incidenti antichi, a tutti ben noti. Risultavami infatti che il principe non aveva dimenticato la grave indiscrezione commessa alcuni mesi or sono quando il Balucié riferì in un telegramma alla Neue Freie Presse il colloquio intimo che aveva avuto luogo alla stazione di Belgrado fra i due sovrani. Propalazione che poteva compromettere, e forse compromise, i buoni rapporti fra il principe ed il Gabinetto di Pietroburgo. Orbene, gli autori di quella indiscrezione cercarono sempre di seminare la zizzania fra serbi e bulgari, di rovesciare il Ministero Pasié accusato di bulgarofilia e contribuirono, a creare la situazione attuale: fra le prime avvisaglie del Balucié ed il mutamento di Governo vi è dunque una specie di nesso logico, ne v'ha a meravigliare che i sospetti esistano ed occorra tempo e cura per dissiparli.

Il sig. Zujovié prese occasione da queste mie parole per eliminare ogni dubbio di solidarietà fra il nuovo Ministero ed il sig. Balucié sul conto del quale espresse un giudizio dei più severi.

Le dichiarazioni del sig. Zujovié quantunque abbastanza rassicuranti, non mi sembrarono però così esplicite da renderne superflua la conferma o il commento da parte del presidente del Consiglio al quale spetta veramente la responsabilità nell'indirizzo generale della politica.

Tenni al sig. Stojanovié un linguaggio poco diverso da quello avuto col suo collega degli affari esteri. Ma ebbi in principio anche da lui risposte molto generiche e i soliti argomenti sulla precarietà del Ministero, il desiderio di non mutare l'indirizzo politico, ecc. «Ma quale è questo indirizzo politico», chiesi? «Quello dei nostri predecessori», mi fu risposto, «cioè l'amicizia cogli Stati balcanici». Ed io alla mia volta per meglio precisare. «Dunque nulla vi è di mutato nemmeno nelle relazioni colla Bulgaria?» «Nulla», rispose il ministro. Al che mi pennisi osservare le mie informazioni essere un poco diverse. Il ministro si confuse e mi disse che a lui non constava di verun raffreddamento, ma essere possibile fossero giunti da Sofia rapporti di quell'agente che egli non conosceva. Però, aggiunse, vi assicuro che, conforme anche al modo di vedere dell'Italia, è desiderio nostro, se è possibile, procedere innanzi in completo accordo colla Bulgaria. Mi parve che in quel se è possibile si racchiudesse il veleno dell'argomento e siccome io sollevavo nuovi dubbi, il ministro mi dichiarò il sig. Milovanovié aver ricevuto istruzione di fare sull'argomento le dichiarazioni più formali ed esplicite al Governo italiano. Risposi che me ne rallegravo molto, giacché sapevo come il detto ministro la pensasse in fatto di politica estera e di qual considerazione godeva tanto a Belgrado come a Roma.

Malgrado però le dichiarazioni dei due ministri, che possono essere più o meno sincere, malgrado le assicurazioni che a nome di essi il sig. Milovanovié possa aver date all'E.V., non credo sia il caso di abbandonarsi a soverchia fiducia. Dalla mia precedente corrispondenza, come dai rapporti nn. 131, 132 e 1332 , che trasmetto insieme al presente, dal linguaggio della stampa austro-ungarica così ostile in passato

!54 2 Non pubblicati.

ed ora tutta lodi pei nuovi reggitori della Serbia, vi è da ritenere esista un tentativo per mutare l'indirizzo polilico di questo paese, separarlo dalla Bulgaria e creare poi il vuoto intomo a quest'l:ltima.

Senza menar vanto di quel che ho potuto fare, ritengo che il mio linguaggio abbastanza esplicito diretto a far capire come l'Italia non si lasci mistificare da certi intìngimenti abbia dato a pensare, il che spiegherebbe le esitazioni dei ministri serbi così inesplicabili al sig. Dumba (rapporto n. 132).

Ritengo pertanto che se qui si continua prudentemente ma insistentemente da parte dell'Italia nell'attitudine seguita finora, e se a questa corrisponde, come r.on ne dubito, l'azione del r. agente a Sofia, si riescirà forse ad evitare fra il Governo serbo ed il bulgaro una scissura fatale ad entrambi che potrebbe turbare profondamente l'equilibrio balcanico.

154 1 Vedi D. 138.

155

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1398/92. Addis Abeba, 29 giugno 1905 1•

Rispondo suo telegramma 955 del 23 giugno2 .

Siccome scambio o visita è rimandato autunno per avviso avuto dal governatore Eritrea, così mi crederei autorizzato non fame per ora cenno Menelik, tanto più che egli non si preoccupa nostri rapporti con Francia perché ha fiducia completa nel nostro interessamento per questione ferrovie.

156

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 663/2361• Londra, 29 giugno 1905.

Ho l'onore di accusare ricevuta del dispaccio del 7 corrente (n. 214)2 col quale

V.E. mi fece l'onore di comunicarmi le istmzioni trasmesse al r. ambasciatore in Parigi per norma delle sue trattative circa il progetto di convenzione per l 'Etiopia, sulla base del nuovo nostro contro-progetto pure annesso a quel dispaccio.

!55 1 Trasmesso da Asmara dal governatore Martin i con T. 80 del 30 giugno. 2 Non pubblicato. Il suo contenuto risulta dal D. 143. 156 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra. 2 Dispaccio confidenziale 28997/214, non pubblicato, ma vedi D. 112.

Non ho mancato di dare di questo comunicazione al marchese di Lansdowne, esponendogli la nostra fiducia nell'appoggio che egli vorrà prestarci presso il Governo francese.

Per evitare confusione coi negoziati da condursi in Parigi, mi astengo qui da osservazioni di dettaglio sul raffronto fra il nostro progetto e quello francese, tanto più che a quest'ultimo si è frattanto sostituita la versione modificata che ebbi in seguito a comunicarle. Senza entrare nel merito di taluni emendamenti più che altro di forma, mi limiterò pertanto a riferire generalmente su due punti essenziali che ho rilevati dalle conversazioni qui avute in proposito al Foreign Office.

Sull'art. IV b concernente gli interessi italiani pel caso di una disintegrazione dell'Abissinia, -che mi sembra essere il punto che più particolarmente ci tocca il marchese di Lansdowne mi promise il suo appoggio affinché venga ristabilita la dicitura convenuta nel nostro primitivo accordo: «de telle sorte notamment qu' il n'y ait pas de solution de continuité entre ces deux possessions».

Sir Eldon Gorst anzi mi disse ieri che in seguito alle sue insistenze presso M. Cambon, questi si era mostrato disposto a raccomandare al proprio Governo l'adesione ai termini da noi preferiti.

Quanto agli articoli riguardanti le ferrovie, lord Lansdowne e così pure sir Eldon mi rappresentarono che gli scopi del Governo inglese sono in tale argomento identici ai nostri: se nel nuovo controprogetto si era qui ammesso qualche emendamento nel senso raccomandato dalla Francia, ciò non era per mancanza di desiderio di ottenere termini più espliciti, ma era per effetto inevitabile delle trattative nel corso delle quali si era pur dovuto tener conto di certe obbiezioni della parte avversa. Sir Eldon Gorst, aggiunse, dopo aver preso cognizione del nostro contro-progetto, che di taluni dei propositi incisi egli intendeva ulteriormente valersi per farli accettare; così in ispecie egli trovava opportuna la insersione di una dichiarazione relativa al carattere commerciale della ferrovia; su altri punti egli aveva incontrato molta resistenza a far ammettere in forma più esplicita certe riserve che porrebbero il Governo francese in imbarazzo verso la Compagnia cui lo vincolavano formali impegni: ma in conclusione il Governo italiano poteva affidarsi all'azione del Foreign Office il quale nulla ometteva per la tutela di interessi che in questa materia delle ferrovie erano, egli mi ripeteva, perfettamente conformi a quelli dell'Italia. In questo senso, egli affermò, si era fra l'altro ottenuta l'inserzione di una clausola per il libero transito in franchigia delle merci sul territorio francese di Gibuti, clausola che non apparisce nemmeno nel nostro controprogetto. N eli' articolo poi riferentesi alla ferrovia da concedersi ad una compagnia, si era specificato che questa dovesse essere «privata». Ma, come dissi, non gioverebbe che io entrassi qui in una dettagliata disquisizione dei termini precisi di codesti articoli, dei quali dovrà trattarsi a Parigi. Mi limito ad osservare in genere che, allo stato delle cose, riuscirà forse più pratico il proporre emendamenti su qualche punto speciale, anziché il far accettare un nuovo controprogetto integrale, in sostituzione di quello che è il risultato di trattative abbastanza minute e laboriose, da qui già condotte allo scopo di fame emergere, sia pure con qualche concessione di forma, la sostanza dei nostri comuni intendimenti.

Prendo nota dell'intenzione da V.E. manifestata col suo citato dispaccio di comunicare a suo tempo l'accordo per l'Etiopia al Governo germanico.

Non ho ancora parlato di questo al marchese di Lansdowne, riservandomi di farlo quando le trattative saranno più vicine ad una definitiva conclusione. Non dubito del resto che Sua Signoria approverà senz'altro la proposta comunicazione la quale concorda perfettamente col suo proposito di evitare ogni segreto. Riferendomi alla precedente corrispondenza avuta su ciò con V.E., debbo anzi dirle che in quel proposito Sua Signoria è più che mai ferma.

Nel parlare qui dell'articolo IV b, avevo, a titolo di idea mia personale, messo innanzi il suggerimento che potrebbe adottarsi per esso l'espediente di una nota esplicativa da non pubblicarsi, analoga alla lettera proposta per constatare la rinunzia francese al terzo tronco della ferrovia oltre Addis Abeba. Ma mi fu dichiarato che anche a codesta lettera il marchese di Lansdowne si riservava di dare pubblicità, annettendola allo stesso titolo delle altre parti della convenzione ai documenti da comunicarsi eventualmente al Parlamento3 .

157

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 665/2371• Londra, 29 giugno 1905.

Nell'ultima conversazione da me avuta col marchese di Lansdowne sulle cose di Etiopia, egli mi parlò del noto progetto di una banca internazionale da crearsi ad Addis Abeba. Si era in massima convenuto, mi disse Sua Signoria, che nel Consiglio di quello stabilimento avessero parte un direttore o delegato inglese, uno francese, uno italiano ed uno tedesco: ma apparirebbe da notizie ultimamente qui pervenute, che da parte del rappresentante italiano si era domandato che i direttori italiani fossero due. Ora il marchese di Lansdowne desiderava che io facessi presente a V.E. come codesta richiesta fosse a parer suo inopportuna, in quanto che, se ammessa, anche le altre parti interessate insisterebbero naturalmente per un trattamento eguale e ne risulterebbero allora otto direttori, con inevitabile confusione degli affari. Sua Signoria sperava che l'E.V. vorrebbe riconoscere il fondamento di codesta asserzione per teneme conto nelle istruzioni da darsi al nostro rappresentante.

157 1 Dali 'archivio del! 'ambasciata a Londra.

156 3 PerlarispostavediD.I87.

158

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 81. Addis Abeba, 30 giugno 1905 (perv. i/31/uglio).

In risposta al dispaccio dell'E.V. n. 26380 del 23 maggio u.s. 1 , relativo all'accordo concluso recentemente tra il R. Governo e il Mullah, mi affretto ad informarla che non ho mancato di far notare 21 Negus la parte presa dall'Inghilterra alla stipulazione del detto accordo.

Non posso nascondere all'E.V. che mi consta essere il Negus rimasto alquanto sorprew dal fatto che con tale accordo il R Governo abbia cnncesso al Mullah uno sbocco sul mare, il quale fatto lo preoccupa per la question~ del commercio delle armi da fuoco. Le mie assicurazioni al riguardo e circa la sorveglianza che il

R. Governo eserciterà lungo h costa per impedire il detto traffico, non sono valse a rassicurarlo2 .

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 981. Roma, 1° luglio 1905, ore 10,40.

Legge Benadir approvata dal Parlamento. Dispongo per versamento Banca Inghilterra somma convenuta per riscatto. Versamento è fatto a credito Governo Sultano Zanzibar. Regoleremo direttamente con detto Governo residuo pagamento canone.

!58 1 Vedi D. 93. 2 Vedi D. 247.

160

IL MINISTRO A BRUXELLES, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 628/275. Bruxelles, ] 0 luglio 1905 (perv. il 4).

Le apprensioni che a più riprese si manifestarono in questi ultimi tempi a Parigi all'improvviso inasprirsi dei rapporti franco-germanici, non ebbero nel Belgio, che pure è legato alla Francia da tanti interessi economici e che tanto avrebbe da temere in un conflitto fra i suoi potenti vicini, tutta quella ripercussione che si poteva supporre. La gran massa del pubblico rimase assolutamente calma, i circoli finanziari non palesarono quasi alcuna inquietudine, e lo stesso può dirsi del Governo e dei circoli militari. La popolazione belga, in ciò ben diversa dalla francese, non si commuove facilmente, non è proclive agli entus;asmi né agli sgomenti eccessivi; vi è nel fondo del carattere fiammingo un grande ottimismo che permette ai belgi di considerare con molta serenità lo svolgersi della vertenza insorta recentemente fra i due grandi Stati militari vicini. Il Belgio con la sua intensa attività economica che estende ai paesi più remoti, è più interessato di qualsiasi altro Stato d'Europa al mantenimento della pace, ma sono appunto il grande sviluppo e la lunga consuetudine di quell'attività alla quale partecipano qui tutte le classi sociali, che fanno sentire alla gran massa della popolazione belga come la solidarietà d'interessi economici che lega tutte le nazioni civili rende ora 2ssai più difficile che per lo passaco una grande conflagrazione europea. Questo spiega la calm2 con la quale i giornali ed il pubblico hanno qui resisti~o al contagio d~.~gli allarmi francesi, e ciò malgrado che sia nel pensiero di tutti che in caso di conLitto franco-germanico ove uno dei due potenti antagonisti volesse iniziare le ostilità attrav;::rsando il territorio belga, l'esercito nelle sue presenti condizioni non si troverebbe :r-ronto in tempo utile a difendere la neutralità dello Stato. Que~ta considei·azione però non preoccupa oltre misura l'opinione pubblica la quale, ostile com'è alle spese militari, non si lascia trascinare a ingiustificati allarmi appunto perché que~to logicamente condurrebbero alla necessità di aumentare quelle.

La tranquillità che regna nei circoli finanziari e governati~1i va attribuita credo a ragioni più positive. In un colloquio che ebbi l'altro ieri con il sig. van der Elst egli mi disse che giungevano al Ministero degli affari esteri informazioni in vario senso, ma l'introduzione generale delle sue parole dimostrava una tranquillità assoluta fondata, a quanto mi parve di capire, sopra assicurazioni precise venute da Berlino. Le simpatie di questo Governo vanno del resto nel presente dissidio piuttosto alla Germania, rimproverandosi al Governo francese o meglio al sig. Delcassé d'aver fatto una politica imprudente inspirata a un eccessivo desiderio di isolare in Europa la Germania. E per quanto riguarda l'oggetto principale del dissidio, cioè il Marocco, il Belgio che è sempre alla ricerca di nuove occasioni d'esportare i propri capitali e la propria attività, è necessariamente 2mico del principio della porta ape11a che appare finora difeso dallH Germania. Le simpatie germaniche della Corte belga poi, malgrado le molte cortesie che si prodigano in ogni occasione alla Francia, non sono un mistero per alcuno, e le stesse nuove fortificazioni d'Anversa, alle quali il Re dei belgi mostra di annettere tanta importanza, sembrano rivolte piuttosto contro un'aggressione francese che contro una violazione della neutralità belga da parte della Germania, le operazioni militari della quale eventualmente si svolgerebbero nella valle della Mosa. E malgrado le vive opposizioni che le spese militari incontrano in questo paese che ascrive gran parte della propria prosperità all'essere sempre stato sottratto al peso degli armamenti che gravano l'economia nazionale dei maggiori Stati, il progetto per le fortificazioni d'Anversa ha fatto ieri un passo notevole alla Camera dei rappresentanti la quale respinse con ottantasei voti contro cinquantaquattro la proposta di aggiornamento a novembre presentata dal sig. Vervagne deputato socialista d'Anversa, e stabilì d'iniziare l'Il corrente la discussione del progetto medesimo.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 997. Roma, 3 luglio 1905, ore 24.

Circa la questione di Creta divido interamente il pensiero e le preoccupazioni del sig. Rouvier. La situazione dell'isola si viene aggravando e la mancanza di accordo tra le potenze impedisce di provvedere in modo veramente efficace. Le proposte dei consoli e quelle stesse unanimemente deliberate qui nel convegno degli ambasciatori in vista delle riforme indispensabili per la desiderata pianificazione, riforme da attuarsi sia mediante una commissione speciale, sia mediante l'opera di alto funzionario, di concerto col principe, non furono in realtà neppure prese in considerazione, mentre d'altra parte, la Russia, ed accanto alla Russia l'Inghilterra, continuano ad insistere per invio di rinforzi e per più energico atteggiamento verso gli insorti. In tale stato di cose, e poiché di fronte ai rispettivi parlamentari ed alla pubblica opinione Francia ed Italia si trovano in analoga condizione, desidero che VE. voglia far considerare al sig. Rouvier se non convenga che i nostri due Governi facciano a Londra ed a Pietroburgo concordi uffici allo scopo di ottenere che le quattro potenze protettrici si ritrovino consenzienti in un comune programma, i punti sostanziali del quale dovrebbero essere i seguenti: e, cioè, formale dichiarazione che neli 'isola saranno attuate, sotto la guarentigia delle potenze, le opportune riforme, e simultaneo invito a rientrare nell'ordine, invito che sarebbe praticamente avvalorato con l'invio di navi leggere per istituire il blocco impedendo agli insorti di rifornirsi di provviste, di armi, di munizioni. Attendo di conoscere la risposta del sig. Rouvier per impartire eventualmente le occorrenti istruzioni alle rr. ambasciate in Londra e Pietroburgo 1•

161 1 Per il seguito vedi D. 167.

162

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 111/435. Therapia, 4 luglio 1905 (perv.l'Jl).

Giunto sabato [il l 0 ] a Costantinopoli mi recai ieri alla Sublime Porta e feci visita al gran vizir ed al ministro degli affari esteri.

Ad entrambi dissi che io ero specialmente lieto di potere, ritornando al mio posto, confermare dopo i colloqui avuti con V.E. le precedenti e ripetute dichiarazioni circa i sentimenti di cordiale amicizia di cui il Governo di Sua Maestà è animato a riguardo della Turchia.

Alle disposizioni dell'Italia che non potrebbero essere migliori e più amichevoli, deve il Governo imperiale annettere tanto maggiore valore, in quanto le medesime sono conseguenza naturale delle direttive cui s'inspira la politica del Governo di Sua Maestà, al quale oggi come in passato il mantenimento dello sta tu qua in tutto l 'Impero ottomano sta principalmente a cuore.

Circa la Tripolitana dissi che V.E. pienamente rassicurato e soddisfatto in seguito alle esaurienti spiegazioni dateci dal Sultano e dalla Sublime Porta nel maggio scorsoi, non mi aveva ordinato di fare alcuna speciale dichiarazione sull'argomento. Soggiunsi però che personalmente io avrei creduto di venir meno al mio dovere di leale e sincero amico della Turchia se non avessi messo il Governo ottomano a parte di una convinzione che durante il recente soggiorno in Italia, si è venuta profondamente radicando nell'animo mio, dopo di aver preso contatto con gli uomini parlamentari più influenti ed essermi reso da vicino conto esatto della tendenza della pubblica opinione nel mio paese. In Italia, dissi, nessuno desidera spedizioni né occupazioni territoriali, ma nessuno sarebbe d'altra parte disposto a tollerare, un momento solo, che nella Tripolitania o nella Cirenaica si possa a poco a poco, sotto qualsiasi forma, venire stabilendo e consolidando una influenza, anche semplicemente economica, di un'altra potenza.

È pertanto interesse sommo, vitale della Turchia di evitare che una tale eventualità abbia mai a verificarsi. Le conseguenze sarebbero per essa disastrose, in quanto, nessun Governo in Italia sarebbe in grado di resistere alla corrente della pubblica opinione, reclamante imperiosamente energiche, fulminee misure, non destinate certo a tornare gradite al Governo ottomano. Tale e non altro, osservai, deve essere il linguaggio di chi, conscio come io sono, dell'importanza di mantenere le buone relazioni tra due paesi, e di contribuire a renderle sempre più intime e più salde, altro non desidera che adoperarsi con tutte le sue forze per raggiungere il proprio intento.

Il gran vizir si mostrò particolarmente compiaciuto di quanto io gli avevo detto a riguardo dei sentimenti cordiali e delle disposizioni amichevoli de !l'Italia verso la Turchia.

Il Governo ottomano, mi disse Sua Altezza, conosce quali sono i suoi veri amici, ed è lieto di poter tra i migliori e più fidi annoverare l'Italia, con la quale ha in molte ed essenziali questioni comunanza d'interessi.

Il telegramma diretto dal nostro Augusto Sovrano al Sultano, e le comunicazioni fatte per ordine di V.E. dal cavaliere De Martino alla Sublime Porta2 hanno arrecato qui viva soddisfazione, in quanto dimostravano chiaramente che il Governo del Re, aveva riconosciuto la sincerità delle esaurienti e categoriche dichiarazioni fatteci dal Sultano e dal suo Governo allorquando venne fuori la notizia relativa al Porto di Tripoli. Quella notizia, soggiungeva il gran vizir, deve essere stata con rara perfidia messa in giro da chi aveva interesse a turbare le buone relazioni tra i due paesi. Quelle stesse dichiarazioni Sua Altezza era felice di confermare oggi nella loro integrità. Ferid pascià mi e~primeva inoltre la sua riconoscenza per il linguaggio, per quanto reciso :1ltrettanto leale, da me tenutogli; linguaggio di cui egli si compiaceva di riconoscere il movente evidentemente amichevole. Il gran vizir accolse da ultimo con compiacenza la notizia da mc datagli della lettera autografa che S. M. il Re, mi ha ordinato di rimettere al Sultano.

Come ella avrà potuto rilevarlo, sig. ministro, io, conformemente agli accordi presi verbalmente con V.E., m; sono mantenuto sulle generali, senza fire accenno ai propositi del Governo del Rr;: circa eventuali nostre domande di concessioni economiche in Tr:politania o in Cirenaica.

Su questo delichto argomento i·J mi riservo di scrivere più diffusamente fra qualche tempo, ed intanto credo prudente, per i motivi che ebbi già l'onore di esporle a voce, di astenersi dal farvi qui alcun accenno.

162 1 Vedi DD. 81 e 87.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

T. 1017. Roma, 6 luglio 1905, ore 20.

È mio convincìmento che per poter sperare utili risultati da un nuovo proclama diretto dai consoli agli insorti, l'invito a deporre le armi dovrebbe essere accompagnato dalla promessa di opportune riforme e di una amnistiu escluse le diserzioni e i reati comuni. Il proclama che si propone non conterrebbe invece che l'invito a deporre le armi entro un termine prestabilito e la minaccia in caso di disobbedienza di reprimere energicamente. Siccome tutto fa credere che gli insorti non deporranno le armi di fronte a una tale intimidazione, io non posso far a meno di preoccupanni della necessità in cui le quattro potenze si troverebbero, per non venir meno alla loro solenne dichiarazione, di organizzare senz'altro una spedizione nell'interno dell'isola. Chiunque c0nosca le condizioni di Creta e ricordi la storia delle repressioni turche, non può a meno di rap

presentarsi i gravi pericoli e le difficoltà di una simile spedizione per la quale ritengo assolutamente insufficienti le attuali riforme internazionali. Ho anche il dovere di preoccuparmi dello stato dell'opinione pubblica italiana la quale si ribellerebbe all'impiego delle armi italiane in una repressione la quale per essere efficace sarebbe esposta all'eventualità di essere sanguinosa. Ella vorrà esporre ai suoi colleghi questo punto di vista del Governo italiano. Qualora essi per le istruzioni ricevute dai loro Governi persistessero nel giudicare opportuno il proclama contenente semplicemente l 'invito a deporre le armi con la minaccia della repressione ella vorrà dichiarare che il Governo italiano preferisce di astenersi dal firmare il proclama. Che se i suoi colleghi ritenessero troppo pericoloso di rompere l'accordo delle potenze, ella è autorizzato a firmarlo ma consegnando in pari tempo confidenzialmente una formale riserva scritta nella quale riassumendo le ragioni indicate in questo telegramma ella dovrà dichiarare che per l'eventualità di una repressione armata il Governo espressamente si riserva sulla convenienza e sul modo della propria partecipazione. Intanto deploro che delle proposte escogitate sia dalla riunione degli ambasciatori in Roma sia dai consoli costì per introdurre, garantire riforme amministrative finanziarie nessuna sia stata presa in seria considerazione mentre solo dopo ciò la repressione potrebbe essere giustificata. Ella potrà poi dichiarare che il Governo italiano è disposto sin da ora a cooperare ad un rigoroso blocco che impedisca ogni introduzione d'armi e munizioni ogni sbarco di partigiani.

162 2 Vedi D. 89.

164

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1897/7621• Parigi, 6 luglio 1905.

Con i miei due rapporti del 20 giugno ultimo2 , ho reso conto a V.E. delle pratiche da me fatte presso questo Ministero Jegli affari esteri per avviare le trattative con la Francia circa l'Etiopia sulla base prescrittami dai dispacci ministeriali del 6 e del 7 di quello stesso mese3 . Contemporaneamente io ho informato l'E.V. degli inevitabili indugi che il negoziato avrebbe a soffrire in conseguenza della situazione creata qui dalla vertenza sorta colla Germania a proposito del Marocco. Scrissi tuttavia in quei miei rapporti che io mi proponeva d'intrattenere prossimamente il sig. Rouvier di questo affare e di sollecitare da lui le decisioni occorrenti acciocché il negoziato potesse avere soddisfacente seguito.

Ebbi infatti con questo ministro degli affari esteri un colloquio il 28 giugno e lo trovai molto imperfettamente informato dello stato delle trattative. Gli dovetti dunque ricordare che, fino dalla mia prima visita, fattagli il 7 giugno, io lo aveva infor

2 Si pubblica solo il D. 140.

3 Vedi DD. 106 e 112.

mato essere nelle precise intenzioni del mio Governo di negoziare in Parigi circa le modificazioni da introdurre nel controprogetto di convenzione da S.E. Barrère comunicato a Roma per ordine del Governo francese. E siccome egli continuava a dire che certamente le modificazioni ultimamente da me presentate qui dovevano essere state mandate al sig. Cambon a Londra perché colà era la sede delle trattative, dovetti a mia volta insistere specificando le fasi per le quali queste erano passate.

Gli dissi dunque che, in febbraio ultimo, fra l'Italia e la Gran Brettagna si era conchiuso, circa l'Etiopia, un accordo che i due contraenti si erano però riservati di rendere definitivo dopo che ne fosse stata data comunicazione alla Francia invitandola a darvi la sua adesione. Tale comunicazione venne eseguita a Londra da lord Lansdowne al sig. Cambon ed a Parigi da me al sig. Delcassé. Il Governo francese deliberò di entrare in terzo nella convenzione ed elaborò un controprogetto che fu comunicato dai suoi ambasciatori a Londra ed a Roma ai rispettivi Governi. In seguito a ciò, era stato elaborato un altro controprogetto contenente le variazioni che noi riteniamo necessarie e domandiamo siano introdotte nel controprogetto francese. Io fui espressamente incaricato di negoziare circa queste variazioni, le quali, in certe parti sostanziali, altro non fanno che mantenere ciò che preventivamente era stato concordato tra l'Italia e la Gran Brettagna. Non ci occorreva perciò trattare di nuovo a Londra per queste variazioni; bensì era mestieri che l 'Italia e la Francia si accordassero sovra di esse.

Abbandonando questo soggetto, dopo le spiegazioni da me dategli, il sig. Rouvier mi chiese se veramente noi avevamo fretta di conchiudere. Egli, dal canto suo, ne «aveva abbastanza d'un Marocco e non avrebbe voluto attirarsene un secondo». Riproduco testualmente queste parole pronunziate dal sig. Rouvier per nulla togliere alla fisionomia del colloquio che aveva carattere assolutamente intimo e famigliare. Alla osservazione, fattami in questi termini, avrei in verità potuto replicare in due modi diversi. Avrei cioè potuto far notare al ministro francese che era ancor tempo di recedere all'origine delle trattative e se la Francia voleva rimanere estranea ali 'accordo prestabilito fra l 'Italia e l'Inghilterra, avrebbe potuto farcene la dichiarazione; a noi avrebbe [sic] bastato che risultasse non aver noi voluto far cosa alcuna all'infuori, o contro la Francia rispetto all'Etiopia.

Ma una replica siffatta non sarebbe forse stata conforme agli intendimenti del

R. Governo; sicché preferii dire al sig. Rouvier che, in verità, non avrei potuto concepire il pericolo d'inciamparci in qualche difficoltà con la Germania mentre non era affatto nelle intenzioni del mio Governo di lasciar ignorare a Berlino la trattativa che in sostanza riguarda gli interessi speciali dei tre soli paesi europei aventi possedimenti territoriali confinanti con l 'Etiopia. Io mi stimava autorizzato a pensare che, pur non spingendo ad una affrettata conclusione, il mio compito era di non lasciare nascere l 'idea che noi avremmo abbandonato la trattativa. Mi premeva di mettere ciò in sodo giacché prossimamente avrei avuto per certo da ritornare sovra questo affare.

Dippoi ricevetti il dispaccio di V.E. del24 giugno (n. 32156/714)4 al quale è allegato il testo del controprogetto francese modificato secondo gli intendimenti del Foreign Office. Di questo documento il marchese di Lansdowne ha dato comunicazio

ne all'ambasciatore di Sua Maestà a Londra. Dalla comunicazione stessa risulta che ormai fra l'Inghilterra e la Francia si sarebbe stabilito l'accordo in quei termini; ma evidentemente ciò non pregiudica né l'impegno risultante per l'Inghilterra verso l'Italia dall'intesa prestabilita fino dal febbraio scorso, né le trattative fra l'Italia e la Francia iniziate con la presentazione da noi fatta a Parigi alla metà di giugno delle variazioni che intendiamo introdurre nel controprogetto francese. Mi pare che l'accordo fattosi a Londra fra l'Inghilterra e la Francia sul controprogetto francese deve avere carattere subordinato all'intesa, ma non ancora concordata a Parigi fra la Francia stessa e l'Italia, sul controprogetto medesimo. A me sembra anzi che, sebbene lord Lansdowne non abbia mantenute, nelle sue trattative col sig. Cambon, le clausole alle quali noi annettiamo il massimo interesse e che egli avea pure accettate nella sua precedente intesa con l'ambasciatore italiano, noi saremmo fondati a richiedere l'appoggio di quel ministro britannico al momento in cui bisognerà qui stringere l'accordo.

Intanto la comunicazione fattami da V.E. del testo concertato a Londra fra l'Inghilterra e la Francia, mi ha permesso di stabilire il raffronto con il primo controprogetto francese e il controprogetto nostro presentato alla Francia il mese scorso. Di ciò che mi sembra di risultare da tale raffronto, mi permetto di intrattenere brevemente V.E.

La prima variante del progetto anglo-francese s'incontra alla lettera c) dell'art. 4 del controprogetto della Francia. Dove in quest'ultimo si legge:« ... età l'hinterland de ce protectorat que doit traverser le second tronçon du chemin de fer de Djibouti à Addis Abeba», lo schema anglo-francese sostituisce questa altra dicitura: «. .. à l 'hinterland de ce protectorat et au second tronçon du chemin de fer de Djibouti à Addis Abeba».

Noi ci accontenteremmo si dicesse« ... età l'hinterland qui lui est nécessaire».

Se si volesse rimuovere ogni pericolo di futuro malinteso circa l'hinterland del protettorato francese della costa dei somali, nessuna delle tre versioni proposte dovrebbe parere soddisfacente. Benché alquanto oscuramente, la francese esprime il concetto, nel quale questo Governo si era mantenuto finora fermo, di considerare che l'hinterland del suo protettorato si debba estendere a tutto il territorio traversato dalla ferrovia ch'egli si ostina a chiamare francese. Da parte nostra, benché non vi sia alcuna disposizione ad accettare che l'hinterland della Francia prenda tanta estensione, non vi è stato neppure fin qui il proposito di aprire una formale discussione sovra il limite da riconoscere all'hinterland stesso. Abbiamo perciò proposto che si indichi genericamente «hinterland qui lui est nécessaire». Dalle informazioni private che possiedo, sarei quasi autorizzato a prevedere che se io mi prestassi qui ad una discussione circa l'estensione di tale hinterland, si produrrebbero fra le viste del R. Governo e quelle della Francia divergenze delle quali difficilissimo sarebbe presentemente il componimento. Conviene perciò, se si vuol conchiudere, aggiornare ogni spiegazione a tale riguardo. La dicitura che noi abbiamo proposta avrebbe questo effetto, ma, a parer mio, quella adottata nello schema anglo-francese è ancora preferibile. Invece di lasciare indeterminato ciò che è necessario all'hinterland di Gibuti, il testo ultimamente adottato in Londra stabilisce che gli interessi della Francia si riferiscono a tre cose distinte: al protettorato, cioè al suo hinterland ed al secondo tronco della ferrovia Gibuti Addis Abeba. Là dove nel testo francese si faceva dell'hinterland e della ferrovia una cosa sola, lo schema anglo-francese stabilisce la distinzione che determina che le due cose non si confondono e che esse debbono essere invece considerate come fra di loro disgiunte.

Per queste considerazioni proporrei a V.E. di accettare per la lettera c) dell'art. 4 la versione dello schema anglo-francese evitando una discussione intempestiva e forse pericolosa sull'estensione dell'hinterland francese e migliorando ad un tempo sensibilmente la dicitura da noi stessi proposta.

Parimenti sono d'avviso che, qualunque avrà da essere il testo che prevarrà nelle mie trattative con la Francia, non converrà omettere l'aggiunta fatta nello schema anglo-francese all'art. 6 del controprogetto presentato dalla Francia. L'aggiunta suona così: «et que !es marchandises ne sauront passibles d'aucun droit de transit». Essa fu manifestamente suggerita dalla cognizione che il Gabinetto di Londra deve avere acquistata della concessione fatta da Menelik alla Società ferroviaria esistente di prelevare il dieci per cento ad valorem sovra tutte le merci trasportate.

Se, come io stimo, V.E. approva che di questa aggiunta sia tenuto conto nella elaborazione del testo che sarà adottato fra noi e la Francia, bisogna leggermente ritoccare il primo alinea dell'art. 5 del nostro controprogetto il quale, parlando del prolungamento della ferrovia da Dire Daoua ad Addis Abeba, dice che questo sarà fatto dalla Compagnia delle ferrovie etiopiche, «d'après la concession qui lui a été faite par Ménélik le 9 mars 1894». Credo che la facoltà di percepire sulle merci trasportate il dieci per cento ad valorem risulti appunto dal citato atto di concessione. Gioverebbe pertanto, a mio avviso, evitare ogni equivoco a proposito, adoperando una dicitura che non sembri accettare e confermare le clausole di un atto di concessione sotto molti rispetti riconosciuto imperfetto. Si potrebbe dire per esempio così: «les trois Gouvernements sont d'accord pour que le chemin de fer de Djibouti, concédé le 9 mars 1894 par Ménélik à la Compagnie des Chemins de fer Éthiopiens soit parcelle-ci prolongée de Dire Daouà à Addis Abeba, aux conditions suivantes:». Se poi non si volesse rimaneggiare così la forma dell'art. 5, converrebbe sostituire almeno alle parole «d'après la concession», queste altre: «En vertu de» che sono adoperate nel controprogetto francese.

La terza variante dello schema anglo-francese si riferisce all'art. 7 del controprogetto della Francia. Essa sostituisce all'impegno reciproco, assoluto, di assicurare un posto di amministratore a ciascun paese nelle società già formate o che si formeranno per la costruzione o l'esercizio delle ferrovie in Etiopia, l'obbligo di ciascun Governo di prestare il suo concorso perché ciò venga fatto. Sembrami che in realtà la formula adoperata a questo riguardo nello schema anglo-francese risponda meglio a ciò che praticamente possono fare in simili casi i Governi quando, nel proprio paese e secondo le proprie leggi, si costituiscono società destinate ad operare all'estero. Non avrebbe forse valore giuridico un impegno che non fosse perfettamente in armonia con ciò che le singole legislazioni permettono di fare. Per queste considerazioni mi parrebbe opportuno preferire anche da parte nostra la dicitura dello schema anglo-francese.

Ali' art. 7 del controprogetto francese, nello schema anglo-francese si fa I' aggiunta seguente: dopo le parole «d'où partiraient ces chemins de fem, si dice «tant au point de vu des droits de port, ou des tarifs de transport, qu'à celui des droits de transit». Restano per tal guisa meglio precisati i reciproci diritti e le reciproche obbligazioni. Né io vedrei motivo di non accettare questa aggiunta nel testo definitivo dell'accordo.

Nell'art. 9 del controprogetto francese, lo schema franco-inglese introduce pure una aggiunta e sopprime una frase. L'aggiunta, evidentemente voluta dall'Inghilterra, concerne il diritto che questa si riserva di costruire la ferrovia che attraverso l'Etiopia congiungerà il Somaliland britannico alla frontiera sudanese. La frase che invece viene soppressa è quella che incomincia con le parole «cet assentiment» e si applica alla ferrovia concessa da Menelik alla Gran Brettagna nella regione N iliaca per effetto della Convenzione del 15 maggio 1902.

Per contro, nello schema anglo-francese, non figura l'inciso che, nell'art. 8 del nostro controprogetto, riserva all'Italia di mettere sotto gli auspici suoi la costruzione delle ferrovie etiopiche a nord ed a sud di Addis Abeba.

È cosa naturale che la Francia, avendo accettato in questo articolo le varianti che accertano i diritti dell'Inghilterra, non possa ricusarsi ad ammettere ugualmente quelle che dovranno precisare le nostre riserve. Però io aspetterò di sapere da V.E. se, per parte nostra, facciamo obiezione alle modificazioni su riferite, concernenti le ragioni dell'Inghilterra. In caso affermativo le nostre obiezioni non potrebbero utilmente essere presentate alla Francia ed è a Londra che si dovrebbe esercitare l'azione tendente a persuadere il Governo britannico a rinunziare alle modificazioni anzidette.

A me occorre di conoscere il più presto possibile se il Governo di Sua Maestà accetta il mio modo di vedere circa le cinque modificazioni che, con lo schema elaborato a Londra fra la Gran Brettagna e la Francia si vorrebbero introdurre. Come metodo di negoziare è sempre preferibile l'accettare ciò che è già stato concordato separatamente fra alcuni dei costipulanti, se tale accettazione può farsi senza nuocere ai punti sostanziali che si vogliono mantenere illesi. L'opporre un controprogetto proprio, integrale a quello che è risultato dai negoziati altrui, eliminando tutto, anche ciò che manifestamente, non solamente non nuoce, ma è di comune utilità, non favorisce di certo l'intesa, poiché un siffatto sistema predispone malamente gli animi di coloro con i quali si deve negoziare. A me sembra pertanto che poco monta che la nostra discussione con la Francia si apra sul controprogetto da noi qui presentato in giugno ultimo, oppure sullo schema preparato a Londra fra lord Lansdowne ed il sig. Cambon. E se noi ci dimostreremmo inclinati ad accettare in molti parti il testo fra di loro concordato, potremmo, con maggiore probabilità di riuscita, insistere perché, a loro volta la Francia e l'Inghilterra accettino le variazioni da noi giudicate indispensabili.

Mentre dunque aspetto che V.E. mi voglia fare conoscere se il suo pensiero concordi col mio in ordine al metodo che a me sembra preferibile per condurre a buon esito le trattative, mi resta ora soltanto a informarla che in una delle mie recenti conversazioni con il sig. Rouvier, il discorso è caduto incidentalmente sovra il contratto stipulato fra il Governo coloniale di Gibuti e la Società delle ferrovie etiopiche e più specialmente sovra la clausola di quel contratto che sostituirebbe il Governo francese alla Società se questa si trovasse nell'impossibilità di mantenere i suoi impegni di esercitare le concessioni avute da Menelik. Il sig. Rouvier recisamente negava che tale eventuale sostituzione si potesse estendere oltre al tratto di ferrovia costruito sul territorio francese; ma ammetteva che il contratto del Governo di Gibuti con la Società ferroviaria era, in questo ed in altri punti, assai difettoso. Queste disposizioni personali del sig. Rouvier faciliteranno indubbiamente le trattative; ma non dovranno bastare per farci rinunziare, nell'accordo, alle clausole destinate a eliminare i dubbi che potrebbero favorire una diversa interpretazione del suaccennato contratto.

164 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra.

164 4 Vedi D. 146.

165

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 445/144. Belgrado, 6/uglio 1905 (perv. i/12/uglio).

Dai documenti diplomatici trasmessimi coli 'ultimo corriere, rilevo come il duca Avarna, con suo rapporto 4 giugno ultimo, documento diplomatico n. 2219 (CVII) 1 , svolga alcune importanti considerazioni, degne di ponderato esame, intorno alla tendenza ognor crescente della Germania di far sentire la sua influenza sulla Penisola balcanica. Tendenza che ora ha un carattere prevalentemente economico, ma che necessariamente finirà per assumerne uno anche politico.

Per ciò che concerne la Serbia, io non posso che confermare quanto dice il nostro ambasciatore a Vienna. Questo indirizzo della politica germanica, che qui poi per necessità di cose si svolgeva in antagonismo agli interessi austro-ungarici, mi aveva colpito fino dai primi giorni in cui ebbi l'onore di assumere la direzione di questa r. legazione, come ne fa fede il mio rapporto del 4 ottobre 1904, n. I85 1• Sembravami, infatti, che nel nostro bene inteso interesse e forse anche in quello della Serbia, non fosse da tenere come quantità trascurabile la tendenza della Germania a prendere un crescente interesse alle quistioni balcaniche (vedi anche rapporto 25 giugno I 905, n. 130)1• Posso poi aggiungere, come sintomo degno di nota, che in ogni occasione trovai questo ministro di Germania propenso a secondare le nostre viste e a favorire un frequente scambio di idee e di notizie intorno agli affari serbi. Mi sembra pertanto lecito ritenere che un così fatto desiderio di tenersi in contatto con noi corrisponde eziandio alle istruzioni ricevute da Berlino.

166

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 8 luglio 1905, ore 12.

Mullah inviato messo Aden lagnarsi continue razzie abissini contro tribù Said Mohammed sul Uebi Scebeli. Pregola interessare Menelik su assoluta necessità, nel comune interesse, che dopo accordo con Mullah popolazioni somale non siano mole

2 Trasmesso via Asmara.

state. Senza di ciò riuscirebbe vana opera pacificatrice iniziata dali 'Italia e proseguita d'accordo con Inghilterra.

165 1 Non pubblicato.

166 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. III, cit, pp. 607-608.

167

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1464175. Parigi, 8 luglio 1905, ore 18,40 (perv. ore 21,30).

È stata data ieri lettura a questo ministro degli esteri del telegramma di V.E.

n. 10181 , acciocché qui non si ignorino le istruzioni che il r. console alla Canea ha ricevute. Ho fatto osservare che la situazione interna dell'isola ormai non lascia più tempo per deliberare e che da questo stato di cose sono evidentemente ispirate le nostre riserve per i casi di repressioni armata. Il sig. Rouvier sembra affidare alla convenienza, non so da chi ispiratagli, che gli insorti si limiteranno a simulacro di attacco contro le truppe internazionali. Egli non intende raccomandare da solo agli altri Governi l'accettazione della proposta greca di sostituire truppe elleniche ai contingenti delle quattro potenze. Mi ha domandato se questa stessa proposta fu fatta anche a noi dalla Grecia: fui pure interrogato se, nel caso di conflitto armato fra gli insorti ed un contingente estero, le forze italiane che fossero in prossimità muoverebbero in aiuto del contingente, oppure si asterrebbero assolutamente dal combattere. Se V.E. ritiene utile che io dia sui due punti una risposta, la prego di telegrafarmi in qual senso essa dovrà essere2 .

168

IL MINISTRO A L' AJA, TUGINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 313/173. L 'Aja, 8 luglio 1905 (perv. l '11).

Questo ministro degli affari esteri, che vidi ieri, mi disse che il Governo neerlandese, quale firmatario della Convenzione di Madrid per il Marocco, aveva ricevuto a suo tempo dal Governo marocchino per mezzo di quell'agente di Germania,

2 Per la risposta vedi D. 170.

incaricato anche della tutela dei sudditi neerlandesi, l'invito di prendere parte alla prossima conferenza delle potenze interessate agli affari del Marocco.

Prima di rispondere alla domanda del Governo marocchino, il Governo della Regina reputò opportuno di conoscere in proposito il modo di vedere delle grandi potenze. Considerato che specialmente le risposte date dall'Italia e dall'Austria-Ungheria all'invito del Governo marocchino gli erano parse le più accettabili, il sig. van Weede, dopo ottenuta dalla Regina e dal Consiglio dei ministri la debita autorizzazione, significò tosto, senza ritardo, l'adesione dei Paesi Bassi alla proposta della conferenza, modellando presso a poco la sua comunicazione su quella delle due potenze precitate.

In questo frattempo il Governo neerlandese aveva ricevuto comunicazione confidenziale dei negoziati intervenuti su questo argomento tra i Governi di Francia e di Germania.

Sino a questo momento, non risultava al sig. van Weede che si fosse fissata la data della riunione della conferenza, né sapevasi con certezza se questa si riunirebbe in Madrid, ovvero, tenuto conto della presente calda stagione, in San Sebastiano. Sembra che si sia parlato della eventualità di riunire la conferenza a Bema, come luogo più acconcio per la stagione; e, sotto questo rispetto, si sarebbe fatto cenno anche dell'A ja.

Intorno a tutto ciò il sig. van Weede non poteva dirmi nulla con sicurezza.

167 1 Ritrasmette il T. 1017 del6luglio: vedi D. 163.

169

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 409/90. Pechino, 8 luglio 1905 (perv. il 28 agosto).

Il Governo imperiale ha indirizzato a tutte le legazioni in Pechino la nota qui unita in copia1 , nella quale, felicitandosi delle trattative di pace che stanno per aprirsi fra il Giappone e la Russia, dichiara che non riconoscerà nessuna clausola riguardante la Cina stabilita eventualmente nella conferenza di pace e sulla quale non si fosse previamente sentito il suo parere. II Giappone ha già risposto prendendo atto, colla limitazione però che ciò non venga in modo alcuno ad intralciare il corso delle trattative di pace; dalla Russia nessun riscontro è sino ad oggi qui pervenuto.

L'iniziativa dell'invio della nota (che, per istruzioni telegrafiche ai rappresentanti cinesi ali'estero, venne comunicata a tutte le potenze) fu presa, a maggioranza, in una riunione di mandarini convocati per discutere su li'argomento, ma non provenne dal Wai-wu-pu, il quale è forse molto scettico circa il pratico risultato che essa è destinata ad avere per ora. In un memoriale al trono il Governatore del Cekiang dicesi abbia proposto che un rappresentante della Cina prenda parte alle trattative di pace.

La nota in quistione chiaramente dimostra quali siano le preoccupazioni di questo Governo, il quale se vede con soddisfazione il cessare delle ostilità sul suo territo

!69 1 Non pubblicata.

rio, non sa se alla stretta dei conti non abbia ad esser lui quello che dovrà maggiormente rimetterei. Il Governo imperiale, in sostanza, paventa in futuro rappresaglie da parte della Russia, né troppo si fida delle promesse giapponesi.

Alcuni ministri del Wai-wu-pu si aprirono già con parecchi rappresentanti esteri mostrando sovratutto il desiderio che nelle trattative di pace si chiedesse dalla Russia la garanzia che non avrebbe più invaso il territorio cinese; che cosa però intendessero per una simile garanzia ed in qual modo riputassero che potesse essere ottenuta essi non seppero precisare, limitandosi ad insistere sul fatto che la Russia, non ostante i successi riportati dal Giappone, poteva sempre scendere da tre diverse vie sull'Impero, dal Turkestan, cioè, dalla Mongolia e da Harbin.

In quanto alla Manciuria, il primo sottosegretario di Stato al Wai-wu-pu, parlando or non è molto con me, mi affermava che il Governo cinese non doveva nutrire alcun timore dopo l'affidamento formale di retrocessione datogli dal Governo giapponese, qualora la sorte della guerra fosse stata a quest'ultimo favorevole. Ma nello stesso tempo, non sapeva però nascondere una certa preoccupazione circa l 'avvenire di questa provincia che i giapponesi stanno intanto per conto loro organizzando. Ed è, evidentemente, in seguito a tale preoccupazione che il Governo imperiale cerca di creare uno stato di fatto insinuandosi, per quanto gli è possibile, sul suo territorio riconquistato dalle truppe giapponesi. Difatti l'imperatrice madre ha chiesto ai viceré ed ai personaggi più importanti dell'Impero un memoriale (rapporto al trono) sulla soluzione delle attuali difficoltà e sulla organizzazione della Manciuria. E si pretende che Ciao-eur-hasun, il quale era già stato nominato governatore di Mukden, raggiungerà fra breve la sua destinazione col titolo di maresciallo tartaro (carica che esisteva anche al tempo dell'occupazione russa) e con un piano di organizzazione, che è però da supporsi sarà molto limitato. Il ritardo nella sua partenza sarebbe stato occasionato da difficoltà finanziarie, non essendosi ancora potuto raccogliere tutte le somme necessarie alla sua missione e che devono essere versate dalle varie provincie come contributo speciale per la Manciuria.

170

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1035. Roma. 9/ugiio 1905, ore 18,45.

Rispondo al n. 75 1•

Ringrazio per fornitemi informazioni circa intendimento del sig. Rouvier. Al r. ministro in Atene ed a me qui dal ministro greco fu fatto cenno di un'eventuale sostituzione di truppe elleniche ai quattro contingenti esteri, ma senza presentarci proposta formale. Su ciò quindi non mi pronunciai. Dichiaro però di essere contrario a tale

misura. Quando si dovesse organizzare una simile commedia, sarebbe meglio addirittura annettere l'isola alla Grecia e non parlame più. Ritengo cosa cauta, in vista del caso di conflitto armato con gli insorti, !imitarci alla riserva generica come fu enunciata nelle istruzioni al r. console2 senza scendere a particolari che potrebbero vincolare la nostra futura libertà d'azione.

170 1 Vedi D. 167.

171

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1297/449. Berlino, 9 luglio 1905 (perv. i/14).

Giunge ora qui da Parigi la notizia che si è raggiunto l'accordo tra il Governo francese ed il Governo germanico circa la conferenza per il Marocco. Le note concordate a questo riguardo tra i due Governi non sono ancora rese di pubblica ragione. Non è quindi giunto ancora il momento di scrivere l'epilogo dell'azione svolta dalla Germania in quello che si è voluto chiamare l'incidente per il Marocco: possono bensì, però, esser messi in luce gli indici della politica di questo Gabinetto.

Per i rapporti miei VE. sa che qui non si ignorava l'esistenza di negoziati in corso tra Parigi e Londra in vista di una intesa sulle questioni pendenti tra quei due Gabinetti. A Berlino, già nel 1903, erasi risaputo che quei negoziati comprendevano anche l'Egitto ed il Marocco: l'informazione però era generica, ché lo stretto segreto con cui venivano condotte le trattative impediva qualsiasi ulteriore notizia sui dettagli. Questi uomini di Governo ritenevano che tra Parigi e Londra ad un accordo completo e sostanziale non si sarebbe giunti. Si comprende quindi facilmente quanta sgradevole sorpresa producesse qui la convenzione dell'8 aprile 1904. Le condizioni generali politiche consigliavano alla Germania un'attitudine di aspettazione. Notificò l'Inghilterra la parte dell'accordo che la concerneva, col sottoporre all'approvazione della Germania il noto progetto di decreto kediviale; e l'approvazione, a differenza di quanto noi facemmo, non fu data se non dopo lungo e non sempre facile negoziato tra Berlino e Londra e non senza compensi. La nostra attitudine di fronte a quel decreto indusse la Germania a pregarci di non entrare, senza intenderei con essa, in trattative eventuali colla Francia riguardo al Marocco. Gli errori commessi dal Delcassé rispetto alla Germania nella questione del Marocco sono troppo noti e troppo ammessi anche in Francia perché sia necessario fame menzione qui. La Germania ne fece tesoro e li pose a base della sua azione rispetto alla Francia.

Da quando, dopo Fascioda, la politica estera francese cambiò di direzione in senso anglofilo mirando all'isolamento della Germania, il Gabinetto di Berlino si mise in guardia. Esso seguì attentamente gli sforzi del sig. Delcassé per allontana

re, sempre più, l'Inghilterra dalla Germania, approfittando delle naturali rivalità sul terreno commerciale; e sorvegliò soprattutto l'azione di lui nei rapporti francoitaliani diretti a sminuire di fatto il valore e l'efficacia della Triplice. A questo proposito la Gazzetta di Colonia in uno degli articoli di politica estera generale inspirati dalla Cancelleria scriveva negli scorsi giorni: «Quando la Francia volle migliorare i suoi rapporti coll'Italia, la Germania non le fece difficoltà di sorta: e lo avrebbe ben potuto, volendo». La Germania non oppose ostacoli soprattutto perché non volle far il giuoco della Francia, darla vinta ad essa. Ma pronunziò il suo quos ego quando giudicò venuto il momento rispetto a noi, nella forma che ella ben ricorda. Nello stesso modo si regolò il Gabinetto di Berlino rispetto ai rapporti franco-inglesi quando la situazione critica della Russia all'interno non meno che all'estero gli permise di trarre profitto dagli errori commessi dal Delcassé. Quando giunsero qui le notizie relative alle prime dimissioni offerte dal ministro degli esteri della Repubblica, qui fu detto che la persona del Delcassé non era stata presa di mira dalla politica germanica: e fu detta cosa vera. Non si desiderava qui il cambiamento della persona, bensì il cambiamento di tutto un sistema di politica. Respinte le dimissioni di Delcassé, venne così ratificato quel sistema contro il quale volgeva le sue forze il Gabinetto di Berlino e contro di esso, sistema, fu proseguito l 'attacco. Dopo che il Delcassé ebbe abbandonata la direzione degli affari esteri parve che il sig. Rouvier, finché ebbe l'interim, volesse continuarne la linea politica: almeno qui non se ne giudicò sufficiente il distacco. Fu allora che si fece sentire rumore d'armi a Parigi, sia per mezzo di persone fidate -quale il principe di Donnersmarck -sia per mezzo nostro: e noi, coi passi che facemmo allora, rendemmo un segnalato servigio alla politica imperiale. Se qui quel rumore d'armi fu fatto sul serio, fu fatto anche colla più sincera e profonda convinzione che le armi stesse non sarebbero state altrimenti adoperate. La Francia, sia per le sue condizioni interne, sia per la speciale situazione del momento dei suoi rapporti ali' estero, non avrebbe mai osato assumere un'attitudine aggressiva verso la Germania: non lo avrebbe potuto, senza esporsi ad un disastro sicuro -e questo qui ben si sapeva.

La politica tendente all'isolamento della Germania aveva quindi del tutto fallito: il successore del Delcassé dovette dar l 'ordine della «macchina indietro». E, dato che fu questo, il Governo imperiale si applicò col migliore e più sincero volere a render più facile la manovra ed agevolare la nuova rotta. La Francia ha ceduto, sarebbe vano il disconoscerlo, di fronte alla forza: su questa condizione di cose anche l'opinione pubblica ed il Governo in Francia sono bene in chiaro, a giudicare dagli indizi che qui si hanno. La politica germanica farà il suo possibile per far dimenticare alla vicina Repubblica lo sgradito ricordo di quanto è avvenuto; e da queste disposizioni del Gabinetto di Berlino il Governo francese potrà trarre, volendo, non lievi vantaggi su quell'ampio terreno di politica e di rapporti reciproci sul quale gli interessi dei due Stati non sono in collisione. Mentre però il Gabinetto di Berlino ha, specie dopo i disastri russi che lunghi e lunghi anni saranno necessari a riparare, una linea ben diritta e ben definita da seguire sia di fronte ali 'Inghilterra sia di fronte alla Francia, a quest'ultima si impone un'attitudine oltremodo circospetta. Fascioda e Marocco furono Scilla e Cariddi della politica estera francese. Per la conservazione del prestigio dello Stato è da augurare alla

sorella latina di non aver a trovarsi di nuovo in avvenire nella dolorosa necessità di constatare che la sua flotta non è forte come quella inglese e che il suo esercito non è forte come quello germanico1•

170 2 Vedi D. 163.

172

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1471/138. Berlino, IO luglio 1905, ore 15,50 (perv. ore 17,50).

Barone Richthofcn, a nome del Cancelliere dell'Impero che trovasi presso l'Imperatore, ha ora comunicato a me ed al mio collega di Austria-Ungheria ufficialmente, essere ieri finalmente giunto a termine negoziato con la Francia per conferenza Marocco; nota concordata sarà comunicata oggi da Rouvier alla Camera francese, e pubblicata stasera. Barone R1chthofen mi ha incaricato di ringraziare il Governo del Re per accettazione conferenza. Si duole, però, che la stampa italiana, e, specialmente Tribuna in questa occasione, sia stata poco favorevole a Germania. Credo inutile telegrafare testo nota che Agenzie telegrafiche trasmett~ranno. Ne manderò copia per la posta. Programma della conferenzil sarà redatto dal sultano del Marocco d'accordo con Tattenbach e con Taillandier.

173

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1388/689. Vienna, l O luglio l 905 (perv. i/13).

La Commissione del bilancio ha posto termine jeri ai propri lavori per quanto concerne l'istituenda facoltà italian~. Fu accolta la proposta governativa di assegnare per sede a detta facoltà Rovereto, nonostante i voti contrari dci deputati italiani membri di quella Commissione, che dichiararono di non poter dare la loro approvazione che ad un progetto il quale stabilisca la facoltà a Trie

ste. Il paragrafo 5 del progetto disponeva che, a partire dali' entrata in attività della nuova facoltà, avrebbero cessato di funzionare, per quanto concerneva gli studenti italiani, le Università di Innsbruck e di Graz.

Ma avendo i deputati italiani domandato che questo paragrafo fosse abolito, la maggioranza aderì al loro deside:-io, con non poca sorpresa degli altri membri della Commissione che attribuirono il fatto a semplice malinteso e non mancarono, ma troppo tardi, di sollevare obbiezioni al deliberato.

Votarono contro il progetto i deputati Hoffmann e Steinwender a nome dei tedeschi, in favore i cechi, quali sotto condizione di ottenere università slave e quali senza condizioni di sorta. Il ministro dell'istruzione von Hartel espresse il suo rincrescimento per il ritardo che per necessità aveva dovuto subire la discussione del progetto e al tempo stesso manifestò la speranza che l'università italiana possa già sorgere in autunno in modo che gli studenti italiani non abbiano a perdere il semestre invernale.

171 1 Con Disp. 36375/354 del 18 luglio Tittoni, nel ringraziare, osservava: [il rapporto] «chiarisce, in forma perspicua lo svolgimento dell'azione della Germania, di fronte alla Francia, negli ultimi tempi».

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. CONFIDENZIALE 10532 . Roma, 12 luglio 1905, ore 19.

Secondo nostri intendimenti, negoziati accordo per ferrovia procedono su seguenti basi che, cioè, ferrovia Gibuti sia prolungata fino Addis Abeba dalla Compagnia attuale in virtù concessione di Menelik del 1894 a condizione:

l) che Governo francese non possa mai sostituirsi alla Compagnia;

2) che concessione abbia carattere intrapresa commerciale;

3) che un posto di amministratore sia assicurato all'Italia, all'Inghilterra, e all'Etiopia; 4) che i sudditi e il commercio dei tre paesi godano di uguale trattamento sulla linea e nel porto di Gibuti.

Nell'accordo vi sono poi altre clausole per eventuale ferrovia ovest Addis Abeba sotto auspici Inghilterra, e per eventuale ferrovia nord sud Addis Abeba sotto auspici Italia nella misura in cui un concorso straniero è necessario. Ignoriamo ancora se su dette basi sarà possibile accordo.

Procederemo in modo che intesa su ferrovia non sia definitiva se non siamo prima sicuri consenso Menelik. Tutto ciò per sua esclusiva notizia. A Menelik può dire che ringraziamo per comunicazione confidenziale fattaci circa ferrovia e che terremo conto sua raccomandazione.

2 Trasmesso via Asmara. Risponde al D. 148.

174 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, Vùl. III, cit., p. 611.

175

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 699/247 bis 1 Londra, 12 luglio 1905

(perv. il 25).

Gli incidenti della vertenza franco-tedesca relativa al Marocco, oggetto del mio precedente rapporto2 , offrono una troppo intima connessione colle relazioni dell'Inghilterra verso la Germania perché si possa trascurare di tenerne conto nel calcolo delle sue più o meno prossime conseguenze.

Non era da attendersi che codeste relazioni acquistassero in cordialità pel fatto dell'opposizione germanica ad un accordo al quale l'Inghilterra ha posto la sua firma e che fu la base immediata e visibile della sua recente intesa con la Francia. Per quanto nelle ultime trattative fra Parigi e Berlino non si sia parlato dell'Inghilterra, ognuno ha sentito come questa vi fosse costantemente presente in ispirito.

Il risultato di quelle trattative non ha sorpreso il Governo britannico. Come l'ho a suo tempo riferito a V.E., il marchese Lansdowne, anche in fede alla impressione del suo ambasciatore in Berlino, era fin dal principio convinto che per l'affare del Marocco si troverebbe un qualche componimento3 . Egli quindi si attenne alla sua attitudine di tranquilla aspettazione, limitandosi a uniformare il suo linguaggio alle disposizioni successivamente manifestate dal Gabinetto di Parigi; e se ora si riunirà la conferenza -che non fu mai, del resto, respinta formalmente dal Governo inglese -questo continuerà a prestare, anche in essa, alla Francia il suo appoggio diplomatico, senza riserva né secondo fine, a meno che per secondo fine non voglia intendersi quello di raffermare sempre più la nazione francese nel sentimento di morale fiducia che qui si desidera porre a fondamento dei rapporti fra i due paesi, per ogni futura evenienza.

Circa codeste evenienze, è degno di nota come, non solo nella stampa europea ed americana, ma anche in isfere politiche più responsabili, si formino inquiete congetture su due casi che, si suppone, potrebbero presentarsi: il caso cioè che la Germania, non paga del successo relativo ottenuto col ritiro del ministro Delcassé e coll'indirsi di una conferenza marocchina, premesse ancora sul Governo della Repubblica per indurlo a entrare con essa in un qualche accordo più generale che, a rovescio della situazione presente, lo metterebbe in opposizione coll'Inghilterra; od il caso che, a ciò non riuscendo con blandizie, la Germania passasse nuovamente alle minacce, con l'effetto forse di provocare il risentimento della Francia che, dato il risveglio dello spirito nazionalista, potrebbe in certe circostanze condurre ad un conflitto.

L'escludere a priori ogni simile possibilità non è concesso a nessuno. Posso dire però che, per quanto mi è dato penetrare il sentimento del ministro degli esteri e degli uomini politici da me conosciuti in Inghilterra, né l'uno né l'altro di quei casi è da

2 R. 699/247 pari data, non pubblicato.

3 Vedi D. IO.

essi considerato come probabile e verosimile. Non si ammette qui come verosimile che la Francia possa lasciarsi tentare a compromettere il suo recente accordo coll'Inghilterra, per lo scopo di problematici vantaggi, i quali potrebbero riferirsi soltanto a questioni coloniali già utilmente risolte dall'accordo stesso, e ciò col sacrificio di sentimenti che i francesi, almeno della presente generazione, non sono preparati ad apertamente sconfessare, ed esponendosi poi a tutti i pericoli ed agli enormi danni che una semplice ostilità politica ed economica della Gran Brettagna fatalmente le arrecherebbe. Un simile successo, qui si dice, pel quale nemmeno forse basterebbe la mano di un principe Bismarck, non sarà certamente ottenuto dagli autori della recente campagna diplomatica marocchina, che un eminente uomo politico qualificava meco come il «clumsiest piece ofbusiness» del suo genere.

Quanto poi ad un eventuale azione provocante della Germania, tale da incitare la Francia ad una guerra, nemmeno la si crede probabile. Ciò che farebbe l'Inghilterra in una simile evenienza, è subordinato a troppe circostanze incalcolabili perché una qualsiasi predizione possa avere significato. Ma è lecito considerare, come qui si fa, che la semplice possibilità del trovarsi di fronte alle forze riunite della Francia e della Gran Brettagna, sarebbe tale da far riflettere chiunque fosse tentato a provocarla.

Quest'ultima considerazione, a parer mio, domina eziandio l'apprezzamento che può farsi dell'altra questione concernente i rapporti particolari tra la Germania e l'Inghilterra. Ricevetti a suo tempo le interessanti comunicazioni fattemi da V.E. (disp. nn. 13, 23, 192, 164)4 di alcuni rapporti della r. ambasciata in Berlino che a quella questione si riferiscono. Se non vi ho espressamente risposto finora, è perché poco avrei potuto aggiungere a quanto ebbi parecchie volte ad esporle sull'argomento stesso. Ogni qual volta mi occorse di intrattenermene col marchese Lansdowne, con sir Frank Lascelles, col conte Metternich e con altri, tutti osservarono che non esiste fra le due potenze alcuna questione. Vi è fra esse una rivalità commerciale, ma una simile rivalità, anche più acuta, esiste per esempio con gli Stati Uniti d'America e questa non impedisce il mantenimento di cordiali relazioni fra essi e l'Inghilterra. Il Governo inglese è convinto che il Governo germanico non ha, né può avere, propositi di guerra contro l'Inghilterra e che esso dal canto suo non gli attribuisce una simile intenzione che sarebbe mostruosa. Ma appunto perché non vi è una questione effettiva, la quale se esistesse in forma palpabile potrebbe venir trattata e risolta, riesce più difficile rimediare a divergenze createsi fra le due nazioni per cause psicologiche imponderabili, che sfuggono all'azione dei Governi. Non mi occorre qui ritornare su quanto ho altre volte esposto circa le prime origini di questo stato d'animo, che risalgono a un quarto di secolo addietro e delle quali l'attitudine della Germania, specie durante la guerra boera, ha disgraziatamente favorito lo sviluppo. Si dice con ragione che la stampa ne ha gran parte di colpa; ma è evidente che la stampa non terrebbe il linguaggio che tiene, se non per effetto della necessità che le condizioni del giornalismo moderno le creano di obbedire alle correnti dell'opinione popolare, anziché dirigerle. Da chiunque siano venuti i primi attacchi -e qui si sostiene che vennero da Berlino -sarebbe inutile il ricercare adesso in quali proporzioni si riparta la responsabilità fra i pubblicisti dei due paesi. Quando l'ambasciatore tedesco si lagna di un

articolo come quello dell'ammiraglio Fitzgerald il quale diceva che se l'Inghilterra deve romperla con la Gennania, meglio oggi che domani, altri gli risponde citandogli un articolo precedente di un generale tedesco che discuteva tutti i particolari di uno sbarco di truppe imperiali sulla costa scozzese.

A questo stato di cose che tutte le per<>onc sensate altamente deplorano, non si vede p el momento altro rimedio fuorché la saviezza dei Governi e l'effetto del tempo. Che i ministri inglesi abbiano coscienza della responsabilità loro imposta dai pericoli che vi si contengono, è dimostrato fra altro dalla cautela con la quale fu evitata ogni interrogazione in Parlamento durante il periodo più delicato delle recenti trattative franco-tedesche, mentre la stampa germanica accusava apertamente l'Inghilterra d'incoraggiare la Francia alla resi.stenza e spingerla alla guerra. Fu quello uno degli incidenti che da ultimo più contribuirono a ridestare malumore verso la Germania. Ho riferito altre vohe come si confidi dagli uomini politici più influenti di questo paese che l'attuale animosità dovrà gradatamente cessare e come anzi si preparasse qualche tentativo per condurre quel!' effetto desiderato. Ma è evidente che ciò non potrà riuscire se non in seguito a un abbastanza lungo periodo di calma e che un tentativo prematuro rischierebbe di ondurrf a risultati contrari. In quest'ordine di idee mi diceva non ha guari sir Frank Lascelles, ora qui in congedo da Berlino, ch'egli sperava si potesse un giomo o l'aJtro combinare una visita del re Edoardo all'imperatore Guglielmo: ma occorreva per tal viaggio un vento più favorevole di quello che spira nell'attuale momento.

Restituisco qui unito il documento che era annesso al citato dispaccio di VE.

n. 192.

175 1 Autografo.

175 4 Non pubblicati.

176

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1055. Roma, 13 luglio 1905, ore 14.

Prego ringraziare Rouvier per favorevole accoglienza fatta alla mia proposta circa Creta 1 . Credo, però, che per il momento con venga aspettare l'effetto del proclama concordato fra i consoli. Però, poiché se ne prevede l'insuccesso, è bene che la Francia e l'Italia si tengano pronte a fare convenienti uffici a Pietroburgo ed a Londra nel senso di quella mia proposta per mezzo dei rispettivi ambasciatori.

176 1 Vedi D. 161.

177

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

DISP. RISERVATO 35389/473. Roma, 13 luglio 1905.

Segno ricevuta e ringrazio l'E.V. del suo rapporto in data del 29 maggio scorso,

n. 5501 , da cui ho rilevato che, in un suo colloquio con codesto ambasciatore di Francia, il conte Goluchowski ha espresso il medesimo concetto manifestato, a suo tempo, all'E.V. che, cioè, il mandato austro-russo, non limitato in guisa alcuna nel programma di Miirzsteg, è destinato a durare fino a completa esecuzione delle riforme, mentre il mandato degli agenti civili è stato limitato a due anni, non già nel programma di Miirzsteg, sibbene nelle istruzioni impartite dalle due potenze ai rispettivi ambasciatori a Costantinopoli, e da essi comunicate alla Sublime Porta, di guisa che le due potenze sarebbero libere di prorogarle a loro placito.

In ordine a questo argomento, non ho che a richiamare il telegramma da me direttole fin dal 14 aprile, col n. 5182 . Noi pensiamo che sia per lo meno assai dubbia la tesi sostenuta dal conte Goluchowski, e le ragioni del nostro pensiero sono chiaramente esposte nel promemoria, del quale qui acchiudo una copia3 per notizia di lei e per norma del suo linguaggio.

D'altra parte noi non possiamo dissimulare a noi stessi la gravità di un dissidio, che, intorno a questo punto fondamentale, si appalesasse fra le potenze, e neppure possiamo calcolare fin d'ora le conseguenze che potrebbero derivare dal fatto che, come il conte Goluchowski ne lascia intravedere l'intenzione, l'Austria-Ungheria e la Russia, spezzando l'accordo con le altre potenze, si disponessero a riprendere una piena libertà d'azione: eventualità, questa, che le presenti condizioni della Russia renderebbero manifestamente ancor più pericolosa.

In tale stato di cose, forse, sarebbe possibile e vantaggiosa una soluzione conciliativa che, dando sostanzialmente soddisfazione all'Austria-Ungheria e alla Russia, potrebbe in un certo senso accontentare l'Inghilterra, mentre, d'altra parte, essa corrisponderebbe all'indirizzo politico che noi abbiamo costantemente seguito sulla politica macedone, e cioè che, allo scadere del biennio, il programma di Miirzsteg ed i poteri dei due agenti civili fossero bensì prorogati, ma per dichiarazione e mandato esplicito delle potenze, in luogo di quel mandato tacito che a Vienna ed a Pietroburgo si presume essere stato concesso due anni or sono.

Intendo, naturalmente, su materia così delicata e complessa, riserbarmi una definitiva decisione. Se, però, io potessi ritenere che una tale soluzione riuscirebbe costì gradita, io mi indurrei probabilmente, malgrado il nostro convincimento, e per fare, verso l'Austria-Ungheria, atto di amicizia che l'E.V. saprà far apprezzare dal conte Goluchowski, non solo ad accoglierla per conto nostro, ma altresì a patrocinar

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 111, Allegato.

la opportunamente presso il Gabinetto di Londra, nulla più standoci a cuore che di vedere mantenuto, sulle cose balcaniche, un pieno accordo fra tutte le potenze.

Prego, in conseguenza, l'E.V. di istituire, a tal riguardo, caute indagini, e di farmene conoscere, appena sia possibile, il risultato. L'assenza attuale del conte Goluchowski sarà, io penso, cagione di inevitabile indugio; però stimo che non le sarà intanto malagevole di conoscere, circa l'argomento del presente dispaccio, alcuna nozione preliminare od alcun indizio, donde io possa trarre norma per i nostri procedimenti ulteriori4 .

177 1 Non pubblicato, ma vedi il D. 111.

178

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 35423/263. Roma, 13 luglio 1905.

Col rapporto 21 giugno u.s. n. 627/223 1 V.E. mi comunica la richiesta di codesto ministro degli affari esteri diretta a sapere se il R. Governo consenta che nuovi passi siano fatti presso il Governo francese di comune accordo fra gli ambasciatori britannico ed italiano a Parigi, circa alla quistione del traffico d'armi a Gibuti e più precisamente circa l'esportazione delle armi alla costa arabica e la susseguente loro importazione alla costa somala.

Sebbene io non mi faccia soverchia illusione sull'efficacia di tali passi, non vedo tuttavia una ragione per non accogliere la richiesta del marchese di Lansdowne: perciò ho dato istruzioni al conte Tornielli di stabilire, d'accordo col suo collega britannico, il modo in cui la pratica dovrà eseguirsi col Governo della Repubblica.

In questo senso l'E.V. potrà fare una comunicazione di risposta al marchese di Lansdowne.

P.S.: V.E. potrebbe suggerire a lord Lansdowne di comprendere l'argomento nell'accordo anglo-franco-italiano per l'Etiopia mediante articolo speciale.

177 4 Per la risposta vedi D. 234. 178 1 Non pubblicato.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DrsP. 35424/264. Roma, 13/uglio 1905.

Le seguo ricevuta del suo rapporto n. 187 del27 maggio 1• È stato qui di passaggio in questi giorni, proveniente dalla Somalia, il generale Swayne con il quale il direttore di quest'ufficio coloniale ebbe un lungo colloquio.

Nel corso di questo colloquio il generale Swayne informò il comm. Agnesa che il Mullah gli inviò ultimamente, a mezzo di Abdallah Sheri ed altri due suoi capi, una lettera dalla intonazione assai cordiale in cui manifestava la propria soddisfazione pel modo nel quale erano stati trattati i suoi inviati e si dimostrava animato da buone intenzioni per il futuro. Nella sua lettera il Mullah domandava la cessione a lui della località di Bohotle.

A questa domanda il generale Swayne rispose opponendo un reciso rifiuto ed intanto trattenne a Berbera l' Abdallah Sheri, affinché egli possa ricever colà comunicazioni del comm. Pestalozza.

A questo proposito il generai Swayne espresse il desiderio che il comm. Pestalozza si rechi a Londra per discutere e definire con lui alcuni particolari dell'accordo col Mullah (quegli stessi cui si allude nella nota diretta dal marchese di Lansdowne all'E.V. il26 maggio u.s.)2 specialmente per quanto riguarda le responsabilità inglesi dal lato dell'Etiopia e la questione dei pascoli e delle risoluzioni di dispute eventuali.

Il comm. Agnesa, nel rispondere al generale Swayne che non vedeva alcuna difficoltà ad un simile incontro, facevagli osservare come sarebbe stato necessario approfittare della circostanza per trattare e definire tutte le questioni relative alla Somalia che sono ancora pendenti (confine a Bender Ziada, indennità al Sultano di Obbia, indennità ai Migiurtini, transito pei pascoli, ecc.). Il generale Swayne mostrò di non esser molto favorevole a questa proposta.

Non pertanto, trattandosi di questioni dalle quali dipende in gran parte quella tranquillità della Somalia per la quale così l 'Italia come l 'Inghilterra, sebbene in modo diverso, hanno dato la propria opera, la necessità di addivenire nel più breve tempo possibile ad una duratura ed equa soluzione appare manifesta, ed il momento attuale in cui il generale Swayne ed il comm. Pestalozza trovansi entrambi in Europa apparirebbe perciò singolarmente opportuno.

Prego quindi l'E.V. di voler intrattenere su questo proposito il marchese di Lansdowne riferendomi sollecitamente circa l'accoglienza che egli sarà per fare in massima a questa proposta3•

2 Vedi il rapporto di cui alla nota l.

3 Per la risposta vedi D. 189.

179 1 Vedi D. 97.

180

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. SEGRETO 35425/265. Roma, 13 luglio 1905.

Il r. ministro in Etiopia, comm. Ciccodicola. in data 25 giugno 1905 mi ha inviato un telegramma che confidenzialmente, per sua personale, esclusiva conoscenza, qua appresso le comunico: «Menelik informato dai giornali e da Lagarde trattative accordo tra noi, Francia, Inghilterra per ferrovia, confidenzialmente mi ha avvertito che da parte nostra sarà bene indurre tutti a concretare soluzione senza però impegnarsi prima di essere sicuri del suo consenso. Egli persiste nel rifiuto qualsiasi soluzione che darebbe ad un solo Stato intera linea ferroviaria sino Addis Abeba e perciò parmi sarebbe troppo grave responsabilità da parte nostra se ci impegnassimo indurre Menelik accettare un qualsiasi nostro accordo con altri senza essere già sicuri di potere determinare riuscita» 1•

Non potendosi da parte nostra dar comunicazione alle potenze interessate del contenuto di questo telegramma, trattandosi di comunicazioni confidenziali di Mcnelik, ho dato istruzioni al conte Tornielli che, nel condurre il negoziato col sig. Rouvier, trovi modo di far comprendere come sia di comune interesse e come da noi si ritenga necessario, dopo che sia avvenuto l'accordo tra le tre potenze sulla questione della ferrovia, di assicurarci il previo consenso di Menelik prima di firmare l'accordo.

Di ciò l'E.V. vorrà tener conto nel suo linguaggio con codesto Governo2 .

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. RISERVATO 1069. Roma, 15 luglio 1905, ore ll,45.

Prego far presente al principe Biilow che due volte incaricai gli ambasciatori di notificare ai Governi presso cui sono rispettivamente accreditati che la Tribuna non ha carattere né ufficiale né ufficioso e che il Governo non ha mezzi per regolarne l'indirizzo. La stampa italiana come l'inglese segue l'indirizzo che più ad essa piace

o fa comodo senza occuparsi della politica del Governo, ed a sua volta il Governo segue la politica che crede utile e che è appoggiata dalla maggioranza del Parlamento, senza tener conto di ciò che dice la stampa. Sarebbe bene che ciò fosse costì chiaramente compreso, come è stato compreso a Vienna affinché, in avvenire, imprudenti articoli di giornali non abbiano ad influire nei rapporti della Germania con noi 1•

2 Vedi D. 200. 181 1 Per la risposta vedi D. 185.

180 1 T. 1376/91, trasmesso via Asmara il 27 giugno.

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES

DISP. 35897/277. Roma, 15/uglio 1905.

Segno ricevuta e ringrazio del rapporto in data delli 26 giugno u.s. n. 4701 , con il quale l'E.V. mi ha riferito quanto ebbe a dirle il suo collega sig. Jusserand riguardo alle relazioni tra Francia e Germania circa il Marocco.

Fortunatamente, le cose sono volte al meglio, ed ogni pericolo di maggiori complicazioni sembra ormai scomparso. Per quanto riguarda le allusioni fatte da codesto ambasciatore francese ad un linguaggio duro ed offensivo riguardo all'Italia che sarebbe stato tenuto di recente da

S.M. l'Imperatore di Germania, nulla a me risulta.

Se all'E.V., presentandosene il destro, riuscisse di avere qualche più precisa indicazione in proposito, le sarò grato di volermene informare.

183

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1200/465. Therapia, 15 luglio 1905 (perv. i/25).

Dacché sono ritornato al posto, mio principale studio è stato quello di assumere informazioni per accertare la verità sull'impressione qui prodotta dalle lunghe ed esaurienti discussioni avvenute nel maggio scorso nel Parlamento nazionale circa la Tripolitania e la Cirenaica1 , nonché sulle disposizioni prevalenti al Palazzo ed alla Porta al riguardo delle nostre aspirazioni verso quelle regioni.

L'impressione, mi rincresce il doverlo dire, non poteva essere peggiore: le disposizioni non potrebbero essere più ostili. I discorsi pronunciati al Senato ed alla Camera dei deputati sono stati oggetto di accurato e diligentissimo esame, e precauzioni di ogni sorta sono state prese e si vanno continuamente prendendo man mano per ostacolare sistematicamente e con qualunque mezzo ogni tentativo che appaia diretto ad accrescere e sviluppare l'influenza dell'Italia in Tripolitania e Cirenaica, cui, naturalmente, io intendo sempre di alludere nel parlare della Tripolitania. Né di tali misure d'indole generale si sono qui accontentati, ma, prevedendosi pure la possibilità che da parte di sudditi italiani, con o senza l'appoggio della r. ambasciata,

D. 85, nota l e D. 98, nota 3.

vengano presentate domande di concessioni economiche, è partita dal Palazzo la parola d'ordine, in modo preciso, categorico, segretissimo, la quale suona chiaramente rifiuto. La Sublime Porta dovrà pertanto ricorrere a tutti i suoi soliti espedienti dilatorii, per conformarsi a tale ordine, senza suscitare complicazioni con l'Italia.

Questa informazione mi ha dimostrato l'opportunità della risposta prudente che credei di dare alla domanda, evidentemente tendenziosa, rivoltami giorni sono da Rechid Bey (v. rapporto n. 436f.

Stando così le cose, io credo oramai stretto dovere di esporre, con rispettosa franchezza, all'E.V. le modeste mie vedute sull'interessante e delicatissimo argomento.

Non mi sembra anzitutto il caso di imprendere ad esaminare qui l'arduo problema per determinare se i vantaggi politici e soprattutto economici che si impromettono gli italiani dal futuro possesso di quella regione giustifichino oggi le preoccupazioni e le cure da parte del Governo e domani forse anche i sacrifici morali e materiali da parte del paese. Su questo punto la grandissima maggioranza della pubblica opinione, entro e fuori del Parlamento, si è pronunziata in modo troppo categorico ed imperativo per consentire qualsiasi esitazione.

Partendo da questo concetto diventa pertanto indispensabile di esaminare quale sia il mezzo migliore e più adatto per affermare oggimai in modo più positivo, più tangibile, il nostro futuro diritto di successione, conciliando tale affermazione con le esigenze della politica generale dell'Italia.

Per quanto io sia stato lieto di provocare nel maggio3 precise, categoriche ed esaurienti dichiarazioni circa il fermo proposito del Sultano e del suo Governo di non dare in Tripolitania concessioni economiche sotto qualsiasi forma a sudditi di altre nazioni, altrettanto sono costretto a riconoscere che a quegli impegni si può forse prestar fede per l'oggi, ma si deve per il domani attribuire un valore assai relativo, e ciò ad evitare spiacevoli sorprese. Attualmente il Sultano è ancora sotto la salutare impressione di terrore per le esplicite dichiarazioni che noi si ebbe a fargli nel maggio, dichiarazioni che non debbono aver lasciato nell'animo di lui dubbio alcuno sulle gravi determinazioni che si potrebbero da noi prendere in certe date eventualità. Senonché, con l'andare del tempo, dileguatesi ed attenuatesi, a poco a poco, le apprensioni di questo Sovrano, i cui propositi sono così mutevoli, potrebbe benissimo venire il giorno in cui, grazie anche all'azione delle solite correnti sotterranee ed incontrollabili agitantesi nel Palazzo imperiale, riescisse ad un gruppo di capitalisti esteri (francese, inglese, tedesco o belga) di strappare, anche senza invocare l'appoggio della propria rappresentanza, una concessione qualsiasi in Tripolitania.

E qui mi permetta I'E.V. che io le significhi, una volta per sempre, ed a discarico di ogni mia responsabilità, come, malgrado la più minuta, accurata ed incessante vigilanza, tale per noi deplorevolissima eventualità si potrebbe facilmente verificare senza che l'ambasciata di Sua Maestà ne avesse previamente il benché menomo sentore. Chiunque conosce Costantinopoli potrà garantire la perfetta esattezza di quanto io affermo. Nessuna ambasciata, per quanto bene informata e per quanto ampiamente provvista di fondi segreti, di cui fortunatamente [sic] io non dispongo, sarebbe in grado

3 Vedi DD. 74 e 80.

di appurare una notizia che, per un motivo o per l'altro, importa al Sultano di tenere segreta. Potrei qui citare esempi di provvedimenti emanati direttamente dal Palazzo, dei quali i ministri e lo stesso gran visir sono stati edotti soltanto a fatto compiuto.

E ritorno in argomento. Se io non mi inganno, il concetto del Governo di Sua Maestà nella questione di Tripoli mira, per il momento, ad un duplice scopo:

l) evitare ogni causa che possa costringerci ad adottare misure bellicose per far cadere nelle nostre mani la Tripolitania, violando così il principio informatore di tutta la nostra odierna politica generale, basata sul mantenimento dello statu quo e dell'integrità dell'Impero ottomano.

2) Nulla tralasciare per affermare sempre più, in ogni circostanza, con ogni mezzo, il nostro diritto ad esercitare un'influenza preponderante su quella regione.

Orbene i metodi che abbiamo seguiti finora per raggiungere il secondo scopo, per effettuare, in altri termini, la nostra penetrazione pacifica, si sono dimostrati insufficienti ed inefficaci. Né miglior esito, a mio giudizio, otterremo ampliando ed intensificando quelli stessi metodi, imperocché tutti i nostri sforzi, tutto il nostro lavoro, tutta l'attività nostra sarà fatalmente paralizzata dagli ostacoli di ogni sorta che, con ammirabile tenacia, saranno sollevati sul nostro cammino da parte delle autorità locali, obbedienti alla parola d'ordine partita da Yildiz.

Avremo quindi inevitabilmente una serie di incidenti noiosi e spiacevoli, a risolvere i quali occorrerà ricorrere replicatamente al sistema delle pressioni e delle minacce, senza mai, con ciò, giungere ad un risultato concreto, definitivo d'indole generale e con pregiudizio manifesto, a lungo andare, di quelle buone relazioni che al Governo di Sua Maestà importa, per altri motivi, di mantenere con la Sublime Porta. Sembrami quindi venuta l'ora che l'Italia faccia sentire la sua voce di gran potenza e dia bene ad intendere alla Porta che è suo interesse supremo, pur prendendo atto degli affidamenti già datile, e che siamo pronti a rispettare, circa la lealtà delle nostre intenzioni, di non ostacolare più oltre l'azione economica italiana in Tripolitania.

E qui sorge naturale la domanda: qual è dunque il provvedimento da prendere per raggiungere l'intento? Evidentemente quello di adoperarci per ottenere noi qualche concessione. Siamo noi pronti? Abbiamo bene assodato quale o quali concessioni ci convenga di chiedere? Quale o quali di esse sono destinate ad offrire maggior sicurezza e maggiore garanzia di tornaconto ai nostri capitalisti? A tali interrogazioni non è a me a dare risposta.

Osservo soltanto che, se vogliamo fare opera seria e proficua e non scoraggiare sino dall'inizio il nostro capitale timido anzi che no, è indispensabile esaminare bene l'affare o gli affari sotto ogni aspetto, eseguire studi diligentissimi, evitare, infine, il rischio di imbarcarci alla leggera in un'avventura economica che potrebbe, poi, risolversi in un disastro finanziario, le cui conseguenze avrebbero fatalmente perniciosa ripercussione anche nel campo politico.

Dato inoltre che in seguito a laboriose trattative ed energiche pressioni da parte nostra si riuscisse finalmente a strappare al Sultano questa o quella concessione, non si eviterebbe con ciò un altro inconveniente, e cioè che, imitando il nostro esempio, pervenissero anche capitalisti stranieri ad ottenere qualche altra concessione nella medesima regione. Se ciò avvenisse, il risultato della nostra azione diplomatica verrebbe ad essere sensibilmente diminuito, in quanto non avremmo raggiunto lo scopo, cui realmente e

con ragione miriamo, di affermare cioè una buona volta, in modo solenne ed ineccepibile, che la Tripolitania deve considerarsi come un campo riservato esclusivamente all'attività economica degli italiani. Né vale, a mio modesto avviso, ad escludere la possibilità di un'impresa economica di sudditi esteri, l'argomento degli impegni assunti rispetto a noi da altre potenze. Della lealtà loro e della fedeltà ai patti stipulati, che del resto sono, se non erro, d'indole politica, non intendo certo di dubitare ma d'altra parte mi domando qual è il Governo che può impegnarsi a priori ad inibire al capitale nazionale di trovare utile e vantaggioso impiego in un certo dato punto? Gli Stati che hanno assunto impegni con noi potranno, tutto al più, astenersi dallo intervenire a Costantinopoli per esercitare le solite pressioni, onde facilitare ai nazionali rispettivi il conseguimento del loro scopo. A rigore, si potrebbe andare sino a sperare che la Francia, l'Inghilterra ed altre nazioni acconsentano, per amore nostro, a dissuadere i loro capitalisti dal sollecitare concessioni in un terreno a noi riservato, ma il contare su di una proibizione assoluta da parte loro, ovvero su di un'azione contraria a Costantinopoli, mi sembra affatto inammissibile.

E d'altra parte se al Sultano convenisse, per crearci imbarazzi, dopo una concessione da noi con le buone o con le cattive ottenuta, ovvero per effetto di quelle occulte e non certo disinteressate influenze cui ho accennato dianzi, di vedere affluire in Tripolitania anche il capitale di altri paesi, si può essere sicuri che le concessioni a francesi, inglesi, tedeschi, od altri sudditi esteri verrebbero date se non precisamente all'insaputa dei rispettivi rappresentanti, certo senza che i medesimi avessero a spendere l'opera loro e prendersi fastidio per affrettare la conclusione dell'affare.

Dopo quanto ho avuto l'onore di esporre, s'impone, a mio parere, la necessità di esaminare, prima di fare alcun passo verso una domanda concreta di concessione, se vi sia un qualche espediente che ci permetta, senza pregiudicare l'avvenire, di assicurarci fin da ora, il monopolio esclusivo di qualsiasi intrapresa di indole economica.

E l'espediente mi pare bello e trovato. Non avremmo altro da fare che seguire l'esempio della Russia, la quale ha stabilito nel 1900, ali' epoca della concessione all'industria tedesca della costruzione della ferrovia di Bagdad, un precedente che da noi si potrebbe utilmente ed opportunamente invocare per giustificare, dinnanzi alla Porta, una nostra domanda analoga. E tanto più agevole mi parrebbe per noi il chiederla e meno difficile per la Turchia il rifiutarla, in quanto, se è oggi interesse del Sultano di conservare intatto il dominio diretto sui suoi possedimenti africani, di gran lunga maggiore, anzi vitale ed essenziale, era quello che gli fu pur giuocoforza compromettere per tema della Russia, quando si impegnava a riservare esclusivamente ai capitalisti russi ogni concessione di vie di comunicazioni nel bacino del Mar Nero, alle porte, cioè, di Costantinopoli ed in quella Anatolia, la quale, come bene a proposito scriveva il comm. Pansa, rappresenta per ogni turco la vera patria. Circa i particolari di questo affare quel mio egregio predecessore ebbe, nell'anno 1900, a dirigere a codesto Ministero esaurienti ed interessantissimi rapporti. Citerò fra essi, per il caso in cui piacesse a V.E. di averne conoscenza, quelli 15 febbraio n. 95/27, 28 febbraio

n. 118/38 e quello del 7 aprile n. 197/774 . «L'azione della Russia», scriveva allora S.E., «in questa vertenza può quindi considerarsi piuttosto come una mossa intesa a profittare delle circostanze per acquistarsi, mediante quel diritto di precedenza, un

titolo da tenersi in serbo per qualunque uso che convenisse di fame nel caso di future evenienze non ancora determinate». Ho voluto citare questo passaggio che riflette a capello il concetto da cui io muovo nell'esporle, sig. ministro, le considerazioni che militano, secondo me, in favore di una odierna azione nostra, calcata sulle orme di quella russa nel 1900. Aggiungo poi che il nuovo titolo che, spinta o sponte, la Turchia venisse ora a rilasciarci eventualmente, costituirebbe un prezioso complemento a quelli già in mano nostra risultanti dagli accordi stipulati con altre potenze.

Spetta ora ali'E.V., nell'alta sua saggezza, di giudicare se questo mio suggerimento meriti l'onore di essere preso in considerazione. Io mi sono permesso di sottoporglielo, sig. ministro, perché a me pare destinato a porci, per il momento, a riparo di ogni sorpresa, ad accentuare in modo più solenne e più preciso i nostri diritti, dandoci intanto tempo ed agio di esaminare maturamente e studiare con calma, in ogni particolare, quelle imprese economiche che ci risulteranno più vantaggiose sotto ogni aspetto e di preparare il capitale occorrente, proporzionando i mezzi al fine.

E concludo. Quale che possa essere la determinazione finale del Governo del Re, circa la miglior via da seguire, a me sembra oramai indispensabile l'entrarvi risolutamente e percorrerla sino in fondo, senza esitare e tergiversare.

Difficoltà ed ostacoli non mancheranno sul nostro cammino. Essi potranno anzi essere di non lieve entità. Io me ne rendo perfettamente conto e non intendo certo dissimularlo al Governo del Re. Mi pare però d'altra parte che di quegli ostacoli e di quelle difficoltà noi dovremmo, alla fine, riuscire a trionfare, se sapremo adoperare con sagacia tutti, senza eccezione, i mezzi a nostra disposizione, non escluse, bene inteso, le intimidazioni e le minacce di misure militari. Le nostre relazioni con la Turchia traverseranno, probabilmente, qualche momento penoso, ma, passata la tempesta, dovrà pur tornare la calma e, ad incidente terminato, la posizione e influenza italiana a Costantinopoli non potranno che solidificarsi ed ampliarsi. Qui si è amici soltanto di coloro di cui si teme. Ce lo insegna la Germania. Non è sempre con le buone che l 'Impero è riuscito ad acquistarsi quella straordinaria influenza materiale e morale di cui oggi gode qui. Assai sovente, e da ultimo or sono tre mesi ancora, è capitato all'ambasciatore imperiale di dover far balenare agli occhi del Sultano la terribile minaccia di perdere per sempre la preziosa amicizia dell'Imperatore e di vedersi privato di quella in realtà affatto illusoria protezione tedesca, la quale, come bene osservano i rari turchi che osano dire la verità, non è valsa ancora a risparmiare al Sultano umiliazioni e dispiaceri, né ad allontanare dal suo labbro una sola delle tante amare pillole che le potenze lo hanno costretto ed oggi ancora lo costringono a trangugiare.

Ho accennato più innanzi ai mezzi a nostra disposizione. Tra essi precipuo ed essenziale reputo quello di assicurarci il concorso efficace della potenza nostra alleata e qui ascoltata con speciale devozione e deferenza: la Germania.

Si tratta, in realtà, di far capire al Sultano che, se non vuole perdere la Tripolitania, deve piegarsi alle nostre eque e non smoderate esigenze. Questo linguaggio, che in bocca mia perderebbe certo di efficacia, riuscirà specialmente convincente se tenuto da un amico comune e disinteressato nella quistione. Occorrerà, inoltre, provvedere a che da nessun'altra potenza, la Francia o l'Inghilterra, in ispecie, possa venir sussurrata discretamente alle orecchie di questo Sovrano una certa tal quale parolina che sia di natura, col destare nell'animo suo la certezza o almeno la speranza di non essere lasciato solo, a conferirgli coraggio necessario per opporci più valida resistenza.

In altri termini, io crederei specialmente indicato di far precedere qualsiasi nostra eventuale mossa a Costantinopoli da un'abile e sagace azione diplomatica a Berlino, a Londra ed a Parigi. Del pari, fino al momento di aprire i negoziati, mi parrebbe necessario mantenere il segreto più assoluto, più impenetrabile sulle nostre intenzioni e l'astenersi dal sollevare, salvo, ben inteso, quando non possa farsene decentemente a meno, qualsiasi incidente.

Una parola imprudente, prematuramente pronunziata potrebbe, destando qui allarme, compromettere, fin dall'inizio, il buon andamento del futuro e tutt'altro che facile negoziato.

182 1 Non pubblicato.

183 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1905, vol. III, tornata dell' 11 maggio 1905, pp. 2669-2695; per i riferimenti sulle altre sedute parlamentari di maggio vedi

183 2 R. 115/436 del 4 luglio, non pubblicato.

183 4 Non pubblicati.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. l 081. Roma, 16 luglio 1905, ore 19, 15.

L'ambasciatore di Germania mi ha fatto ieri l'altro la seguente comunicazione verbale: «In seguito all'accordo intervenuto tra Germania e Francia, la convocazione della conferenza per il Marocco è ormai assicurata. Restano a fissarsi il luogo e l'epoca della riunione. Quanto al luogo, la Germania preferisce Tangeri secondo la proposta del Sultano. La Francia ha indicato l'Aja e da ultimo anche Ginevra. Il Gabinetto germanico crede preferibile Tangeri, sia perché la scelta di una sede in Europa darebbe un carattere politico alla conferenza, la quale, invece, per la maggior parte degli Stati intervenienti ha carattere economico, sia perché saranno indispensabili nozioni che non possono essere fornite che sopra luogo e da persone esperte del paese. Quanto alla data della riunione, naturalmente spetta al Sultano il decidere, ma la Germania crede che non la si debba di troppo differire».

L'ambasciatore avendo desiderato, d'ordine del suo Governo, di conoscere in proposito il nostro pensiero, gli ho oggi risposto che aderivo completamente alle considerazioni ed alle conclusioni del Gabinetto imperiale.

185

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1504/141. Berlino, 16 luglio 1905, ore 11,50.

Rispondo suo telegramma n. l 069 1 . Biilow, barone Richthofen non si lamentarono con me del linguaggio della Tribuna come di giornale ufficioso, si lamentarono bensì come le telegrafai l O corrente2 della

2 Vedi D. 172.

stampa italiana in generale, della Tribuna, in particolare, articoli pubblicati in senso sfavorevole alla Germania. Della Tribuna fu fatta speciale menzione, sia come di giornale più autorevole, sia perché in essa la nota non favorevole a Germania era la più elevata.

A più riprese ho insistito su fatto che la Tribuna non è giornale ufficioso indicando, colla scorta delle istruzioni di lei, organi dei quali ella si serve per far conoscere suo pensiero. Delle cose da me dette a questo riguardo qui fu presa notizia con compiacimento. Malgrado ciò, non le nascondo che l'attitudine della Tribuna qui è specialmente seguita con attenzione perché sono ben noti qui i rapporti frequenti che essa, pure senza avere carattere ufficiosità, ha con il R. Governo.

185 1 Vedi D. 181.

186

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 588/294. Atene, 18 luglio 1905 (perv. il 22).

Ebbi ier l'altro l'onore di essere ricevuto da S. M. il Re di Grecia in un'udienza particolare, che gli avevo chiesta, secondo la consuetudine ed a somiglianza di tutti i miei colleghi, prima della sua prossima partenza per l'estero. Sua Maestà che mi accolse, come sempre, con molta affabilità, dopo aver parlato di taluni argomenti di attualità ed anche di politica internazionale, condusse il discorso sulla questione di Creta. E, senza dipartirsi da un linguaggio cortese e moderato, espresse apertamente il suo profondo malcontento per la condotta seguita dalle potenze e dai loro rappresentanti nell'isola, dal giorno in cui scoppiò l'insurrezione di Therisso. Quanto accadde di poi, la gravità dell'attuale situazione, è dovuto precipuamente, egli diceva, al fatto che i consoli consentirono fin da principio ad entrare in relazioni dirette coi capi degli insorti, a trattare con loro come da potenza a potenza. Ciò non ha fatto che accrescere la loro tracotanza, rendere più grande e più perniciosa l 'influenza che disgraziatamente esercitano sulla popolazione, e prolungare uno stato di cose di cui ora soltanto si possono scorgere i gravissimi pericoli. Re Giorgio non ammette nemmeno che i caporioni di Therisso aspirino all'unione alla Grecia: questa non serve loro che di pretesto patriottico e di bandiera per radunare seguaci. Ma in realtà essi non sono ispirati che da bassi motivi di rancori personali e di ambizioni insoddisfatte, e non mirano che a combattere l'alto commissario di cui pretendono avere a lamentarsi, attaccandolo o direttamente, o nelle persone che lo circondano. E qui il Re si pose a difendere a spada tratta il sig. Papadiamantopulos, segretario particolare del principe Giorgio, qualificandolo come uomo di alta ed insospettata rispettabilità; e ciò con un'insistenza ed una tenacia veramente singolari di fronte alla concorde affermazione di tutti coloro che, al corrente delle cose di Creta, considerano quel signore come il cattivo genio dell'attuale amministrazione.

Partendo da queste premesse, il Re lamentava vivamente che il movimento insurrezionale non fosse stato, fino dal primo momento, represso colla massima severità dalle truppe internazionali. Egli pretendeva anzi che i comandanti di queste ultime avrebbero dovuto ricevere le loro istruzioni dal principe Giorgio, al quale, nella sua qualità di alto commissario e rappresentante delle potenze, doveva spettare tutta la responsabilità delle risoluzioni da adottarsi; e non già sottostare agli ordini dei consoli, che hanno finito col prendere in mano la direzione del Governo e che, non sempre bene informati e non sempre d'accordo fra loro, hanno lasciato prendere al movimento le minacciose proporzioni che si deplorano attualmente. Senza voler entrare in una discussione di questi apprezzamenti, sui quali mi limitai ad esprimere le mie più ampie riserve, credetti però di dover fare osservare a Sua Maestà che, se l'azione repressiva era stata finora condotta in modo da evitare ogni spargimento di sangue, ciò poteva esser accaduto, a mio avviso, tanto in omaggio ai principi di umanità, come anche per tener conto, nella misura del possibile, della voce dell'opinione pubblica ellenica che, nel Parlamento, nei comizi e nella stampa, crasi sollevata con tanto calore a pro degli insorti di Creta.

Il Re parlava del contegno dei rappresentanti alla Canea delle potenze protettrici in generale, e non fece alcuna allusione alla differenza -che qui sovente si è voluta scorgere-fra la condotta seguita, in questa fase della questione, dalla Francia e dall'Italia, da un lato, dall'Inghilterra e dalla Russia, dall'altro. Solo talvolta, nel corso della conversazione, sembrò voler considerare come particolarmente colpevoli gli organi del Governo francese, biasimando severamente il linguaggio di fronte gli insorti che recentemente venne attribuito tanto al comandante di quelle truppe, colonnello Lubanski, quanto al comandante della loro nave «Condom. Le parole di costoro, se furono esattamente riferite, potrebbero infatti difficilmente venir giustificate; e anche a questa legazione della Repubblica si esprimeva al riguardo una spiacevole sorpresa, pur ammettendo che il carattere ed i precedenti di quei due ufficiali erano tali da far temere che le avessero realmente pronunciate.

Sua Maestà si limitò ad esporre queste recriminazioni sul passato, per dimostrare evidentemente che la responsabilità dell'attuale situazione non spetta al principe Giorgio, il quale secondo lui travasi anzi completamente esautorato e nell'impossibilità di prendere quei provvedimenti che ravviserebbe necessari per ricondurre l'ordine in Creta. Ma non mi accennò a propositi di dimissioni di lui, né tampoco mi parlò della proposta, che il giorno precedente m 'aveva messa innanzi il suo presidente del consiglio, per la sostituzione delle truppe greche alle truppe internazionali. Ravvicinando le cose sovraesposte a quelle che già ebbi l'onore di riferire col mio precedente rapporto n. 583/292 del 16 corrente1 parmi ne risulti una volta di più il divario che corre fra il punto di vista della Corte e quello della nazione ellenica nella questione di Creta2 .

186 1 Non pubblicato. 2 Tittoni rispose con Disp. 38169/271 del 27 luglio, approvando il linguaggio tenuto nella circostanza e le riserve espresse.

187

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. SEGRETO 36742/277. Roma, 20 luglio 1905.

Le segno ricevimento del suo rapporto n. 236 del 29 giugno 1905 con il quale l'E.V. mi ha riferito circa le sue ultime comunicazioni con il marchese di Lansdowne relativamente all'accordo per l'Etiopia1•

Mentre prendo atto delle buone disposizioni che, secondo mi dice l'E.V., avrebbe dimostrato il marchese di Lansdowne, parmi che sostanzialmente sia indifferente continuare le trattative sul progetto inglese anziché sul controprogetto da noi presentato. Ormai però non bisogna perder di vista la questione di forma che ha importanza nel luogo dove noi abbiamo voluto trasportare il negoziato.

Il nostro controprogetto fu presentato anzitutto per dare al negoziato un modus procedendi corretto e poi perché io ritengo esser assai più utile e più facile l'accondiscendere a qualche mutamento desiderato dalle altre parti che non l'ottenere da queste gli emendamenti che noi riteniamo necessari. Ciò è del resto provato dalle vicende di tutto il negoziato.

Quanto alla clausola segreta, io non riesco a vedere come, affinché l'accordo abbia tutta l'efficacia che desideriamo, se ne possa fare a meno.

188

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

DISP. 36810/119. Roma, 20 luglio 1905.

Come è noto alla S.V., S.A. il principe alto commissario mi faceva pervenire, in piego chiuso, per mezzo di codesto r. consolato, una sua comunicazione, relativa alla situazione in Creta.

Quel diffuso memoriale che porta la data del 27 maggio p. p., e che fu parimenti diretto ai Governi delle altre tre potenze protettrici, tende essenzialmente in primo luogo a scagionare il principe, i suoi privati consiglieri, ed, in specie, il suo segretario particolare, dagli appunti che ad essi facessero risalire il malcontento esistente nell'isola per la non buona amministrazione della cosa pubblica; ed, in secondo luogo, a mettere in luce quelle che, secondo il modo di vedere di Sua Altezza, sarebbero le cause del movimento insurrezionale attuale e delle difficoltà che si incontrano a mettervi termine.

Dopo aver richiamati i vari appelli fatti alle potenze perché le aspirazioni cretesi di annessione alla Grecia fossero assecondate, ed esposte le ragioni per le quali l'Altezza Sua si acconciò a continuare nel suo mandato, sebbene i suoi rapporti verso i consoli generali e le truppe estere rimanessero pur sempre mal definiti ed incerti, non ostante le sue insistenze presso i consoli prima, e direttamente, poi, presso i Governi, il memoriale prosegue facendo cenno della nota proposta Venizelos per la costituzione di Creta in principato autonomo, della opposizione fatta a tale divisamento dalla Altezza Sua, che si vide costretta a destituire quel suo consigliere, e dello atteggiamento ostile quindi da questo adottato, e delle accuse da esso formulate contro gli amici del principe e contro il suo segretario particolare. In questa campagna, il Venizelos avrebbe, secondo il memoriale, trovato appoggio negli impiegati dei consolati ed in tal uni stessi viceconsoli (quelli di Candia e di Retimo) suoi partigiani, i quali lo avrebbero incoraggiato e sovvenuto perfino di denaro, mentre riescivano ad influire a favore di essi sullo spirito dei consoli generali. A ciò si aggiunga che i due terzi degli impiegati governativi sono venizelisti, sebbene il partito del Venizelos nella Camera sia ridotto a quattro soli deputati. Il principe conchiude questa prima parte del memoriale facendo rilevare le ragioni di equità, di opportunità, che, a suo avviso, ostano al licenziamento del suo segretario privato, provvedimento che sarebbe lesivo dei diritti e del prestigio dell'alto commissario.

Quanto alle misure prese contro l'insurrezione, il memoriale dichiara che i consoli generali agirono ad insaputa dell'alto commissario, tanto che questo era informato delle loro decisioni dalle pubblicazioni dei giornali. Dopo aver deplorato che la missione Lubonski sia riescita, trasgredendo alle sue istruzioni, ad incoraggiare i rivoltosi, anziché a disarmarli, che i consoli generali non abbiano fatto occupare militarmente, secondo la sua richiesta, le strade di rifornimento degli insorti; che, in parecchi casi, la gendarmeria sia stata abbandonata e, quindi, sopraffatta, malgrado le dichiarazioni delle potenze che le truppe internazionali avrebbero cooperato coi gendarmi, Sua Altezza constata che quel corpo scelto, il quale, «grazie ai suoi organizzatori eccellenti (hors-ligne), i Reali Carabinieri italiani», godeva di tanto prestigio, comincia a mostrarsi sfiduciato e demoralizzato.

Conchiude Sua Altezza che, per evitare la guerra civile, non esita, per parte sua, a sacrificare, per il momento, la sua autorità e forse il suo prestigio; ma che, frattanto, i consoli generali, !ungi dal ricredersi e mutar contegno a suo riguardo, additano ai propri Governi, come causa di ogni male, gli amici di lui e specialmente il suo segretario privato; che taluno dei consoli stessi è in diretta comunicazione cogli insorti i quali sono tenuti al corrente di ogni decisione dei Governi o del Corpo consolare, prima che lo stesso alto commissario ne sia informato.

Come la S.V. avrà rilevato dal dispaccio inserito nella serie LXXVII dei Documenti Diplomatici, sub n. 4094 1 , io ho dato istruzioni, fino dal 14 giugno p.p. alle rr. ambasciate in Londra, Parigi e Pietroburgo, di indagare e farmi conoscere quale impressione ha colà lasciato il documento che ho sopra riassunto, e se e quale seguito si intenda colà di dare alla comunicazione di Sua Altezza il principe alto commissario.

Mentre le trasmetto la qui unita copia delle risposte che in proposito mi giunsero da Parigi e da Londra, e mi riservo di fare analogo invio di quella che attendo da Pietroburgo2 , io prego la S.V. di volermi, da parte sua, manifestare il suo pensiero circa le cose esposte nel «memoriale», favorendomi quelle deduzioni che le saranno suggerite dal confronto degli apprezzamenti in esso contenuti, coi fatti quali effettivamente si sono prodotti.

187 1 Vedi D. 156.

188 1 Vedi D. 132.

189

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 729/259. Londra, 20 luglio 1905 (perv. il 29).

Dietro la comunicazione fattami da V.E. col dispaccio del 13 luglio (n. 264) 1 concernente il progettato convegno del cav. Pestalozza cololonnello Swayne in Londra, ne ho intrattenuto il marchese di Lansdowne; il quale mi disse sembrargli infatti assai opportuno approfittare della presenza in Europa di quei due funzionari per concertare col concorso della loro esperienza le ulteriori disposizioni da adottarsi relativamente alla Somalia. Codeste disposizioni devono naturalmente riferirsi in ispecie ai particolari ancora rimasti in sospeso del recente accordo col Mullah.

Quanto alle altre vertenze più o meno direttamente connessevi, Sua Signoria mi disse che per conto suo non vedeva inconveniente a che i nostri delegati si intrattenessero nei loro colloqui di quanto potesse interessarli, avvertendo però come, in seguito al trasferimento dell'Ufficio dei protettorati al Dipartimento delle colonie, il Foreign Office non avesse ora più una diretta ingerenza in quegli affari. Sua Signoria osservò che, qualora obbiezioni fossero sollevate dal suo collega competente, riuscirebbe difficile a lui di intervenire in senso contrario.

Il colonello Swayne essendo venuto stamane a visitarmi, avemmo insieme una conversazione la quale mi conferma che un suo personale scambio di vedute col cav. Pestalozza riuscirebbe in ogni caso assai utile.

Ciò non si riferisce tanto alle questioni sussidiarie accennate nel dispaccio di

V.E. circa talune delle quali -specie riguardo alle indennità reclamate dal JussufAli -mi è parso comprendere che si incontreranno difficoltà presso i consiglieri militari del Colonia! Office. Anche questi punti io credo, potrebbero-dopo sistemato l'affare della convenzione col Mullah -essere toccati, ali' occorrenza, dal cav. Pestalozza, il quale, trovandosi sul luogo, sarà meglio in grado di apprezzare se ed in quale misura gli convenga introdurli nel corso delle sue trattative.

189 1 Vedi D. 179.

Ma l'utilità del proposto convegno sarebbe, a parer mio, anche maggiore se potesse giovare a stabilire un 'intesa di massima sulla linea generale di condotta che a noi ed all'Inghilterra conviene adottare in quei paesi. Il colonnello Swayne mi espose a tale riguardo le sue idee che trovai molto interessanti. Non mi occorre di riprodurle qui in esteso, ma le conclusioni generali che mi sembra poterne rilevare sarebbero in breve le seguenti: date le condizioni locali della Somalia e della sua popolazione, l'unico mezzo per tenerla completamente in ordine sarebbe l'occupazione permanente di certe località dell'interno (specie naturalmente i pozzi) dove quei nomadi sono costretti a far capo in certe stagioni dell'anno; un'occupazione normale di tal sorta sarebbe materialmente praticabile, ma essa esigerebbe una somma totale di spese fuori di proporzione coi vantaggi sperabili dallo sviluppo economico di cui il paese è intrinsecamente capace; in tale stato di cose, non rimane che un'altra alternativa e cioè un'efficace azione lungo la costa, dove i produttori indigeni devono far mandare i loro prodotti (principalmente pelli) per quel minimo di scambi indispensabile alla propria esistenza; il dominio della costa deve essere sufficiente per mantenere anche nel! 'interno un ordine relativo, esercitando una salutare autorità sugli indigeni, perché questi hanno marcati istinti commerciali, il favorire od ostacolare i quali pone in mano a chi comanda la costa un mezzo decisivo d'influenza, ma affinché questa azione riesca efficace, bisogna che essa si eserciti in modo simultaneo e sistematico lungo la costa intera, a cominciare da Zeila, seguitando attorno a Guardafui e fino a Kisimaio, senza interruzione; data la straordinaria mobilità di quei nomadi, un'interdizione al traffico stabilita, per esempio, in un punto qualunque della costa non produce effetto veruno, se essi possono valersi di altre uscite, anche a grandi distanze; indi la necessità di un'azione uniforme, da esercitarsi sistematicamente dappertutto, tanto dalle autorità italiane come dalle inglesi, dietro un piano fra di esse d'accordo stabilito e che, se applicato con seguito e prudenza, dovrebbe riuscire a vantaggio finale di quelle popolazioni.

Avendo chiesto al colonnello Swayne se le cose da lui dettemi non si riferissero piuttosto alla Somalia anziché al Benadir che supponevo trovarsi in condizioni alquanto migliori, egli mi rispose esser ciò vero nel senso che si trovava nel Benadir una maggiore estensione di fertili terreni, ma che dal punto di vista politico-amministrativo, le due regioni formavano a parer suo un tutto indivisibile da trattarsi col medesimo sistema.

Queste cose saranno probabilmente già state considerate dal R. Ministero e dalle nostre competenti autorità. Ho ritenuto tuttavia non inutile informare V.E. del pensiero del colonnello Swayne, in vista dello scambio d'idee che egli potrebbe avere al riguardo col comm. Pestalozza.

188 2 Non pubblicate.

190

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 476/173. Pietroburgo, 20 luglio 1905 (perv. il 25).

Ho l'onore di riferirmi al pregiato telegramma n. l 091 pervenutomi ieri 1• Già diversi giorni fa erami stato detto da questo ambasciatore di Germania aver egli avuto incarico di presentare al conte Lamsdorf in nome del suo Governo una partecipazione identica, nella sostanza e nella forma, a quella fatta all'E.V. dal conte di Monts in merito alla proposta conferenza internazionale sugli affari del Marocco, partecipazione a cui questo ministro degli esteri erasi riservato di rispondere.

Ieri poi al consueto ricevimento del Corpo diplomatico credetti opportuno d'interpellare il conte Lamsdorf sull'accoglienza che da lui era stata fatta alla predetta comunicazione germanica e S.E. mi disse avervi il Governo russo risposto che, dopo l'adesione data da altre potenze maggiormente interessate alla proposta conferenza, esso non aveva nessuna difficoltà ad aderirvi pure dal canto suo, ma che, in quanto concerneva il luogo della conferenza stessa, non era il caso di pronunciarsi prima d'avere assunte più ampie informazioni. La risposta evasiva del conte Lamsdorf fu evidentemente inspirata al solo scopo di compiacere alla Francia e le obbiezioni da lui presentatemi contro l'opportunità della scelta di Tangeri, e che si basavano anzitutto su ragioni climatiche, non sembrano invero derivare da un molto saldo convincimento. Sta di fatto che la Russia non ha, rispetto alla questione marocchina, altra linea direttiva se non quella di tenersi in tutto e per tutto al rimorchio della sua alleata e, quando quest'ultima finisse per acconsentire in definitiva alla proposta della Germania, non havvi dubbio che il consenso di questo Impero le sarebbe del pari assicurato.

191

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1108. Roma, 21 luglio 1905, ore 12.

La questione del sopradazio del tre per cento è rimasta per noi in sospeso dopo che venne a connettersi con quella del controllo finanziario in Macedonia. Nessuna decisione essendo stata presa, prego V.E. di volermi telegrafare, tenuto conto dello

stato attuale delle cose, e delle disposizioni costì manifestate dalle altre potenze quali sarebbero, a suo avviso, le condizioni alle quali noi potremmo, vantaggiosamente e con probabilità di utile risultato, subordinare il nostro assenso 1•

190 1 T. l091 del 18 luglio, indirizzato alle ambasciate a Parigi, Londra, Pietroburgo e Vienna col quale si trasmetteva il D. 184.

192

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 795/333. San Sebastiano, 21 luglio 1905 (perv. il 24).

Mi pregio d'informare V. E. che in questi giorni il Governo spagnuolo ha risposto all'invito di partecipare alla conferenza sul Marocco. L'ambasciatore di Francia ha vinto le esitazioni qui prevalenti, consigliando di rispondere nei termini stessi del Governo britannico. E la risposta della Spagna è infatti identica a quella dell'Inghilterra; accetta cioè l'invito alla conferenza, a condizione che le sia previamente comunicato il programma.

Una tale condizione apre evidentemente l'adito a fare delle riserve qualora il programma non sia trovato soddisfacente; ma l'accordo intervenuto fra la Germania e la Francia e la decisione presa dall'Inghilterra di non sollevare per conto proprio delle difficoltà, precluderanno praticamente qualsiasi seria obiezione.

Riguardo al luogo di riunione della conferenza i giornali ripeterono i rumori correnti nella stampa europea, facendo anche menzione di Madrid e di San Sebastiano come sedi possibili. Ma non risulta che di ciò sia stato qui ufficialmente questione, neanche a titolo di semplice suggerimento.

193

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2035/8221 . Parigi, 21 luglio /905.

L'ultimo mio rapporto relativo al negoziato per l'Etiopia è del 6 di questo mese2 . Dippoi ricevetti il dispaccio ministeriale del 133 , nel quale di quel rapporto non si fa ancora menzione. V.E. mi ha invece fatto conoscere che, attese le disposizioni del

2 Vedi D. 164.

3 Disp. confidenziale 35426/786, non pubblicato.

Negus nella questione ferroviaria, gioverà che, a tempo opportuno e come cosa di iniziativa nostra, si dichiari che, prima di firmare l'accordo fra le tre potenze europee, bisognerà assicurarsi del consenso del Sovrano etiopico per le clausole che a quella questione si riferiscono. Non dubiti V.E. che io terrò presente questo suo avvertimento.

Certamente non è mia intenzione di ritornare oggi sovra ciò che, in via subordinata, ebbi a suggerire nel mio rapporto del 3 maggio (n. 1249/521 )4 ed a meglio precisare in quello del 9 dello stesso mese (n. 1306/540)4 appunto quando i giornali francesi pubblicarono [un] telegramma di Menelik che bastava a rivelare le disposizioni sue.

Però, non soltanto in vista delle difficoltà che s'incontrano per trovare le formole che possono convenire alle tre potenze europee per l'accordo da stabilire fra di loro; ma anche nella previsione degli ostacoli che potranno nascere da parte dell'imperatore Menelik quando pure l'accordo stesso fosse fra i tre Stati concertato, mi sia lecito dire qui, una volta ancora, che la sostituzione all'accordo a tre di un trattato pubblico di cui farebbero parte, oltre i tre paesi confinanti con l'Etiopia, lo stesso imperatore etiopico, semplificando le cose costituirebbe, secondo ogni probabilità, una guarentigia migliore per le ragioni attuali e future di tutti.

V.E. sentirà, non senza sorpresa, che avendo io il 19 di questo mese ricordato al sig. Rouvier che da oltre quattro settimane gli ho presentato il nostro controprogetto per l'accordo relativo all'Etiopia, questo ministro mi fece per l'appunto la risposta stessa ch'egli mi aveva fatta il 28 giugno ultimo; sicché ne seguì una conversazione assolutamente identica a quella di cui ho riferito nel mio rapporto del 6 corrente

(n. 1897 /762). Dovetti pertanto ripetere una volta dippiù essere precisa intenzione di

V.E. che l'accordo tra noi e la Francia s'abbia a negoziare in Parigi; aver io a tal fine presentata qui la nostra controproposta; desiderare io di essere messo in grado di procedere all'esame contraddittorio della medesima con questo direttore degli affari politici se a lui stesso, il sig. Rouvier, mancasse il tempo di occuparsene.

Questo ministro prese anche questa volta un appunto scritto di quanto io gli dissi ed osservò che gli pareva che, né noi, né lui, fossimo molto premurosi di giungere a conclusione. A ciò ho replicato che, pur non avendo fretta, bisognava però che quest'affare ricevesse il suo avviamento normale. Poi soggiunsi che vi sono degli interessi che intorno ad esso si agitano. N el Petit Temps del 12 luglio, a proposito di un articolo comparso nella «Revue politique et parlementaire», si invitava il Governo francese d occuparsene attivamente. Questa mia citazione provocò dal sig. Rouvier la seguente interruzione: «le Temps! C'est la Compagnie des chemins de fer».

Ho messo fine a questo colloquio dicendo che fra pochi giorni sarei andato dal sig. Georges Louis a domandargli se egli era pronto ad esaminare con me le nostre controproposte. Anche di ciò il sig. Rouvier prese una nota per scritto5 .

P.S.: Unisco qui l'articolo del Petit Temps citato in questo rapporto.

5 Per la risposta vedi D. 243.

191 1 Per la risposta si veda il D. 197.

193 1 Dali' archivio de li'ambasciata a Londra.

193 4 Non pubblicato.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 1118. Roma, 22/uglio 1905, ore 14.

L'Assemblea cretese ha votato che gli ufficiali e sottufficiali italiani della gendarmeria siano congedati e surrogati con ufficiali greci e con sottufficiali cretesi. Il principe Giorgio aveva anticipatamente dichiarato che non sanzionerebbe mai novità alcuna per la gendarmeria ed io gli ho fatto ora rammentare la promessa rilevando la gravità del provvedimento votato dalla Assemblea. Essendo evidenti le conseguenze che dalla surrogazione deriverebbero e d'altra parte il presente assetto della gendarmeria facendo parte del regime stabilito per l'isola dalle quattro potenze protettrici, desidero che V.E. richiami sul voto dell'Assemblea cretese l'attenzione di codesto Governo acciocché anche il suo console si associ al nostro nelle pratiche occorrenti per impedire la pericolosa novità.

195

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI

T. 1123. Roma, 22luglio 1905, ore 14,35.

Prendendo argomento dalla notizia, dichiarata senza fondamento, che la Grecia avesse offerta la cooperazione delle sue truppe coi contingenti internazionali in Creta, l'incaricato d'affari di Grecia mi comunica che il suo Governo mantiene invece la sua proposta di affidare il compito del ristabilimento dell'ordine nell'isola alle truppe elleniche con obbligo di rispettarvi l'attuale regime e lo statu qua. Di questa comunicazione ho preso nota, astenendomi dal pronunciarmi in proposito. Evidentemente questa sarebbe una annessione palliata alla quale non credo che le potenze protettrici possano prestarsi.

196

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1479/736. Vienna, 22 luglio 1905 (perv. il 26).

Non appena venne a notizia del pubblico che la Commissione parlamentare del bilancio aveva accolto la proposta governativa di assegnare per sede alla facoltà giuridica italiana la città di Rovereto (vedi mio rapporto del 10 corr. n. 1388/689)1 si elevarono nella stampa di Trieste e del Trentino voci di protesta contro la condotta tenuta dai deputati italiani e specialmente dal loro presidente barone Malfatti e si fece presente la necessità di fissare, definitivamente, la linea di condotta che dovrebbe esser seguita nella questione universitaria.

Con questo duplice intento fu tenuto ieri a Trieste, per iniziativa dell' associazione «Patria», un'assemblea alla quale intervennero quasi tutti i deputati dell'Unione italiana, numerosi deputati delle diete provinciali, nonché rappresentanti di associazioni politiche e studentesche delle regioni italiane.

Aperta la seduta dal deputato Spadona, vice presidente dell'Associazione «Patria», che, dopo aver delineato gli scopi della odierna riunione, dette la parola al capitano regionale dott. Rizzi.

Questi, senza portare un giudizio in merito all'azione spiegata dai deputati italiani per impedire che la sede della erigenda facoltà venisse trasferita a Rovereto -giudizio che era riservato ali' Assemblea -, si restrinse ad esporre la linea di condotta tenuta dalla deputazione italiana durante le varie fasi attraverso le quali era passata la questione universitaria. Con grande vivacità accennò quindi alle accuse mosse contro il barone Malfatti che egli definisce «indegne e menzognere invenzioni» essendo note la lealtà ed il disinteresse di cui il presidente del gruppo italiano diè prova in questa ed in altre circostanze e terminò col dichiarare che il contegno tenuto dal barone Malfatti era stato superiore ad ogni encomio. A tali dichiarazioni seguirono da parte del vice borgomastro di Zara, Veneziani, e dal deputato alla dieta triestina, Stefanelli, altre manifestazioni di stima e di fiducia verso il presidente del Club italiano, alle quali l'assemblea si associò fra unanimi e vivissimi applausi.

Il barone Malfatti ringraziato che ebbe l'assemblea, con calda e commossa parola, per il voto di fiducia, fece una rapida esposizione del contegno da lui tenuto in tutte le trattative che ebbe a sostenere col Governo circa la questione universitaria, affermando, in fine, che la soluzione del problema doveva essere cercata in Trieste e non altrove e ciò in confronto di qualunque altra città senza riguardo ad eventuali desideri, aspirazioni o sogni.

Fra gli altri discorsi pronunziati da vari oratori merita speciale menzione quello del dott. Veneziani, nel quale, riferendosi all'articolo comparso nel numero dell6 corrente della «Nuova Antologia» ed al consiglio che vi si dà agli italiani dell'Austria,

rilevò che, se esso fosse veramente ispirato dai «fratelli del Regno», farebbe d'uopo mettere «la bandiera a gramaglia» talmente vile sembravagli il consiglio di rinunziare alla lotta ed ai postulati nazionali per amore di tranquillità.

Venne quindi approvata dall'assemblea la proposta del vice borgomastro d'invitare i deputati italiani a protestare senza ritardo contro il procedere del Governo e a prevenire a tal riguardo un voto della Camera nonché [di] tutti i Comuni delle regioni italiane [e] ad inviare al presidente del gruppo parlamentare italiano un indirizzo contro l 'istituzione della facoltà giuridica italiana altrove che a Trieste, dovendo essere la parola d'ordine degli italiani, «Università a Trieste o in nessun luogo». Fu, inoltre, deciso di affidare ai deputati la missione di impedire con opportuni provvedimenti i preparativi per l 'istituzione della facoltà in Rovereto.

Anche gli studenti italiani tennero ieri una riunione a Trieste per concertare la loro condotta di fronte alla nuova situazione di cose creata in seguito al voto della Commissione parlamentare del bilancio. In essa fu stabilito che tutti gli studenti universitari dovranno iscriversi agli atenei di Vienna o di Gratz al fine di boicottare in calma la facoltà di Rovereto.

196 1 Vedi D. 173.

197

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 15511125. Therapia, 23 luglio 1905, ore 15 (perv. ore 17). Telegramma 1108 1•

Allo stato attuale delle cose, dopo che rimanenti potenze hanno già da vari mesi formulato condizioni tutte interesse generale, non riterrei opportuno enunciare noi tardivamente nuove condizioni interesse nostro particolare, le quali col dare alla Sublime Porta facile appiglio per sollevare altre difficoltà, potrebbe esporci rimprovero di cagionare ulteriore ritardo introduzione riforme Macedonia, basate precipuamente su concessione aumento tre per cento. Mi parrebbe, ciò stante, prudente consiglio dichiarare Governo del Re disposto concedere aumento, quando Sublime Porta avrà soddisfatto a tutte, senza eccezione, le condizioni imposte dalle varie potenze ed ottenuta quindi adesione loro generale. Così regolandoci, noi verremmo a profittare di tutti i vantaggi ottenuti dagli altri, lasciando all'Inghilterra la parte odiosa di strappare consenso per modificazione legge sulle miniere e, sopratutto, per abolizione bollo [ ... P, È quest'ultimo che più specialmente e direttamente interessa Sultano.

197 1 VediD.l91. 2 Parola mancante.

198

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1571/145. Berlino, 25 luglio 1905, ore 14,33. (perv. ore 15,40).

L'incontro di Bjorko si è verificato prima che le Agenzie telegrafiche ne avessero dato qui l'annuncio. Esso è da attribuirsi a trattative dirette tra i due Sovrani e tra l'imperatore Guglielmo ed il suo Cancelliere, il quale trovasi sempre a Norderney. La parola d'ordine non è anzi partita ancora da quest'ultima città per Berlino, tanto che la stampa ufficiosa registra, senza alcun commento, le sole poche notizie di fatto e di cerimoniale ed i giornali in genere non esprimono che le loro personali suppOSlZlOlll.

La nota predominante per ora è nel senso di escludere, e questa è anche la mia opinione, «che l'Imperatore di Germania si immischi nelle decisioni che lo Zar ha da prendere nell'ora difficile presente della Russia». La Germania tiene, come per il passato, alle buone relazioni coll'Impero moscovita, intorno alle quali si manifesta il cattivo umore in Inghilterra ed in Francia. Il passaggio di Witte per la Germania, l'incontro di lui con Mendelssohn, il banchiere della Russia in Germania, la successiva gita di quest'ultimo presso il Cancelliere dell'Impero, sono segni evidenti che il vicino Impero abbia intenzione di ricorrere anche al credito germanico: e in questo caso, è bene naturale che tanto a Norderney quanto a Bjorko si sia chiesta garanzia che mai il denaro tedesco non abbia a servire una politica estera russa diretta ai danni della Germania.

Mi riservo di tornare sull'argomento quando questi signori, rimasti al Dipartimento degli affari esteri, saranno da Norderney stati messi in grado di fare qualche dichiarazione.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, E ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

DISP. 1• Roma, 25 luglio 1905.

Giorni sono venne da me questo incaricato d'affari di Bulgaria per farmi, a nome del suo Governo, la comunicazione verbale riprodotta nel pro-memoria, che le trasmetto, qui acclusa, in copia2 .

2 Non pubblicato.

Accennato alla deplorevole situazione della popolazione bulgara nel vilayet di Adrianopoli ed ai mezzi atti a porvi riparo, il Governo bulgaro sollecita l'intervento del R. Governo presso la Sublime Porta a favore di quella popolazione ed, in ispecie, per facilitare ai bulgari rifugiatisi sulle montagne, il ritorno ai loro focolari.

(A Sofia). Gradirò che la S.V. mi fornisca ulteriore ragguaglio circa la situazione lamentata da codesto Governo; frattanto, impartisco opportune istruzioni al r. ambasciatore in Costantinopoli perché si accordi coi colleghi per le eventuali premure da farsi nell'interesse di quella popolazione3 .

(A Costantinopoli). Nel partecipare quanto precede ali'E.V. la autorizzo a prendere opportune intelligenze con i suoi colleghi, per dar seguito, d'accordo con essi, presso codesto Governo, a quegli uffici, che meglio reputerà confacenti alla situazione ed ai desideri espressi dal Governo bulgaro.

In attesa di conoscere, a suo tempo, l'esito delle iniziative in questione ... 4 .

199 1 Inviato a Costantinopoli con il n. 37786/485 e a Sofia con il n. 37841/163.

200

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 760/268 1 . Londra, 25 luglio 1905.

Tenendo presenti le istruzioni da VE. impartitemi col dispaccio del 13 corr.

n. 2652 , ho approfittato di una conversazione col marchese di Lansdowne per domandargli se avesse considerato le modalità della notificazione che sarà da farsi al re Menelik del noto accordo per l'Etiopia. Senza alludere allo speciale avviso riferito in quel dispaccio, accennai a Sua Signoria essere giunto indirettamente a nostra notizia che Menelik, avvertito dai giornali dei negoziati in corso, avrebbe espresso la fiducia che nessuna convenzione concernente i suoi Stati verrebbe conchiusa senza il suo previo consenso: vi era quindi luogo a considerare se, una volta stabilito il testo di quella convenzione, non sarebbe prudente di dargliene comunicazione, prima di procedere alla sua firma definitiva.

Lord Lansdowne mi rispose che codesto dubbio non gli si era sinora affacciato: sembrargli però che la cosa meritasse di essere esaminata. Gli esposi allora che vi era certamente il pro e il contro per l'una come per l'altra soluzione: se si presentava a Menelik un testo già stabilito fra le tre potenze, potrebbe forse prodursi su di lui un'impressione più efficace tagliando corto alle discussioni: ma vi era d'altra parte il pericolo ch'egli scorgesse in ciò una mancanza di riguardo; e se ne nascesse poi una sua resistenza, che rendesse necessaria una qualche modificazione dei termini convenuti, riuscirebbe più facile l'introdurla in un documento non ancora firmato.

4 Per la risposta vedi D. 262. 200 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra. 2 Vedi D. 180.

Avendo io poscia intrattenuto nel medesimo senso sir Eldon Gorst, questi pure mi disse che la cosa meritava riflessione. Sua prima impressione era però che vi fosse pericolo maggiore nella presentazione di un semplice progetto che, come tale, inviterebbe alle critiche e alle controproposte, col risultato di impegnarci in nuove e laboriose trattative con Menelik e fra noi stessi. Del resto, osservava sir Eldon, le clausole concernenti la ferrovia, così com'erano ora formulate, con eliminazione della convenzione incriminata del 1902, non contenevano in sostanza che la conferma di accordi anteriori già noti a Menelik e le nuove disposizioni non tendevano che a viemmeglio guarentire la sua sovranità, né egli potrebbe rammaricarsene.

Di questo argomento ebbi pure a far cenno parlando col mio collega di Francia. Non so se M. Cambon avesse già sentore di quanto il conte Tornielli avrà detto in proposito a Parigi dietro le istruzioni di V.E. Egli si limitò a rispondermi che ne parlerebbe a M. Rouvier.

Io non ho stimato che per il momento mi convenisse andare più oltre colle mie aperture su questo affare, salvo a ritornarvi quando sarà più vicina la conclusione del noto accordo. Credo però che questo subirà ora una sosta, giacché M. Cambon, il quale sta per recarsi a Parigi, chiamatovi da grave malattia della madre, mi disse che verrà qui il 5 agosto per le feste alla squadra francese, ma ripartirà subito dopo in congedo per alcune settimane. Anche lord Lansdowne stando per assentarsi alla prossima chiusura del Parlamento, è quindi da attendersi che i negoziati relativi all'Etiopia non saranno ripresi prima dell 'autunno3 .

199 3 Per il seguito vedi D. 357.

201

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1574/147. Berlino, 26/uglio 1905, ore 11,40. (perv. ore 14,50).

Miilhberg mi ha detto ieri di ignorare quanto si dissero Zar ed Imperatore, e di sapere soltanto, da un telegramma del principe di Biilow, che incontro fu molto cordiale ed i due Sovrani si separarono lietamente soddisfatti l'uno dell'altro. L'importanza dell'incontro, secondo il Miilhberg, non è da esagerarsi: l'avvenimento, però, avrà la sua buona influenza per il mantenimento della pace in Europa, che è il primo pensiero dell 'Imperatore, nonché per le buone relazioni della Germania colla Russia. Incontro avvenne perché la presenza dell'Imperatore nel Baltico permise allo Zar di dare soddisfazione ad un desiderio ripetutamente espresso dal Sovrano germanico di vederlo c mostrargli la sua simpatia nei tristi frangenti della Russia. Non è quindi il caso di parlare di consigli che né lo Zar vuole chiedere, né Imperatore vuole assumersi la responsabilità di dare: può parlarsi bensì di scambio amichevole di idee e che, per quanto concerne Imperatore, non poteva non essere improntato al desiderio, secondo quanto ha detto Mi.ilhberg, di vedere affrettata la conclusione della pace nell'Estremo Oriente.

200 3 Per la risposta vedi D. 260.

202

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 38004/288. Roma, 26/uglio 1905.

Mi riferisco al rapporto 29 giugno u.s. n. 665/2371 , di cui ringrazio V.E. Non posso tacere che la partecipazione del nostro gruppo alla Banca etiopica non corrisponde alla nostra prima attesa.

La partecipazione che, durante il recente incontro a Parigi del sig. Palmer coi delegati francesi ed italiani, fu consentita al gruppo italiano travasi riassunta nell'unito testo di lettera2 che la Banca nazionale d'Egitto invierà al gruppo italiano dopo ottenuta l'approvazione del proprio consiglio amministrativo.

Affinché la partecipazione dei nostri istituti bancari possa essere definitivamente regolata occorre che l'invio della lettera abbia luogo nel termine più breve.

V.E. potrebbe quindi di ciò tenere parola al marchese di Lansdowne e vedere d'interessarlo a sollecitare l'invio3 .

203

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2114/859. Parigi, 28 luglio 1905 (perv. il 13 agosto).

L'ultima volta che scrissi a V.E. circa le cose di Tunisi (rapporto 20 marzo 1905

n. 785/336)1 ho dovuto far notare che la situazione risultante dai dibattimenti del Parlamento francese e dalle discrepanze di opinione fra gli stessi componenti del Ministero, era assai poco favorevole alla proroga delle nostre convenzioni del 1896. Il sig. Delcassé eludeva le conversazioni in merito sovra questo soggetto. L'on. Etienne si dichiarava favorevole al passaggio degli affari del protettorato tunisino dal Ministero degli affari esteri a quello delle colonie, cosa questa praticamente equivalente ad una prossima assimilazione della Tunisia alle altre colonie francesi.

Dippoi mi pervennero i dispacci di aprile e maggio2 con i quali V.E. segnalava alla mia attenzione come si manifestava in vari sensi l'opinione degli italiani e dei francesi di Tunisi, i movimenti spesso effimeri di essa, le agitazioni sterili che ne erano derivate.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 207.

2 Non pubblicati.

Unisco qui i quattro rapporti del r. console generale in Tunisia, allegati in originale a quei dispacci.

Le circostanze sovr'indicate contrariavano siffattamente la preparazione della nostra trattativa per la proroga delle convenzioni che io mi ridussi per parecchi mesi all'inazione. Questa stimai dover osservare anche quando, poco dopo la pubblicazione dei decreti relativi alle associazioni ed alle riunioni, si produsse nella nostra colonia una viva ed inopportuna emozione. Mi premeva sovra tutto di evitare qualunque cosa che potesse sembrare una intromissione del Governo italiano in questioni d'ordine pubblico della Reggenza. Inoltre io non sono convinto che quei decreti siano d'ostacolo ai progressi della prosperità dell'elemento italiano ed alla conservazione del suo carattere nazionale, anche se dovesse essere dimostrato che dei poteri amministrativi se ne farà un'applicazione più severa agli italiani che ai francesi.

Però malgrado la sfavorevole situazione sovr'esposta, quando, per insolite cause, avvennero gli ultimi mutamenti nel Ministero francese, mi sembrò non convenisse indugiare a fare presso il sig. Rouvier i passi preliminari occorrenti per indagame le personali disposizioni ed eventualmente per trame il maggior profitto possibile.

Durante una delle mie prime visite ebdomadarie a questo ministro degli affari esteri portai dunque il discorso sovra l'opportunità di prorogare le convenzioni del 1896 già entrate da parecchi mesi nel periodo di denuncia. L'ottima prova che quelle stipulazioni avevano fatta, escludeva l 'immediata previsione della denunzia e la loro esistenza era, in ogni ipotesi, assicurata d'anno in anno. Ma non mi era possibile di disconoscere che l'assetto dato agli interessi nostri in Tunisia avea ormai perduto il carattere di stabilità che conveniva mantenere perché non fossero esposti alle eventualità di subitanee ed incalcolabili vicissitudini parlamentari. Nello svolgere questo pensiero ripetei a varie riprese e con marcata insistenza che le stipulazioni del 1896 per la Tunisia erano state la pietra angolare del ravvicinamento italo-francese. Mi premeva molto preservarle da scosse che potrebbero essere pericolose e nocive. L'on. Rouvier, appena ebbi finito di parlare, convenne che non bisognava lasciare un interesse così delicato esposto a tali vicende. Egli era contrario ai mutamenti sovra i quali la Camera dei deputati aveva discusso recentemente. Conveniva che il protettorato rimanesse ciò che era e poi egli mi chiese se la proroga delle convenzioni nostre dovrebbe essere approvata dai Parlamenti rispettivi. Risposi che tale procedimento non mi pareva indispensabile e si rimase intesi di riprendere il discorso prossimamente durante le vacanze estive delle Camere legislative. Intanto questo ministro avrebbe fatto esaminare la questione, ch'egli giudicava di grande interesse, dagli uffici competenti.

Il 26 di questo mese stimai poter richiamare l'attenzione del sig. Rouvier sovra questo soggetto. Scambiammo poche parole in proposito. Egli si dolse che dagli uffici non gli fosse ancora stato riferito al riguardo. Prese un appunto per iscritto e mi disse che avrebbe sollecitato l'esame occorrente.

Se l'on. Rouvier non prenderà egli stesso l'iniziativa della continuazione della incominciata conversazione, non mancherò, a tempo debito, di fare qui le pratiche che mi sembreranno più efficaci. Gioverà profittare della condizione di cose nata dalla vertenza marocchina con la Germania per ispingere innanzi la questione della

proroga delle nostre convenzioni tunisine. È normale che questa avvenga prima del l o ottobre di quest'anno termine fissato per la loro scadenza. Ed è anche cosa naturale che nell'attuale periodo questo Governo non voglia indisporre l 'Italia.

Sarebbe perciò desiderabile che dall'ambasciata di Francia a Roma si potesse qui riferire tutta l'importanza che il Governo di Sua Maestà annette alla proroga delle Convenzioni prima della sovr'indicata scadenza. Se V.E. tenesse al riguardo un linguaggio che non lasciasse dubbio sul cattivo effetto che produrrebbe il rifiuto di una proroga, le cose che io già dissi e le altre che mi occorrerà di dire si troveranno singolarmente avvalorate3 .

202 1 Vedi D. 157.

203 1 Non pubblicato.

204

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CALVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 181/84. Copenaghen, 28 luglio 1905 (perv. il 31).

Ho avuto occasione di recente di parlare a lungo col sig. Izvolskij sulle condizioni in cui la Russia verrà a trovarsi dopo la pace rispetto alla politica europea.

Il sig. Izvolskij è amico del sig. Witte e le sue opinioni cominciano ad essere tenute in considerazione. Egli era stato interpellato per andare come negoziatore per la pace e rifiutò quando credeva ne avrebbe fatto parte il conte Muraviev, ambasciatore a Roma, col quale presumeva non poter andare d'accordo.

Il sig. Izvolskij ritiene che la pace sarà disastrosa e seguirà la fine del prestigio della Russia nell'Estremo Oriente. Ma ciò sarà secondo lui un bene, perché richiamerà l'attenzione all'Oriente più vicino. L'Europa vedrà ben presto che la Russia, sconfitta in Asia, è ancora in grado di esercitare un'influenza preponderante in Europa. Una grande solidarietà ci lega, egli disse, ai due Imperi di Germania e d'AustriaUngheria con cui abbiamo in comune la questione polacca e dovrà legare ormai tutti i popoli d'Europa contro la politica egoista inglese che, per sfruttare il mondo, semina fra noi dissidi.

L'Italia ha nei Balcani ed in Oriente interessi legittimi; essa è una grande nazione, ha bisogni di espansione che noi dobbiamo vedere di buon grado. Se un giorno io avrò mano negli affari, non esiterò certamente a favorire lo sviluppo di questi interessi italiani. È da deplorarsi che la Francia, ipnotizzata dal miraggio di una rivincita e dimentica che l'Inghilterra le ha tolto le migliori colonie, non scorga il pericolo in cui si pone avvicinandosi all'Inghilterra contro gli interessi europei.

Come va, gli chiesi, che queste idee non ebbero in Russia il sopravvento ali'epoca della guerra dei boeri? Era quello il momento favorevole e, se i miei indizi sono esatti, gli eccitamenti non vi mancarono.

Sì, mi confessò egli, e fu grande disgrazia dovuta alla bontà d'animo dell'Imperatore che non voleva opprimere i prossimi parenti nella disgrazia.

lo non farei cenno di questi discorsi se il recente abboccamento dell'Imperatore di Russia con quello di Germania non mostrasse che questa corrente d'idee già riceve un principio d'attuazione. Sappiamo che in Russia, in mancanza di partiti politici, si combattono, si avvicendano e si impongono poi all'autocrazia le correnti d'idee. Questa, da me accennata, avrebbe per caratteristica non il raccoglimento, ma una certa attività diretta ad isolare l'Inghilterra ed a ripagarla in Oriente ed in Europa dei danni che essa ha cagionato alla Russia in Estremo Oriente.

203 3 Per la risposta vedi D. 261.

205

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 11561• Roma, 29 luglio 1905, ore 18.

Poiché lord Lansdowne vuole sapere il mio pensiero2 io gli dirò che scarto assolutamente le soluzioni ibride quali sarebbero quelle di far intervenire a Creta le truppe greche ciò che costituirebbe una ridicola commedia a scapito della dignità delle potenze o quella di mantenere tal quale il governo del principe Giorgio che si è rivelato amministratore incapace e del quale gli insorti, che hanno preso come pretesto la bandiera della annessione alla Grecia, non vogliono sapere ad alcun costo.

lo penso pertanto che si debba scegliere tra l'una o l'altra di queste soluzioni: l) od annettere addirittura Creta alla Grecia e toglierei così da dosso questo peso imbarazzante e noioso. Per far ciò occorre esser certi che l'annessione non abbia ripercussione nei Balcani e che sia consentita non solo dalle quattro potenze protettrici ma anche dalle altre potenze interessate nei Balcani e, cioè, Germania ed Austria-Ungheria. 2) Se non si vuole l'annessione, che le potenze assumano seriamente il governo dell'isola togliendo di mezzo il principe Giorgio e nominando un governatore di grande capacità e rettitudine che instauri un'amministrazione seria ed una finanza severa.

In ogni caso io credo indispensabile una conferenza delle quattro potenze e credo che sia giunto il momento di tenerla, facendo comprendere con fermezza alla Russia che la sua opposizione alla conferenza è irragionevole. Intendo parlare di conferenza con plenipotenziari; le riunioni tenute a Roma con me dagli ambasciatori furono inutili perché essi non avevano poteri e perché delle loro decisioni non si tenne conto dai rispettivi GovernP.

205 1 Analoga comunicazione fu inviata a Tornielli con Disp. 42446/955 del22 agosto. 2 Pansa con T. 1578 del 26 luglio comunicava il desiderio di Lansdowne di conoscere l'opinione di Tittoni in merito alla critica situazione di Creta. 3 Per la risposta vedi D. 209.

206

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 1604/98. Vienna, 31 luglio 1905, ore 18.

Sig. de Mérey mi ha dato oggi lettura dei telegrammi diretti da codesto incaricato d'affari austro-ungarico ai conte Goluchowski a Vittel circa colloquio da esso avuto con VE. in ordine alle parole pronunciate Camera dei deputati dall'on. Marcora in occasione morte Socd nonché di quelle inviategli in risposta dal Ministero imperiale e reale contenente termini soddisfazione che io incaricava chiederle e che hanno dovuto esserle oggi comunicati dal conte Forgach.

Pur lamentando incidente, ho fatto conoscere sig. de Mérey che io non potevo che riconoscere giustezza considerazioni svolte dalla E.V all'incaricato d'affari austro-ungarico in seguito sue rimostranze e che quanto soddisfazione non mi sembrava da Ici potersi essa essere accolta specialmente per ciò che riguardava ultima parte di essa. Sig. de Mérey mi ha quindi pregato di telegrafare a V.E. dimostrandole necessità dare soddisfazione per l'incidente che il conte Goiuchowski, quantunque si dimostrasse nei suo telegramma ai conte Forgach animato dai sentimenti più amichevoli verso la sua persona, desiderava fosse pubblica, pubblica essendo stata l'offesa fatta al Governo imperiale e reale, aggravata poi dalle manifestazioni che aveva provocate da parte dei trentini. A tale proposito egli mi ha fatto rilevare che V.E. avrebbe dovuto contare pure della opinione pubblica in Austria che aveva avuto notizia dell'incidente e delle interpellanze che avrebbero potuto dar luogo nel Parlamento qualora alcuna soddisfazione non fosse stata accordata dal R. Governo in ordine ai medesimo. Ed ha aggiunto che era stata già data comunicazione a S.M. Imperiale dci telegrammi suddetti.

In presenza di quanto mi ha riferito il sig. de Mérey e delia insistenza messa dai ministro imperiale e reale nei volere una soddisfazione, VE. giudicherà se ed in qual modo debba essere corrisposta alia medesima2 .

2 Per il seguito vedi DD. 21 Oc 211.

206 1 Vedi Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1904-1905, vol. IV, tornata del 27 luglio 1905, pp. 5300-5301: «... Milite della patria, è, nel 1866, appena ventenne, sulle balze del Trentino nostro, con Garibaldi ...».

207

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 786/273 1• Londra, ] 0 agosto 1905.

Ho ricevuto il dispaccio di V.E. del 26 luglio u.s. n. 2882 , relativo alla costituzione della Banca Etiopica, e dopo di averne fatto cenno a lord Lansdowne, esposi il modo più particolareggiato la cosa a sig. Eldon Gurst, dandogli lettura della minuta della lettera che il gruppo finanziario italiano partecipante a detta impresa attende dalla Direzione della Banca Nazionale d'Egitto3 .

Sir Eldon mi ringraziò e prese atto della mia comunicazione, osservando che il Foreign Office nulla sapeva di quelle trattative; giacché, una volta ottenuta in principio la concessione per una banca, il Governo britannico considerava le modalità di essa come uno di quegli affari d'interesse pecuniario privato nei quali, per regola costante, esso si asteneva dali 'ingerirsi.

Sir Eldon conchiuse però col dire che non vi era a dubitare dell'esatto adempimento della promessa fatta dalla Banca Egiziana di mandare la lettera nei termini convenuti.

208

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 788/2741 . Londra, ]0 agosto 1905.

Ho procurato di ottenere le informazioni desiderate da V.E. sulle azioni delle ferrovie etiopiche, oggetto del dispaccio 19 luglio p.p. (n. 276)2•

Da esso è risultato che The Etiopian International Railway Trust and Construction Co. Limited, il quale è in strette relazioni d'affari con la Compagnie Impériale des Chemis de fer Éthiopiens, possiederebbe quattromila azioni e ventimila obbligazioni di questa. Quel trust è costituito principalmente dalla New African Co., Ocean Co., casa Ochs Brothers (che vi ha maggiore interesse) e da alcuni gruppi parigini. Le sue azioni furono emesse ad una sterlina ciascuna ed il valore odierno è di sedici scellini. La stessa società ritiene che le prospettive del! 'impresa sono oggi favorevoli

2 Vedi D. 202.

3 Non pubblicata.

2 Disp. 36519/276, non pubblicato.

ed incoraggianti, considerando quasi sicura l'internazionalizzazione delle ferrovie etiopiche. Nella relazione, che qui unisco3 , all'assemblea degli azionisti tenuta lo scorso dicembre, V.E. troverà elementi sufficienti per giudicare intorno alla situazione della International Ethiopian Railway ecc. Di questa relazione rimisi un esemplare con rapporto 21 gennaio scorso (n. 23)4 .

Persona di fiducia da me incaricata di raccogliere, come per conto suo, i desiderati ragguagli, mi ha rimesso una memoria che essa si è procurata, nella quale sono esposte le condizioni delle predetta compagnia francese dal punto di vista di chi vi è interessato. Sebbene questa esposizione contenga, come rileverà V.E., alcuni punti inesatti o incompleti nella parte concernente le trattative in corso, stimo utile tuttavia di trasmetterla tal quale, qui unita3 , come quella che contiene pure alcuni dati interessanti e segnatamente i prezzi delle azioni ed obbligazioni sino a questi ultimi tempi.

All'infuori dei titoli sopraccennati, che si trovano in mano al trust, non mi è stato possibile verificare chi siano attualmente gli altri detentori delle azioni di cui si tratta. Come credo averlo accennato in qualche mio precedente rapporto, codesta ricerca era stata fatta anche dal Foreign Office, ma senza risultato, non essendogli nemmeno riuscito d'accertare in quali proporzioni esistessero detentori inglesi. Si tratta del resto di titoli che da un momento all'altro possono cambiare di mano senza che a nessuno risulti. Per lo stesso motivo mi è impossibile indagare donde provengano le azioni offerte dal R. Governo, tanto più che il dispaccio a cui rispondo non fornisce in proposito traccia veruna.

Quanto alle considerazioni d'ordine generale alle quali allude il predetto dispaccio, direi che mi sembra piuttosto dubbia la convenienza pel R. Governo di addivenire al proposto acquisto di settemila azioni. Escluso che a ciò possa indurlo alcuno scopo di profitto pecuniario, il che sarebbe fuori di questione, il solo vantaggio da aversi in vista potrebbe essere evidentemente quello di acquistare un'influenza nel Consiglio della Compagnia. Ora non posso a meno di osservare che tutta la nostra azione in questo affare delle ferrovie etiopiche è stata diretta, in sostanza, ad ostacolare la Compagnia stessa, la liquidazione della quale potrebbe anzi considerarsi, nel momento attuale, come una desiderabile semplificazione dell'intera questione. Se ciò è vero, la qualità di azionista che venisse ad acquistare il Governo italiano avrebbe per effetto di creargli più che altro imbarazzi circa l'uso da farsi di quella qualità. Né parmi sia da tacersi il pericolo che un tale atto del Governo venga considerato come un intrigo, con tutti gli inconvenienti che poi derivano da simili sospetti.

Ma di questo, come in generale del valore politico della proposta di cui si tratta, sarà miglior giudice l'E.V., alla quale sono note tutte le circostanze dell'affare5 .

207 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra.

208 1 DaJI'archivio dell'ambasciata a Londra.

208 3 Non pubblicata. 4 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 836. 5 Vedi D. 269.

209

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

U. Londra, 2 agosto 1905.

Le scrivo in questa forma privata circa le cose di Creta, riferendomi ai telegrammi fra noi scambiati, in seguito ad un'interrogazione di lord Lansdowne che aveva espresso il desiderio di conoscere ciò che ne pensasse V. E. Com'ella lo ha ben compreso, non si tratta di una domanda formale, ma di una semplice interrogazione rivoltami come conclusione di un amichevole colloquio nel quale lord Lansdowne si era meco mostrato più ancora del solito infastidito dalle ultime notizie di Canea e dall'imbarazzo a tutti cagionato dalle discordie e dalle indiscrete pretese di quegli isolani.

Dopo ricevuta la risposta di V. E., ho avuto altre due conversazioni con Sua Signoria cui ne esposi confidenzialmente il tenore. Non potrei ripeterle qui esattamente tutto quanto fu da noi detto in quelle conversazioni, ma per maggior brevità e chiarezza cercherò di coordinare la sostanza delle idee da lui manifestatami sui punti principali del telegramma di V. E.

Annessione di Creta alla Grecia. Lord Lansdowne si rende ben conto che questa sarà la conclusione finale alla quale si dovrà un giorno arrivare, e per conto suo, credo ch'egli non avrebbe difficoltà a vederla affrettata. Ma vi sono due ostacoli che rendono ciò impraticabile pel momento: l) il fatto dell'impegno solenne che in epoca ancora recente fu assunto dalle potenze pel mantenimento dell'alta sovranità del Sultano su Creta e ciò in corrispettivo del ritiro delle sue truppe dell'isola. A ciò si connette l'impegno d'onore pure incombente alle potenze stesse di proteggere i cretesi musulmani contro le persecuzioni dei loro compatriotti cristiani. 2) Quand'anche l'Inghilterra, d'accordo coll'Italia e fors'anca colla Francia e la Russia, aderisse all'annessione, questa non potrebbe farsi senza l'espresso consenso delle altre potenze firmatarie del Trattato di Berlino. Ora non è da attendersi che, allo stato delle cose, questo si possa ottenere né dall'Austria pel temuto contraccolpo di un simile atto in Macedonia, né dalla Germania per riguardo alla speciale posizione che essa mantiene a Costantinopoli.

La nomina di un altro governatore è un progetto di difficile esecuzione e di dubbi risultati: l) perché sarebbe a trovarsi un modo pulito per sbarazzarsi del principe Giorgio senza offendere molte suscettibilità (tenendo presenti le sue attinenze famigliari e personali con tre o quattro Corti europee che lo proteggono); 2) perché i greci e i grecizzanti vedrebbero nella sua rimozione un passo indietro tendente a vieppiù allontanare l'ambita annessione, coll'effetto di scatenare contro l'infelice successore ire anche più accanite di quelle ora sollevate dal Principe: né certo le potenze sarebbero disposte a mantenere quel successore colla forza; 3) perché l'esperienza del 1898 ha provato l'impossibilità di trovare un candidato decente che già

allora fu ricercato invano per mare e per terra. Un momento pareva assicurato, come è noto, l'accettazione dello svizzero M. Droz: ma questi ben presto si ritirò, quando ebbe fatto il conto dei guai che lo aspettavano, fuori di proporzione coll'esigua lista civile, coi piaceri della residenza di Canea e colle amenità della convivenza con i propri amministrati .... Ora, dopo la prova fatta dal Principe, le probabilità di trovare un personaggio di qualche vaglia, disposto ad assumere l'ingrata eredità, non sono certo aumentate.

Conferenza. Se tutto ciò è vero, dice lord Lansdowne, quale speranza di successo offrirebbe una conferenza? Data la natura del suo scopo -di modificare cioè, eventualmente, Io status di una dipendenza, sia pure in partibus dell'Impero ottomano-quell'invio dovrebbe estendersi a tutte le potenze, tanto più che la Germania e Austria, pur declinando di mantenere truppe in Creta, non hanno rinunciato ai propri diritti (anzi sappiamo che da Vienna si fecero recentemente osservazioni circa la qualifica di protettrici assunte dalle quattro potenze occupanti). D'altra parte, non si potrebbe convocare una simile conferenza se non dopo di averne determinato il programma: e qui si ripresenterebbe, con tutta sua incertezza e difficoltà, la questione del da farsi!

Se una vera e propria conferenza internazionale è da escludersi pel momento, rimarrebbe a tentarsi una nuova riunione degli ambasciatori di Roma. Questa avrebbe il vantaggio, osservai a Iord Lansdowne, di una forma meno solenne ed alla quale si è già abituati: ma perché essa almeno riuscisse a determinare un serio esame della questione ed una maggiore uniformità nella condotta delle quattro potenze, bisognerebbe che tutti e tre gli ambasciatori avessero positiva istruzione di occuparsene -il che non fu finora possibile, causa l'opposizione della Russia. Lord Lansdowne mi assicurò che, per conto suo, egli non avrebbe difficoltà ad autorizzare sir Edgar Egerton a prendere parte ad una nuova adunanza. Probabilmente vi si presterebbe pure la Francia. Ma come vincere la resistenza della Russia? Il momento attuale non si presenta di certo come il più propizio per aprire a Pietroburgo una campagna diplomatica a proposito di Creta.

La situazione, conchiudeva lord Lansdowne, è ingratissima e perfino umiliante per le potenze che ne hanno assunto le responsabilità. Ma l'impraticabilità stessa dei diversi espedienti contemplati prova quanto sia difficile l'uscirne. Un solo conforto si trova, nel considerare che si tratta di una questione localizzata in un'isola donde non è a temersi che essa abbia a propagarsi od a provocare complicazioni pericolose. Questo ci permette di portare ancora pazienza cercando alla meglio di far fronte agli eventi mano mano che questi si presentano. Ma converrà star attenti ad ogni opportunità che questi ci aprissero di ritirarci senza troppo disdoro dall'isola: in qualunque momento e sotto qualunque forma una simile occasione ci si offrisse, converrà tosto profittarne senza esitazione.

Questa è la conclusione di quanto mi disse Iord Lansdowne. Recandomi io fra pochi giorni a Roma dove spero poter presentare i miei ossequi a V.E., mi riservo di conferire ancora con lei di questi affari.

209 1 Risponde al D. 205.

210

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1181 bis. Roma, 3 agosto 1905, ore 9.

Il ministro degli affari esteri italiano ha dichiarato che le parole usate dal presidente della Camera avevano un significato esclusivamente etnografico e non contenevano né potevano contenere alcuna allusione irredentista poiché ove l'avessero contenuta egli avrebbe lealmente e senza esitazione espresso il rincrescimento del Governo italiano. Ha aggiunto che tale dichiarazione è conforme a verità ed è la sola che onestamente il Governo austro-ungarico può chiederci 1 .

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1182. Roma, 3 agosto 1905, ore 18,25.

Confermo testo mia dichiarazione quale ho telegrafato stamane a VE. 1 e spero codesto Governo non pubblicherà testo diverso perché non potrei accettarlo. La prego anche di chiedere che non si parli di energico reclamo a me fatto, poiché ciò non sarebbe conforme nostri buoni rapporti e farebbe ritenere al pubblico che io avessi ceduto a minacce. Chiedo invece che si dica che mi sono state domandate amichevoli spiegazioni alle quali ho risposto con la dichiarazione surriferita. Confido VE. otterrà pronta soluzione incidente conforme mia proposta2 .

2 Per la risposta vedi D. 215.

210 1 Per la risposta vedi D. 213. 211 1 VediD.210.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1184. Roma, 3 agosto 1905, ore 19.

È venuto in questo momento da me incaricato d'affari d'Austria-Ungheria il quale si è mostrato allarmatissimo non avendo notizie da Vienna e temendo che comunicato Goluchowski potesse essere pubblicato. lo gli ho detto nettamente che non ammettevo che si pubblicassero dichiarazioni mie non approvate da me, che ciò sarebbe stato contrario ad ogni precedente diplomatico. Incaricato d'affari ha dovuto riconoscere che io aveva ragione ed è corso a telegrafare a Vienna e Parigi perché suo Governo nulla faccia senza mia intesa.

213

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 16211100. Vienna, 3 agosto 1905, ore 19,55.

Ho fatto conoscere al sig. de Mérey formula comunicato contenuta odierno telegramma1, pregandolo telegrafarla senza indugio a Goluchowski e mi sono adoperato ad un tempo convincerlo che quella formula rispondeva a verità e rappresentava tutto ciò che Governo imperiale e reale poteva onestamente chiedere al R. Governo. Ho creduto poi insistere di nuovo, perché nel frattempo non sia dato seguito pubblicazione comunicato proposto dal conte Goluchowski.

De Mérey mi ha risposto che non avrebbe mancato corrispondere mia domanda, ma che poteva già fin da ora dirmi che quella formula non avrebbe potuto essere accolta da Goluchowski perché non conteneva i due punti essenziali da esso richiesti, come risultava dal suo recente telegramma a Forgach e del quale cragli pervenuto all'istante copia da Parigi. In quel telegramma, di cui de Mérey mi ha dato lettura e che sarà comunicato a V.E. da codesto incaricato d'affari d'Austria-Ungheria, Goluchowski, nel manifestare sua meraviglia per cose dette dal comm. Malvano al conte Forgach2 , e nel rilevare come ella potrebbe identificare con le espressioni irredentistiche dell'on. Marcora, conclude col dichiarare che egli non aveva chiesto R. Governo di fare umili scuse, bensì di esprimere suo rincrescimento per l'incidente e

2 Annotazione di Malvano: «Ciò che io dissi al conte Forgach, e questi (come mi assicura) telegrafò al conte Goluchowski, è questo solo: che, se fosse stato pubblicato a Vienna il comunicato secondo il testo da loro presentatoci, il ministro Tittoni sarebbe stato costretto a sconfessarlo».

riconoscere buon fondamento rimostranze Governo imperiale e reale. De Mérey ha lamentato ancora una volta ritardo frapposto dal R. Governo nel risolvere incidente, le cui trattative duravano da circa cinque giorni e mi ha fatto intendere che un ritardo ulteriore avrebbe potuto indurre Goluchowski dar seguito pubblicazione comunicato da lui proposto, se V.E. non avesse creduto nel frattempo accettarne testo, oppure suggerire formula contenente due punti suddetti: espressione cioè, rincrescimento per l'incidente da parte del R. Governo e riconoscimento buon fondamento rimostranze Governo imperiale e reale 3•

213 1 Vedi D. 210.

214

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

Roma, 4 agosto 1905, ore 12.

Sono meravigliato che mia ultima formola2 , con la quale ho cercato di andare incontro più che mi fosse possibile ai desideri del conte Goluchowski, abbia trovato esitante il sig. de Mérey e che questi ponga in dubbio l'accettazione di Goluchowski. Nella mia formola vi è lo stesso identico concetto di quella di Goluchowski, ma espresso con maggior riguardo pel presidente della Camera italiana. Nella formola del conte Goluchowski vi sarebbe un mio biasimo diretto al presidente della Camera che provocherebbe una gravissima crisi interna con conseguenze imprevedibili. Nella formola mia il biasimo riguarderebbe solo l'affermazione irredentista e quindi colpirebbe il presidente della Camera nel solo caso che l'avesse fatta. Di più mi è assolutamente impossibile fare e qualunque persona imparziale deve riconoscere che di più da me non si può pretendere.

Spero ancora che le mie considerazioni ed attivi uffici di V.E. persuaderanno conte Goluchowski. In caso diverso io vedo chiare e nette le conseguenze delle eccessive pretese del Governo austriaco per questo malaugurato incidente. I rapporti tra i due Governi saranno gravemente turbati ed io, non potendo da un lato sottostare alle pretese irragionevoli del Governo austriaco e non volendo dall'altro lato restare al potere se i risultati della mia politica dovessero essere in un momento distrutti, finirò per dare le mie dimissioni e lasciare la direzione della politica estera italiana3 .

2 Vedi D. 210.

3 Per la risposta vedi D. 216.

213 3 Per la risposta vedi D. 214.

214 1 Risponde al D. 213.

215

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1630/1ol. Vienna, 4 agosto 1905, ore 18,55.

In conformità alle istruzioni impartitemi da V.E. col telegramma n. 11821 ho fatto conoscere oggi al sig. dc Mércy essere suo desiderio che nel comunicato da pubblicarsi invece di parlare di energico reclamo si dica che le furono domandate amichevoli spiegazioni cd ho aggiunto ad tempo [sic] che V.E. non poteva ammettere che si pubblicassero dichiarazioni da Ici non approvate, tale procedere essendo scorretto c contrario ad ogni precedente diplomatico. L'ho pregato quindi di telegrafare in quel senso al conte Goluchowski insistendo di nuovo perché pubblicazione comunicato fosse ritardata c nulla fosse fatto senza prcvia sua intesa.

Dc Mérey mi ha detto che si sarebbe affrettato telegrafare subito a Goluchowski, sebbene egli avesse già dovuto essere informato di quanto io gli avevo ora riferito dal conte di Forgach col telegramma da questi direttogli a Parigi in seguito al colloquio avuto con V.E. del quale aveva ricevuto stamane copia e di cui mi ha dato lettura. Dc Mércy mi ha fatto inoltre conoscere che nel telegrafare ieri a Goluchowski i passi da mc fatti presso di lui avevagli suggerito di sospendere per un paio di giorni ancora la pubblicazione del comunicato da lui proposto, ma che fino ad ora non aveva ancora ricevuto risposta al riguardo. Ha ripetuto poi che a suo parere quella formula non avrebbe potuto essere accettata da Goluchowski per la mancanza dei due punti indicati nel mio telegramma n. l 002 c mi ha poi fatto intendere che non era ammissibile che in quella formola si cercasse di spiegare il significato delle parole pronunciate dall'on. Marcora perché queste avevano per se stesse un senso troppo irrcdcntista che non era possibile di eliminare.

Ho osservato che, di fronte alla erronea interpretazione stata data a quelle parole dal Governo imperiale e reale, tale spiegazione mi sembrava anzi tanto più necessaria, che essa faceva risaltare il loro vero significato escludendo così nel presidente della Camera qualsiasi intenzione di fare allusioni irredentiste offensive verso il Governo imperiale e reale, e siccome ciò rispondeva alla pura verità, il R. Governo non poteva infliggere biasimo al presidente della Camera, che avrebbe potuto provocare gravi conseguenze. Ma, nonostante impegno da me messo per convincere de Mérey e dimostratogli che non potevasi pretendere dal R. Governo ciò che non era possibile chiedergli onestamente, egli ha insistito su quanto avevami già detto ieri; che il comunicato da pubblicarsi doveva contenere l'espressione del rincrescimento per l'incidente per parte del R. Governo e riconoscimento del buon fondamento del reclamo del Governo imperiale e reale ed ha aggiunto che se un giorno un incidente offensivo verso il R. Governo fosse avvenuto nella Monarchia, il Governo imperiale e reale non avrebbe mancato senza troppo tardare a darvi la dovuta soddisfazione.

2 Vedi D. 213.

215 1 VediD.211.

216

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 16311102. Vienna, 4 agosto 1905, ore 19.

Ho parlato oggi al sig. de Mérey nel senso del telegramma di V.E. n. 11861 facendogli conoscere come la formola da lei suggerita contenesse il concetto identico a quello proposto dal conte Goluchowski, espresso però con maggiore riguardo verso il presidente della Camera ed eliminando biasimo diretto per la sua persona, ciò che avrebbe potuto provocare seria crisi interna con sue conseguenze impreviste.

De Mérey mi ha ripetuto quanto ho riferito a V.E. con odierno mio telegramma

n. l O12 che dalla formo la si doveva escludere del tutto ogni spiegazione del significato delle parole pronunziate dall'an. Marcora, perché esse avevano già per se stesse un senso talmente irredentista che non si poteva eliminare in alcun modo ed ha poi insistito di nuovo sulla necessità di includere nella formo la l'espressione del rincrescimento del r. Governo per l 'incidente e riconoscimento del buon fondamento del reclamo del Governo imperiale e reale, che erano i punti richiesti dal Goluchowski nei suoi telegrammi a codesto incaricato d'affari austro-ungarico. Ho risposto al sig. de Mérey che era impossibile a V.E. fare di più di quello che aveva fatto, né il Governo imperiale e reale doveva veramente pretendete di più da lei e nel fargli rilevare, in via privata e confidenziale, le gravi conseguenze che, dalle pretese del Governo imperiale e reale, avrebbero potuto derivare per i rapporti reciproci, l'ho pregato di telegrafare a Goluchowski quanto avevagli rappresentato. Fino a questo momento de Mérey non ha ricevuto dal ministro imperiale e reale alcun telegramma relativo all'incidente3 .

217

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1199. Roma, 5 agosto 1905, ore 13,45.

Per un increscioso incidente con l'Austria-Ungheria debbo pregare V.E. di volersi subito recare dal conte Goluchowski ora a Parigi Hotel Mirabeau, e rimettergli questo mio messaggio verbale:

«Vedendo la difficoltà di intenderei per le vie indirette e preoccupato delle gravi possibili conseguenze, mi permetto di fare un diretto appello a V.E. acciocché voglia

2 Vedi D. 215.

3 Per il seguito vedi D. 218.

accettare, per il comunicato, la formo la da me ultimamente proposta 1• Essa dà piena soddisfazione al Governo imperiale e reale contenendo essa un esplicito biasimo dell'irredentismo, nel tempo stesso che essa risparmia la persona del presidente della Camera, il quale ripudia esso stesso ogni significato irredentista delle sue parole. Questo è il solo modo di evitare, qui, nell'interno, una crisi per la quale dovrei probabilmente uscire dal Ministero e che metterebbe a non lieve repentaglio la situazione stessa dell'alleanza di fronte alla pubblica opinione. L'alto senno di VE. può ben giudicare se per semplice questione di formola, e mentre la sostanza non muta, valga la pena di affrontare così pericolosa eventualità. Se la strettezza del tempo e la distanza non lo impedissero, verrei io stesso da V.E., sicuro di persuaderla a viva voce. Se occorresse, sarò anche lieto incontrarla più tardi nel suo passaggio di ritorno a Vienna. Ma intanto la prego di dare questa prova di fiducia e di amicizia a me che, della nostra comune politica e della necessità di cordiali rapporti tra i due paesi, sono fermo e convinto fautore. Il r. ambasciatore conte Tornielli le reca questo mio messaggio insieme ai miei cordiali saluti e per lo stesso mezzo prego V.E. di farmi risposta che confido favorevole. In questo momento conte Forgach mi porta nuova proposta di V. E. Io la ringrazio per questa prova di buon volere ma faccio considerare che non risolve la questione poiché non evita di mettere me direttamente e senza ragione alle prese col presidente Marcora. È questo solo che a me preme evitare per non andare incontro ad una crisi ministeriale che sarebbe certissima: nel resto sono pronto a dare tutte le soddisfazioni contro l'irredentismo e per accentuare ciò io, modificando leggermente la mia formola, la propongo definitivamente a VE. nei seguenti termini, la cui grande importanza politica non può sfuggire ad alcuno: "Il comunicato conterrà breve narrazione dell'incidente, aggiungendo che il Governo austro-ungarico ne ha fatto oggetto di una amichevole richiesta di spiegazioni presso il Governo italiano; a nome del quale il ministro degli affari esteri d'Italia ha dichiarato che le parole del presidente della Camera avevano un significato esclusivamente etnografico, e non contenevano, né potevano contenere, alcuna allusione irredentista. Il ministro degli affari esteri d'Italia ha soggiunto che qualunque atto che avesse carattere o significato irredentista avrebbe provocato e provocherebbe lealmente e senza esitazione l'espressione del rincrescimento per parte del Governo italiano2"».

2 Per la risposta vedi D. 220.

216 1 Vedi D. 214.

217 1 Vedi0.210.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1201. Roma, 5 agosto 1905, ore 16,30.

Stamane l'incaricato d'affari di Austria-Ungheria mi ha portato una nuova proposta del conte Goluchowski. lo l'ho pregato di ringraziare il ministro imperiale e reale per questa prova di buon volere, ma di fargli notare che essa non risolve la questione, non evitando essa di mettere me direttamente e senza ragione alle prese col presidente della Camera con tutte le conseguenze gravissime che ne deriverebbero. Ho aggiunto essere io del resto disposto a maggiormente accentuare la riprovazione dell'irredentismo, modificando leggermente la mia formola che propongo definitivamente nei seguenti termini: «Il comunicato conterrà ...» (vedi telegramma n. 1199 a Parigi)'.

Il conte Forgàch ha tosto telegrafato al conte Goluchowski, ma io ho stimato opportuno, per agevolare ed assicurare l'accettazione, di far pervenire al ministro imperiale e reale, per mezzo del conte Tomielli, un mio messaggio personale facendo caldo appello ad un suo sentimento di fiducia verso di me e dimostrandogli che solo la mia proposta può farci uscire da una situazione la quale potrebbe divenire pericolosissima2•

219

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1638/105. Vienna, 5 agosto 1905, ore 18, 15.

Dietro ordine di Goluchowski il sig. de Mérey mi ha or ora dato lettura di un telegramma diretto jeri sera dal ministro imperiale e reale a codesto incaricato di affari austro-ungarico in cui, nel dirgli ragioni che gli impediscono accettare formola messa innanzi da VE., lo incarica farle conoscere nuova formula da lui proposta dichiarando che questo rappresenta quanto gli è possibile fare per agevolare intesa.

Mi sono astenuto dal pronunciarmi in merito a tale formula che ha dovuto già essere comunicata a VE. dal conte Forgàch 1•

2 Per la risposta vedi D. 221. 219 1 Vedi D. 218. Per il seguito vedi D. 221.

218 1 VediD.217.

220

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1642/84. Parigi, 6 agosto 1905, ore 18,35.

Ho letto il messaggio verbale di V. E. 1 ed ho rimesso copia dell'ultima formula di lei a Goluchowski, il quale mi espose lungamente ed in termini amichevoli, ma fermi, il suo punto di vista dal quale non riuscii a smuoverlo. Egli si rifiuta ad inserire in un comunicato suo da pubblicarsi a Vienna la dichiarazione che le parole del presidente della Camera italiana avevano un significato esclusivamente etnografico e non contenevano, né potevano contenere alcuna allusione irredentista. Egli pretende che in Austria-Ungheria tutti cadrebbero sopra di lui se accettasse benevolmente una simile dichiarazione che costituirebbe il tipo delle future giustificazioni di tutte le intemperanze di linguaggio irredentista. Ritorcendo l'appello fatto ai suoi sentimenti concilianti ed amichevoli e manifestando il desiderio fermo di mantenere i migliorati rapporti fra i due paesi dei quali riconosce essere del Gabinetto attuale di V.E. il merito precipuo, egli la prega a sua volta di tener conto delle difficoltà della sua posizione personale sopra le quali ha replicatamente insistito e di accettare che il comunicato austriaco contenga dopo la breve narrazione dell'incidente, le seguenti parole: «tenendo giustamente conto del penoso risentimento prodottosi in Austria-Ungheria per tale enunciato, S.E. il ministro degli affari esteri si affrettò, con la lealtà che lo distingue, a esprimere al nostro rappresentante a Roma i sinceri rincrescimenti del R. Governo in riguardo a questo spiacevole incidente». Goluchowski dice che il risentimento prodottosi in Austria-Ungheria è un fatto ed il riconoscimento di esso non deve fare difficoltà da parte nostra che poi la cognizione di questo fatto ci conduca ad esprimere i rincrescimenti nostri; egli trova cosa naturale trattandosi di paesi che desiderano cancellare con queste amichevoli dichiarazioni le conseguenze di un risentimento effettivamente prodottosi. Egli si rifiuta ad ammettere che questa dichiarazione possa creare difficoltà a V.E. di fronte presidente della Camera dei deputati. Egli disse spontaneamente che comprendeva non esservi mezzo di impedire che il presidente della Camera tenga tale

o tal altro linguaggio. Ma se questo linguaggio produce in Austria-Ungheria una emozione, egli stima che compito del Governo amico ed alleato sia non di dare una spiegazione zoppa delle parole pronunciate, ma bensì di esprimere il rincrescimento per l'incidente spiacevole. Questo egli è stato sempre pronto a fare quando si verificarono in Austria-Ungheria incidenti dei quali l'Italia aveva ragione di lagnarsi. Conte Goluchowski afferma che l'invio da Trento di un telegramma di felicitazione e ringraziamenti al nostro presidente della Camera ha sensibilmente aggravato il risentimento in Austria-Ungheria e che di questo egli non può prescindere di tener conto.

Sono dolente di non aver potuto smuovere Goluchowski da questo suo ordine di idee. Ad ogni mio ragionamento tendente a mettere in evidenza che, quando si produce nei rapporti fra due paesi amici uno scarto di linguaggio, l'incidente non si risolve

altrimenti che con la dichiarazione delle intenzioni e che la formula proposta da V.E. contiene tale dichiarazione fatta dal presidente della Camera e notificata dal r. ministro degli affari esteri, ciò che attribuisce alla dichiarazione stessa un valore ufficiale, egli oppose costantemente di non poter rendersi ridicolo nel suo paese accettando che le parole del presidente della Camera avessero significato esclusivamente etnografico. Conte Goluchowski mi disse che Avarna, chiamato a Roma, era partito jeri; che egli stesso parte stasera per la campagna e domani di là direttamente per Vienna. Evidentemente egli aspetta di trattare la cosa colà al ritorno di A varna.

L'impressione che ho avuta dal colloquio è che sarà molto difficile che Goluchowski rinunci al suo punto di vista. Se V.E. me lo consente, osserverò dal canto mio che fra la formula che ella propone e quella di Goluchowski corre l'essenziale differenza che la prima riserva l'espressione dei nostri rincrescimenti per atti che si potrebbero produrre, mentre il secondo conterrebbe l'espressione del rincrescimento per l'incidente prodottosi il quale è costituito dal fatto del risentimento cagionato dal linguaggio del presidente della Camera, dall'eco prodottosi a Trento ecc.

Questo non ha detto Goluchowski, ma era molto probabilmente in fondo al suo pensiero perché replicatamente mi disse considerare come superflua la dichiarazione con la quale il Governo italiano esprimerebbe il suo rincrescimento se si producesse atto di irredentismo, poiché la cosa non potrebbe essere diversa fra amici ed alleati.

Alcuni giornali del mattino cominciano a parlare di un incidente nostro con l'Austria-Ungheria di cui si sarebbe occupato il nostro Consiglio dei ministri2 .

220 1 Vedi0.217.

221

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1645/107. Vienna, 6 agosto 1905, ore 19,50.

Ho veduto or ora sig. de Mérey e gli ho parlato nel senso del telegramma n. 1201 1 facendogli rilevare le ragioni che impedivano VE. di accettare la nuova formola Goluchowski, ma che ella, volendo dar nuova prova del buon volere e dimostrare sincero suo desiderio di venire ad intesa aveva modificato la sua primitiva formola nei termini comunicati al conte Forgàch che sperava sarebbe stata accolta dal ministro imperiale e reale essendo in essa accentuata maggiormente la riprovazione dell'irredentismo.

Sig. de Mérey, pur riconoscendo come ultima parte quella formola rappresentasse in certo modo un passo da lei fatto innanzi, mi ha detto che dubitava potesse essere accettata da Goluchowski contenendo spiegazione del significato delle parole dette dal presidente della Camera come espressione «etnografica» a cui ministro

221 1 Vedi D. 218.

imperiale e reale desiderava non si accennasse e non facendosi menzione del rincrescimento del R. Governo per l'incidente e riconoscimento del buon fondamento del reclamo del Governo imperiale e reale.

Ho osservato che io non comprendevo come Goluchowski non ammettesse inserzione nella formola della spiegazione di quelle parole. Se il loro senso letterale aveva potuto offendere il Governo imperiale e reale, doveva sembrare naturale che R. Governo si adoperasse a spiegarne il vero significato non contenente alcuna allusione irredentismo, ciò che non poteva non attestare una volta di più che esso ripudiava ogni idea simile ed era alieno ammettere, siccome V.E. aveva formalmente dichiarato fin da quando aveva assunto la direzione del Ministero affari esteri, qualsiasi manifestazione contraria politica leale che seguiva e che era risoluto a seguire verso l'Austria-Ungheria. Ma de Mérey ha ripetuto che le parole suddette avevano un senso irredentista così determinato che era impossibile ingegnarsi di attribuire alle medesime un senso differente da quello che avevano in realtà, cioè evidentemente offensivo verso il Governo imperiale e reale. De Mérey mi ha dato lettura telegramma diretto ieri dal conte Forgach al conte Goluchowski relativo nuova formola proposta da V.E. e messaggio da lei affidato conte Tornielli2 .

Gli ho espresso questa occasione che decisione V.E. che era prova manifesta suo vivo desiderio venire intesa sarebbe giustamente apprezzato Goluchowski inducendolo accettare proposta di lei. De Mérey ha però soggiunto che non poteva prevedere determinazione che avrebbe presa Goluchowski, se gliene era possibile che egli si decidesse modificare attenuandola sua seconda formola, dubitava avrebbe accettato quella di V.E. tale e quale era concepita. Fino ad ora egli non aveva ricevuto alcun telegramma in proposito da Goluchowski.

220 2 Per il seguito vedi D. 222.

222

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1213. Roma, 7 agosto 1905, ore 12,20.

S.E. Tornielli mi ha telegrafato da Parigi a nome del conte Goluchowski 1 in termini presso a poco identici a quelli telegrafatimi da V.E. da Vienna2• Mosso da sincero spirito conciliativo e desideroso di corrispondere al desiderio del conte Goluchowski fino al punto che mi permetta di evitare una crisi interna per la quale io dovrei senza fallo lasciare il Ministero, ho ripreso in esame la formola proposta da lui in base alla quale io proporrei la seguente dizione che spero verrà definitivamente accettata non protraendo più a lungo l'incidente.

2 Vedi D. 221.

«Il comunicato conterrà breve narrazione deJI'incidente aggiungendo che il Governo austro-ungarico ne ha fatto oggetto di un'amichevole richiesta di spiegazioni presso il Governo italiano. Il ministro degli affari esteri italiano ha escluso che il presidente della Camera italiana abbia avuto intenzione di fare un'aJiusione irredentista. Però avendo appreso la viva e penosa impressione prodottasi in Austria-Ungheria, il ministro degli affari esteri, con quella lealtà che lo distingue, si è affrettato ad esprimere al nostro rappresentante in Roma il sincero rincrescimento del R. Governo a tale riguardo».

Prego V.E. di fare in modo che de Mérey telegrafi subito quanto sopra a Goluchowski e gli chieda di ricevere V.E. sia pure per pochi minuti domani sera stessa al suo passaggio per Vienna3 .

221 2 Vedi D. 217.

222 1 Vedi D. 220.

223

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1219. Roma, 7 agosto 1905, ore 18,50.

Acciocché V.E. possa più esattamente apprezzare e fare apprezzare dal sig. de Mérey la formala che ora propongo 1 , qui trascrivo i precisi termini di quella che il conte Goluchowski aveva proposto al conte Tornielli. Secondo quella formala, dopo la breve narrazione dell'incidente seguirebbero le seguenti parole: «Tenendo giustamente conto del penoso risentimento prodottosi in Austria-Ungheria per tale enunciato, S.E. il ministro degli affari esteri italiano si affretta, con la lealtà che lo distingue, ad esprimer al nostro rappresentante in Roma il sincero rincrescimento del R. Governo riguardo a questo spiacevole incidente».

Come vede V.E., la mia formala, che le trascrissi nel precedente telegramma, non è che una parafrasi di questa. Tale è anche l'opinione del conte Forgach il quale, nel riceverne da me comunicazione mi disse ritenere che sarebbe senz'altro accettata dal suo Governo. Faccio poi presente a V.E. che le condizioni della mia salute mi impongono assolutamente di recarmi giovedì [il l O] aJie acque di San Pellegrino, perciò io le rivolgo vive premure affinché entro mercoledì [il 9] l 'incidente sia definitivamente risoluto2 .

2 Per la risposta vedi D. 227.

222 3 Per la risposta vedi DD. 225 e 230. 223 1 Vedi D. 222.

224

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1651/110. Vienna, 7 agosto 1905, ore 19.

Sig. de Mérey mi ha dato lettura telegramma pervenutogli nella notte di ieri dal conte Goluchowski a codesto incaricato d'affari di Austria-Ungheria, relativo al suo colloquio col conte Tornielli 1 , di cui credo superfluo riferire contenuto, avendo esso dovuto esserle già comunicato dal conte Forgach. Ho espresso a de Mérey il mio rincrescimento che il conte Goluchowski, nonostante amichevole condotta dimostrata suo riguardo, non avesse voluto consentire formala da noi proposta. Sig. de Mérey mi ha detto che non credeva che, dopo le varie trattative avvenute, ministro imperiale e reale fosse disposto a modificare formala da esso proposta. Di fronte serie ragioni esposte da VE. al Forgach non sembra sia da ammettere che ella si induca accettare quella formala nei termini stessi nei quali è concepita. Però, se in considerazione delle gravi conseguenze che potrebbero derivare dal suo rifiuto per i nostri rapporti coll'Austria-Ungheria, VE. credesse, per dimostrare ancora una volta suo buon volere, dovervi consentire in qualche maniera, vi sarebbe, mi pare, modo di attenuarne la portata riavvicinandola formala di lei, intercalando tra le parole: «S.E. ministre des affaires étrangères d'Italie» e le parole «s'est empressé avec la loyauté» la frase seguente «tout en donnant !es plus amples assurances à ce sujet».

Questa frase concreta l'intera formala di V.E. perché si riferirebbe da un lato alla spiegazione significato parole del presidente della Camera, ciò che eviterebbe di metter! a direttamente alle prese con lui, e dali' altro alla riprovazione per parte del R. Governo di ogni manifestazione irredentista.

Ma se Goluchowski si decidesse accettare inserzione sua formala tale frase, questa non potrebbe mai essere da esso interpretata che nel secondo senso e nell'identico senso dovrebbe per conseguenza essere interpretato anche dal R. Governo per sentimento di lealtà nelle dichiarazioni pubbliche che fosse portato a fare, come dai giornali da esso dipendenti che fossero nel caso spiegarne significato.

In vista gravità situazione mi permetto sottoporre la frase suddetta all'esame di V.E., chiedendole venia libertà presa2 .

2 Per la risposta vedi D. 226.

224 1 Vedi D. 220.

225

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1652/111. Vienna, 7 agosto 1905, ore 20.

Ho comunicato subito al sig. de Mérey testo nuova formola proposta dalla E.V. di cui tratta il telegramma n. 1213 1• De Mérey mi ha detto, come sua opinione personale, che Goluchowski non avrebbe potuto consentire prima parte della formola nella quale si parla della intenzione che non avrebbe avuto il presidente della Camera fare allusione irredentismo. Siccome ministro imperiale e reale aveva fatto conoscere a più riprese a V.E. per mezzo di Forgach, ed aveva ripetuto, altresì, a Tomielli, egli non poteva ammettere che nel comunicato da pubblicarsi fosse data una spiegazione qualsiasi parole di Marcora. Queste parole, giusta quanto riferii nei miei telegrammi precedenti, avrebbero, a parere di Goluchowski, un significato talmente irredentista che non sarebbe possibile, col volerlo spiegare, di togliere loro quel senso. Per cui tale frase, secondo il sig. de Mérey, dovrebbe essere esclusa dalla formola. Rispetto seconda frase formola, de Mérey crede che potrebbe essere accettata dal Goluchowski, quantunque dalla fine di essa sia stata eliminata parola «spiacevole incidente» con cui termina formola ministro imperiale e reale.

Ho pregato de Mérey telegrafare immediatamente il testo della formola di V.E. al Goluchowski, ma egli ha osservato che, siccome erano già le 17,30, suo telegramma non gli sarebbe pervenuto, dovendo egli lasciare Parigi coll'Orient Express alle 7 di sera. Mi ha promesso però che, al suo arrivo a Vienna che avverrà domani sera alle ore 8, avrebbegli parlato del mio desiderio conferire con lui la sera stessa. Ha aggiunto, però che, siccome a quanto suppone, ministro non sarebbe partito per Ischl che giovedì [il lO], egli mi avrebbe ricevuto mercoledì2 .

226

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1224 bis. Manziana, 8 agosto 1905, ore ... 1•

Comunicatimi qui due ultimi telegrammi di V.E.2• Malgrado dubbio de Mérey credo che Goluchowski possa accettare anche prima parte mia formola perché io, appunto deferendo al suo desiderio che non si cercasse

2 Per la risposta vedi D. 226. Per il colloquio con Goluchowski vedi D. 230.

2 Vedi DD. 224 e 225.

di spiegare le parole del presidente della Camera, ho sostituito a tale spiegazione una dichiarazione circa le sue intenzioni nella quale nulla vi ha che non sia plausibile ed accettabile.

Prego V.E. far valere questo concetto ed adoperarsi premurosamente perché entro domani incidente sia risoluto. Io mi reco Roma domattina3 .

225 1 Vedi D. 222.

226 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

227

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1654/112. Vienna, 8 agosto 1905, ore 18.

Ho parlato oggi col sig. de Mérey nel senso telegramma di V.E. n. 1219 1 , facendogli notare, nel raffronto dei termini delle formo le deli'E.V. e del conte Goluchowski, come quella da lei proposta non fosse in fondo che una parafrasi di questa.

De Mérey ha riconosciuto in parte giusta tale osservazione, ma ha rilevato come l'espressione non avere il presidente della Camera avuto intenzione di fare allusione irredentista contenuta nella formala di V.E. non risultasse da quella del conte Goluchowski. Ed ha aggiunto che tale espressione non poteva, a suo parere, essere accettata dal ministro imperiale e reale, perché questa, come l'aveva fatto conoscere al conte Tornielli, non avrebbe soddisfatto opinione pubblica dell'Austria-Ungheria per le ragioni già riferite nei miei telegrammi precedenti. Egli si era, del resto, espresso in quel senso col conte Forgach nel telegramma direttogli ieri, incaricandolo di intrattenere V.E., ove gli fosse possibile.

Ho fatto osservare al sig. de Mérey che la sua obiezione non mi sembrava fondata, risultando chiaramente dali' esame delle due formo le come entrambe non rispondessero quasi che stessa identica idea.

Ma il sig. de Mérey, pur convenendo meco a tale riguardo, ha persistito nel ritenere, come sua opinione personale, l'espressione suddetta inaccettabile per parte del conte Goluchowski, ed ha aggiunto che dopo la visita da me fattagli ieri, avendo riscontrato di nuovo le due formole, aveva costatato che in quella di VE. erano state eliminate pure le parole «tenendo giustamente conto», conservate in quella del conte Goluchowski, ed ha detto che credeva che questi non avrebbe consentito alla loro soppressione, venendo con esse a riconoscere buon fondamento. Desiderio da V.E. manifestatogli dal conte Forgach nel telegramma pervenutogli questa notte che incidente fosse definito al più presto possibile, ma dubitava che, nonostante disposizioni concilianti del Ministero imperiale c reale e sentimenti amichevoli che nutriva suo riguardo, essa [sic] avesse potuto essere risoluta l'indomani al suo arrivo a Vienna, se ella non si fosse decisa a modificare in parte la sua formola nel senso fattole indicare dal conte Forgach e dal conte Tornielli.

227 1 Vedi D. 223.

Per quanto sarà in mio potere, mi adopererò con ogni maggior studio per indurre il conte Goluchowski ad accettare formola di V.E. insistendo sulle considerazioni da lei svolte nei precedenti telegrammi. Ma se si deve presumere dalle dichiarazioni fattemi dal sig. de Mérey, è da prevedersi che, nonostante miei sforzi ed il caldo appello che farò alla fiducia del conte Goluchowski verso V.E. ed il suo buon volere, il colloquio di domani non abbia quel favorevole risultato che sarebbe desiderabile2 •

226 3 Per la risposta vedi D. 233.

228

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1393/545. Therapia, 8 agosto 1905 (perv. i/15).

Ali 'udienza ebdomadaria di ieri, dissi al gran vizir che credevo mio dovere unire la voce mia a quella degli altri colleghi per raccomandare istantemente che non si indugi più a lungo dalla Sublime Porta a dare risposta soddisfacente alla domanda rivoltale dalle potenze allo scopo di tradurre più presto in atto la riforma finanziaria nei vilayets di Salonicco, Cossovo e Monastir. Osservai a riguardo che la Sublime Porta farebbe bene a tenere presente che le potenze sono unanimi nel volere ad ogni costo quella riforma alla quale la Turchia, forse non bene conscia dei suoi veri interessi, continua ad opporre ingiustificata resistenza. Replicò Sua Altezza che del medesimo argomento lo aveva a lungo intrattenuto, poco prima, l'ambasciatore d'Inghilterra. Ferid pascià aggiunse, senza entrare in particolareggiata discussione, che la risposta della Porta non si farebbe troppo aspettare. Il tono ironico e sarcastico delle parole di Sua Altezza non mi danno motivo di prevedere una pronta adesione della Sublime Porta alle domande delle potenze. Il mio scetticismo è giustificato anche dal fatto che all'incaricato d'affari di Germania il gran vizir ebbe, giorni sono, a dichiarare, senza ambagi e senza reticenze, che l'avversione del Sultano all'istituzione della Commissione internazionale è irriducibile. Sua Altezza aggiunse pure et~, per conto suo, egli farebbe il possibile per incoraggiare Sua Maestà Imperiale alla resistenza, dappoiché un'acquiescenza da parte del Governo ottomano alla pretesa delle potenze, implicante, indiscutibilmente, l'attenuazione dei diritti di sovranità del Sultano, avrebbe ora l'aria di atto di debolezza destinato ad accrescere sempre più la baldanza e l'attività dei comitati rivoluzionari.

Purtroppo Sua Altezza non si rende o non si vuoi rendere, per far piacere al Sultano, un conto esatto della gravità della situazione, in quanto è chiaro che, se la riforma finanziaria, di cui cardine principale è la Commissione internazionale di sorveglianza, andasse ora a monte, secondo i desideri della Sublime Porta, la conseguenza fatale ed inevitabile sarebbe di indicare ai comitati rivoluzionari che l'Europa non sa o non può imporre le riforme atte a migliorare la situazione. Ciò equivarrebbe a lasciare il campo

libero alla insurrezione, la quale, si può essere sicuri, non tarderebbe a riprendere, su vasta scala, dando luogo ad avvenimenti gravissimi di natura a compromettere sul serio non solo la tranquillità della penisola balcanica, ma anche, forse, la pace europea.

La Turchia si crede oggi sicura perché vede prostrata e abbattuta la potenza che più di tutte le altre le ha sempre inspirato terrore, ossia la Russia. L'incurabile cecità del Sultano e dei suoi consiglieri impedisce però loro di vedere che quale che possa essere oggi la posizione della Russia, l'Impero ottomano tutto avrebbe da perdere e nulla da guadagnare se, a causa della sua stolta resistenza ai consigli delle potenze, si venissero a verificare novellamente in Macedonia moti analoghi a quelli del 1903, di fronte ai quali mi sembra difficile che la Bulgaria, ad onta dei sentimenti e delle disposizioni pacifiche del principe, possa, questa volta, rimanere inoperosa e disinteressata.

Donde sorge, a mio avviso, la necessità assoluta, da parte delle potenze, di non curarsi delle difficoltà sollevate dalla Turchia e di tirare diritto per la loro strada, insistendo per l'accettazione delle loro domande.

Il modus procedendi concordato dalle potenze per fiaccare la resistenza turca non va al di là dell'invio dei delegati destinati a formare la commissione internazionale di sorveglianza. Senonché, date le disposizioni ostili qui prevalenti, non credo si debba escludere assolutamente la possibilità che, giunti a Salonicco, i delegati medesimi, l'ispettore generale si rifiuti a riconoscerli nella loro qualità, ed impedisca loro di adempiere il mandato di cui sono stati investiti. Sarebbe pertanto prudente che i Gabinetti si intendessero tra loro per determinare un'azione comune in tale eventualità. Di ciò ho discorso con questi miei colleghi, ma da nessuno di loro ho sentito formulare qualche proposta concreta. Più freddo e più remissivo di tutti, mi pare si mostri l'ambasciatore austro-ungarico, il cui contegno da qualche tempo indica una certa accentuata ripugnanza nel mettersi avanti a suggerire e caldeggiare misure drastiche, che possano riuscire spiacevoli al Sultano. L'atteggiamento del barone Calice trova una plausibile spiegazione nella sua età avanzata, nella lunga permanenza a Costantinopoli e nel desiderio legittimo di risparmiare alla fine di una lunga carriera le suscettibilità di un Sovrano, il quale gli si mostrò sempre particolarmente benevolo e che ultimamente ancora ebbe a dargli una testimonianza di speciale favore. Siccome però il barone Calice non è un uomo da subordinare la sua azione politica a motivi di indole personale, debbo confessarle, sig. ministro, che io non arrivo a dissipare il sospetto, in me sorto, forse anche senza fondamento, ma pur non destituito totalmente di verosimiglianza, che cioè l'attuazione della riforma finanziaria stia oggi alquanto meno a cuore al Governo austro-ungarico dopo che è fallito il piano favorito di approfittare della medesima per stabilire in Macedonia il controllo duale e consolidare quivi quella influenza preponderante cui il Gabinetto di Vienna ha nei due ultimi anni apertamente accennato a mirare. Le parole pronunciate dal marchese di Lansdowne un mese fa nella Camera dei lords (nella seduta del 18 luglio) e cioè -«noi non abbiamo detronizzato gli agenti civili, ma abbiamo assiso i nostri rappresentanti su di un piede di perfetta uguaglianza» -erano troppo chiare perché a Vienna non se ne sia afferrato il significato, equivalente, in pratica, ad una capitis diminutio degli agenti austro-russi 1•

227 2 Per il seguito vedi D. 229, nota l.

228 1 Tittoni rispondeva, con Disp. 42725 del23 agosto, di approvare il linguaggio tenuto dall'ambasciatore e sottolineava la necessità di adoperarsi fermamente per l'attuazione pratica del controllo finanziario sulla Macedonia.

229

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1228. Roma, 9 agosto 1905, ore 18,45.

Ricevuto telegramma di V.E. n. 113 1 e contemporaneamente venuto da me conte Forgach.

Sono disposto a seguire più che posso conte Goluchowski nella sua formola, ma non posso rinunziare a dichiarare che presidente Camera non ebbe intenzione irredentista. Su queste basi insieme conte Forgach avremmo redatto nuovo testo comunicato così concepito:

«Commemorando il defunto deputato Socci il presidente della Camera italiana pronunciò parole relative al Trentino che provocarono telegrammi irredentisti a lui indirizzati e che furono riprodotti dei giornali italiani. Il Governo austro-ungarico ha creduto suo dovere di rivolgere per ciò una domanda amichevole di spiegazioni al Governo italiano. Il ministro degli affari esteri d'Italia, pur dichiarando che il presidente della Camera italiana non aveva avuto intenzione di fare un'allusione irredentista, tenuto conto della viva e penosa impressione prodottasi in Austria-Ungheria, ha spontaneamente e lealmente espresso al nostro rappresentante in Roma il sincero rincrescimento del Governo italiano a tale riguardo».

In questo modo io ho accettato quasi per intero la formola di Goluchowski e se egli non accettasse la mia proposta, mostrerebbe di non desiderare la soluzione amichevole dell'incidente e ciò nel momento in cui S.M. il Re manda a complimentare l'Imperatore in occasione delle manovre del Tirolo meridionale. La dichiarazione circa le intenzioni non irredentiste del presidente della Camera mentre dovrebbe essere di soddisfazione pel Governo austro-ungarico dà a me modo di non sembrare d'infliggere a lui un biasimo diretto e personale che avrebbe per conseguenza non il ritiro di Marcora, ma bensì il mio. Le ricordo che nell'incidente di Zara noi avremmo avuto diritto di domandare che fosse sconfessato il luogotenente della Dalmazia ed io non insistei solo perché Goluchowski mi chiese di non creargli interessi col luogotenente. Ora vorrei che egli tenesse verso di me un contegno uguale a quello che tenni con lui. Se Goluchowski non accettasse, non volendo sembrare che ho negato ali' Austria-Ungheria qualunque soddisfazione, io pubblicherei la mia dichiarazione tal quale e non vedo quale motivo il conte Goluchowski potrebbe addurre per ritenerla insufficiente e dichiararsene non soddisfatto2 .

2 Con successivo T. 1229 delle 19,1 O, Tittoni aggiungeva: «È bene che V. E. avverta subito Goluchowski che nel testo del comunicato trasmessogli dal conte Forg:ich vi è per equivoco una trasposizione di frase. Il testo deve essere quello che ho or ora telegrafato a V.E., e che contiene le stesse parole di quello di Forg:ich, soltanto la frase "il ministro degli esteri, pur dichiarando che il presidente ecc." precede invece di seguire la frase "tenuto conto della viva e penosa impressione ecc."». Per la risposta vedi D. 233.

229 1 T. 1662/113 del 9 agosto. Avarna riferiva che sarebbe stato ricevuto quello stesso giorno da Goluchowski c che, secondo Mérey, il ministro non sembrava disposto ad accettare la formula di Tittoni.

230

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1665/114. Vienna, 9 agosto 1905, ore 20,25.

Ho avuto lungo colloquio col conte Goluchowski, al quale ho comunicato formola di V.E., di cui nel telegramma n. 12131• Gli ho fatto rilevare che, per dimostrare sua premura di corrispondere desiderio di lui, ella ha sostituito la spiegazione delle parole presidente della Camera con semplice dichiarazione circa sue intenzioni. Ho aggiunto che formola di V.E. non era, in fondo, che parafrasi sua formola e che entrambe non riproducevano che stesso, identico concetto, per cui speravo sarebbe stato da esso riconosciuto plausibile ed accattabile.

Goluchowski ha risposto che non poteva accogliere in alcun modo frase primo periodo della formola, perché, quantunque non vi si facesse menzione spiegazione delle parole di Marcora, pur dichiarazione relativa sue intenzioni non era realmente che spiegazione parole stesse, il cui senso era talmente irredentista, che non poteva essere modificato da qualsiasi dichiarazione. Se le dichiarazioni suddette fossero state da lui accettate, esse avrebbero provocato sorpresa generale opinione pubblica austro-ungarica, che aveva già interpretato le parole del presidente della Camera nel vero loro senso. Egli avrebbe potuto forse accettarle se fossero state fatte da Marcora immediatamente dopo aver pronunziato parole, ma dopo che opinione pubblica le aveva commentate gli era impossibile accoglierle.

Ho osservato al conte Goluchowski che, se il Governo imperiale e reale non credeva ammettere spiegazione parole del presidente della Camera, non mi sembrava poter esso rifiutarsi di accettare detta dichiarazione, la quale con lo smentire pubblicamente intenzioni irredentiste attribuite a torto al presidente della Camera, attestava i suoi sentimenti di lealtà, e veniva così a fare acquistare al comunicato importanza maggiore di quella che il Governo imperiale e reale gli attribuiva.

Nel rilevare che non poteva tener conto intenzioni Marcora, che era noto per le sue opinioni irredentiste, il conte Goluchowski ha soggiunto che, se quelle dichiarazioni fossero state, del resto, pubblicate, opinione pubblica austro-ungarica avrebbe potuto domandare quale scopo avesse il comunicato, dal momento che non vi era stata nel presidente della Camera intenzione di offendere il Governo imperiale e reale.

Ho fatto caldo appello ai suoi sentimenti di fiducia verso V.E. e alle sue disposizioni concilianti, insistendo ripetutamente perché, riconoscendo giustezza delle considerazioni da me svolte, accettasse frase suddetta.

Conte Goluchowski mi ha dichiarato che credeva avere già dato prova sufficiente dei suoi sentimenti concilianti e fiducia che aveva verso V.E., ma che gli era impossibile consentire alla mia domanda, e che non poteva a questo riguardo che riferirsi anche alle osservazioni fattami da de Mérey, 2 che approvava pienamente, ed a quelle che egli ha fatto comunicare a V.E. dal conte Forgach3 e dal conte Tornielli4 .

2 Vedi DD. 225 e 227.

3 Vedi D. 229.

4 Vedi D. 220.

Il conte Goluchowski ha aggiunto poi che non poteva neppure accettare prima frase del secondo periodo della formola di V.E., né la sostituzione delle parole: «tenant justecompte du pénible ressentiment produit en Autriche-Hongrie» con le parole «avendo appreso viva e penosa impressione prodotta in Austria-Ungheria», come soppressione frase «facheux incident» contenuta alla fine della sua formola.

Mi sono sforzato di far comprendere al conte Goluchowski che la prima frase del secondo periodo della formola di V.E. non riproduceva, sotto altra forma, che concetto stesso contenuto nella formola di lui, giacché le parole con le quali ella esprimeva uguale concetto e premura, con la quale manifestava il suo rincrescimento, attestava appunto come il R. Governo teneva in debito conto l'impressione prodotta dall'incidente in Austria-Ungheria. Rispetto alla frase finale della formola di lui, ho rilevato che sembrava superflua l'interpretazione sulla qualificazione dell'incidente, giacché dall'insieme della formola di V.E. risultava chiaramente come non avesse potuto essere lamentata dal R. Governo.

Il conte Goluchowski ha rifiutato accogliere le mie osservazioni, dichiarando voler mantenere redazione della frase suddetta, secondo la propria formola, ed ha consentito soltanto la soppressione della frase «facheux incident».

Ho creduto fare nuovo appello ai suoi sentimenti amichevoli verso l'E.V., insistendo vivamente sulle considerazioni, già da lei comunicate al conte Forgach, che le impedivano di accettare sua formola tal qual era redatta per evitare di essere messo alle prese, senza ragione, col presidente della Camera. Ho aggiunto che V.E. aveva fatto quanto era in suo potere per corrispondere ai suoi desideri; ma che ella doveva tener conto delle circostanze interne che avrebbero potuto provocare, se avesse accettato detta formola, gravi conseguenze che le premeva di evitare nell'interesse comune, e l 'ho pregato quindi di rivenire su decisione, accettando formo la di lei.

Il conte Goluchowski mi ha espresso il suo rincrescimento di non poter corrispondere alla mia domanda, nonostante i suoi amichevoli sentimenti verso V.E., e mi ha incaricato di rappresentarle che anche esso doveva tener conto delle circostanze interne della Monarchia che gli vietavano di transigere colla opinione pubblica che esigeva una riparazione per l'offesa fatta al Governo imperiale e reale e che essa non sarebbe stata soddisfatta, se egli avesse accettata la formola di lei. Il conte Goluchowski mi ha riferito poi che egli sarebbe partito domani per Ischl per presentarsi all'Imperatore e che ignorava data del suo ritorno a Vienna, essendo possibile che Sua Maestà lo avesse colà trattenuto, e, nell'insistere sull'urgenza di risolvere al più presto possibile l'incidente, mi ha dichiarato che desiderava mandare venerdì [l'Il] pubblicazione del comunicato.

Ho risposto che mi sarei affrettato a telegrafare sue dichiarazioni a V.E. ma gli ho ricordato che il comunicato non avrebbe potuto essere pubblicato senza previa sua intesa, essendo ciò contrario ai precedenti diplomatici. Il conte Goluchowski ha però soggiunto che, siccome non poteva consentire, in alcun modo, a modificare la formola che era risoluto a mantenere integralmente, mi ha chiesto pregare V.E. di telegrafarmi, entro domani, sua decisione definitiva per poterla comunicare in sua assenza domani stesso o venerdì al sig. de Mérey.

Sono dolente di non aver potuto riuscire, nonostante le mie ripetute insistenze, a convincere il conte Goluchowski a consentire alla formula di V.E. È mio debito, però, farle presente che egli, a quanto mi ha fatto intendere, non è intenzionato ad accettare ulteriori trattative per modificare la sua formala che egli è fermamente risoluto a mantenere nei termini stessi nei quali è compilata, per cui un invito che io fossi per ricevere dall'E.V. di intavolare nuove trattative a tale proposito, si urterebbe ad un deciso rifiuto da parte sua e potrebbe forse indurlo a dare seguito alla pubblicazione della sua formola5 .

230 1 Vedi D. 222.

231

L'INCARICATO DELLA MISSIONE IN SOMALIA, PESTALOZZA, AL DIRETTORE DELL'UFFICIO COLONIALE, AGNESA

L. Lione, 9 agosto 1905 (perv. i/12).

In attesa di potere, al mio ritorno in Italia, stendere rapporto più speciale a S.E. il ministro1 , mi faccio ora premura di informare la S.V. di quanto ho potuto qui concretare in relazione alla lettera della S.V. del 4 agosto corr. n. 2933 Uf. coJ.2 ricevuta in Ameno il 5 a sera.

Partito il 6 mi trovai qui in Lione dalla mattina del 7. La sera stessa giungeva pure il gen. Swayne. Dal primo nostro cordiale incontro seppi che lo Swayne era stato chiamato dal Colonia! Office per la sistemazione del Somaliland; che a quel dicastero ed al Governo inglese pesavano assai i tredici millioni di sterline spese per la poco felice spedizione nel Somaliland contro le forze del Mullah; che un forte partito avrebbe voluto l'abbandono completo di tutte quelle regioni somale dell'interno e forse anche della costa; al gen. Swayne toccò combattere molto ed insistere per persuadere chi di ragione che un tale atto sarebbe stato di immenso danno al prestigio ed ali 'influenza britannica non solo nel Golfo di Aden ma anche in tutti i paesi musulmani, collegati per gli annuali pellegrinaggi alla Mecca.

Si decise per il mantenimento, ma a condizione che la colonia ossia l'amministrazione provvedesse nel più breve termine alle proprie spese. Ciò non si poteva ottenere che col ritiro delle truppe regolari indiane o inglesi che dovrà essere effettuato in ottobre, ma ciò malgrado le spese militari continueranno a pesare per qualche altro anno sul Governo centrale in somma che sarà ridotta a sterline settantacinquemila e andrà mano a mano diminuendo.

231 1 Vedi D. 250.231 2 Non pubblicata.

Lo Swayne mi ha detto delle notizie un poco allarmanti del suo sostituto sig. Cordeaux. Egli però condivide la mia opinione che siano esagerate e che per ora non è il caso di darvi troppa importanza. Mi ha però pregato di scrivere a Abdallah Scheri ciò che farò.

Venendo poi, in questi giorni e nelle diverse sedute avute, allo scopo del nostro convegno, egli credeva che si dovesse redigerne atto provvisorio e firmato, ciò che evitai per stare alla lettera delle istruzioni, ma per quello che si riferisce agli schiarìmenti richiesti dal Foreign Office su alcune clausole dell'accordo del 5 marzo, li diedi senza difficoltà, senza mutare in nulla il senso di quell'atto la cui traduzione era stata mal riprodotta in inglese e su ciò riferirò a suo tempo in dettaglio.

Riguardo poi a quanto interessa più direttamente noi, raggirai, con tutta la possibile abilità, le cose [ ... p a stabilire basi sulle stesse dichiarazioni del gen. Swayne che permetteranno al Ministero di sperare la decisione di quelle questioni nel senso desiderato.

Lo scambio delle nostre idee ammette:

a) l'utilità e necessità di comune e cordiale accordo per la sorveglianza e controllo dellittorale e anche nei limiti del possibile per le dogane e relative imposizioni, quando sia il caso da parte nostra di metterle.

b) Swayne riconosce che ogni modificazione della linea riconosciuta matematica pel meridiano 49 non deve alterare per Bander Ziade lo statu qua ante ossia che Bander Ziade dovrà continuare a restare italiana, e qui non mancai di dirgli che se l'Inghilterra agisse diversamente sarebbe une mauvaise chicane.

c) Swayne ammette che la delimitazione dei pozzi come è accennato nell'accordo del 5 marzo dovrebbe in un interesse comune diventare definitiva a nostro favore, salvo qualche piccola modificazione verso Hodin, e ciò per facilitarci la sorveglianza di quella zona interna ed evitare i continui e reciproci fastidi che se ne potrebbe avere.

Per la questione dell'indennità ai migiurtini e a Jusuf Ali, per quanto il Governo inglese non ne voglia più sapere, non disponendo di fondi ad hoc né il Ministero della guerra che è contrarissimo, né il Colonia! Office, pur non di meno lo Swayne, riconoscendo equo il pagamento di una qualche indennità e necessario l'agevolare l'azione italiana verso gli indigeni e gli interessati che un persistente diniego inasprirebbe, ha proposto al Foreign Office di assumere sul suo bilancio coloniale del Somaliland quel pagamento ridotto ai più ristretti limiti e dopo discussioni ed insistenze mie si è stabilita la cifra totale in lire sterline quattromila delle quali duemila pagabili quest'anno e duemila sul bilancio dell'anno venturo, lasciando al Governo italiano di distribuire quelle somme fra gli interessati in quelle proporzioni che crederà del caso.

Con ciò credo di aver interpretato nel miglior modo le istruzioni e le intenzioni di S.E. il ministro, e riservandomi di redigere sull'argomento rapporto speciale e dettagliato, a scanso di maggiori spese e vista la premura del gen. Swayne di ritornare a Londra, lascerò stassera questa città per rientrare in Italia passando dalla Svizzera.

230 5 Per la risposta vedi D. 232.

231 3 Parole illeggibili.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

Roma, l O agosto 1905, ore 19.

Rifiuto del conte Goluchowski mi sorprende vivamente ed è prova di ostinatezza ingiustificabile, poiché le sue ragioni non hanno alcun valore mentre le mie sono perentorie. Infatti, innanzi tutto, il diritto di chi ha pronunciato delle parole di dichiarare con quale intenzione le ha pronunciate è sacro e non può essere messo in dubbio da alcuno. In secondo luogo, la soddisfazione che noi diamo all'Austria ha sopratutto uno scopo, quello di mantenere i buoni rapporti tra l'Austria e l'Italia. Ora questo scopo, pubblicando il comunicato come lo vuole Goluchowski, fallirebbe completamente perché porterebbe le dimissioni di Marcora, la sua rielezione trionfale e la mia uscita dal Ministero seguita probabilmente da quella dell'intero Gabinetto. Il ragionamento di Goluchowski di non accettare dichiarazioni sulle intenzioni di Marcora, avrebbe valore se io mi prevalessi di tali dichiarazioni per rifiutare all'Austria la espressione del mio rincrescimento. Ma poiché io la consento piena ed intera, cade qualunque pretesto per non volere le dichiarazioni stesse.

Al punto in cui stanno le cose comprendo che non si può più discutere, e quindi nulla ho a dire circa il rifiuto di Goluchowski di proseguire nelle trattative. Non so però vedere la soluzione dell'incidente; poiché, se il Goluchowski pubblicasse il comunicato a modo suo sui giornali, io dovrei far pubblicare il testo preciso delle mie dichiarazioni sui giornali italiani, e mi pare che la conseguenza a cui andremmo fatalmente incontro, sarebbe la rottura delle relazioni diplomatiche. Vorrà Goluchowski per una questione di forma, nella quale la mia ragione mi appare evidente, assumere su di sé una così grande responsabilità?

A me pare impossibile. A meno che a Vienna non si creda più opportuna la politica dell'amicizia italiana e si cerchi un pretesto per cambiarla.

Per trovare una via di uscita e per avere la coscienza di nulla avere omesso da parte mia, io propongo al Goluchowski o di richiedere insieme la mediazione del principe Biilow, ovvero di risolvere la questione mediante un arbitrato2 .

2 Per la risposta vedi DD. 238 e 242.

232 1 Risponde al D. 230.

233

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. URGENTE 1669/115. Vienna, IO agosto 1905, ore 20,20 (perv. ore 9 del!' Il).

Telegramma di V.E. n. 12241 pervenutomi ieri notte ore lO passate non ha potuto essere da me comunicato al conte Goluchowski che oggi alle 12, ora in cui egli giunse a Vienna da Schéinbrunn, ove dimora.

Nel dargli lettura della nuova formula di V.E. 2 , ho osservato che telegramma suddetto era stato spedito prima che ella avesse ricevuto quello da mc direttole jeri riferentesi al colloquio avuto con lui3; e, a tale proposito, gli ho fatto conoscere equivoco trasposizione della frase di cui è cenno nell'altro telegramma di V.E. n. 12294 occorso nel testo mandatogli dal conte Forgach come della aggiunta da lei desiderata della espressione «spontaneamente» alla parola «lealmente». Ho quindi fatto rilevare che formula suddetta comprendeva quasi per intero quella da lui proposta, ma che

V.E. non aveva potuto rinunciare inserirvi dichiarazione non irredentista del presidente della Camera per le ragioni da me rappresentate jeri.

Conte Goluchowski mi ha detto aver avuto notizia di tale formola dal telegramma di Forgach, rimessogli poco prima di ricevermi, ma che non poteva assolutamente accoglierla per i motivi stessi addottimi e riferiti mio telegramma n. 114. Gli era impossibile infatti accettare che nel comunicato da pubblicarsi si facesse cenno: l) nella narrazione dell'incidente, del telegramma irredentista diretto al presidente della Camera, questo essendo stato da lui accettato; 2) delle intenzioni non irredentiste di Marcora, perché, oltre le osservazioni addottemi nel precedente colloquio, opinione pubblica in Austria-Ungheria, che non ignorava aver egli accettato telegramma suddetto e medaglia rimessagli dal conte Foscari, come lettera da lui direttagli in risposta, si sarebbe domandata come avesse potuto ammettersi dichiarazione simile, conoscendo che sentimenti coi quali Marcora aveva fatta pubblica professione, erano prettamente irredentisti. Inoltre non poteva ammettere nel comunicato soppressione parola «giusto» dalla frase «tenendo conto» indicata nella formula sua, né aggiunta espressione «spontaneamente» alla frase «lealmente», non potendosi questa inserirsi dopo le ripetute trattative per indurre V.E. ad accettare detta formula e venire ad una intesa. Soltanto poteva accettare la soppressione della frase finale della sua formula, di cui nel mio telegramma 114.

Ho insistito ripetutamente sulla considerazione già da me svolta jeri per ottenere che accettasse dichiarazione dell'intenzione non irredentista del presidente della Camera, facendogli conoscere che questa, mentre non poteva non essere da lui accol

2 Vedi D. 229. 3 Vedi D. 230. 4 Vedi D. 229, nota 2.

ta che con soddisfazione, perché dava maggior rilievo al comunicato, evitava che ella infliggesse a Marcora un biasimo diretto, che avrebbe potuto avere conseguenze gravi colle dimissioni, non già, sue ma di lei, ciò che conveniva impedire nell'interesse comune. Ho manifestato quindi la speranza che si sarebbe indotto accettare nuova formala di lei, attestando così suo desiderio di venir ad un accordo nel momento in cui S.M. il Re mandava a complimentare l'Imperatore in occasione delle manovre nel Tirolo.

Il conte Goluchowski ha ripetuto che è animato dai sentimenti più concilianti e più amichevoli verso di V.E., come aveva sincero desiderio di venire ad un'intesa, ma che ella non poteva chiedergli più di quanto aveva fatto, che era il limite estremo cui eragli permesso di giungere, giacché la dichiarazione suddetta, oltre a non soddisfare affatto l'opinione pubblica in Austria-Ungheria, lo avrebbe reso «ridicolo» agli occhi di essa.

Avendo ricordato al conte Goluchowski incidente di Zara, egli ha osservato che non poteva ammettere il suo raffronto a quello attuale. Del resto, egli non aveva chiesto al R. Governo di sconfessare il presidente della Camera, bensì di esprimere il suo rincrescimento, come egli aveva manifestato, in tale occasione, quello del Governo imperiale. Conte Goluchowski ha aggiunto che il comunicato relativo all'incidente non avrebbe potuto essere pubblicato dal Governo imperiale e reale, che era quello che aveva subito l'offesa. Egli però non poteva aspettare più oltre a fame la pubblicazione, essendo trascorso troppo tempo da quando era avvenuto l 'incidente per la pronta soluzione del quale eragli stata fatta urgente sollecitazione dal presidente del Consiglio suo ritorno a Vienna.

Ho ripetuto al conte Goluchowski che pubblicazione del comunicato sarebbe stata non solo poco corretta, ma anche contraria alle usanze diplomatiche, se fosse avvenuta senza previo consenso di V.E. Ella non aveva potuto ancora farmi conoscere il suo pensiero circa il colloquio da me avuto con lui jeri, ma l'ultima formula da lei escogitata, e da me comunicatagli, dimostrava premura sua di corrispondere, per quanto gli era possibile, alle domande di lui, e suo vivo desiderio di trovare via per arrivare all'intesa. Era quindi necessario ritardare ogni pubblicazione fino a che V.E. non mi avesse incaricato di partecipargli la sua decisione.

Ma il conte Goluchowski mi ha fatto intendere, di nuovo che, dopo le reiterate trattative avvenute, non poteva ammettere che si continuasse a negoziare ancora circa formala da lui proposta, la cui redazione, fermamente risoluto a mantenere intatta avendoci fatte tutte quelle concessioni che gli era possibile di fare, dimostra ancora davvero suo buon volere. Mi ha dichiarato che avrebbe aspettato fino a sabato [il 12] risposta definitiva di V.E. al riguardo. Mi ha riferito poi avere telegrafato Forgàch quanto precede.

Conte Goluchowski, quantunque mi abbia sempre parlato in forma più [che] amichevole, si è mostrato meco piuttosto eccitato ritardo frapposto soluzione incidente e non mi ha celato il suo rincrescimento per opposizione fatta dalla E.V.; ma io mi sono adoperato per convincerlo della necessità in cui ella è di fare in quella formula breve inserzione che, senza modificame senso, corrispondeva concetti che egli aveva avuto nel redigerla.

Conte Goluchowski che partirà nel pomeriggio per Ischl ignora quando ritornerà potendo S.M. l'Imperatore intrattenerlo colà. Siccome dalle cose dettemi che saranno ripetute a VE. da Forgach risulta chiaramente che non è oramai più possibile fare ulteriori trattative per modificazione formula di lui, la prego di telegrafarmi al più presto sua decisione definitiva al riguardo5 .

233 1 Vedi D. 226.

234

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1709/832. Vienna, l O agosto 1905 (perv. il 26).

Ho ricevuto il dispaccio segnato in margine 1 , relativo alla durata del programma di Mi.irzsteg e dei poteri degli agenti civili in Macedonia, col quale l 'E. V., nel trasmettermi, per mia notizia, copia del pro-memoria, in cui è esposto il pensiero di lei in ordine a tale questione2 , m'ingiunge di istituire caute indagini per raccogliere circa l'argomento nozioni preliminari e indizi, da cui ella possa trarre norma per i provvedimenti ulteriori del R. Governo.

Il sig. de Mérey, col quale m 'intrattenni al riguardo, in assenza del conte Goluchowski, mi ripeté quanto questi avevami fatto conoscere in precedenza circa il mandato dell'Austria-Ungheria e della Russia, nonché circa quello degli agenti civili, facendo rilevare la distinzione che esisteva tra questi due mandati per l'origine differente che avevano e m'informò ch'era intenzione del ministro imperiale e reale di procedere d'accordo col conte Lamsdorf alla rinnovazione di quello degli agenti civili non sì tosto avverrebbe la sua scadenza, avvertendone la Sublime Porta c senza concertarsi colle altre potenze. Contestò che queste avessero il diritto di obiettare contro tale rinnovazione, alla quale non avrebbe potuto opporsi giuridicamente che la Sublime Porta soltanto.

La questione, del resto, non era stata più sollevata, dopo l'opinione manifestata in proposito da lord Lansdowne al conte di Mensdorff nel marzo scorso3 , in opposizione a quella del conte Goluchowski, né ricordava ch'essa avesse formato oggetto di ulteriore discussione tra i Gabinetti di Londra e di Vienna. D'altra parte, non gli risultava che alcuna potenza si fosse finora associata all'opinione di lord Lansdowne, dalla quale sperava egli avrebbe finito per recedere.

2 Vedi D. l l l, Allegato.

3 Vedi D. l.

Ed a questo proposito, mi fece anzi conoscere, in via confidenziale, che il conte Li.itzow, nel suo recente ritorno in Vienna, avevagli riferito che l'E.V., nei colloqui privati avuti con esso, non si sarebbe dimostrato contrario alla rinnovazione suddetta.

Il sig. de Mérey m'informò poi che il conte Goluchowski si proponeva, al suo ritorno in Vienna, di occuparsi della scelta del successore del sig. di Mi.iller, che osservò non sarebbe stato facile di sostituire e supponeva che questa sarebbe caduta sopra un funzionario non residente in Macedonia, ma avente la qualità di console generale.

Dall'insieme delle cose dettemi dal sig. de Mérey risulta che il conte Goluchowski non avrebbe modificata, circa la questione in discorso, l'opinione già espressa a me ed al mio collega di Francia, di cui feci cenno nel mio rapporto n. 550 del29 maggio u.s.4•

È da dubitare quindi che possa riuscirgli gradita la soluzione, indicata nel dispaccio suddetto, intesa a far prorogare, alla scadenza del biennio, il programma di Miirzsteg ed i poteri degli agenti civili per dichiarazione e mandato esplicito delle potenze, in luogo di quello tacito che qui come a Pietroburgo si presume essere stato concesso ai due Governi due anni or sono.

Se si deve tener conto delle dichiarazioni fattemi dal conte Goluchowski nei colloqui avuti con esso, tale soluzione non potrebbe essere considerata da lui che come avente per scopo di dare adito alla partecipazione diretta di tutte le potenze alle riforme, alla quale si è sempre dimostrato opposto, giacché, a suo parere, il compito di provvedere alle medesime spetterebbe ali' Austria-Ungheria ed alla Russia, come potenze più interessate alle questioni balcaniche, e sarebbe complicare e rendere più difficile la loro applicazione se a queste dovessero presiedere tutte le potenze. Ed è da supporre ch'egli persista in tale opposizione finché potrà fare assegnamento sulle disposizioni della Russia, che afferma essere conforme alle sue, e dalle quali dipenderà il suo ulteriore contegno di fronte a tale questione.

Profitterò d 'un'occasione propizia per intrattenere dcii' argomento il conte Goluchowski, non appena sarà qui di ritorno.

233 5 Poche ore dopo (23,55), con T. I 670/ I 17, A v ama aggiungeva: «Per la premura di far pervenire a V.E. mio telegramma urgente n. 115 ho dimenticato farle conoscere quanto segue: all'osservazione Goluchowski non avere egli chiesto di sconfessare presidente Camera ho replicato che ciò era esatto. Formola che insisteva far accettare a V.E. andava al di là di una sconfessione, perché l'avrebbe obbligata infliggere quasi biasimo pubblico a Marcora, ciò che era molto più grave per le conseguenze che avrebbe tratto seco. Ma l'incidente di Zara era stato da me citato specialmente per fargli rilevare sentimenti concilianti da lei attestati in quella circostanza col ritiro, dietro suo desiderio, domanda sconfessione, esempio che V.E. sperava che egli avrebbe ora seguito nell'incidente attuale, accettando formala di lei che non conteneva che identici concetti della sua». Per il seguito vedi D. 236.

234 1 Vedi D. 177.

235

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. l. Orvieto, 11 agosto 1905, ore 7.

Prego di informare subito ambasciata di Germania grave circostanza che minaccia alleanza con Austria e della proposta fatta da V.E. di chiedere mediazione Bi.ilow o arbitrato. Qualunque sia provenienza miei telegrammi V.E. risponda sempre Roma2 .

2 Per la risposta vedi D. 240.

234 4 Non pubblicato, ma vedi D. 111.

235 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Vienna.

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1238. Roma, 11 agosto 1905, ore 13.

Essendo mio proposito, come le telegrafai, di pubblicare qui la nostra formo la, se costì è pubblicata la formola di Goluchowski, debbo vivamente pregare V.E. di segnalarmi l'eventuale pubblicazione di tutta urgenza e possibilmente in anticipazione 1 .

237

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 1246. Roma, 11 agosto 1905, ore 22,45.

Per mezzo di speciale corriere di Gabinetto le invio stasera la serie completa dei telegrammi scambiati con Vienna per un increscioso incidente che potrebbe in breve formare oggetto di carteggio con codesta ambasciata e che qui brevemente riassumo. Nel commemorare il deputato Socci, il presidente della Camera adoperò le parole «Trentino nostro» ed un comitato di trentini gli indirizzò un telegramma di ringraziamento e felicitazioni. Avendomi il Gabinetto austro-ungarico richiesto di spiegazioni in proposito, io ebbi a fare dichiarazioni che si convenne di concretare in un comunicato da pubblicarsi a Vienna. Senonché intorno ai termini di tale comunicato non fu possibile l'accordo, malgrado lunghe ed insistenti trattative, ed ora si trovano di fronte, per la parte dichiarativa di tale comunicato, le seguenti due formole:

l) Formola austro-ungarica: «Tenendo giustamente conto del penoso risentimento prodottosi in Austria-Ungheria per tale enunciato, S.E. il ministro degli affari esteri ha lealmente espresso al nostro rappresentante a Roma il sincero rincrescimento del R. Governo a tale riguardo».

2) Forrnola italiana: «Il ministro degli affari esteri d'Italia, pur dichiarando che il presidente della Camera italiana non aveva avuto intenzione di fare un'allusione irredentista, tenuto conto della viva e penosa impressione prodottasi in AustriaUngheria, ha lealmente espresso al nostro rappresentante in Roma il sincero rincrescimento del R. Governo a tale riguardo».

Come ella vede il divario tra le due formole consiste sostanzialmente in ciò, che l'austro-ungarica sopprime l'inciso relativo al presidente della Camera, sostenendosi a Vienna che le parole del presidente sono troppo irredentiste per formare oggetto di

spiegazioni o dichiarazioni, mentre da parte nostra si sostiene: l) che non è lecito, nel riprodurre le nostre dichiarazioni, di sopprimeme una effettivamente fatta; 2) e sopratutto che tale soppressione muta interamente il carattere del comunicato facendolo apparire come un biasimo inflitto al presidente della Camera, le conseguenze del quale, potendo giungere fino ad una crisi ministeriale e ad un mutamento di orientazione politica, sono di una gravità incalcolabile. Tutto ciò fu detto e ripetuto, ma senza risultato a Vienna ond'è ormai nostro debito di non celare la situazione al terzo alleato. Ne fu qui fatto cenno all'ambasciata germanica, ma desidero che mercé questo riassunto ed i documenti che le invio, ella sia in grado, se interrogato, di meglio e più particolareggiatamente spiegare la cosa 1•

236 1 Per la risposta vedi D. 241.

238

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1675/118. Vienna, Il agosto 1905, ore 19,15 (perv. ore 20,35).

In assenza di de Mérey, partito in congedo, ho parlato oggi nel senso del telegramma di V.E. 12371 , al secondo capo sezione de Miiller, e, nell'esporgli le varie considerazioni in quello contenute, l'ho pregato di telegrafare senza indugio al conte Goluchowski ad Ischl sua proposta richiedere insieme mediazione principe Biilow ovvero definizione questione mediante arbitrato. De Miiller mi ha detto che avrebbe corrisposto mio desiderio; prevedeva però che suo telegramma sarebbe giunto Ischl dopo la partenza del conte Goluchowski, giacché, qualora S.M. l'Imperatore non lo avesse trattenuto, avrebbe lasciato quella residenza oggi stesso verso le sei per ritornare a Vienna. Ha aggiunto che il conte Goluchowski era stato, del resto, già informato intenzione di V.E. di proporre mediazione Biilow, ove sua ultima formola non fosse accettata, da telegramma del conte Forgach, pervenuto qui ieri dopo la partenza di lui e il cui contenuto era stato telegrafato ieri stesso ad Ischl. Mi ha detto che non poteva pronunziarsi sulla accoglienza che il conte Goluchowski avrebbe fatta a quella proposta, ma dubitava sarebbe stata accolta, mostrandosi egli troppo convinto della giustezza della sua causa, ed essendo poi fermamente risoluto di mantenere integralmente sua formola, rifiutando ogni ulteriore negoziato dopo quello già avvenuto.

Ho fatto osservare a de Miiller che non si trattava di ulteriore negoziato circa il testo della formola, essendo V.E. convinta che questo non avrebbe condotto ad alcun risultato pratico, bensì trovare una via di uscita per evitare gravissime conseguenze

che avrebbero potuto risultare nei rapporti reciproci, se conte Goluchowski si fosse deciso a pubblicare la sua formola, ciò che avrebbe obbligato V.E. a pubblicare il testo preciso delle sue dichiarazioni ai giornali italiani. Tale pubblicazione non avrebbe potuto trarre seco fatalmente che la rottura delle relazioni diplomatiche, della quale sembrava impossibile a VE. che, di fronte alle sue ragioni che apparivano così evidenti, il conte Goluchowski avesse voluto assumere su di sé responsabilità per una questione di pura forma. Era appunto per evitare tale estremità ed avere coscienza di nulla avere omesso da parte sua che ella aveva creduto fare proposta suddetta che sperava sarebbe stata da lui accettata. Ho insistito presso de Mi.iller perché facesse rilevare nel suo telegramma al conte Goluchowski queste varie circostanze e richiamasse la sua attenzione specialmente sulle conseguenze che avrebbe potuto avere per i rapporti comuni suo rifiuto mediazione come pubblicazione per parte sua testo del comunicato senza previa intesa di V.E. Nell'eventualità poi che il ritorno del conte Goluchowski si effettuasse domani, ho pregato de Mi.iller telegrafare suo arrivo a Schonbrunn mio desiderio essere da lui ricevuto mattina domani stesso appena che sarebbe giunto ministro imperiale e reale2 . In previsione poi che conte Goluchowski ritardasse di qualche giorno suo ritorno a Vienna o telegrafasse a de Mi.iller da lschl rifiutando proposta di V.E. e dandogli ordini di procedere senz'altro alla pubblicazione del comunicato, ho insistito vivamente perché mi avverta senza indugio giorno in cui avverrebbe.

237 1 Con T. 1248 del 12 agosto, ore 11,30, Tittoni aggiungeva: «Avverto confidenzialmente che, per l'incidente di cui le telegrafai iersera, ho proposto a Vicnna la mediazione di Blilow od un arbitrato». Per il seguito vedi D. 242.

238 1 Vedi D. 232.

239

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 1676/119. Vienna, 11 agosto 1905, ore 17,50 (perv. ore 21).

Credo mio debito far conoscere a VE., in via privata e confidenziale, avermi de Mérey fatto intendere privatamente, prima di sua partenza congedo, che conte Goluchowski si riservava sottomettere Parlamento e Delegazione intera corrispondenza telegrafica relativa incidente, se ella non avesse consentito testo suo comunicato, o se questo dopo la pubblicazione fosse stato sconfessato in modo qualsiasi per parte R. Governo.

238 2 Vedi D. 242.

240

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1677/120. Vienna, 11 agosto 1905, ore 17,50 (perv. ore 21).

Giusta odierno telegramma di V.E. 1 ho informato subito confidenzialmente questo incaricato d'affari di Germania gravi circostanze che minacciano nostra alleanza coli' Austria e proposta da me fatta, dietro suo ordine, di chiedere mediazione BUiow

o arbitrato. Conte di Schwerin mi ha detto che avrebbe telegrafato oggi stesso in via privata e confidenziale Governo imperiale nel senso suddetto. Converrebbe, mi sembra, ove V.E. lo giudicasse opportuno che il conte Lanza fosse incaricato interessare direttamente questione Biilow, perche faccia pervenire possibilmente, in tempo utile, al conte Goluchowski, parole conciliazione in relazione attuale incidente2 .

241

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1678/121. Vienna, 11 agosto 1905, ore 19,15 (perv. ore 21,10). Rispondo suo telegramma n. 12381•

Conte Goluchowski mi ha dichiarato ieri formalmente che avrebbe aspettato fino a domani, sabato, decisione definitiva di V.E. circa testo suo comunicato prima di effettuarne pubblicazione. È probabile che consideri come tale, proposta di cui tratta il telegramma n. 12372 . Qualora Goluchowski la rifiutasse, pubblicazione comunicato non dovrebbe avvenire, secondo le usanze diplomatiche, che soltanto dopo che egli mi avesse notificato quel rifiuto, ciò che potrebbe avvenire domani stesso nella udienza che gli sarà chiesta a mio nome da Miiller al suo arrivo a Vienna3. Se il conte Goluchowski ritardasse poi qualche giorno sua venuta, egli dovrebbe incaricare Miiller notificarmi domani che è termine da lui stabilito suo rifiuto e sua decisione pubblicare comunicato. Ammettendo quindi rifiuto per parte di Goluchowski della proposta dell'E.V. è da prevedere, ove circostanze impreviste non avvengano, che pubblicazione comunicato avrà luogo domani sera, o domenica mattina nel

2 Vedi D. 237. 241 1 Vedi D. 236.

2 Vedi D. 232.

3 Vedi D. 242.

Fremden-Blatt, la cui direzione, siccome mi risulta in via privata, fu avvertita già da più giorni tenere a disposizione Ministero affari esteri parte destinata pubblicazioni ufficiali. Procurerò col maggior impegno informarmi e riferire con tutta urgenza a

V.E. dargliene comunicazione e, possibilmente, in anticipazione. Fino al momento in cui scrivo, sette pomeridiane, non è pervenuto a questo Ministero degli affari esteri alcun telegramma del conte Goluchowski.

240 1 Vedi D. 235.

242

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. l682/l23. Vienna, 12 agosto 1905, ore 19,50 (perv. ore 6 del l 3).

Ho parlato oggi con conte Goluchowski nel senso del telegramma di V.E.

n. 12371• Gli ho dimostrato anzitutto come fosse diritto sacro persona avente pronunziato parole, dichiarare con quale intenzione le aveva pronunziate e che rifiuto ammettere dichiarazione circa intenzione del presidente della Camera avrebbe avuto valore se V.E. si fosse di essa prevalso per ricusare soddisfazione Governo imperiale e reale che consentiva piena intesa affine di mantenere amichevoli rapporti reciproci. Tale scopo, però, non sarebbe raggiunto colla pubblicazione del suo comunicato, questo potendo provocare una grave crisi interna ed estera. D'altra parte V.E. non scorgendo come l'incidente avrebbe potuto essere risolto, giacché, se quel comunicato fosse stato pubblicato, ella sarebbe stata costretta a pubblicare sue dichiarazioni, ciò che avrebbe fatalmente condotto alla rottura delle relazioni diplomatiche contrariamente alla sua intenzione. Ella credeva che egli potesse avere un'intenzione differente, e gli sembrava impossibile che per una questione di pura forma, volesse assumersi una sì grave responsabilità. Nell'insistere specialmente su quella circostanza, gli ho fatto conoscere che V.E. per trovare il modo di uscita e di avere la coscienza di nulla avere omesso, mi aveva incaricato di proporre che i due Governi chiedessero insieme mediazione del principe di Biilow, ovvero risolvere la questione con un arbitrato. Ho aggiunto che la proposta di V.E. dimostrava una volta di più il suo buon volere ed il suo vivo desiderio di venire ad una intesa per tutelare gli amichevoli rapporti che le premeva di mantenere.

Il conte Goluchowski mi ha dichiarato che non poteva accettare tale proposta che non sembravagli atta a risolvere incidente. Anzitutto egli teneva alla redazione del suo comunicato e non era intenzionato di recedere da essa, anche se il principe Biilow l'avesse trovata poco confacente. Per contro se il principe di Biilow l'avesse accettata, si domandava come V.E. avrebbe potuto evitare le conseguenze che la sua pubblicazione avrebbe provocato in Italia e sulle quali insisteva per rifiutarla. Ha

lamentato che R. Governo, siccome gli era stato riferito dal conte Forgach, avesse incaricato codesto ambasciatore di Germania di comunicare la proposta suddetta al Governo imperiale prima di conoscere se avesse potuto essere accettata. Tale procedere gli sembrava poco corretto. Però, avendo riflettuto durante il suo viaggio ad Ischl sulle varie trattative e non volendo assumere responsabilità di essere stato causa di una crisi interna in Italia e mostrare ancora il suo buon volere ed i suoi sentimenti amichevoli verso V.E. e R. Governo, aveva escogitato una nuova formola di comunicato che mi ha incaricato di trasmettere a V.E. Essa è del seguente tenore: «Après avoir entendu président de la Chambre qui déclara n'avoir eu aucune intention irrédentiste, mais tenant justement compte du pénible ressentiment produit en AutricheHongrie par cette enonciation, S.E. le ministre des affaires étrangères s'empressa avec la loyauté qui le distingue, d'exprimer, à notre représentant à Rome les sincères regrets du Gouvernement du Roi à ce sujet» ed ha osservato che gli sarebbe stato impossibile accogliere qualsiasi proposta che V.E. intendesse fare per modificarla, essendo essa ultima concessione che eragli permesso di fare e che faceva per assecondare il desiderio di lei e per non crearle impicci e perché teneva a dimostrarle il suo desiderio di continuare la politica amichevole che egli aveva seguita e avrebbe intenzione di seguire verso l 'Italia.

Nell'assicurare il conte Goluchowski che mi sarei affrettato di telegrafare a V.E., insieme alla espressione dei suoi concilianti ed amichevoli sensi, il testo della nuova formola con le osservazioni fattemi, mi sono limitato a rilevare, come mia opinione personale, che la medesima dichiarazione «non aver avuto intenzione irredentista» sarebbe fatta dal presidente della Camera invece che da V.E. come era detto nelle precedenti sue formole e che mi sembrava che la parola «intenzione» avrebbe potuto essere seguita da «fare allusione». Ma il conte Goluchowski ha replicato che teneva a che il testo della formola non fosse affatto modificato e mi ha incaricato di pregare

V.E. di volermi inviare più presto possibile la sua risposta perché era urgente di risolvere l'incidente avendogli S.M. Imperatore fatte, durante la sua dimora a Ischl, vive premure per venire ad una definizione che era opportuno avvenisse qualche tempo prima che S.M. Imperatore ricevesse l'inviato di S.M. il Re nel Tirolo.

Prego V.E. telegrafarmi di urgenza sua risposta sulla nuova formola del conte Goluchowski che mi sembra sia da prendere tanto più in considerazione, [in quanto], oltre a dimostrare con essa il suo buon volere, viene a sconfessare varie dichiarazioni precedentemente fatte per opporsi formola da lei proposta. È da supporre che un esame più calmo delle cose, timore di assumersi una responsabilità, ciò che ripugna alla sua indole, di una rottura delle nostre relazioni diplomatiche, l'abbiano indotto a migliori consigli. E, non è da escludersi, che a ciò l'abbia pure consigliato il colloquio da lui avuto ieri l'altro con S.M. Imperatore che nella sua età avanzata è alieno da qualsiasi grave complicazione2 .

242 1 Vedi D. 232.

242 2 Per la risposta vedi DD. 244 e 245.

243

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. 41073/905. Roma, 12 agosto 1905.

Ringrazio la E.V. della comunicazione che mi fa, col pregiato rapporto del 21 luglio n. 822 1 , circa il suo colloquio col sig. Rouvier il 19 luglio, quando lo sollecitò ad un esame del nostro contro-progetto per l'accordo relativo all'Etiopia.

Approvo il linguaggio dalla E.V. tenuto, e le confermo quanto ebbi ad esporle nelle mie recenti comunicazioni su questo soggetto. Convengo con la E.V. come, ad eliminare gli ostacoli che potrebbe far nascere il Negus quando l'accordo stesso sia stato concertato fra le tre potenze interessate, possa esser utile di far entrare l 'Etiopia a fame parte, ma nulla toglie che ciò avvenga, quando l'accordo a tre fosse diventato definitivo; allora Menelik potrebbe diventare uno dei contraenti od accettanti in forma da determinarsi con maggiore guarentigia per gli interessi di tutti.

Quanto all'avviamento del negoziato, il Governo del Re desidera che il controprogetto, già sottoposto all'esame del Governo francese, venga discusso e che si giunga ad una conclusione. Che se il Governo francese avesse delle esitazioni che potessero produrre un ritardo dannoso od una sospensione di cui non si potrebbe percepire la fine nella trattazione di questo affare, la E.V. può far comprendere che siamo anche disposti a metterei d'accordo colla sola Inghilterra, pur di venire ad una conclusione.

244

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1255. Roma, 13 agosto 1905, ore 12,15.

Il telegramma n. 123 1 di V.E. è stato subito telegrafato di urgenza al ministro Tittoni e gli fu in particolar modo segnalato il desiderio del conte Goluchowski di ricevere risposta al più presto possibile. Sarà tuttavia bene che V.E. informi il ministro degli affari esteri imperiale e reale che, trovandosi ora assenti da Roma, ed in luoghi diversi, S.M. il Re, il presidente del Consiglio ed il ministro degli affari esteri, un breve ritardo è inevitabile2 .

2 Per il seguito vedi D. 245.

243 1 Vedi D. 193.

244 1 Vedi D. 242.

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO

T. 1693. Modena, 16 agosto 1905, ore 0,15.

Ricevuto ora dal ministro del Tesoro riscontro Marcora, ho telegrafato a Vienna quanto segue:

«Accetto ultima formola del ministro affari esteri di Austria-Ungheria 1 con una lievissima variante che non è un emendamento e che non cambia nulla. Spero pertanto che non incontrerà difficoltà. Se ministro affari esteri di Austria-Ungheria accetta, può pubblicare subito comunicato, restando così definitivamente risoluto incidente. Ecco variante che propongo. Dove si dice: "Dopo avere inteso presidente della Camera, ha dichiarato che nelle sue parole non vi era alcun ecc. ecc." ho detto che si dica: "Dopo aver inteso dal presidente della Camera che nelle sue parole non vi era alcun ecc. ecc.".

Come V.E. vede, variante è proprio lieve e lascia intatto il senso del comunicato. Sono certo pertanto che, presentato da V.E. sotto suoi veri aspetti, sarà accettato senz'altro da ministro affari esteri di Austria-Ungheria»2 .

246

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1695/126. Vienna, 16 agosto 1905, ore 20,40 (perv. ore 6,15 del 17).

Conte Goluchowski essendo stamane a caccia non ha potuto ricevermi che alle sei pomeridiane. Gli ho comunicato lievissima variante di V.E. di cui nel telegramma ieri notte 1 , facendogli conoscere come non fosse un emendamento né cambiasse affatto formola di lui. Goluchowski ha rilevato anzitutto che nella sua formola trasmessa a V.E., mio telegramma n. 1232 , non vi era «nelle sue parole» e non desiderava che vi fosse inserita essendo loro significato troppo irredentista per poterne far menzione comunicato. Nel leggere a più riprese variante, ha osservato che gli era impossibile farne traduzione in tedesco e se anche avesse voluto farlo, non sarebbe stato compreso dal pubblico, giacché non poteva esprimersi in tedesco

2 Per la risposta vedi D. 246.

2 Vedi D. 242.

secondo la redazione variante dovendo parole «presidente della Camera» essere seguite, giusta sintesi, dalle parole «il quale dichiarò» e non già da quelle «che nelle sue parole» ecc. ecc.

Senza entrare in merito tale osservazione ho replicato che redazione variante, oltre essere più che corretta e comprensibile in italiano, mantenendo intatto senso formola di lui implicando per se stesso espressione che voleva mantenervi, la quale risultava dall'insieme della proposta fatta dall'E.V. ed ho insistito vivamente perché l'accettasse.

Ma il conte Goluchowski dopo aver di nuovo esaminato la variante per vedere di dare alla redazione un altro giro, pur mantenendone senso, mi ha detto che non poteva, per le ragioni già esposte, accoglierla, e nella impossibilità di risolvere questione, doveva pregarmi interessare V.E. accettare tal quale sua formola ed ha aggiunto che non avrebbe avuto difficoltà a che V.E., ove lo credesse, sostituisse parole «che dichiarò non avere» colle parole «che negò avere». Ha aggiunto che non gli sembrava possibile tirare ancora per le lunghe e che conveniva venire intesa e mi ha chiesto telegrafare a V.E. fargli avere al più presto possibile sua risposta essendo urgente che incidente sia composto definitivamente prima che Sua Maestà riceva generale Bisesti.

Senza pronunziarmi sulle osservazioni di Goluchowski, circa traduzione tedesco variante, è evidente che da quanto mi ha fatto intendere, che egli tiene a che comunicato contenga, per ciò che riguarda presidente della Camera, la parola «dichiarò». Prego telegrafarmi al più presto possibile risposta di V.E. 3 .

245 1 Vedi D. 242.

246 1 Vedi D. 245.

247

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

DISP. 41557/104. Roma, 16 agosto 1905.

Col suo rapporto del30 giugno scorso, n. 81 1 , la S.V. informa questo Ministero come il Negus sia rimasto sorpreso dal fatto che con l'accordo col Mullah sia stato concesso al Mullah stesso uno sbocco sul mare, e preoccupato per la quistione delle armi da fuoco.

Prego la S.V., cogliendone la opportunità, di far presente al Negus, come il Mullah, prima dell'accordo Pestalozza, che ha posto fine ad una grave situazione in Somalia, occupasse di fatto la bassa valle del Nogal ed Illig sulla costa, e che poteva quindi introdurre armi senza controllo. In base all'accordo il Mullah si è obbligato a impedire il commercio delle armi, il commercio della costa sarà controllato, il punto che è stato concesso al Mullah potrà essere sorvegliato e, col prossimo riordinamento della Somalia

247 1 Vedi D. !58.

settentrionale, non è improbabile che, a maggior garanzia nostra, presso il Mullah sia messo un residente italiano. Se il Negus è preoccupato per l'inquietante aumento di armi in Etiopia e pel commercio che se ne fa, sembra più opportuno rimedio la sorveglianza sui traffici da Gibuti e dall'Barrar poiché da quest'ultime località specialmente pare siano inviate carovane di armi e munizioni sui mercati dell'alto Ogaden.

246 3 Per la risposta vedi D. 248.

248

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1276. Roma, 17 agosto 1905 1•

Deferisco al desiderio del conte Goluchowski2 e consento che non si parli delle parole di Marcora. Il periodo in discussione resta quindi definitivamente stabilito così: «Dopo di aver inteso dal presidente della Camera che egli non aveva avuto alcuna intenzione irredentista, ministro degli affari esteri italiano ecc. ecc.». Appena da Goluchowski avrà avuto il benestare del comunicato nei termini indicati, prego

V. E. telegrafarmi contemporaneamente a Roma e a San Pellegrino3 .

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. l. San Pellegrino, 17 agosto 1905, ore 22.

A complemento mio precedente telegramma2 e per [evitare] qualunque equivoco ripeto che la sola differenza fra formula austriaca e mia è la seguente: formola austriaca dice: «dopo di avere inteso il presidente della Camera de' deputati il quale ha dichiarato che egli non aveva avuto intenzione ecc.». Invece mia formola dice: «Dopo di aver inteso dal presidente della Camera dei deputati che egli non aveva avuto intenzione ecc.» mia formula sostituisce «dal presidente della Camera de' deputati» a «il presidente della Camera de' deputati» e sopprime le parole «il quale ha dichiarato». La differenza è minima3 .

2 Vedi D. 246.

3 Vedi DD. 251 e 252.

2 Vedi D. 248.

3 Per la risposta vedi D. 252.

248 1 Copia priva dell'indicazione dell'ora di partenza.

249 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Vienna.

250

L'INCARICATO DELLA MISSIONE IN SOMALIA, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 115. Ameno, 17 agosto 1905 (perv. il 23 agosto).

A conferma della mia lettera del 9 corrente da Lione al sig. direttore di codesto ufficio coloniale 1 , ho l'onore di rimettere qui acchiusi i due promemoria redatti, con maggiore dettaglio, sugli argomenti che furono oggetto della mia intervista col gen. Swayne2 .

Dal primo di quei documenti (all. A) l'E.V. rileverà che gli schiarimenti richiesti dal Foreign Office erano già più o meno determinati nel testo arabo dell'accordo di Illig e che forse una non precisa traduzione inglese ha potuto ingenerare qualche dubbio. Ad ogni modo le franche spiegazioni tra me ed il gen. Swayne hanno messo in evidenza la realtà dei comuni intendimenti sia riguardo all'uso della parola tribù per significare i seguaci del Mullah, sia per escludere la responsabilità tanto dell'Inghilterra quanto dell'Italia riguardo alle relazioni dell'Etiopia e dipendenti coi dervisci ed il loro capo, sia per la soluzione di contestazioni o divergenze tra gente del protettorato inglese e gente del Mullah, sia infine per una più chiara determinazione della linea di limitazione dei pascoli nel Nogal, in modo a lasciare una più estesa zona libera e spopolata tra la linea suddetta e la linea da Bohodle a Eldab, lungo la quale si estendono le tribù inglesi.

Il gen. Swayne avrebbe egli pure presentato il suo promemoria nello stesso senso da entrambi noi concertato.

Nel secondo documento qui unito (all. B), da me pure redatto sugli stessi appunti e nello stesso ordine concordati col Swayne, ho riassunto in quattro paragrafi a) b) c) d) le conclusioni alle quali di comune accordo si era addivenuti, dopo amichevole scambio di idee sugli argomenti che più interessavano codesto Ministero e che mi erano stati più specialmente raccomandati.

Non avendo incarico di definire, ho cercato nonostante di stabilire, appoggiandomi sul competente parere del gen. Swayne, e su quanto egli ha già proposto o proporrà al proprio Governo. Su tali basi l'E.V. potrà quando voglia riprendere l'argomento presso il Foreign Office con fondato motivo di vederlo definito nel senso desiderato.

Al paragrafo a) non si è in complesso detto nulla di nuovo: una comune intesa riguardo a provvedimenti d'indole generale in Somalia è sempre stata nella mente dei Governi d'Italia e d'Inghilterra, e lo dovrà essere tanto più ora; l'adesione delle autorità di Aden alle misure adottate dai protettorati somali britannico e italiano ne risulta necessaria; il R. Governo si riserva di agire quando crederà.

Al paragrafo b), Bander Ziade viene riconosciuto dover rimaner de li'Italia in ogni eventuale modificazione di quel confine.

2 Non pubblicati.

Al paragrafo c) il gen. Swayne riconosce l'utilità anzi la necessità che quella parte del Nogal ora assegnata per i pascoli al Mullah ed ai suoi dervisci rientri definitivamente nella zona d'influenza italiana, per far cessare i facili e continuati screzi fra loro di quelle popolazioni e per maggiore sicurezza dello stesso territorio britannico.

Al paragrafo d) è ammessa la indennità alle tribù migiurtine ed al sultano Jusuf Ali di Obia; per quanto ne sia diminuita l'entità dipenderà dal nostro saper fare di persuadere i nostri protetti ad accontentarsi della somma stabilita; a noi poco importa da chi venga pagata la somma, purché lo sia, come il gen. Swayne mi dichiarò formalmente che lo sarà; egli in base anche alle mie lettere, ne aveva intrattenuto il Foreign Office ed il Colonial Office e aveva ottenuto di poter disporre di quella somma sul bilancio del Somaliland, dimostrando che il conservarsi il valido ed amichevole concorso del R. Governo e delle autorità italiane nel Somaliland valeva ampiamente lo sborso di quella somma che egli avrebbe poi cercato di compensare con altre economie sul proprio bilancio coloniale.

Il gen. Swayne riferirà in questo stesso e medesimo senso quanto è stato da me riassunto nei due promemoria che qui unisco (ali. A e B), ed io oso sperare che sulle basi di quel nostro accordo personale, i rispettivi Governi potranno, quando vogliano, intendersi definitivamente su quello che è stato giudicato comune e maggiore interesse delle parti.

Più che mai l'avviamento di tale programma implica da parte del R. Governo la creazione di una sede di una base propria nella Somalia settentrionale italiana, dalla quale possa mano a mano diramarsi ed affermarsi l'azione benefica e civilizzatrice dell'autorità italiana, e in attesa delle disposizioni che l 'E.V. vorrà prendere in proposito, ...

250 1 Vedi D. 231.

251

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SAN PELLEGRINO

T. URGENTE 1271 . Vienna, 18 agosto 1905.

In previsione opposizione che conte Goluchowski fosse per fare nei telegrammi

V.E. questa notte2 causa sua redazione «dopo aver inteso dal presidente» contraria a quella da esso proposta «dopo avere inteso il presidente», mi permetto, per guadagnare tempo, telegrafarle direttamente pregandola volermi telegrafare urgenza se ella autorizza, qualora ministro imperiale e reale lo chiedesse, a che espressione «dopo aver inteso dal presidente» sia tradotta in tedesco «dopo aver appreso dal presidente». In tal modo si eliminerebbero obiezioni fatte da conte Goluchowski circa impossibilità tradurre tedesco redazione di lei riferita mio telegramma n. 1263 . Quanto soppressione

2 Vedi DD. 248 e 249.

3 Vedi D. 246.

«ha dichiarato», sebbene conte Goluchowski tenga mantenerla comunicato, spero non vorrà farvi opposizione perché espressione con cui V.E. ha sostituito quelle parole non è in fondo che riproduzione «ha negato» da esso ammessa.

Qualora risposta V.E. non mi pervenisse prima tre pomeridiane, mi recherò ciò nondimeno, in vista urgenza, conte Goluchowski comunicargli suoi telegrammi suddetti riservandomi riferirgli più tardi, all'evenienza, risposta stessa. Credo infine osservare che nel periodo indicato primo telegramma V.E. questa notte parole «intenzione irredentista» sono seguite da parole «il ministro degli affari esteri», mentre secondo ultima formola conte Goluchowski comunicatale mio telegramma n. 1234 e che giusta istruzioni suo telegramma da Modena 15 corrente5 io gli dichiarai essere da lei accettate parole «intenzione irredentista» devono essere seguite da quelle «ma tenendo giustamente conto ecc. 6».

251 1 Dalla raccolta telegrafica d eli' ambasciata a Vienna.

252

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1706/128. Vienna, 18 agosto 1905, ore 19,45 (perv. ore 6 de/19).

Ho parlato oggi al conte Goluchowski nel senso dei due telegrammi pervenutimi questa notte 1 . Gli rilevai differenza minima che esisteva tra la nuova sua redazione periodo in discussione e quello da lui proposto.

Goluchowski mi ha detto essergli assolutamente impossibile accettarla per ragioni esposte nel mio telegramma n. 1262 ed ha aggiunto che parola «inteso» seguita come era nella formola di V.E. dalle parole «del presidente della Camera» non potevano essere tradotte in tedesco che con parola «Gehort» la quale avrebbe avuto un senso non conforme spirito comunicato, perché avrebbe significato «aver inteso dal» mentre senso da darsi parola suddetta tale e quale era indicato redazione sua formola era quello «essere stato presidente della Camera interrogato». Ha osservato che non era suo proposito inserire in sue primitive formole presidente della Camera, ma che aveva consentito parlare di lui, perché V.E. aveva espresso il desiderio spiegare nel comunicato senso intenzioni di lui. Non comprendeva quindi perché ella si rifiutasse ora ammettere sua redazione in cui si accennava presidente della Camera nella forma più lieve. Certamente non si poteva negare avere egli fatto dichiarazione irredentista, la quale richiedeva che affermasse o negasse che tale non era stata sua intenzione. Se una affermazione od un diniego in quel senso non fosse stato inserito nel

5 Vedi D. 245.

6 Per la risposta vedi D. 253.

2 Vedi D. 246.

comunicato, sua pubblicazione sarebbe stata inutile e non si poteva parlare di soddisfazione. Ha rilevato quindi che non era più possibile continuare discussione su redazione sua formola che era risoluto mantenere tal quale, giacché avrebbe protratto soluzione incidente avvenuto già da più tempo ed alla quale era necessario addivenire al più presto possibile, e credeva che a questo dovrebbe del pari tenere R. Governo, per sentimento di lealtà. Egli aveva [fatto] quanto gli era stato possibile per accontentare R. Governo ed assecondare desiderio di V.E., modificando, per mostrare suo desiderio conciliante ed amichevole, varie sue formole. Ma gli sembrava fosse giunto il momento che V.E. si rendesse conto ragioni espostemi a più riprese, riconoscendone buon fondamento con l'accettare redazione sua formola che insisteva redazione fosse mantenuta tal quale, sostituendovi soltanto, ove ella stimasse opportuno, ali' espressione «che egli dichiarò» quella «che egli negò».

In risposta osservazioni da me fattegli che parole contenute redazione di V.E. «non avere avuto alcuna intenzione» implicava per se stessa espressione su cui insisteva «che egli negò», Goluchowski mi ha detto che non poteva ammettere tale intesa, giacché era necessario che nel comunicato quella espressione fosse esplicitamente indicata, anzi egli mi ha comunicato i termini nei quali il periodo suddetto avrebbe potuto essere tradotto in tedesco che qui trascrivo, ad ogni buon fine, «Nach ein vernehmen des Presidenten der Kammer welcher jede irredentische absicht in Abrede steli». Mi ha quindi con viva insistenza pregato telegrafare a V.E. farmi conoscere sua risposta definitiva, per quanto è possibile sollecita.

Goluchowski si è espresso meco in forma amichevole, ma alquanto eccitata e mi ha fatto intendere come fosse infastidito continue trattative, cui, dopo le ripetute spiegazioni, dava luogo ancora la redazione sua formola che mi ha affermato essere il massimo che poteva acconsentire. Di fronte dichiarazioni fattemi in modo risoluto, VE. giudicherà se convenga prolungare oltre una discussione che non potrebbe avere alcun risultato pratico, essendo egli deciso, dopo le concessioni che dice di aver fatto, a non recedere sua formola. Alcuna altra proposta, compresa quella che mi permisi farle su odierna di lui, in cui non fosse inclusa espressione «egli ha dichiarato» o «egli ha negato» non avrebbe ormai più probabilità essere da lui accettata ed un ulteriore tentativo che fosse da noi fatto per rimuoverlo dal suo proposito, non avrebbe altra conseguenza che di esporci ad un altro rifiuto, indisponendolo ed aggravando forse di nuovo la situazione. Alle considerazioni che consigliano di risolvere prontamente l'incidente, si aggiunge poi l'approssimarsi della data in cui

S.M. l'Imperatore deve ricevere il gen. Bisesti. Prego V.E. telegrafarmi al più presto possibile istruzioni3 .

251 4 Vedi D. 242.

252 1 Vedi DD. 248 e 249.

252 3 Per il seguito vedi D. 254.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1285. Roma, 19 agosto 1905, ore 15.

Quanto alla prima parte del telegramma di V.E. 1 , accetto frase da V.E. proposta «dopo di aver appreso» invece di «dopo di avere inteso». Quanto alla seconda parte sta bene che parole «intenzione irredentista» siano seguite da «ma tenendo giustamente conto»2 .

254

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. URGENTE 1707!129. Vienna, 19 agosto 1905, ore 10,55 (perv. ore 14,40). Mi riferisco mio telegramma jeri, n. 128 1•

Rifiuto conte Goluchowski ammettere redazione V.E. e sua insistenza mantenere assolutamente nella sua formola parole «egli ha dichiarato o ha negato» sono da ritenersi definitive.

In tale stato di cose V.E. stimerà che non convenga fare altri tentativi per rimuoverlo sua decisione, al fine non andare incontro nuovo rifiuto, che non potrebbe riuscirei gradito, e che sarebbe tanto più reciso che mi è stato fatto presentire dal conte Goluchowski. D'altra parte, rifiuto del R. Governo accettare formola di lui, col lasciare insoluto incidente, creerebbe situazione tale che non potrebbe che provocare attriti e condurre, col tempo, sospensione relazioni diplomatiche.

Conte Goluchowski, infatti, mi ha fatto intendere in certo modo che, qualora soddisfazione nella forma da lui chiesta non fosse accordata dal R. Governo, egli non avrebbe potuto ammettere che ambasciatore d'Austria-Ungheria avesse rapporti con l'on. Marcora, finché fosse presidente della Camera dei deputati, ciò che avrebbe per conseguenza ritardare ritorno Roma del conte Liitzow oltre termine suo congedo.

Per spiegare meglio situazione ho creduto far conoscere V.E. tali particolari, che denotano piega, poco favorevole ai nostri reciproci rapporti, che vanno prendendo cose, come disposizioni conte Goluchowski di fronte prolungarsi azione trattative e ritardo risolvere incidente2 .

2 Per la risposta vedi D. 255. 254 1 Vedi D. 252.

2 Per il seguito vedi D. 256.

253 1 Risponde al D. 251.

255

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SAN PELLEGRINO

Vienna, 19 agosto 1905.

Dal mio telegramma ieri sera n. 1282 che le sarà pervenuto da Roma V.E. avrà rilevato che conte Goluchowski è risoluto mantenere tal quale sua formula e non è disposto accettare qualsiasi modificazione alla medesima neppure quella da lei autorizzata con telegramma odierno da San Pellegrino3 .

Non posso a questo proposito che confermare mio odierno telegramma n. 1294•

256

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, MALVANO

T. URGENTE 1714/133. Vienna, 20 agosto 1905, ore 17,15 (perv. ore 18,30).

Con telegramma da Orvieto 11 corrente1 S.E. Ministro mi ingiunse rispondere sempre Roma qualunque fosse provenienza suoi telegrammi.

Con altro telegramma da Trescore ministro, nell'incaricarmi comunicare conte Goluchowski sua redazione periodo in discussione, mi invitò, qualora egli avesse dato benestare comunicato nei termini stessi indicati detto suo telegramma, di telegrafare contemporaneamente Roma e S. Pellegrino2 . Conte Goluchowski, avendo rifiutato dare benestare redazione propostagli ministro, mi limitai, giusta istruzioni ricevute, telegrafare soltanto Roma risultato colloquio avuto con lui, di cui miei telegrammi 1283 , 1294 del 18 e 19 corrente, non dubitando che, giusta convenuto, gli sarebbero stati comunicati senza indugio dal R. Ministero.

Telegramma pervenutomi or ora da V.E.S, facendomi supporre che quei telegrammi non siano stati ancora trasmessi a S.E. Tittoni, mi sono affrettato, in vista urgenza, telegrafargliene testo immediatamente dandogli, con telegramma n. 1326 , spiegazione sopra accennata.

2 Vedi D. 252.

3 Vedi D. 253.

4 Vedi D. 254.

2 Vedi D. 248.

3 Vedi D. 252.

4 Vedi D. 254.

5 Con T. 1285 bis del 20 agosto, Malvano chiedeva conferma dell'invio simultaneo dei telegrammi di risposta a Roma e San Pellegrino.

6 Non pubblicato.

Tutti i telegrammi circa incidente sono stati da me diretti Roma, salvo quelli portanti n. 1277 e 131 8 del 18 e 19, relativi, il primo, proposta da me fatta che, per guadagnare tempo, credetti sottomettere direttamente ministro; secondo, alla risposta da me data suo telegramma autorizzante quella proposta, in cui, riferendomi miei telegrammi nn. 128 e 129, l'informai non potere questa, ormai, essere accettata conte Goluchowski.

Salvo ordini in contrario da oggi in poi manderò simultaneamente Roma e

S. Pellegrino telegrammi circa incidente.

255 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Vienna.

256 1 Vedi D. 235.

257

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SAN PELLEGRINO

T. 1717/134. Vienna, 21 agosto 1905, ore 13,25 (perv. ore 18,40).

Dopo aver ripetutamente esaminato con maggiore attenzione la traduzione del primo periodo contestazione comunicatami dal conte Goluchowski di cui mio telegramma n. 128 1 , e dopo essermi consultato, in via confidenziale, con persona competente, credo che vi sarebbe modo, pure mantenendo alla traduzione suddetta il significato che il ministro vuoi darle, di farla corrispondere, possibilmente, od almeno riavvicinarla, al senso di quella, stesso periodo, proposta da V.E., trasmessomi suoi telegrammi del 17 corrente2 , redigendo traduzione in discorso, seguire due maniere: «Nach erkHirungen des Presidenten dass er keine irredentische absicht gehabt batte» ovvero: «Nachdem President erkliirte dass keine irredentische absicht gehabt batte». Il primo di questo testo si traduce in italiano: «Dopo spiegazioni o dichiarazioni del presidente della Camera dei deputati che non aveva avuto alcuna intenzione irredentista». Il secondo: «Dopo che il presidente della Camera dei deputati spiegò o dichiarò che non ecc.». Espressione erkliiren ha in tedesco quella di dichiarare e spiegare, ma specialmente spiegare, per cui traduzione tedesca suddetta potrebbe riferirsi, da una parte, senso redazione del conte Goluchowski e, dall'altra, quello di V.E. Ignoro però se il conte Goluchowski sarebbe disposto ad accettarla mancando espressione contenuta sua traduzione: «Nach ein vernehmen» che significa: «essere stato interrogato», siccome feci conoscere a V.E. col mio telegramma n. 128. Per non compromettere trattative e pregiudicare decisione di VE., non ho creduto di parlargliene in via privata, come mia opinione personale, e non avrei, del resto, potuto farlo essendo egli partito jeri per Ischl da dove, da quanto mi viene riferito, non tornerà che merco

x Vedi D. 255.

2 Vedi D. 248.

ledì [il 23] giorno in cui si recherebbe alla caccia. Mi permetto tuttavia di sottomettere dette traduzioni a V.E. perché voglia esaminarle. Assenza del sig. de Mérey mi impedisce, frattanto, di conoscere, privatamente, il parere del conte Goluchowski. Non credo intrattenere il sig. Miiller che lo sostituisce perché, oltre a non essere informato, così intimamente come quegli, pensiero del ministro, eviterebbe, per la sua indole riservatissima, di pronunciarsi al riguardo.

256 7 Vedi D. 251.

257 1 Vedi D. 252.

258

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

San Pellegrino, 22 agosto 1905, ore 9,50.

Accetto intero comunicato nell'ultima forma proposta da ministro degli affari esteri austro-ungarico avvertendo che io tradurrò letteralmente dal periodo discusso nel modo seguente «dopo di avere inteso presidente della Camera che escluse ogni intenzione irredentista». La parola «escluse» corrisponde in italiano esattamente alla parola «negò» ma io preferisco la prima, però la corrispondente parola proposta ultimamente da ministro degli affari esteri austro-ungarico rimane tal quale.

Prego V.E. collazionare intero comunicato ministro degli affari esteri austroungarico e telegrafarmi intero testo pregando ministro degli affari esteri austro-ungarico di attendere per la pubblicazione mio definitivo benestare che darò telegraficamente appena ricevuto telegramma di V.E. col testo intero comunicato2 .

259

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SAN PELLEGRINO

T. 1721/135. Vienna, 22 agosto 1905, ore 22 (perv. ore 6 del 23).

Ho fatto conoscere il contenuto del telegramma di V.E. odierno 1 al sig. de Miiller pregandolo comunicarlo al conte Goluchowski, avvertendolo che la parole «negò» inserita periodo in discussione verrà da V.E. tradotta colla parola «escluse» che corrisponde in italiano esattamente alla prima. Mliller mi ha detto che gli sembra

2 Per la risposta vedi D. 259.

va che la parola «escluse» fosse stata già adoperata dall'E. V. in una anteriore formola non accettata da Go1uchowski, temeva quindi che essa non fosse neppure ora da lui accettata, ciò che avrebbe ritardato soluzione incidente. Ho risposto che formola alla quale si riferiva (vedi te!. n. 1213)2 non era stata rifiutata per quella parola, bensì perché si accennava «all'intenzione che non aveva avuto il presidente della Camera di fare allusione irredentista», non comprendeva, del resto, come si potesse obiettare contro simile espressione che era la riproduzione vera e completa della parola «negò». Speravo quindi che il Goluchowski non vi avrebbe fatto opposizione che non mi sembrava giustificata, tanto più che V.E. accettava testo intero sua formola. Miiller ha osservato che era ben inteso che la traduzione del comunicato, il quale sarà pubblicato nella Fremden-Blatt, non sarebbe fatta inserire dall'E. V. nell'Agenzia Stefani od altro giornale italiano che come semplice riproduzione del comunicato stesso. Dietro mia preghiera mi ha dato lettura dell'intero testo di esso di cui mi ha rimesso la letterale traduzione in francese che trascrivo qui avanti: «President de la Chambre des Deputés italienne s'est servi à ce qu'on dit, le 27 du mois passé dans le nécrologe prononcé à la ouverture des Chambres en commemoration du Député Socci recemment décedé de la phrase que Socci a combattu en 1866 avec Garibaldi dans les montagnes vers le Trentino. Ainsi que nous apprenons de source autorisée, des explications ont été amicalement demandées à ce sujet d'ici au Gouvemement italien par la voi e de l' Ambassade Impériale et Royale à la Cour de Italie après avoir entendu le Président de la Chambre des Députés qui nia toute intention irredentiste, mais tenant justement compte du pénible ressentiment produit en Autriche-Hongrie par cette enonciation, S.E. le Ministre des Affaires Étrangères s'empressa d'exprimer avec la loyauté que le distingue, à notre Représentant à Rome, !es sincères regrets du Gouvemement Royal à ce sujet».

Ho chiesto a Miiller di pregare il conte Goluchowski, che giungerà qui domattina, di ricevermi nel pomeriggio. Siccome non è probabile, a quanto mi viene riferito dal Miiller, che il ministro modifichi prima di ricevermi il testo del comunicato sopra riprodotto che è da più tempo stabilito, prego V.E. di inviarmi per guadagnare tempo, domattina, ove lo creda, il suo definitivo benestare, perché io possa informare il ministro austro-ungarico. Qualora Goluchowski facesse nuovamente obiezioni previste dal Miiller, farò quanto sarà in mio potere per combattere e convincerlo a non opporsi alla traduzione della parola «negò» con quella «escluse»3 .

3 Per la risposta vedi D. 263.

258 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Vienna.

259 1 Vedi D. 258.

259 2 Vedi D. 222.

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI

DISP. CONFIDENZIALE 42441/331. Roma, 22 agosto 1905.

Col pregiato rapporto del 25 luglio n. 268 1 , la S.V. mi informava di una conversazione avuta col marchese di Lansdowne e con sir Eldon Gorst a proposito della convenienza di notificare a Menelik il noto accordo per l 'Etiopia, e delle modalità da seguirsi per far tale notificazione. Sembra che entrambi questi personaggi siano d'avviso che convenga presentare a Menelik il testo già stabilito fra le tre potenze, piuttosto che un semplice progetto, e ciò per le ragioni che la S.V. espone nel suo rapporto.

Devo però a questo proposito far rilevare che Menelik, quando esprimeva al comm. Ciccodicola la fiducia che nulla si sarebbe conchiuso senza il suo previo consenso, si riferiva unicamente alla questione della ferrovia, onde la necessità di presentirlo, come le dicevo con la mia nota del 13 luglio2 , perché appunto non avvenga, come ella osserva, che, qualora qualche punto dell'accordo, per ciò che ha tratto alla ferrovia, non fosse di suo gradimento, egli possa far nascere un incidente, da cui possa conseguire una modificazione nei termini dell'accordo, modificazione che sarà sempre disagevole l'apportare quando l'accordo sarà già stato firmato dalle tre potenze.

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

0ISP. 42448/957. Roma, 22 agosto 1905.

Ringrazio in particolare modo l'E.V. per l'interessante rapporto n. 2114/859 in data 28 luglio u.s. 1 concernente le nostre convenzioni del 1896 circa la Tunisia. Approvo pienamente il linguaggio da Ici tenuto con l'on. Rouvicr c la linea di condotta che l'E.V. si propone di seguire a tal riguardo in futuro. Certo è grandemente desiderabile che si assicuri stabilità al regime che, inagurato con gli accordi del 1896, ha indubbiamente giovato non solo ad assicurare quiete e prosperità alla colonia italiana in Tunisi, ma altresì a migliorare i rapporti italo-francesi, eliminando una cagione di facili e quasi inevitabili attriti.

L'E.V. può esser certa che non si mancherà da parte mia, ad ogni propizia occasione, di porre in rilievo anche presso questa ambasciata di Francia, l'importanza che il R. Governo annette al presente argomento.

2 Vedi D. 180.

260 1 Vedi D. 200.

261 1 Vedi D. 203.

262

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1502/5831 . Therapia, 22 agosto 1905 (perv. il 29).

Ali 'udienza ebdomadaria di ieri intrattenni direttamente il gran vizir dei reclami presentati dal Governo principesco circa la situazione delle popolazioni bulgare nel vilayet di Adrianopoli. Di tale argomento, come ho già avuto l'onore di riferire a V. E. col mio rapporto n. 5692 , fin dalla scorsa settimana io incaricai il primo interprete della r. ambasciata di tener parola a Sua Altezza.

Nel colloquio di ieri Ferid Pacha mi ripeté le comunicazioni già fatte al comm. Cangià e volle pure consegnarmi un pro-memoria in lingua turca del quale credo opportuno di unire una traduzione al presente. Poiché il nostro colloquio si aggirava sulle relazioni turco-bulgare, colsi l'occasione per raccomandare vivamente a Sua Altezza di volere con l'alta sua autorità intervenire affinché le misure di precauzione adottate a riguardo dei bulgari in seguito al recente attentato vengano applicate con savio discernimento e con criteri equi ed imparziali. In caso contrario, le misure medesime, col rivestire un carattere recisamente ostile contro la popolazione bulgara in massa, non mancherebbero di provocare recriminazioni e lagnanze da parte del Governo principesco, alimentando così quei dissapori e quelle controversie che è interesse comune di eliminare. Replicò il gran vizir che i provvedimenti presi mirano a colpire unicamente i colpevoli, i sospetti, ovvero coloro che non siano in grado di esibire i documenti atti a rassicurare l'autorità sul loro essere, sulle loro azioni e sui loro propositi. Ai provvedimenti troppo drastici, alle espulsioni in massa, egli non è favorevole e crede di averlo dimostrato abbastanza mediante la virulenta opposizione da lui fatta in Consiglio dei ministri alla inconsulta proposta formulata da Mehmdon Pacha il quale pretendeva di espellere non meno di settemila bulgari.

Malgrado la moderazione apparente del suo linguaggio, potei facilmente accorgermi ieri che l'irritazione del gran vizir a riguardo della Bulgaria e dei bulgari va di giorno in giorno sempre più aumentando. Difatti il discorso essendo poi caduto sulla riforma finanziaria in Macedonia, Sua Altezza in uno scatto di nervosità si lasciò sfuggire le parole che riproduco qui appresso testualmente: «Qualunque concessione noi potremo fare, qualunque riforma noi introdurremo, non varrà mai a calmare l'agitazione. A tenerla desta penserà sempre il principato di Bulgaria, di cui non è permesso ormai di ignorare le aspirazioni. Le potenze, invece di imporci per forza il controllo, farebbero assai meglio di !asciarci liberi di schiacciare una volta per sempre quegli infami bulgari».

Per quanto avvezzo alle intemperanze del linguaggio del gran vizir sul conto della Bulgaria, devo confessare che la violenza della sua dichiarazione di ieri e sopratutto il tono veementemente astioso di essa, mi cagionarono sorpresa non

2 Non pubblicato.

disgiunta da alquanta preoccupazione. E questa preoccupazione è anche giustificata dalle notizie pervenutemi da varie parti. Stando a queste voci, il mantenimento ed il consolidamento delle buone relazioni turco-bulgare apparirebbe sempre più arduo e problematico.

Per il momento non vi sono motivi per paventare una prossima rottura. Ma delle disposizioni attualmente qui prevalenti e delle quali il sentimento anti-bulgaro tende ad accentuarsi sempre più, sarebbe imprudente non tenere conto alcuno. Sino ad oggi si era sicuri di trovare nel Sultano un avversario reciso ed irremovibile di ogni avventura bellicosa. Date però le condizioni fisiche del Sovrano, di cui il recente attentato e le successive scoperte di terribili complotti organizzati, sembra abbiano alquanto scosso il sistema nervoso, nessuno può garantire che il partito militare impaziente da anni di venire alle mani con la Bulgaria, non riesca a vincere la riluttanza di S.M. Imperiale ed a strappargli, in un momento di debolezza, qualche disposizione di natura a precipitare gli avvenimenti.

Per il momento, dunque, ripeto: nessun pericolo immediato; ma per un futuro più o meno prossimo, le apprensioni esistono, ed io, al pari di altri colleghi, non debbo !asciarle ignorare a V. E.

Quanto alle disposizioni militari prese ultimamente e per le quali, secondo mi è stato riferito da due miei colleghi, il generale Petroff si sarebbe mostrato allarmato, esse si riducono a ben poca cosa ed il r. addetto militare ne informa oggi stesso il Comando del Corpo di Stato Maggiore.

262 1 Risponde al D. 199.

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. 1298. Roma, 23 agosto 1905, ore 19.

Come Miiller ha detto a V.E. 1 resta inteso che Agenzia Stefani non pubblicherà un comunicato ambasciata austro-ungarica Governo italiano, ma tradurrà semplicemente quello del Fremden-Blatt. Il sig. Miiller, affermando a V.E. che la parola «escluse» era stata già eliminata in precedenti formole discusse, ha detto una bugia. Quando poi ha preteso contestare a me il diritto di usarla nella traduzione italiana in luogo della parola «negò» cui è perfettamente equivalente, ha detto una sciocchezza.

Ritengo che Goluchowski avrà più buon senso del suo subordinato, in caso diverso, ella capirà che io sono seccato di questo ridicolo formalismo, che dichiari che io sono irremovibile nell'adoperare la parola «escluse» nella traduzione italiana. Ciò premesso, V.E. tardi a dare il benestare all'intero comunicato fino a domani, poiché a me preme molto che non sia pubblicato a Vienna sino a venerdì mattina [il 25],

in modo che la notizia divulgata giunga a Roma nel pomeriggio di venerdì. Appena

V.E. potrà assicurarsi della pubblicazione del comunicato nel Fremden-Blatt me ne avverta con telegramma brevissimo urgente2 .

263 1 Risponde al D. 259.

264

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1729/136. Vienna, 23 agosto 1905, ore 20 (perv. ore 6 del 24).

Goluchowski, che ho visto oggi, mi ha detto avere avuto da Miiller notizia comunicazione fattagli jeri accettazione per parte di V. E. comunicato ultima forma da lui proposta e avvertenza traduzione parola «negò» con parola «escluse». Egli ha obiettato che quest'ultima parola non gli sembrava riprodurre senso della prima, ma, in seguito mie insistenze, ha finito accettare quella traduzione, dichiarando rimettersi a quanto V.E. affermava al riguardo. Ha aggiunto però che i giornali francesi, come italiani, non avrebbero potuto tradurre parola sua con «escluse», giacché testo francese, consentito dalla E.V., portava parola «negò».

Ho risposto che l'E. V. non poteva rispondere che traduzione che sarebbe comparsa Agenzia francese e non altri giornali, che non riproducono opinione R. Governo. Avendo fatto conoscere Goluchowski desiderio di V.E. che comunicato non si pubblichi prima di aver ricevuto suo benestare, mi ha dichiarato che ella aveva già dovuto averne testo, rimessomi da Miiller, che non era sua intenzione modificare, ma che non gli era possibile aspettare ancora risposta di lei, e mi ha incaricato telegrafare a V.E. che non poteva ammettere ulteriore discussione sul testo comunicato ed avere già data sua adesione. Era urgente, d'altra parte, procedere immediatamente sua pubblicazione per non tardare troppo far conoscere opinione pubblica soluzione incidente.

Ho risposto che anche V.E. desiderava risolverlo al più presto, ma che era naturale che ella esaminasse il testo comunicato prima della pubblicazione non potendo avvenire che di comune intesa. Goluchowski ha dichiarato, infine, che avrebbe aspettato risposta di V.E. fino domani sera giovedì [il 24] e che sarebbe stato costretto pubblicare venerdì mattina [il 25] Fremden-Blatt comunicato, anche senza aver avuto risposta, essendo necessario che pubblicazione avvenga prima della partenza Imperatore per Tirolo 26 corrente.

Da quanto Goluchowski mi ha fatto intendere non vi sarebbe ormai più possibilità di ottenere eventuale modificazione, e, d'altra parte, i pochi giorni che ci separano dal ricevimento generale Bisesti da parte S.M. Imperatore consigliano definire prontamente questione. Prego V.E. volermi telegrafare al più presto possibile suo definitivo benestare, o ve lo creda 1•

264 1 Per il seguito vedi D. 266.

263 2 Per la risposta vedi D. 266.

265

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 103. Addis Abeba, 23 agosto 1905 (perv. i/18 settembre).

I recenti convegni e le ininterrotte relazioni fra il ras Maconnen ed il generale Swayne mi hanno indotto a sollecitare dal nostro agente in Harrar un'attenta sorveglianza sulle cose che colà si svolgono e specialmente tenermi al corrente dei sentimenti da cui sono animate quelle popolazioni somale che ai confini inglesi ed etiopici si trovano in zone che virtualmente dovrebbero cadere sotto la nostra protezione. Ed ho creduto interessarmi ed interessare di queste cose il nostro agente in Harrar per procurare a codesto Ministero ogni informazione che potesse valere a prevenire ogni eventuale inosservanza da parte del Mullah dell'accordo concluso recentemente.

In un recente convegno tenutosi a Giggiga tra il ras Maconnen ed il generale Swayne allo scopo, dicesi, di regolare interessi ed impedire razzie di frontiera, questi si è mostrato fiducioso in una pace duratura perché -e non so se fosse in buona fede oppure volesse criticare l'opera nostra-ora l'Italia ha coronato il sogno del Mullah dandogli territorio ed autorità. Ma tale fiducia così espressa dal generale, per altre notizie pervenute ultimamente dall'Ogaden e dalla Somalia, e ogni giorno riconfermate in Harrar, non mi rassicura poiché i seguaci del Mullah interpretano l'accordo con noi in un senso ben diverso dallo spirito di esso, e, sia audacia o ignoranza, essi sostengono che oggi il Mahdi (al quale ha aggiunto il titolo di EI-Kebir) è sovrano indipendente riconosciuto dalle potenze europee per aver vinto la guerra santa.

Le stesse notizie pervenute in Harrar assicurano che gli aderenti al Mullah crescono ogni giorno, ed il loro fanatismo lo incita a nuova guerra; aggiungono che dal mare vengono le armi e che tutto colà si prepara per una nuova campagna di conquista.

Giova sperare che in tutte queste notizie vi sia dell'esagerazione, però se ben consideriamo le cose, e se non trascuriamo di darci conto del modo e della forma che il Mahdi ha dovuto impiegare per presentare ai suoi seguaci i risultati da lui ottenuti coll'accordo con noi, i sentimenti e le audacie somale, più sopra da me riferite, meritano considerazione.

Gli indigeni, siano essi dancali, somali od abissini, che hanno seguite le vicende della lotta fra il Mahdi e gli inglesi, sono rimasti nella convinzione che l'Inghilterra ha saputo conservare intatto il territorio dei suoi protetti, mentre noi abbiamo ceduto al Mahdi quella parte del territorio nostro che questi con la violenza aveva occupato.

I confronti sono quasi sempre odiosi, ma acquistano gravità e portano grave danno morale quando sono fatti da gente semi-barbara e che esige tutta la evidenza della forza e tutto il fascino del prestigio per ricorrere alla protezione dei Governi civili.

Ho riferito all'E.V. le cose su esposte perché non prive di un certo valore e perché a codesto Ministero possa risultare come ed in qual maniera il nostro accordo col Mullah è da questi e dai suoi seguaci interpretato ed essenzialmente per evitare che si dia troppo valore alla fiducia del generale Swayne sulla durabilità della pace 1•

266

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1730/137. Vienna, 24 agosto 1905, ore 12 (perv. ore 13,50).

Rispondo telegramma di V.E. di jeri 1 , pervenutomi questa notte.

Dal mio telegramma 1362 V.E. avrà rilevato che Goluchowski consente parola «negò» sia tradotta italiano «escluse» e si oppone soltanto che identica traduzione sia fatta da giornali francesi del Regno, come ltalie, nel riprodurre francese testo comunicato; ma di tale opposizione R. Governo non ha da occuparsi per ragioni da me già esposte Ministero esteri. Risultando telegramma di V.E. suddetto che accordo tra lei e Goluchowski è perfetto farò conoscere, pomeriggio oggi, ministro, qualora non mi pervengano frattempo contrordini di lei, suo benestare comunicato, come suo consenso per pubblicazione venerdì mattina [il25]3.

2 Vedi D. 264.

3 Alle 18,40 (T. 1733/138) A varna telegrafò: «Ho fatto conoscere a Goluchowski benestare di

V.E. testo comunicato e desiderio di lei per sua pubblicazione domattina venerdì. Goluchowski mi ha detto che pubblicazione avverrà domani edizione del mattino Fremden-Blatt».

265 1 Allegate al rapporto sono le seguenti istruzioni per la risposta: «Ringraziare. Mettere le cose a posto. Il Mullah stava di fatto in territorio sottoposto al protettorato italiano. Noi non potevamo fare la guerra tant'era consentirgli di rimanere in un certo spazio, mettendolo sotto la nostra protezione. Anche gli inglesi cederanno una parte di territorio. Quanto al commercio tolleriamo ma è più difficile che si faccia. Quanto alle intenzioni del Mullah finora sarebbero i nostri protetti che li molestano».

266 1 Vedi D. 263.

267

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 555/211. Pietroburgo, 25 agosto 1905 (perv. il 30).

Parlandomi ieri ancora dei negoziati di Portsmouth, il sig. Hartwig, capo del primo dipartimento degli affari esteri mi confidava che, sebbene la situazione fosse tuttora da considerarsi con molto pessimismo, ammetteva tuttavia esistere ancora un leggerissimo barlume di speranza di poter giungere ancora ad un esito soddisfacente. Questa speranza più che su dati di fatto positivi si basava sull'assoluta convinzione che il Giappone si trovasse nell'impossibilità di continuare le ostilità per imprescindibili necessità di ordine finanziario. Due anni di guerra hanno bastato ad esaurire completamente le sue già deboli risorse finanziarie; per poter continuare la lotta gli converrà ricorrere, ed in larga misura, al credito dell'estero; e per la guerra il Giappone non troverà più denaro, anche sottostando ai maggiori sacrifizì; i mercati finanziarì, non esclusi gli inglesi, gli rimarranno implacabilmente chiusi. Un cambiamento notevole si è del resto prodotto ultimamente nell'attitudine del mondo civile, riguardo l'Impero del Sole Levante; il convegno di Portsmouth ha avuto per effetto di far vedere faccia a faccia i due avversarì, e nel mentre il credito e le simpatie per la Russia si sono dovunque, per merito, specialmente, del sig. Witte, sensibilmente elevate, hanno corrispondentemente ribassato le azioni del Giappone. Anche di queste mutate disposizioni il Governo del Mikado dovrà tener conto. La pace quindi s'imporrebbe fatalmente al Giappone, ma per ottenerla gli sarà d'uopo recedere dalle sue esorbitanti esigenze, giacché per conto suo la Russia è fermamente decisa di non rimuovere un passo dalla sua attitudine. Tutt'al più nella questione dell'indennità di guerra, essa è disposta ad accordare un risarcimento per le spese effettivamente sopportate per il mantenimento dei prigionieri di guerra, che essa calcola ad una somma non superiore ai duecentocinquanta milioni di yen.

Tali le cose dettemi dal sig. Hartwig che ho tenuto di coscienziosamente riferire alla E. V., senza però attribuirvi un valore soverchio. A differenza del suo capo diretto conte Lamsdorf, il quale non si esprime che per monosillabi, il capo del primo dipartimento suole spesso nelle sue conversazioni coi rappresentanti esteri lasciarsi trascorrere con esuberante verbosità, a considerazioni ed apprezzamenti suoi personali, che sono poi spesso contraddetti dalla realtà dei fatti. Citerò a questo proposito le previsioni ottimiste fattemi dal sig. Hartwig alla vigilia della battaglia di Mukden. Del resto, in tutte le grandi questioni di politica estera, sempre riserbate in ultima analisi alla decisione imperiale, avvi spesso divergenze fra le vedute prevalenti in parte al Ministero degli esteri, e quelle personali del sovrano, ed accade di sovente che negli uffici del prefato dicastero viene asserita una cosa che a Corte invece è trattata e decisa in modo affatto diverso.

268

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI,

R. 883/310. Londra, 27 agosto 1905 (perv. ill0 settembre).

Ho avuto subito occasione di avvalermi dei dispacci di V.E. del 18 corrente nn. 325, 326 1•

Ieri, trovandomi a parlare col sottosegretario di Stato aggiunto, ora reggente il Foreign Office, sulle cose di Somalia, lo rassicurai intorno alle notizie telegrafate dal capitano Cordeaux sull'attitudine sospetta del Mullah. Gli dissi pure che di quel telegramma del sig. Cordeaux furono immediatamente informate le rr. autorità consolari e navali in Aden per loro opportuna conoscenza e norma di condotta. Il sottosegretario di Stato avea già saputo ciò dal generale Swayne e dalle autorità britanniche in Somalia ed a Aden e ringraziò per la premura dimostrata dal R. Governo in questa circostanza. Indi mi parlò spontaneamente dell'incontro del comm. Pestalozza col generale Swayne a Lione e si dimostrò molto soddisfatto del risultato, essendo stato possibile stabilire un accordo sopra i vari punti che erano in discussione. Ma egli, al par di me, non conosceva ancora i particolari dell'accordo ed aspettava che gli fosse comunicata la relazione Swayne.

Da ultimo egli mi annunziò che il generale era venuto il giorno innanzi a dirgli che ripartiva di lì a poche ore per Berbera in conformità delle istruzioni del Ministero delle colonie. Questa determinazione sarebbe stata presa in seguito a telegrammi poco rassicuranti giunti dalla Somalia sull'atteggiamento del Mullah: ma il sottosegretario di Stato non era in grado di dirmi qualcosa in proposito non avendogli ancora il Colonia! Office inviati quei telegrammi. Aggiunse che riteneva avesse Swayne avvertito di tutto Pestalozza col quale si sarebbe probabilmente abboccato traversando l'Italia. Ho così l'onore di confermare il telegramma n. 792 che spedii ieri a V.E.

Credo utile accludere un comunicato d eli' Agenzia Reuter2 sull'incontro Pestalozza-Swayne a Lione, pubblicato alcuni giorni or sono, pel caso non fosse giunto a sua conoscenza.

268 1 Non pubblicati. 2 Non pubblicato.

269

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI

D!SP. RISERVATO 43876/337. Roma, 29 agosto 1905.

Le accuso ricevimento del rapporto n. 274 del l o agosto 1905 1 e ringrazio l'E.V. delle interessanti notizie che ivi mi ha dato sulle azioni delle ferrovie etiopiche.

Circa all'eventuale acquisto di tali azioni è fuor di dubbio che non si tratterebbe di acquisto per parte del Governo, bensì per parte di un istituto di credito. E ciò non mai per un intervento nel consiglio di amministrazione, sibbene allo scopo di conseguire un'influenza maggiore nella compagnia trasformata, qualunque fu questa trasformazione. Né so comprendere che, nel fatto di un acquisto per parte di un istituto di credito di titoli che potrebbero essere utili per l'avvenire, si possa vedere un intrigo e non invece una operazione.

270

L'AMBASCIATOREA WASHINGTON, MAYORDES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2274/709 bis. Washington, 30 agosto 1905 (perv. l'11 ottobre).

La conclusione della pace è riguardata come un trionfo del presidente Roosevelt, e, sua mercé degli Stati Uniti. Tutti, senza distinzione di partiti, lo elogiano, né credo vi sia, per quanto ampia è l 'Unione, alcuna voce discordante. Il capo democratico William J. Bryan gli ha telegrafato: «your successfull efforts reflect credit on the nation». Già lo si tramanda alla storia col nomignolo di «Pacificatore» (the Peacemaker). Certamente ebbe grandi meriti: l'aver presa l'iniziativa della conferenza, l'averla proposta a momento opportuno, l'essere giudiziosamente intervenuto quando pericolava; l'aver fatto sentire a Pietroburgo ed a Tokio gli argomenti proprii ad ottenere maggiore arrendevolezza dal vinto, maggiore moderazione dal vincitore. Se non era di lui, la conferenza non s'adunava; se non era lui, la conferenza falliva. Egli è pienamente riuscito in un compito al quale altri capi di Stato si sarebbero malagevolmente sobbarcati, vedendone le grandi difficoltà, e del quale, per queste difficoltà medesime, sarebbero malagevolmente venuti a termine, se sobbarcativisi. Cotali ardimenti e cotali successi sono effetto della sua natura: egli non conosce ostacoli e non dubita di se stesso. Inoltre, secondo mi diceva la persona che gli sta più dappresso, mette tutto l'animo in tutto ciò che imprende a fare, e tutto l'animo suo comprende una intelligenza, un'energia e un'ambizione personale superiore alla comune.

Il Roosevelt è, oggidì, considerato, dalla grande moltitudine degli americani, l 'uomo più popolare dei due emisferi.

I suoi ammiratori temono per lui soltanto la «gelosia» del suo rivale in attività, l'Augusto Sovrano Europeo che qui chiamano, senz'altro, il «Kaisem, ed i sospetti del Senato, che già diffidava di lui non assurto a trionfi mondiali, e di lui diffiderà maggiormente, se coloro di cui si va circondando, e sceglie fra i più ligi agli interessi che dominano in Senato, non parranno sufficienti a temperare con la loro prudenza le di lui audacie.

269 1 Vedi D. 208.

271

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 901/316. Londra, 1° settembre 1905 (perv. il 5).

L'annunzio che ebbi l'onore di dare a VE. con rapporto del 26 agosto p.p.

n. 3071, del rinnovamento dell'alleanza anglo-giapponese riceve ora conferma. Stamane un comunicato di carattere ufficioso apparso nella stampa fa conoscere che quel trattato fu firmato a Londra il 12 scorso mese.

Come a VE. risulterà dal comunicato stesso, di cui unisco il testo, i nuovi patti sarebbero realmente più ampi di quelli antecedentemente stipulati dalle parti contraenti. Infatti si sarebbe ora convenuto che l'obbligo di assistere militarmente l'alleato è di carattere generale e non limitato al caso di aggressione da parte di due o più potenze, secondo è detto nel trattato del 1902. Inoltre i contraenti si garantirebbero il rispettivo statu qua territoriale in Asia. Questa ultima clausola riveste speciale importanza derivando da essa, come sembra, l'obbligo del Giappone di prestare il suo concorso armato alla Gran Bretagna nel! 'ipotesi d 'un attacco contro le Indie.

Al primo momento non è possibile riferire l'impressione che l'annunzio della conclusione del trattato produce, né l'interpretazione che vi si dà. È necessario aspettare perciò alcuni giorni e rimettere l'esame sulla portata delle clausole a quando il testo sarà noto.

271 1 Non pubblicato.

272

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

Drsr. 4493611035. Roma, 5 settembre 1905.

Le accuso ricevimento e la ringrazio dei rapporti nn. 875 e 876 del l o agosto1 con i quali l'E.V. mi ha informato dell'attuale situazione in rapporto al noto negoziato per l'Etiopia. Certo la relazione parlamentare è tale documento che non potrà mancare di esercitare influenza nelle decisioni che sarà per prendere cotesto Governo e sotto certi aspetti, come giustamente nota I'E.V., essa potrebbe anche favorire le nostre vedute. Come pertanto ivi si parla di neutralizzazione della Etiopia, è bene, ad ogni buon fine, che io le confermi che un tal provvedimento non entra affatto nelle vedute del R. Governo.

In quanto all'assenso di Menelik all'accordo per l'Etiopia, come già comunicai ali'E.V., è solo alla questione relativa alle ferrovie che un tale assenso si riferisce.

273

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1672/5841• Berlino, 6 settembre 1905 (perv. iliO).

Le trattative di pace di Portsmouth sono state qui seguite colla più grande attenzione: non con quella del tranquillo spettatore bensì con quella di chi aveva in esse interessi di natura economica e politica.

Per quanto riguarda i primi è, infatti, da por mente che in Germania si trovano circa tre miliardi di fondi russi, i quali dal 6 febbraio 1904 alla battaglia di Tsu-shima avevano subito un deprezzamento in media del dieci per cento. La Germania che nel 1903 aveva ricevuto dalla Russia per ottocentoventisei milioni di merci aveva visto diminuire questa cifra ad ottocentodiciotto milioni nel 1904. La Germania che aveva esportato per trecentosettantotto milioni in Russia nel 1903 non vi esportò che per trecentoquindici milioni nel 1904. L'aumento verificatosi dal 1903 al 1904 nelle relazioni commerciali tra la Germania ed il Giappone non fu sufficiente compenso: esso non raggiunse che la cifra di dodici milioni. Le grandi società di navigazione germaniche

273 1 Autografo.

poterono vendere alla Russia parte delle loro navi di vecchio modello, col cui ricavato verranno costruiti nuovi piroscafi; esse conclusero pure con essa contratti utili per fornitura di carbone, per trasporti ecc.: realizzati questi profitti, desideravano però esse pure ristabilire quei servizi marittimi che dovettero sospendere in conseguenza delle ostilità. Nella fiducia che dall'indebolimento dei due avversari di jeri trarranno vantaggio sul terreno economico altri Stati economicamente forti, l'industria, il commercio e la navigazione della Germania aspettavano ansiosamente la conclusione della pace per mettersi tra i primi su questo campo di pacifica e feconda lotta.

Per quanto concerne l'interesse politico col quale la Germania seguiva le trattative di pace mi riferisco innanzi tutto a quanto io ebbi l'onore di esporle col mio rapporto riservato n. 512 del5 agosto u.s. 2 . Era corsa bensì voce che l'imperatore Guglielmo avesse dato nell'incontro di Biorko consigli che non avrebbero reso più facile la conclusione della pace. Ma quella voce non poteva reggersi neppure di fronte alla critica più superficiale. Dal principio dell'azione del presidente Roosevelt, l'imperatore Guglielmo ed il suo Governo non hanno tralasciato di adoperarsi in favorevole circostanza, in quanto era loro concesso, per promuovere la conclusione della pace. La Germania, ha detto il principe Biilow, era interessata perché avessero a cessare al più presto il rischio e le incertezze che si collegano strettamente con ogni grande guerra. Dell'opera qui data in favore della pace è stato del resto autorevole testimone lo stesso presidente Roosevelt. Questi, all'Imperatore che lo felicitava per l'opera umanitaria compiuta con così lieto successo, rispondeva: «l thank you most heartily for your congratulations and I wish to take this opportunity to express my profound appreciation of the way in which you have cooperated at every stage in the effort to bring about peace in the Orient. It has been a very great pleasure to work with you towards this end».

Il Governo imperiale saluta ora la conclusione della pace, questa indubbia vittoria diplomatica della Russia, colla più sincera soddisfazione. L'avvenimento costituisce un successo per lo Zar, per i suoi consiglieri, per i negoziatori di Portsmouth e dimostra quanta forza di resistenza possieda ancora il vicino Impero malgrado la lunga serie di insuccessi militari per mare e per terra. La constatazione di siffatta forza, secondo questo Governo, è la migliore riprova delle teorie politiche che hanno la loro base nella considerazione dell'Impero moscovita. Il principe di Biilow, che, nello scorso inverno, rispondendo nel Reichstag al leader socialista, diceva di non aver perduto fiducia nelle energie della Russia, la cui amicizia era pur sempre apprezzabile per la Germania, vede così assicurato alla sua affermazione il conforto del fatto. Per quanto concerne il Giappone il conte Pourtalès dicevami che il Governo imperiale non è ancora bene in chiaro sulle considerazioni che lo hanno indotto a cedere. Mentre a questo riguardo si attendono informazioni e si vagliano le ipotesi più attendibili -su di che V.E. ha certo notizie da fonte più autorizzata-vien lodata la moderazione degli uomini di Stato giapponesi, la quale è prova della loro saggezza. Siffatta moderazione, agli occhi di questo Governo, è tanto più da apprezzare in quanto che essa non fu determinata da alcuna pressione venuta dall'estero, bensì fu disposizione spontanea del Mikado e dei suoi consiglieri. Il conseguimento dei vantaggi materiali, a causa dei quali la guerra fu cominciata, i successi militari, lo spirito

di sacrificio, il chiaroveggente patriottismo, i progressi e l'organizzazione del Giappone che così brillantemente si dimostrarono durante la lunga lotta, collocano naturalmente l 'Impero asiatico al pari delle grandi potenze di civiltà occidentale.

La Germania vedrà con soddisfazione la riorganizzazione della Russia all'intemo e la ricostituzione delle sue forze militari e marittime. Gli impegni, i disastri militari russi in Estremo Oriente hanno provocato un orientamento nuovo di potenze nelle quali quegli impegni e quei disastri avevano ripercussione. Giunsero così ad una intesa cordiale l'Inghilterra e la Francia. Malgrado a Londra ed a Parigi si cerchi di toglieme ogni punta contro la Germania, è naturale che questa, dopo aver osservato attitudine di equilibrio tra l'Inghilterra e la Russia, di fronte all'avvicinamento anglo-francese, muova più decisamente lo sguardo verso Pietroburgo. La Russia, anche dopo scaduto quel Riickversicherungs-Vertrag che fu concezione del principe di Bismarck, ha dato a più riprese qui assicurazioni che l'alleanza francorussa escludeva ogni aggressione contro la Germania, che la Francia avrebbe eventualmente «joué à son risque et pérille ròle du trouble-fète». La politica russa e la politica germanica nella questione polacca quadrano. Nell'Oriente asiatico, dove tanto attivamente svolge le sue vigorose energie economico-finanziarie, la Germania trova nell'Inghilterra e nel Giappone i suoi primi rivali. La Russia non mosse ostacolo alla presa di Kiao-chow, mentre l'Inghilterra deve dividere con la Germania il possesso territoriale della penisola di Shan-tung. In altre considerazioni d'ordine generale sulle relazioni internazionali della Germania non è bisogno di entrare qui: mi riferisco ai rapporti dell'ambasciata. Il Giappone, dal quale, secondo la designazione dell'imperatore Guglielmo, muove il pericolo giallo e che vide la Germania nella coalizione del 1895, assisté con gelosia allo stabilirsi della Germania a Kiao-chow. Le autorità militari tedesche che furono nell'Estremo Oriente, già lo stesso maresciallo Waldersee, hanno qui sostenuto che quel possedimento non è sicuro di fronte al Giappone. In queste condizioni la Russia, che si ritira bensì ma non sparisce dall'Estremo Oriente e non vi ha contrasto di interessi con la Germania, vi rappresenta pur sempre un fattore il quale -ricostituite le forze -potrà essere non inutile ad essa. Parlandomi dei negoziati di pace il sig. Miihlberg mi diceva che una potenza come la Russia non avrebbe aderito alla richiesta limitazione delle sue forze in Estremo Oriente. E l 'importanza politica deli 'intervista di Biorko consisteva, come ho riferito, nella riconferma di strette relazioni tra i due Sovrani e tra i due Imperi. Durante la lunga guerra il Governo imperiale ha osservato bensì una linea di condotta improntata alla osservanza di stretta neutralità; ma entro i limiti della neutralità l 'attitudine del Governo imperiale, malgrado pressioni interne in senso contrario, fu oltremodo benevola verso la Russia tanto da permetterle di sguamire la sua frontiera verso la Germania per concentrare maggior numero di truppe sul teatro della guerra. Non è certamente il solo sentimento di riconoscenza che spingerà la Russia verso la Germania: altrettanto certo è però che la Germania non ha inteso di rendere alla Russia un puro Liebesdienst. Il principe di Biilow, continuatore fortunato di quel realismo politico del quale fu grande maestro il principe di Bismarck, dà opera per assicurare alla sua politica il vantaggio delle nuove congiunture internazionali. E le dichiarazioni germanofile fatte dal Witte a Portsmouth stanno a provare che l'attitudine del Cancelliere non resta senza sufficiente corrispondenza.

272 1 Non pubblicati.

273 1 Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 581/225. Pietroburgo, 6 settembre 1905 (perv. i/17).

In mezzo al rumore sollevato dalla riuscita dei negoziati di pace russo-giapponese, è passato, qui, quasi inosservato un'altro importantissimo avvenimento internazionale, che è destinato ad avere una grande influenza sui risultati dell'accordo di Portsmouth, e che fu forse anzi di quest'intesa la causa determinante, voglio parlare della Convenzione tra l'Inghilterra ed il Giappone che sarebbe stata di recente, se non conclusa, almeno delineata nelle sue parti principali, fra lord Lansdowne ed il visconte Hayashi. A differenza della Convenzione stipulata fra le due potenze predette nel 1902, ove contemporaneamente all'annunzio dell'intervenuto accordo ne vennero pure pubblicate le disposizioni, le clausole della nuova Convenzione sono finora tenute segrete, ed è permessa l 'ipotesi che, per mutuo accordo, non verranno rese di pubblica ragione se non quando sarà pubblicato il trattato di pace fra la Russia ed il Giappone.

Era, come l'E. V. sa, da lunga pezza nei propositi del Governo inglese di addivenire col Governo del Mikado, prima che scadesse la Convenzione del 1902, ad una rinnovazione di quella Convenzione su più larga base, e con impegni più formali e precisi, e ciò col duplice scopo di premunirsi contro il possibile rischio che, con lo (sic) ristabilimento della pace, la diplomazia russa (come ebbe forse il torto di manifestarne troppo apertamente l'intenzione) tentasse con ogni mezzo un riavvicinamento con il Giappone, a danno anzitutto dell'Inghilterra, e d'altra parte ad avvantaggiare gli interessi britannici in Asia, meglio che no l facesse l'antico accordo. Se son vere le notizie date dalla stampa inglese, né la cosa appare improbabile, l'accordo in questione, oltre al sanzionare nuovamente, cd in forma più solenne, il mantenimento dello sta tu qua in Asia (quale, almeno, forse sarà per risultare dal trattato di pace russogiapponese) garantirebbe pure, reciprocamente, alle due parti contraenti, i loro possessi rispettivi su tutta la vasta estensione del continente asiatico, a partire da un punto determinato del Golfo Persico. È stato detto pure che la Convenzione testé stipulata contenga pure un'altra importante variante a quella del 1902, nel senso che, nel mentre quest'ultima subordinava l'appoggio armato da prestarsi reciprocamente al solo casus .fòederis, la prima, invece, stipulerebbe formalmente questo appoggio anche in caso di aggressione per parte di una sola potenza. Checché ne sia, anche la semplice garanzia data dall'Inghilterra a favore dei possessi del Giappone nell'Estremo Oriente, basta ad assicurargliene definitivamente l'incontrastato possesso, né è quindi improbabile che il Giappone (il quale aveva all'inizio della Conferenza di Portsmouth, posto come base delle trattative di pace l'ottenimento di certe determinate garanzie, come la limitazione delle forze navali del Pacifico, lo smantellamento di Vladivostock e la concessione integrale di Sakalin, solo atte, a suo giudizio, ad assicurargli una pace duratura) abbia creduto, dopo ottenuto dall'Inghilterra un siffatto affidamento, far abbandono di gran parte di queste sue esigenze; il che spiegherebbe, in certa misura, l'improvvisa sua remissività.

Ritengo fermamente che la nuova convenzione anglo-giapponese possa essere accolta con fiducia e tranquillità da tutti gli amici della pace. Lo stesso fu detto, è vero, dell'accordo del 1902, che risultò, invece, una delle cause determinanti della guerra ora finita; ma allora il Giappone, più ancora che per assicurare la sua posizione nell'Estremo Oriente, allo scopo di garantire la propria incolumità, vedevasi fatalmente trascinato ad opporsi con le armi alla minacciosa avanzata della Russia; e l'accordo con l'Inghilterra, che veniva così a togliere di mezzo la probabilità di ogni coalizzazione a suo danno, la quale sola avrebbe potuto rintuzzame i bellicosi propositi, non poteva che spingerlo alla guerra. La situazione è ora invece ben diversa. Debellato l'avversario, assisa in solide basi la sua supremazia poi itica in tutto l 'Estremo Oriente, il Giappone non aspira più che ad una pace durevole.

La tranquillità nell'Estremo Oriente non può ormai più essere turbata che dalle velleità di rivincita per parte della Russia, esse stesse pure poco probabili, almeno in un immediato avvenire. La convenzione anglo-giapponese, col garantire i rispettivi possessi delle due potenze, con l'esigere il rispetto dello statu qua, con il sanzionare il principio della porta aperta, servirà non soltanto ad annullare siffatte velleità, ma a paralizzare l'azione di tal une potenze, miranti a conquiste, annessioni, o locazioni territoriali in Cina. Davanti alla nuova e più stretta alleanza, l'accordo russo-francese del 1902, pur ammesso e non concesso che sia ne Il 'interesse della Francia di rinnovarlo e di metter lo all'unisono con l'accordo anglo-giapponese, è destinato a rimanere impotente. A ristabilire il rotto equilibrio, appena potrebbe bastare la compartecipazione di una terza potenza, la Germania; ritengo, tuttavia, quest'ultima troppo abile ed accorta per volersi compromettere in un così cattivo affare. Ma, lo ripeto, il nuovo accordo ha scopi esclusivamente difensivi, né pregiudica in verun modo la pace del mondo; esso non può, quindi, che essere favorevolmente accolto da quelle nazioni, nel no vero delle quali appartiene l 'Italia, che, aliene da mire ambiziose di conquiste, non aspirano che a vedere il continente asiatico aprire sempre più ad un pacifico svolgimento economico, a cui tutte le nazioni siano chiamate a partecipare in egual misura.

Da un punto di vista, poi, puramente inglese, la Convenzione di cui trattasi, la quale viene a mettere i possessi indiani sotto l'egida del Giappone, le di cui recenti vittorie hanno centuplicato il prestigio sopra tutto il mondo asiatico, rappresenta pure un eccellente affare, ed il Gabinetto Balfour può a buon diritto vantarsi di aver reso al proprio paese un segnalato servizio.

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L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 1815/152. Therapia, 8 settembre 1905, ore 22,30.

Sultano ricevutomi oggi, mi ha intrattenuto a lungo controversia Ansaldo, insistendo perché io mi adoperi a che essa venga risoluta presto in via extraufficiale direttamente col Palazzo, senza mischiarvi la Sublime Porta. Sultano ha aggiunto essere stato proprio lui a volere affidata ad Ansaldo riparazioni sue navi; importargli quindi assai ora di potere dimostrare ai suoi ministri che, rivolgendosi all'industria italiana, Governo imperiale ha fatto un buon affare. Se questione non venisse risoluta in modo equo e soddisfacente, opposizione inevitabile del Consiglio dei ministri, gli impedirebbe ordinare in futuro altre navi in Italia. Iersera avrei [sic] di nuovo telegrafato a V.E. 1 per informarla del desiderio del Sultano e pregarla di intervenire efficacemente presso Ansaldo affinché siano senz'altro inviate qui persone competenti per dirimere controversia in via amichevole con Izzet pascià. Sultano mi ha ringraziato, manifestandomi in pari tempo desiderio di ricevere presto risposta. Non è il caso per me di esprimere parere in merito controversia tecnica di cui, del resto, ignoro termini precisi. Mi sembra però che Ansaldo farebbe assai bene a secondare il desiderio di

S.M. imperiale. Se Ansaldo si mostrerà, troppo rigidamente intransigente in questa occasione, si può essere sicuri che, disgustato il Sultano, né quella, né altre Case italiane riceverebbero più ordinativi. Diverrà, inoltre, sempre più difficile concludere con questo Governo affari economici industriali di qualsiasi natura. Tutto ciò andrà ad esclusivo vantaggio di Case francesi, inglesi, tedesche qui rappresentate da persone di rara abilità per trattazione affari in Oriente.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 590/229. Pietroburgo, Il settembre 1905 (perv. il 17).

In questi circoli ufficiali continuasi a dichiarare nulla esser cambiato nella posizione e nella politica della Russia nell'Estremo Oriente, ed assicurasi anzi, esser nei progetti dello Zar di mantenere colà la carica di luogotenente imperiale, già tenuta dall'ammiraglio Alexeiew, investendone l'attuale comandante in capo delle truppe

russe in Manciuria, generale Linievich. Ben pochi, però, prestano intera fede a queste dichiarazioni, che tendono evidentemente allo scopo di attenuare, per quanto è possibile, agli occhi dell'opinione pubblica il grave scacco subito.

L'avventura mancese ha costato a quest'Impero tali enormi perdite e sacrifici, così sproporzionati ali' entità degli interessi russi colà ingaggiati, che sarebbe una vera follia il perseverare più a lungo in una azione infeconda, che, oltre al preparare per l'avvenire nuovi pericoli di complicazioni, è avversata al più alto grado dalla quasi totalità del popolo russo. Come già dissi, l'obiettivo di tutta la politica di questo Impero nell'Estremo Oriente consisteva nel dominio del mare e nella libera padronanza del littorale coreano, che era di questo dominio condizione essenziale. Questo obbiettivo è ormai irraggiungibile. La Corea è passata nelle mani del Giappone, e non può esserle strappata che dal mare e di una flotta navale russa, che sola potrebbe raggiungere questo risultato, non parlasi ormai più, né se ne parlerà per molti anni ancora, giacché non trattasi per la Russia soltanto di rifare una flotta, ma di riorganizzare interamente un servizio, di rieducare un personale la di cui assoluta insufficienza si è troppo chiaramente manifestata ne li 'ultima campagna. Ciò che presentemente abbisogna nell'Estremo Oriente non è un viceré, ma un sindaco di fallimento, né mi stupirebbe che a tali funzioni avesse a limitarsi il compito del generale Linievich, il quale avrebbe a presiedere soltanto alla definitiva liquidazione di tutta la malaugurata impresa.

Respinta dall'Estremo Oriente, o ve sarà adesso per indirizzarsi ali' estero l'azione della Russia, ammesso, come molti ritengono, che, sotto l'impulso della stessa sua forza di gravitazione, debba il colosso moscovita fatalmente allargarsi al di là dei propri confini? Ho sentito da alcuni ammettere il pronostico che tale movimento di espansione sarebbesi di bel nuovo portato verso l'Asia Centrale o ve, su un terreno già esperimentato in precedenti campagne, potrebbero le armi russe raccogliere facili allori e sollevare così il loro scosso prestigio; ma anche su quella via havvi il pericolo di dover nuovamente affrontare, accanto all'alleato britannico e per virtù del Trattato anglo-giapponese, il piccolo soldato nipponico, il che toglierebbe al programma molte delle sue attrattive. Per parte mia ritengo per certo che, di fronte alla grave situazione del paese, la politica estera della Russia, almeno nei prossimi anni, sarà esclusivamente una politica di raccoglimento. Quando la propria casa è in preda alle fiamme, occorre anzitutto spegnere l'incendio, prima di andare a cercare fortuna al di fuori. La dura lezione poi toccata alla Russia in Manciuria le ha aperti gli occhi sulle insanabili deficienze del suo organismo politico, sulla necessità di procedere a radicali mutamenti di tutti i suoi ordinamenti militari ed amministrativi. La lotta contro la rivoluzione interna e l'opera di riforme, ecco il duplice compito da affrontarsi e che basta da solo ad esaurire tutte le attività. Del resto, prima di azzardarsi in nuove avventure, occorre lasciare al tempo di attenuare l'impressione dovunque prodotta dalla disgraziata campagna n eli 'Estremo Oriente. Con uno scosso prestigio militare, una potenza come la Russia, la di cui posizione nel mondo era finora basata assai più sul timore che essa incuteva, che non sulle simpatie che aveva sapute suscitare, non può fare una buona politica estera. Due gravi questioni internazionali dovranno, però, fin d'ora fare oggetto della più seria attenzione del Governo imperiale. Le catastrofi russe nell'Estremo Oriente, e la conseguente diminuita sua posizione nel mondo, hanno profondamente turbato l'equilibrio europeo a danno della Duplice Alleanza, che esce dalla guerra molto diminuita e malconcia. Occorrerà quindi rimettere questa alleanza, per quanto è possibile, in gambe, se non fosse altro allo scopo di permettere alla Russia di continuare a valersi dei capitali francesi, nei suoi sempre crescenti bisogni finanziari. In secondo luogo, il problema balcanico reclama, del pari, da parte di questo Governo un maggiore interessamento. Assorbita dai suoi grandiosi progetti di espansione in Asia, pareva la Russia in questi ultimi anni avere un po' perduto di vista la sua storica missione in Oriente. Durante la guerra, poi, la sua azione rimase quasi interamente paralizzata sostituendosi, invece, alla sua, quella dell'AustriaUngheria. Ora, venute meno, colla cessazione delle ostilità, le circostanze attenuanti che sole giustificavano l'astensione, la Russia difficilmente potrà esimersi dall'esplicare nei Balcani una politica più attiva, se non vuole seriamente compromettere la sua posizione. Così pure le converrà esaminare, più seriamente di quanto fu fatto finora, fino a qual punto l'intesa con l'Austria-Ungheria, per le cose di Macedonia, il suo ulteriore svolgimento, e le sue prevedibili conseguenze, siano compatibili coi veri interessi russi. Sul modo in cui sarà per essere risoluto questo importante quesito, molto potrebbero influire, all'occorrenza, i cambiamenti che eventualmente potrebbero prodursi, in un breve avvenire, nell'alta direzione di questo Ministero degli affari esteri, cambiamenti, di cui tutt'ora molto qui si parla, non so, tuttavia, con qual fondamento. Il conte Lamsdorf è personalmente troppo impegnato nell'intesa austro-ungarica perché, per opera sua, siano da aspettarsi, da quel lato, notevoli cambiamenti, ma per parte di uomini come il sig. Witte e lo stesso sig. Muraviev che più generalmente vengono qui additati come probabili suoi successori, un sensibile mutamento d'indirizzo nella politica russa nei Balcani non è ritenuto fuori del dominio delle probabilità.

275 1 T. riservatissimo 1811/151, non pubblicato.

277

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. PERSONALE 1834/151. Vienna, 12 settembre 1905, ore 17.

Conte Goluchowski che ho veduto oggi mi ha pregato fare pervenire V.E. sue sincere congratulazioni per discorso da lei pronunziato Desio, che mi ha detto aver letto con vivo interesse e di cui ha rilevato esplicite franche ed opportune dichiarazioni in esso contenute.

278

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1846/50. Pietroburgo, 13 settembre 1905, ore 19.

Conte Lamsdorf mi ha detto che la situazione attuale in Creta non può lasciarsi eternizzare, ed essere urgente che le potenze prendano una decisione sul da farsi. Il disaccordo circa i metodi di azione che più ancora che fra i Gabinetti si manifesta sui luoghi nell'operato e nel contegno delle varie autorità internazionali, costituisce l'ostacolo precipuo alla pacificazione. L'efficacia di una ferma azione repressiva è provata dal fatto che laddove operano contingenti russi od inglesi, l'ordine è quasi ristabilito mentre altrove continua l'anarchia. Ma né Russia, né Inghilterra si assoggetterebbero a procedere da soli alla repressione, se le altre potenze continuassero a rimanere inattive; meglio converrebbe in quel caso che le potenze rinunziassero al loro compito in Creta, abbandonando l'isola a tutte le eventualità di una simile rinunzia, non esclusa un intervento ottomano. Il Gabinetto di Pietroburgo stava per l'appunto intendendosi con l 'Inghilterra per una comunicazione in quel senso da farsi agli altri Gabinetti1•

279

IL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 346/60. Cettigne, 14 settembre 1905 (perv. i/19).

I passi decisivi fatti in questi ultimi tempi dalle imprese italiane al Montenegro hanno visibilmente destato a Vienna qualche preoccupazione, che si rivela qui nell'attitudine del mio egregio collega austro-ungarico, barone Kuhn.

Se mal non mi appongo, pur non rimanendo inoperoso, egli si era illuso che le passate diffidenze fra il Governo principesco e l'antico sindacato italo-montenegrino, durassero ancora abbastanza da permettere ai suoi agenti di indagare, e a lui di riferire sistematicamente al suo Governo, aspettandone le istruzioni a Cettigne, mentre io stavo a caccia col principe ereditario nell'altipiano di Niksic. La nostra azione immediata e non curante delle viete pastoie e degli esiziali formalismi burocratici, lo disorientò per un istante, ed era appunto l'istante che io attendevo, per mettere il principe Nicola nell'alternativa di prendere un impegno formale, o di rinunciare a tutto. Così fu firmata, a

Niksié, dal ministro delle finanze, sig. Mijuscovich, in nome del Sovrano, la lettera, che costituisce appunto tale impegno formale di concessione del porto della ferrovia d'Antivari al nuovo sindacato, presieduto dal comm. Paganini.

Non appena, giorni sono, il principe ereditario fu tornato qui da Niksié, (dove il principe Nicola si trova tuttora), si recò da lui, a tarda ora della notte, un funzionario montenegrino, insistendo per riferirgli cosa di somma urgenza, sebbene Sua Altezza Reale fosse a letto indisposta. Ricevuto dal principe, gli disse che veniva da parte del barone Kuhn, a raccomandargli caldamente di far sospendere ogni accordo cogli italiani, poiché vi erano degli austriaci pronti ad assumere subito le stesse imprese, a condizioni molto più vantaggiose per il Principato. Sua Altezza Reale obiettò parergli inverosimile che il ministro d'Austria-Ungheria facesse quel passo in simile forma, ma il montenegrino, (che è del resto persona a lui devota), gli confermò che veniva per incarico del barone Kuhn, trasmessogli da un noto agente austriaco, residente a Podgoritza, dove abita egli pure, ed aggiunse che si era impegnato a dar subito una risposta. Sua Altezza Reale rispose esser lieto di annunciare che l'accordo era stato definitivamente concluso cogli italiani. In seguito a ciò, il barone Kuhn invitò ieri sera il principe a un piccolo pranzo e lo intrattenne poi a lungo e segretamente sull'argomento.

Circa questo colloquio, sono in grado di dare all'E.V. delle informazioni assolutamente esatte.

Il mio collega cominciò anzitutto a demolire, sotto ogni punto di vista, l'opera degli italiani, accusandoli della solita doppiezza di cui, in mancanza d'altre imputazioni concrete, gli stranieri sogliono gratificarci, da Caterina de' Medici in poi. E, dopo aver affermato che gli italiani non saranno mai capaci di fare né la ferrovia, né il porto, né il servizio sul Lago, chiese istantemente al principe che trovasse modo di far rompere con loro ogni impegno, facendovi subentrare il Governo austriaco, il quale era pronto a fare a tutte spese sue, e senza compensi, la ferrovia, (allacciandola alla propria linea, da prolungarsi da Zelenika a Spizza), e perfino a rilevare il Monopolio dei tabacchi. Avendogli il principe obiettato che nulla di ciò era possibile, egli dichiarò, senza ambagi, che farà di tutto per sollevare ostacoli a queste imprese italiane, sia per terra, che per il Lago.

Io credo di conoscere bene il mio collega austro-ungarico, ottima persona, con cui sono nei migliori rapporti sociali, essendo mia cura di parlargli di qualunque argomento, meno di cose che riguardino, anche lontanamente, il nostro rispettivo ufficio. Scrupoloso e metodico esecutore degli ordini superiori, egli non è certo l'uomo da assumersi la responsabilità d'iniziative personali, per rimediare alla lentezza dei congegni burocratici, che egli stesso candidamente deplorò, avendogli il Principe chiesto perché non s'era fatto avanti prima. Evidentemente dunque, questi passi da lui fatti rispondono ad ordini tassativi da Vienna, che, questa volta, gli sono giunti troppo tardi.

Non mi permetterei di tediare l'E.V. con queste minuzie, che, a tutta prima, possono sembrare i consueti pettegolezzi dei piccoli posti, se non mi premesse dimostrarle che dobbiamo, ora più che mai, attenderci a veder sorgere contro queste imprese italiane, difficoltà, che, dato l'ambiente, possono essere qui più rilevanti che altrove. Avevamo finora almeno il vantaggio che la Russia, occupata e preoccupata dei casi suoi, pareva guardare le imprese italiane con occhio meno sospettoso di prima.

Senonché il nuovo ministro russo, sig. Maximov, stamane si recò anch'egli dal principe ereditiario a fare una carica a fondo contro tali imprese, che porteranno il paese alla rovina, ecc. In ogni modo, a noi non mancano l'energia e la prudenza necessarie per continuare questa lotta pacifica ed è sempre un vantaggio il poter essere ben informati delle mosse degli avversari. Per ovvie ragioni, debbo pregare l'E.V. di voler considerare quanto precede come strettamente riservato.

Sfortunatamente è tuttora insoluta la questione del tracciato della ferrovia, a cui si riferisce il qui unito rapporto del marchese Imperiali, che V.E. si compiacque comunicarmi col dispaccio del29 agosto, n. 43767/641• È evidente che in questo frattempo l'Austria farà tutto il possibile per aumentare le difficoltà a Costantinopoli, e non mi pare da escludersi che la Russia possa far altrettanto. Io sono sempre convinto che la progettata visita del principe ereditario al Sultano darà modo di raggiungere lo scopo desiderato, rimediando all'imperizia dell'incaricato d'affari montenegrino. Ma, anche qui, l'essenziale è far presto, e certo il prolungarsi del soggiorno del principe Nicola a Niksié è una causa naturale d'indugio. Io non ho mancato di sollecitare di qui la cosa e, occorrendo, mi sobbarcherò di nuovo al lungo viaggio fino a Niksic, pur di portare a termine anche questo passo, che è di capitale importanza per il successo dell'opera. A Niksié si trova tuttora il predetto ministro delle finanze, l'unico membro del Governo, che, per coltura e carattere, sia all'altezza della situazione. L'azione sua illuminata ed energica fu sempre il migliore appoggio della nostra, ma gli altri membri del Governo sono, in generale, diffidenti e retrogradi e quindi, per quanto concerne gli interessi nostri, bisogna che io faccia un lavorio cauto ma continuo, per neutralizzare la loro influenza sull'animo del principe. Abbiamo guidato la nostra nave in porto, ma è un porto malsicuro e conviene sempre stare in vedetta.

Negli ultimi giorni in cui mi trovavo a Niksié, il principe Nicola ricevette dall'Orientverein di Vienna la lettera e il progetto di statuto, che mi onoro di accludere, in copia letterale2 .

Circa l'attuale importanza di questo sodalizio commerciale, la cui sede è nella via sulla quale prospetta la cancelleria della r. ambasciata a Vienna, potrà facilmente riferire l'ambasciata stessa. Io rammento benissimo che, anni sono, era una istituzione anemica, di cui facevano parte-per il nome-alcuni membri dell'aristocrazia austriaca, perfetti gentiluomini assolutamente innocui, alcuni impiegati governativi subaltemi ed una maggioranza di piccoli negozianti e speculatori, generalmente ignoti. Con ciò non escludo che l'associazione abbia potuto raggiungere un maggior grado di sviluppo e di solidità, ma la lettera qui unita in copia non mi sembra fame testimonianza. Infatti, colla medesima, l'Orientverein, proponendosi di fondare una società austro-montenegrina, con un programma molto vasto, manda al principe uno schema di statuto, che è un esilarante campionario di spropositi, e gli chiede subito denaro. Non credo abbia scelto le vie migliori per farsi prender sul serio. Le cose potrebbero però cambiare d'aspetto, qualora il Governo austriaco, per ragioni politiche, appoggiasse finanziariamente questa iniziativa.

La genesi di essa sta in una gita fatta a Cettigne, nell'aprile scorso, mentre io mi trovavo in Italia, da quindici membri dello stesso Orientverein, per consiglio e sotto la guida del noto ingegnere Descovich, il quale faceva contemporaneamente l'irredento col sindacato italo-montenegrino a Venezia, lo slavo oppresso col principe Nicola, e sovratutto (poiché il patriottismo -nemmeno quello vero -non dà pane), l'agente del Governo imperiale e reale. L'allegra comitiva si fermò qui appena due giorni, assistette ad una serata in suo onore alla legazione austro-ungarica, a cui intervenne il principe, e ripartì per la via di Scutari.

Ora l'Orientverein ha mandato anche al Ministero montenegrino delle finanze un'analoga comunicazione, chiedendo speciali facilitazioni per l'importazione austriaca. Il ministro ha risposto che, siccome l'Austria-Ungheria continua a tirar per le lunghe i negoziati per un trattato di commercio col Montenegro, questo, malgrado ogni suo buon volere, non può per ora accordare tali facilitazioni, le quali dovrebbero appunto assumere la forma di stipulazione convenzionali.

Questo è, per il momento, lo stato delle iniziative austriache al Montenegro. Ma, come dissi più sopra, conviene attenderci ad un prossimo risveglio e star preparati a difendere con cauta fermezza quanto abbiamo guadagnato finora, a prezzo di tante fatiche3 .

278 1 Vedi D. 280.

279 1 Non pubblicato. 2 Non pubblicati.

280

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 1441. Roma, 16 settembre 1905, ore 16,20.

Dai miei dispacci del 22 e 24 agosto 1 , ella avrà tratto norma di linguaggio per rispondere alle cose dettele, circa la questione cretese, dal conte Lamsdorf, e da V.E. riferitemi col telegramma del 13 corrente n. 502 •

Appunto perché ebbi presente, fino dal principio, l 'urgenza di provvedere e la necessità di evitare disaccordi nei metodi, insistei, e tuttora insisto, sulla necessità di una pronta e conclusiva riunione dei rappresentanti delle potenze.

I nostri criteri di azione repressiva, noti a codesto Governo, non escludono l'energia, in quanto occorra; come ne è prova la recente occupazione di Kissamos. È noto, del resto, come nel nostro settore le difficoltà siano di gran lunga più gravi che negli altri distretti.

Attenderò le comunicazioni che codesto Governo si riserva di concertare con quello di Inghilterra; non senza osservare che, anche in questo caso, si manifestano gli inconvenienti inerenti al metodo fin qui seguito per procurare l'accordo fra i quat

280 1 Non pubblicati. 2 Vedi D. 278.

tro Gabinetti; inconvenienti che la riunione dei rappresentanti delle potenze con le modalità da me proposte, certamente derimerebbe. Ove non si assicuri con provvedimenti seri la netta amministrazione dell'isola, l 'Italia non è disposta a continuare a dividere con le altre potenze le responsabilità della anormalissima situazione.

279 3 Per la risposta vedi D. 290.

281

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 114/16. Addis Abeba, 16 settembre 1905 (perv. i/21 ottobre).

Con successive lettere, accompagnate da relazioni e memorie, inviate a questa r. legazione, il Governo della Colonia mi ha espressamente invitato ad esigere dall'imperatore Menelik: e l'amministrazione o l'annessione di estese province e di designati mercati, e il riconoscimento della nostra protezione su tribù dankale e, infine, l'istituzione, in centri importanti dell'Abissinia, di varie nostre residenze.

Suppongo che queste stesse memorie e relazioni, compilate da funzionari ed ufficiali della Eritrea con argomentazioni ritenute atte a giustificare le loro proposte, siano egualmente pervenute a codesto Ministero, perciò non specifico le cose, né partitamente le discuto, ma solo mi limito ad enumerare le varie richieste che dovrei fare all'Imperatore:

a) annessione dello Adiabo.

b) Amministrazione del Vuole ait e dello Tzeghedè.

c) Amministrazione dei mercati di Ghef e di Gubbi.

d) Assegnazione ad una società italiana delle saline di Arò.

e) Rettifica della frontiera dankala o la creazione di una zona neutra fra la frontiera da noi accettata e l'altopiano etiopico. f) Istituzione di agenzie commerciali (residenze) a Borumieda, Adua, Noggara e Gondar.

Il piccolo schizzo dimostrativo, qui accluso 1 , abbastanza sinteticamente raggruppa e pone in evidenza le richieste eritree; e dalla semplice dimostrazione grafica della somma di esse deducesi l'importanza e la difficoltà del compito che mi si assegna, poiché trattandosi di vasti acquisti territoriali e di esigenze che toccano interessi vitali de li'Etiopia non credo che Menelik possa consentirvi in via amichevole, né, anche ciò supposto, egli abbia potere a farlo opponendosi l'opinione pubblica del suo paese ed i suoi capi più intesi ed influenti.

D'altra parte, appunto per l'importanza delle cose e per le possibili conseguenze di una nuova attitudine di Menelik a nostro riguardo per le spiegabili diffidenze che

sorgeranno in lui, contro di noi, quando avrà avuta conoscenza delle nostre mire e delle nostre esigenze, io credo aver l'obbligo di prender ordini dall'E.V. e norma di mia condotta prima di eseguire quanto mi prescrive il Governo della Colonia.

Sono anche indotto a rivolgermi per queste cose alla E. V. dal fatto che il Governo della Colonia, considerando di avere già dei diritti su alcune tribù e territori della Dankalia, da noi formalmente riconosciuti compresi nell'Impero etiopico, e ritenendo quindi ogni azione abissina in quei paesi e su quelle tribù quale oltraggio a noi fatto ed offesa al nostro prestigio, potrà giudicare in modo sfavorevole l'azione di questa legazione che si è astenuta, finora, dal protestare presso il Negus. Naturalmente io ho dovuto seguire questa condotta in base alle istruzioni politiche che mi furono date dal

R. Governo con dispaccio n. 436 speciale del 19 ottobre 1897, mai più modificate2 . Se però ora credesi conveniente ed opportuno riaprire la questione dei confini dell'Eritrea e modificare i nostri rapporti con Menelik, io, in base alle nuove istruzioni che l'E.V. crederà impartirmi, riferito a V.E. lo stato delle cose e le prevedibili conseguenze, agirò presso Menelik nel senso e nella misura che mi sarà ordinata.

281 1 Non pubblicato.

282

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 970/1891• Madrid, 20 settembre 1905 (perv. il 25).

Ho chiesto questa mane al ministro di Stato che cosa pensasse della sospensione dei negoziati a Parigi sul programma della futura conferenza per gli affari del Marocco, e se lo impressionasse il tuono poco rassicurato della stampa francese e inglese in questi ultimi giorni.

Il sig. Sanchez Roman mi ha risposto che persiste a credere che la Germania non ha un vero e determinato proposito di occuparsi del fondo della quistione; e che quindi egli è sicuro di un prossimo e felice accomodamento, nonostante qualche dilazione e qualche grido d'allarme che vadano gettando giornali poco bene intenzionati. Egli si dichiara poi assolutamente certo che la conferenza si riunirà in Spagna, o probabilmente in Algeria.

Mi sarebbe difficile apprezzare al suo giusto valore il modo di vedere del ministro di Stato spagnuolo, tanto più che, essendo ancora assenti di qui tutti gli ambasciatori, non mi è possibile di controllare queste con altre informazioni. Mi basti, pertanto, il dire che la stampa spagnuola ha partecipato in questi giorni della nervosità della inglese e della francese; e che il desiderio preponderante qui (desiderio che forse si traduce in affermazioni, se non false, poco fondate) si è che si possa una buona volta uscire da una situazione incerta e non scevra di pericoli.

282 1 Autografo.

281 2 Vedi serie terza, vol. II, D. 244.

283

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2607/1062. Parigi, 21 settembre 1905 (perv. il 28).

I gravi eventi compiutisi negli ultimi tempi, dai quali saranno verosimilmente determinate situazioni politiche nuove, si svolsero all'infuori dell'azione della Francia. Non è venuto il momento di formulare delle previsioni le quali, per ciò che concerne questo paese, avrebbero carattere congetturale. Si possono tuttavia osservare taluni indizi e sintomi che gioverà non trascurare nei calcoli delle probabilità e che mi pare di poter raggruppare intorno a tre punti principali: la pace nell'Estremo Oriente; l'alleanza franco-russa; l'ultimo trattato anglo-giapponese.

Lo scoppio della guerra fra la Russia ed il Giappone sorprese la Francia e l'emozione della prima ora fu vivissima. Questo paese, secondo l'espressione di persona che deve essere benissimo informata, il sig. Hanotaux, a fai/li è tre entrafné dans le conflit.

Ma quando si vide che, in grazia sovra tutto del Trattato anglo-giapponese, la Russia non avea alcun interesse al soccorso militare della sua alleata e vi dovea conseguentemente rinunciare, gli animi si acquietarono ed il conseguito ravvicinamento con la Gran Bretagna dissipò in questo paese ogni preoccupazione. Quelle che avrebbero potuto nascere in conseguenza della serie ininterrotta delle inattese sconfitte della Russia e che sarebbero state naturali nel paese che ha affidato tesori a quell'Impero, non si erano ancora palesate quando, sotto gli auspici del colosso americano, si terminò la guerra. L'annunzio della pace lasciò freddi tutti gli animi in questo paese. Credo non errare osservando che qui si ebbe il senso intimo di non aver saputo tenere il posto che anche come grande Stato asiatico alla Francia avrebbe dovuto appartenere. L' accessit di buona condotta impartitole dal presidente Roosevelt nella risposta ai rallegramenti del sig. Loubet, non era fatto per dare soddisfazione all'amor proprio dei francesi. La nazione comprende di aver scapitato nella sua posizione politica.

Qualche sintomo d'inquietudine incomincia anche a rilevarsi a proposito dell'alleanza con la Russia. Durante la guerra, se si toglie qualche accondiscendenza ospitale nelle acque territoriali, resa possibile dalle regole di neutralità adottate anche in casi anteriori dal Governo francese e che in sostanza valse all'ammiraglio Rogestvensky di compiere il sorprendente viaggio che dovea finire miseramente a Tsuscima, la Francia era rimasta completamente inoperosa per la sua alleata. I forzieri francesi si chiusero l'indomani di Mougden ed il contratto già inteso per il prestito di seicento milioni, restò per reciproco accordo ineseguito. Queste circostanze spiegano che dell'alleanza tacesse lo Zar rispondendo al presidente della Repubblica, quando questi, forse con enfasi eccessiva, lo felicitò per la pace ristabilita, in nome della nazione amica ed alleata. Le condizioni della alleanza non sono abbastanza note perché si possano formare sicure previsioni sovra la sua durata.

Ad ogni modo, per le cause che tutti sanno, la fede robusta che qui si ebbe nella sua efficacia, è profondamente scossa. Anche l'opera di ravvicinamento con l'Inghilterra non pare essere stata continuata con il calore e la convinzione che vi aveva portato il suo iniziatore francese. Lo scambio di visite delle flotte mise questo fatto in piena evidenza. Compassate e caute le accoglienze in Francia, esuberanti di entusiasmo in Inghilterra, le manifestazioni concertate quando l' on. Delcassè era ancora ministro, si sono compiute in condizioni che non possono essere sfuggite all'attenzione del Gabinetto di Londra.

Mi premeva di sapere se quest'ultimo avesse agito di concerto con quello di Parigi nella conclusione della nuova alleanza con il Giappone. Dal linguaggio tenutomi a due riprese dal sig. Rouvier, mi è lecito ritenere che, neppure dopo la definitiva conclusione del trattato, la Francia ne ebbe comunicazione. Questo atto internazionale, di cui le conseguenze per questo paese possono essere importantissime, continua ad essere qui ignorato. Per comunicazioni ufficiose dell'inviato giapponese si sa soltanto che esso ha carattere assolutamente difensivo, che le due parti contraenti si assicurano reciprocamente i loro territori asiatici, che la durata sarà di dieci anni.

Ma qui si pongono per la Francia vari problemi che essa non è in grado di risolvere e che aumentano le sue perplessità dell'ora presente.

Qui s'ignora come l'Inghilterra abbia potuto conciliare i suoi nuovi impegni verso il Giappone con le intese stabilite con la Germania e la Francia relativamente ai territori cinesi. L'opera di penetrazione ferroviaria che si prosegue dai francesi nel Yunam da parecchi anni, non sarà intralciata dal nuovo assetto delle cose appoggiato alla alleanza delle due potenze presentemente dominatrici assolute del mare? E poi desta qualche inquietudine il ritardo stesso della pubblicazione del trattato. Vi è forse qualche ragione di tenerlo segreto finché le ratifiche della pace non siano state scambiate?

Di queste perplessità, destinate almeno in parte a scomparire fra breve, non occorrerebbe forse tenere gran conto se esse non si aggiungessero ad altre cause per cui questa nazione si dimostra da qualche settimana invasa da inquietudini delle quali importa fare calcolo.

284

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

T. 1488. Roma, 24 settembre 1905, ore 14,15.

È da escludere assolutamente l'invio da parte nostra di nuove truppe in Creta. Disapprovando l'azione del Governo locale e l'attitudine di taluna specialmente tra le potenze protettrici non vogliamo né possiamo cooperare più di quanto l'assoluta necessità delle cose e lo stato di fatto esistente ci costringa a un indirizzo politico che non approviamo. D'altronde essendo il nostro settore il più agitato e le nostre truppe le meno numerose non crediamo di poterei opporre quando veramente la tutela dell'ordine pubblico lo esiga a che le altre potenze che hanno maggiori truppe e settori più tranquilli cooperino nel settore nostro. Né mi sembra che ciò possa diminuire il nostro prestigio, tanto più che i settori non furono mai formalmente ricostituiti e il Comando superiore è in mano a un ufficiale italiano. Qualora quindi si dimostrassero evidentemente insufficienti le nostre truppe alla sicura tutela dell'ordine pubblico nel nostro settore io la autorizzo a mettersi d'accordo col comandante delle nostre truppe per affidare ad altra potenza che previamente vi si dimostri disposta il mantenimento dell'ordine in quelle parti del settore per le quali non bastino i nostri soldati rimanendo ben inteso che dovrà restare esclusivamente sotto la nostra azione la zona litorale e che nelle parti del nostro settore affidate ad altra potenza questa dovrà agire esclusivamente sotto la propria responsabilità. Qualora poi ristabilito l'ordine pubblico si dovesse mantenere la divisione dei settori rimane inteso che in tutto il settore italiano torneremo da soli. La autorizzo altresì a prendere in considerazione qualora ne venisse fatta nuovamente formale proposta la convenienza nel ripartire provvisoriamente il settore fra le quattro potenze.

285

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1490. Roma, 24 settembre 1905, ore 23.

Il r. incaricato d'affari in Londra mi telegrafa in data del 21 1 quanto segue:

«Sottosegretario di Stato mi ha detto avergli marchese Lansdowne scritto che, come ha più volte manifestato a questi ambasciatori d'Austria-Ungheria e di Russia, Sua Signoria pensa abbiano ora il diritto le altre quattro potenze di esprimere il loro avviso sovra i risultati delle riforme e che programma Miirzsteg e poteri agenti civili

non potrebbero, di fatto, considerarsi di una durata indefinita. D'altra parte, Sua Signoria riconosce che la nuova Commissione di controllo finanziario implichi, in certo modo, prolungamento di quel programma e dei poteri degli agenti, ma se il Governo italiano desidera "mettere i punti sugli i" (espressione testuale), circa proroga mandato, marchese Lansdowne riceverà con piacere comunicazione dei nostri propositi e sarà pronto a parlare con me sull'argomento al suo ritorno Londra per concertare un'azione eventuale».

Il modo di vedere del marchese di Lansdowne continua così ad affermarsi conforme al nostro, e in senso, cioè, ben diverso da quello ripetutamente espresso, ed anche recentemente confermato, ad Avarna, da Goluchowski, sia quanto alla durata del programma, sia quanto ai poteri degli agenti civili. Prima di far giungere al marchese Lansdowne una positiva risposta, gradirei conoscere il pensiero della E.V. così circa l'obiettivo specifico che, allo stato attuale delle cose, praticamente ci possiamo proporre, come circa il modo di procedere, che dovrà tener conto dell'opposizione eventuale di altre potenze, e alla necessità di evitare che, mentre si ricerca un accomodamento, non si abbia ad incorrere nel pericolo di aggravare e di far palese il disaccordo2 .

2 Per la risposta vedi D. 287.

385 1 T. riservato 1891/87 del 21 settembre.

286

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI

T. 1499 bis. Roma, 25 settembre 1905, ore 22,15.

Rispondo suo telegramma riservato n. 87 1•

Noi non intendiamo prendere iniziative che siano o possano sembrare ostili Austria e Russia. Tenendo conto delle dichiarazioni pubbliche fatte da codesto Governo di ritenere esaurito col biennio il termine fissato dal programma di Mi.irzsteg e ritenendo tale interpretazione conforme alla verità avevo pensato ad una soluzione conciliativa consistente in un prolungamento del mandato ma per atto e consenso esplicito delle altre potenze. Ma se l'Inghilterra abbandonasse suo primitivo punto di vista mancherebbero la giustificazione e la ragion di essere alla nostra proposta. A meno che l'Inghilterra medesima non reputasse opportuno di farla propria, nel qual caso troverebbe da parte nostra tutto l'appoggio2 .

287

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1919/160. Therapia, 25 settembre 1905, ore 17,40 (perv. ore 1,40 del 26).

Telegramma n. 14901•

Pur riconoscendo il fondamento osservazioni del marchese Lansdowne che istituzione commissione finanziaria implica virtualmente adesione potenze prolungamento del programma di Mi.irzsteg, io riterrei pericoloso inchinarsi davanti alle teorie del conte Goluchowski, il quale contesta altre potenze il diritto di ingerirsi nella questione del rinnovamento dei poteri agli agenti civili. Ammettendosi tale pretesa, posizione privilegiata austro-russa in Macedonia verrebbe constata sempre più e paralizzato, per contro, risultato favorevole ottenuto con la istituzione della commissione finanziaria.

Mi parrebbe, ciò stante, indispensabile nulla tralasciare perché la Francia e la Germania si uniscano all'Italia ed all'Inghilterra, insistendo che il rinnovamento avvenga sotto forma da cui risulti in modo esplicito, opera riformatrice due Imperi, conseguenza, non già diritto acquisito quali potenze più interessate, ma di un mandato conferito da tutte le potenze firmatarie del Trattato di Berlino.

2 Per la risposta vedi D. 295. 287 1 Vedi D. 285.

Non sarebbe superfluo eventualmente ricordare Austria e Russia che, soltanto unanimità perfetta tra le potenze potrebbe vincere resistenza sempre possibile della Sublime Porta. In complesso, equa desiderabile soluzione mi parrebbe quella enunciata nel dispaccio di V.E. in data 7 giugno n. 647 diretto al conte Tornielli2 .

Prima però di prendere qualsiasi determinazione, occorrerebbe chiarire, a mio avviso, se vedute attuali del conte Lamsdorf coincidano tuttora con quelle del conte Goluchowski, e, in caso affermativo, presentire disposizioni Parigi e Berlino.

Salvo ordini contrari di V.E., mi propongo di avere sull'argomento un franco scambio di idee col barone Marschall che tornerà sabato [il 30].

286 1 T. riservato 1891187 del21 settembre, il cui testo è riportato nel D. 285.

288

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1931/97. Addis Abeba, 25 settembre 19052 .

Harrington tratta con Menelik definizione frontiera sud; alla indolenza di Menelik, Harrington oppone recise minacce occupare con posti armati linea confine che Governo britannico ha proposto. Nelle discussioni di questi giorni tra Harrington e Menelik, questi ha recisamente affermato che Lug è suo e presto mi parlerà della cosa. Harrington confidenzialmente mi ha avvertito ed io prego V.E. di indicarmi condotta da tenere3 .

289

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 48045/186. Roma, 25 settembre 1905.

Sono grato all'E.V. delle notizie inviatemi e degli opportuni commenti fattivi coi suoi rapporti del 6 e del 7 corr. nn. 225 1 e 2272 , relativamente alla nuova convenzione anglo-giapponese.

2 Trasmesso da Asmara al governatore Martini il 27 settembre.

3 Per la risposta vedi D. 303.

2 Non pubblicato.

Mi compiaccio che l'E.V. scorga in questi accordi una garanzia per la pace e la tranquillità generale, e mi associo al suo voto che essi giovino all'incremento economico del continente asiatico rendendo possibile a tutte le nazioni di concorrervi liberamente.

287 2 Vedi D. III.

288 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 15.

289 1 Vedi D. 274.

290

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI

DISP. RISERVATO 48054/71. Roma, 25 settembre 1905.

Pregiomi accusare ricevuta e ringrazio V.S. dell'interessante rapporto che ella mi ha indirizzato il 14 corrente n. 60 1• Approvo pienamente le considerazioni svolte da V.S. in tale rapporto e nel confermarle l'opportunità di continuare nella linea di condotta da lei fin qui seguita, ...

291

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 19251181. Berlino, 26 settembre 1905, ore 22,50 (perv. ore 6,30 del 27).

Witte, giunto qui l'altra sera, ha avuto colloquio col barone Richthofen e col Cancelliere dell'Impero. Egli è partito la scorsa notte per Rominten dove trovasi l 'Imperatore.

Barone Richthofen mi ha detto che il Witte doveva essere ricevuto dall'Imperatore lo scorso anno dopo la conclusione del trattato di commercio russo-germanico. La visita che non poté effettuarsi allora, per sopraggiunte circostanze, ha luogo ora, nel traversare che fa Witte la Germania per recarsi in Russia. Secondo il mio collega russo, invece è l'Imperatore che ha voluto mettere le mani sul Witte al suo passaggio qui. Le visite del Witte, mi ha detto il barone Richthofen, non hanno scopo politico speciale, per quanto, come è naturale, la politica non è certamente bandita dalle conversazioni. Frequenti interviste Witte ha avuto qui con Mendelssohn & C., ma, secondo dichiarazioni dello stesso Witte, operazioni finanziarie russe non sarebbero imminenti. Witte avrebbe anche parlato qui a titolo quasi privato delle trattative di Parigi per il Marocco

d'incarico di Rouvier. Dopo colloquio col Witte, il principe di Biilow ha ricevuto questo ambasciatore di Francia, che rimase soddisfatto delle dichiarazioni del Cancelliere. Stasera il barone Richthofen mi ha detto che la fase presente della questione del Marocco può ritenersi sistemata, a meno che, cioè, sorgano nuove difficoltà.

Il Cancelliere è tornato già a Baden Baden.

290 1 Vedi D. 279.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 1514. Roma, 27 settembre 1905, ore 16,30.

Reputo opportuno far sapere a V.E. che domani mi recherò a Baden Baden dove mi incontrerò col principe Biilow. La visita ha carattere esclusivamente intimo senza la presenza dei rispettivi ambasciatori. Non esiste infatti nessuna questione pendente che reclami o giustifichi un convegno politico. Molto meno sarà oggetto del convegno la questione del Marocco per la quale l'Italia ben ricorda gli accordi che la uniscono alla Francia. Tanto ho voluto comunicarle per eventuale norma del suo linguaggio, avvertendola che analoghe comunicazioni saranno fatte oggi a questo incaricato d'affari di Francia.

293

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 1531 1 . Parigi, 27 settembre 1905, ore 22,40 (perv. ore 6,40 del 28).

Ringrazio l'E.V. dell'avviso datomi della sua partenza per Baden2 . Ad ogni buon fine, mi pare opportuno far rimarcare che in questo momento, e, malgrado che si annunzi imminente l'accordo franco-germanico per il Marocco, l'opinione pubblica francese è pressoché unanime nel credere che un'aggressione della Germania alla Francia è divenuta una eventualità da prevedersi. Questo stato della opinione pubblica e la uscita di Delcassé dal Governo ebbe necessariamente per conseguenza di scemare il valore attribuito fino a pochi mesi fa all'amicizia intima con l'Italia, e qualche sintomo incomincia a rivelarsene nelle disposizioni del Gabinetto attuale per i

2 Vedi D. 292.

parecchi importanti nostri affari in corso. La visita di V.E. al Cancelliere dell'Impero tedesco non migliorerà questo ambiente; però se il R. Governo non ha in vista la prossima conversione della rendita italiana, non converrebbe attribuire, per ora, a tutto ciò soverchia importanza.

293 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

294

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, BRUNO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 784/387. Atene, 27 settembre 1905 (perv. il 3 ottobre).

Col dispaccio in margine indicato' l'E.V. m'invitava, in seguito alle notizie recentemente pervenutele dall'ambasciata in Costantinopoli sul!' attuale situazione in Macedonia, di fare nuove esortazioni al Governo ellenico perché provveda a frenare energicamente l'azione delle bande greche in Macedonia.

Non prima di ieri ho potuto vedere questo sig. ministro degli affari esteri per eseguire l'incarico datomi ed esprimergli, in pari tempo, il vivo rincrescimento del

R. Governo nel constatare che l'azione perturbatrice delle bande greche in Macedonia, anzi che scemare, diventava ogni giorno più attiva e minacciosa, ciò che provava non pure l'inerzia del Governo ellenico di fronte all'azione dei comitati rivoluzionari, ma il poco conto ch'esso faceva delle reiterate esortazioni e dei consigli delle potenze.

La risposta del sig. Rhally non fu diversa da quella data al r. ministro ed ai rappresentanti esteri che gli avevano fatto, altra volta, rimostranze analoghe. Nel contestare l'aumentata attività delle bande greche in Macedonia e deplorare, con accento sincero, lo stato di cose, il sig. Rhally mi diceva che da quando ha assunto il potere, ha messo in atto tutti i mezzi per frenare l'azione dei comitati rivoluzionari verso i quali, del resto, si era sempre mostrato contrario. A conferma di queste sue affermazioni dichiarava che non solo aveva rinnovato gli ordini severi per proibire l'introduzione di armi e munizioni in quelle regioni, ma a rendere più efficace la sorveglianza di quella parte della frontiera, aveva fatto cambiare tutti i posti militari e doganali, anche per impedire il contrabbando che in quel punto si esercitava in vasta scala, ed aveva inoltre richiamato alla capitale il colonnello Nicolaides, comandante dei posti militari di frontiera, che, si pretendeva, favorisse il passaggio di armi e gente armata nel territorio ottomano. (Del colonnello Nicolaides fa cenno il mio rapporto del l o settembre n. 708/353)2 . Aggiungeva inoltre che si proponeva prendere le necessarie disposizioni per sottomettere al giudizio dei tribunali militari gli ufficiali disertori che avevano fatto parte di quelle bande.

2 Non pubblicato.

L'impressione che ho riportato da tutto l'insieme della conversazione è che il sig. Rhally è convinto personalmente del danno che da tutto ciò deriva al prestigio del proprio paese; egli si mostra, infatti, pieno di buone intenzioni, ma non osa affrontare l'ira della pubblica opinione e schierarsi apertamente contro i comitati rivoluzionari.

A tal proposito credo opportuno di riferire all'E.V. che una viva polemica è stata sollevata da alcuni giornali della capitale per gli abusi verificatisi nell'amministrazione di questo comitato macedone ed è degno di nota il fatto segnalato, e non smentito, che le popolazioni ortodosse della campagna in Macedonia sono stanche delle oppressioni e dei ricatti delle bande greche contro le quali si disporrebbero a reagire.

P.S.: Qui unito trasmetto il sunto di un articolo del Kerì che fa allusione alle rimostranze fatte al Governo ellenico2 .

294 1 Disp. 45832/343 del 12 settembre, non pubblicato.

295

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CARIGNANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 1934/89. Londra, 28 settembre 1905, ore 12,53.

Ho potuto parlare col marchese Lansdowne sulla base del telegramma di V.E. n. 14991 . Ho rilevato che il suo pensiero sulla durata del programma di Mi.irzsteg, è per l'appunto quello indicato col mio telegramma n. 872 e nel rapporto n. 347, in data del 26 corrente3 , e che Sua Signoria è, in massima, favorevole ad una azione per definire codesta questione. In seguito a ciò e dopo di avere ben precisato che VE. non intende prendere iniziativa, ho rammentato le cose dette dal r. ambasciatore in principio di luglio ed ho menzionato la soluzione conciliativa ideata da VE. del mandato esplicito da parte delle quattro potenze. Mi è sembrato che il marchese Lansdowne trovasse conveniente l'idea di tale soluzione, tanto che ho potuto chiedergli se fosse disposto a farla sua propria e mettcrla innanzi. Ho aggiunto che, in tal caso, il Governo del Re l'avrebbe appoggiata. Sua Signoria ha replicato che non poteva darmi subito risposta, ma che avrebbe esaminata la cosa e fatto conoscere decisione4 .

295 1 Vedi D. 286. 2 T. riservato 1891187 del21 settembre. Il suo testo è riportato nel D. 285. 3 Non pubblicato. 4 Per il seguito vedi D. 320.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, FORTIS

APPUNT01 . Baden-Baden, 30 settembre 1905.

Col Cancelliere principe di Bi.ilow non ho avuto un solo colloquio ma molte conversazioni nei due giorni che ho passato a Baden-Baden. In queste conversazioni gli ho rivolto molte domande ed ho espresso in occasione delle sue risposte molte considerazioni. Però, credo dover riassumere brevemente e sinteticamente e come se costituissero un discorso non interrotto le cose dette da lui colla diffusione di un uomo abituato alla causerie mondana e proclive a piacer un bon mot anche nei discorsi più seri.

Ecco il riassunto:

Creta -La Germania si trasse in disparte perché s'accorse che le potenze non riuscivano a mettersi d'accordo. Ora persiste la stessa confusione e la Germania non ha che a felicitarsi di avere a tempo tiré so n épingle du }eu.

Rapporti col! 'Austria -Si felicita vivamente di quanto ha fatto il Governo italiano per migliorarli. L'Italia può seguire la via di mezzo con tutte le altre nazioni anche colla stessa Germania, ma coli' Austria non ha via di mezzo: o alleata o nemica. Se non rinnovasse l'alleanza avrebbe a breve scadenza la guerra.

Balcani-È convinto che l'Austria continuerà ad andare d'accordo coll 'Italia. Nega che il Governo austriaco (checché ne pensino in Austria tal uni circoli) abbia velleità d'espansione. Di ciò è talmente sicuro che non avrebbe difficoltà a farsi garante presso il Governo italiano. Aggiunge che anche morto l 'Imperatore o scomparso Goluchowski dagli affari non sarà possibile ali' Austria di pensare alla marcia verso l'Est. Le difficoltà coll'Ungheria sono grandi e non è agevole prevedere come si accomoderanno, ma malgrado tutti i guai interni egli ritiene che l'Austria ha una forza di coesione molto maggiore di quella che si crede e pensa che coloro che sognano il prossimo effondrement deli'Impero austriaco s'ingannano.

Entente franco-inglese-Si sa ciò che la Francia dà all'Inghilterra. Ma che appoggio presterebbe questa alla Francia in date eventualità? Nessuno lo può sapere e forse l'Inghilterra stessa non potrebbe dirlo. E di più fino a che punto anche un aiuto inglese, in caso di conflitto, gioverebbe alla Francia per la difesa delle sue frontiere terrestri? Del resto la Germania e specialmente l'Imperatore non chiede che d'andare d'accordo colla Francia. Se Delcassé non avesse sfidato la Germania e non avesse avuto l'audace proposito di umiliarla e di mostrare al mondo che essa è divenuta una quantité négligeable, l'incidente marocchino non sarebbe sorto. Del resto ormai esso è interamente e definitivamente appianato.

L 'alleanza anglo-giapponese e la Russia -L'entente franco-inglese non è mai piaciuta alla Russia; piace ad essa molto meno poi dopo l'alleanza anglo-giapponese la quale, malgrado la lettera scritta da lord Lansdowne a sir Ch. Hardinge, è chiaro che è diretta contro la Russia. Si dice che è un'alleanza difensiva. Lo sarà ugualmente quando l 'Inghilterra vorrà sostituire colla sua influenza quella russa nel Golfo Persico, in Persia e nell'Afghanistan? E poi come può la Russia non rilevare che l'Inghilterra aveva garantito al Giappone la Corea prima che fosse terminata la guerra? Invece si dice a torto che l'alleanza anglo-giapponese è diretta contro la Germania, perché essa preclude la via ad acquisti territoriali in Cina. In Cina come al Marocco la Germania non ha che interessi commerciali e questi il Trattato anglogiapponese li garantisce. La Russia dunque continua ad essere malcontenta della Francia. Manterrà la duplice alleanza ma questa per la Francia non ha alcun valore per propositi di rivincita o di offesa verso la Germania perché la Russia mai e poi mai per ragioni che non sieno sue proprie farà la guerra alla Germania.

Tripoli -La Germania è sempre pronta a dare tutto il suo appoggio agli interessi ed alla politica italiana. Regolate (ed egli confida durevolmente) le cose d'Oriente coll'Austria, l'Italia non ha altra preoccupazione all'infuori di quella di Tripoli. Riconosce che Tripoli deve assolutamente essere italiana. La Germania desidera che lo sia. Se l'Italia desiderasse occupare subito Tripoli, la Germania non farebbe alcuna difficoltà ed anzi darebbe all'Italia il suo appoggio morale. Però egli come amico dell'Italia non consiglierebbe mai di lanciarsi in una simile avventura. La conferenza del Marocco è troppo circoscritta al tema speciale perché la questione di Tripoli possa esservi sollevata. Quanto ad ottenere dal Sultano concessioni per l 'Italia, queste possono essere duplici. Alla concessione dell'amministrazione all'Italia dietro un annuo corrispettivo e mantenendo la sua sovranità nominale, il Sultano non consentirebbe mai se non vi fosse obbligato. Occorrerebbe per ciò che l'Italia presentasse la sua domanda in forma comminatoria e che questa avesse l'appoggio di tutte le potenze, come l'ebbe la domanda dell'Austria e della Russia per le riforme in Macedonia. Meno difficile, ma sempre difficile sarà per l'Italia ottenere concessioni di ordine meramente economico come porti, industrie, bonifiche, ecc. Il Sultano diffida profondamente dell'Italia specialmente per i continui imprudenti articoli dei giornali italiani ai quali il Sultano (siano o no autorevoli poco monta) dà grande importanza. Tuttavia la Germania è pronta ad appoggiare seriamente qualunque domanda fosse fatta dall'Italia ed anzi l'ambasciatore a Costantinopoli Marschall ha da lui l'ordine di mettersi d'accordo col nostro ambasciatore Imperiali ed appoggiarlo in tutto e per tutto come se si trattasse d'interessi germanici. Egli poi riceverà con premura qualunque comunicazione noi in seguito crederemo di fargli al riguardo.

Concludendo, si è espresso per l 'Italia in termini di amicizia e fiducia. Sa bene e comprende che la Francia (specialmente Delcassé) ha cercato di intorbidare i rapporti tra Italia e Austria e Germania, ma oramai queste arti non possono più riuscire. Intanto si loda della saviezza e moderazione di Rouvier e dell'ambasciatore Bihourd. Delcassé e Prinetti erano un pericolo per la pace. È stata per lui cagione di grande ansietà la politica poco chiara di Prinetti, ma si felicita per l 'indirizzo leale e coerente dei due Gabinetti Giolitti e Fortis. Ha terminato esprimendo in me personalmente la maggiore fiducia.

296 1 Minuta autografa.

297

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1820/678. Therapia, 3 ottobre 1905 (perv. !'8).

Col mio telegramma di ieri sera, n. 1641 , ho inviato a V.E. un riassunto della nota, in data del 30 settembre, con la quale la Sublime Porta, mantenendo intatte le vedute già manifestate nelle precedenti comunicazioni, si oppone, in modo reciso e categorico, alla istituzione della Commissione internazionale di sorveglianza. V.E. troverà, qui unito, il testo della nota medesima2 . Il documento è redatto in termini anche più vibrati e risentiti di quelli anteriori.

Il contegno di aperta resistenza da parte della Sublime Porta mi sembra di natura a giustificare le apprensioni che, contrariamente all'avviso di qualche mio collega, io non ho cessato di manifestare ali'E.V. nei miei precedenti rapporti.

Il programma di azione concordato dagli ambasciatori ed approvato dai Governi è pressoché esaurito e la questione non ha fatto un solo passo avanti. Siamo sempre allo stesso punto. Insistono i rappresentanti delle potenze; resiste energicamente la Sublime Porta, in obbedienza agli ordini precisi e categorici del Palazzo. Non resta ora che a tradurre in atto l 'ultimo numero del programma anzidetto, cioè il passo collettivo degli ambasciatori presso il Sovrano. In quale modo tale passo dovrà essere fatto resta ancora da determinarsi. Al riguardo sarò in grado di telegrafare notizie all'E.V. dopo di avere conferito con i vari colleghi.

Giova augurarsi che insistenti pratiche eseguite direttamente presso il Sovrano otterranno il loro effetto e che vinta la resistenza del Sultano, la Commissione internazionale di sorveglianza potrà finalmente iniziare i suoi lavori.

Quando però la resistenza del Sultano si prolungasse, converrà mettersi d'accordo per vincerla a qualunque costo, altrimenti le grandi potenze c specialmente le quattro i cui delegati sono giunti già, o stanno per giungere a Salonicco, si esporrebbero a fare una figura penosissima, con grave scapito del loro decoro.

Parmi pertanto venuto il momento di agire vigorosamente. La concordia la più assoluta la più perfetta tra le potenze si impone. Se qualche discrepanza venisse malauguratamente a sorgere, è chiaro che la Sublime Porta non mancherebbe di ravvisarvi il migliore incoraggiamento alla resistenza, ed in quel caso la riforma finanziaria, basata precipuamente sull'istituzione della Commissione internazionale di sorveglianza, correrebbe serio pericolo.

297 1 T. 1958/164 del l o ottobre, non pubblicato. Il suo contenuto è qui riassunto. 2 Non pubblicato.

298

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2874/1088. Parigi, 3 ottobre 1905 (perv. il 28).

Nel mio rapporto delli 28 luglio (n. 2114/859)1, dopo di avere sommariamente esposto che le circostanze non erano favorevoli per le trattative concernenti la proroga delle nostre convenzioni del 1896 con la Francia per la Tunisia, ho riferito come io avessi tuttavia stimato necessario di tenere parola di questo interesse nostro con il sig. Rouvier appena da lui fu assunto definitivamente l'ufficio di ministro degli affari esteri. Di due colloqui avuti in proposito col nuovo ministro, ho riferito con il precitato rapporto e così VE. ha saputo che da parte di lui esistevano buone disposizioni ad entrare nell'ordine di idee che consiglia di non ritardare la proroga delle sovramenzionate convenzioni. A tale riguardo io feci osservare che gioverebbe aver terminata la trattativa prima del l o ottobre di quest'anno e che varie ragioni di opportunità ci dovevano suggerire di spingere questo affare a conclusione entro il periodo delle vacanze parlamentari che qui finiscono appunto nel corso di ottobre. Era pertanto desiderabile che la mia azione presso il sig. Rouvier venisse assecondata anche dalle dichiarazioni di VE. al sig. Barrère acciocché questi riferisse, dal canto suo, al Governo della Repubblica che il suo rifiuto di prorogare la convenzioni tunisine, produrrebbe in Italia un pessimo effetto.

A tale riguardo VE. mi scrisse il 22 agosto (n. 42448/957)2 ch'ella avrebbe colta ogni propizia occasione di mettere in rilievo presso codesta ambasciata di Francia, l'importanza annessa a questo affare dal R. Governo.

Senonché io temo che il di lei linguaggio sia stato frainteso dall'ambasciatore francese poiché questi, invece di sollecitare il suo Governo a conchiudere, pare aver esercitato un'influenza contraria3 .

Come già scrissi in altri rapporti, il sig. Rouvier fece nell'agosto un'assenza prolungata ed io potei rivederlo qui soltanto il 7 settembre al suo ritorno in Parigi. Nel corso della conversazione avuta con lui in quel giorno, non mancai di parlargli della proroga delle convenzioni relative alla Tunisia. Ebbi però la dispiacevole sorpresa di sentirmi a dire in termini asciutti che di questo affare era stato parlato al sig. Barrère a Roma; che questi era attualmente in congedo e che conveniva perciò rimettere la cosa a più tardi.

Ancorché io non possa dubitare non essere stata intenzione di VE. che la trattativa da me qui iniziata, la quale sarebbe la normale continuazione di quelle che la fiducia del Governo mi permise di condurre a buon fine a Parigi nel 1896, debba

2 Vedi D. 261.

3 Non appena ricevuto questo rapporto, Tittoni chiarì telegraficamente a Tomielli i termini della sua comunicazione a Barrère: vedi D. 322.

essere trasferita a Roma e sebbene io inclini piuttosto a supporre che si verifichi per questo affare uno di quegli accaparramenti che sono abituali nell'ambasciatore francese a Roma e che taluna volta riuscirono nocivi ad interessi nostri importanti, tuttavia io non avrei potuto affermare, senza l'autorizzazione precisa di V.E., che non era mai stata intenzione sua che questa pratica venisse aggiornata per essere poi ripresa direttamente fra lei ed il sig. Barrère. Ritengo che l'interesse di prorogare le convenzioni per Tunisi sia divenuto ancor maggiore dopo che gli ultimi eventi che influiscono sul corso della politica generale ci debbano far desiderare di evitare almeno per questa parte il ritorno di difficoltà che con vantaggio reciproco sono da parecchi anni scomparse. Non mancherò, se l'occasione si affaccia, di far sentire al sig. Rouvier che la sua tiepidezza attuale mi ha sorpreso, mentre dalle sue prime dichiarazioni, da me comunicate al R. Governo, mi riteneva autorizzato a sperare tutt'altra cosa. Ma non riprenderò ad insistere formalmente per conseguire la proroga delle convenzioni fino a tanto che non mi risulti chiaramente che l'intenzione precisa del R. Governo è che la trattativa debba svolgersi e compiersi a Parigi.

298 1 Vedi D. 203.

299

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 651/211. Belgrado, 3 ottobre 1905 (perv. i/14).

Coi miei rapporti del 15 settembre n. 200 e 20 settembre n. 203 1 , nel riferire a

V.E. alcune parole del nuovo agente bulgaro, sig. Rizov, ed il testo dei discorsi pronunziati in occasione della rimessa delle sue lettere credenziali a S.M. il Re, ho accennato alla probabilità di una ripresa di quell'accordo con la Bulgaria sul quale in questi ultimi sci mesi dall'uno e dall'altro versante del Rodope aveva spirato un vento presso che glaciale.

Per rendersi conto di questo ritorno che appare sempre più decisivo alla politica del Gabinetto Pasié, occorre tornare indietro alle circostanze che accompagnarono la caduta della precedente amministrazione e gettare uno sguardo alla situazione generale della Serbia dal punto di vista internazionale.

Il Gabinetto Pasié cadde in seguito alla campagna menata contro di esso dal sig. Balucié e da quella parte dei familiari della Corte che sono notoriamente ed apertamente fautori di una politica austro fila, e dietro i quali agiva il ministro d'Austria, sig. Dumba, attivissimo e capacissimo tessitore di intrighi. Per spingere il Re a non confidare al Pasié le nuove elezioni, che la debole maggioranza del Governo rendeva necessarie per permettergli di condurre in porto l'approvazione del prestito per gli

armamenti e le ferrovie, per mezzo sempre del sig. Balucié, si sparse nel pubblico la voce che, del denaro che dal prestito risulterebbe, quattro o cinque milioni di franchi sarebbero andati al Re. Si calcolò cosi giustamente che Sua Maestà, offeso dalla possibilità di simili sospetti, rinuncerebbe a sostenere ancora un Gabinetto che involontariamente poteva comprometterlo.

La soddisfazione con la quale nella vicina Monarchia fu accolta la caduta del Pasié e la venuta al potere dell'attuale Gabinetto, gli dié il battesimo di Ministero a tendenze austriacanti. Né in quel momento si ebbe interamente torto.

Se il presidente del Consiglio, signor Stojanovié ed il ministro degli affari esteri, signor Zujoyié, non potevano per i loro precedenti politici essere considerati come assolutamente austrofili, essi però, a differenza della maggioranza di tutti gli affiliati al partito radicale, non erano neppure russofili. Nuovi al Governo, spiriti indipendenti e teoretici, imbevuti di principì insegnati solo dalla cattedra, senza averli perciò dovuti piegare alle necessità delle situazioni politiche ed alle esigenze dei partiti, erano egualmente offesi dall'atteggiamento della Bulgaria alla quale credevano che troppe concessioni si fossero già fatte per la dignità del paese senza attenerne alcun profitto nella lotta ad oltranza che fra bulgari e serbi si combatte in Macedonia.

Si aspettava perciò che a Vienna si sarebbe profittato di queste favorevoli disposizioni e che, dopo aver lavorato per staccare la Serbia dalla Bulgaria, si sarebbe voluto attirarla, per quanto era possibile, nella propria orbita. Ciò invece non è avvenuto. Per quali ragioni è difficile rispondere.

Sia che le complicazioni interne della Monarchia paralizzino in parte il funzionamento della sua politica estera, sia che l'Austria non tenga a prendere impegni con la Serbia o non consideri possibile contrarne data la mutabilità dei Governi e la larghezza di una Costituzione che lascia così poco potere al Sovrano da non essere stata ultima cagione dei varì colpi di Stato ai quali gli Obrenovié dovettero ricorrere per poter governare, fatto è che, all'infuori di qualche reciproca cortese espressione sulla opportunità di rinnovare il trattato di commercio che è prossimo a scadere, a Vienna non vi fu gran mutamento nell'altezzoso ed arrogante contegno che tanto irrita qui Governo e popolo. La seconda ipotesi da me fatta, e che cioè l'Austria possa non desiderare maggiori accordi con la Serbia e sia soddisfatta di renderla solo debole, isolata e divisa, potrebbe essere confermata da una informazione datami da questo incaricato d'affari di Germania, il quale mi diceva che risultava dagli archivi della sua legazione essersi in un incontro avvenuto circa due anni fa fra il conte Goluchowski ed il principe de Biilow parlato anche della Serbia. In questi discorsi il Cancelliere austro-ungarico aveva detto che l'Austria avrebbe forse consentito a qualche ingrandimento nella Macedonia per la Bulgaria, ma mai per la Serbia ed il Montenegro.

La data di quel colloquio è ormai remota e molte cose possono essere mutate, ma se lo stesso pensiero persistesse nella mente del ministro degli affari esteri austroungarico, si spiegherebbe la indifferenza mostrata verso la Serbia dopo aver cooperato a gettarla in una crisi che l 'ha lasciata per circa sei mesi incapace di qualsiasi risoluzione.

Qualunque siano le cause non si può che constatare il fatto che, desiderato o no dal presente Gabinetto, l'atteso riavvicinamento con l'Austria non è avvenuto, ma invece la situazione tende a riprodursi quale era prima della caduta del Gabinetto Pasié, e cioè dalla parte di Vienna una poco abile imposizione dei proprì desiderì con tutte le armi che la sua situazione di grande potenza confinante le pone in mano; da parte serba una sorda e crescente irritazione, un rinnovato sospetto sui progetti austriaci in primavera.

Né la Russia può offrire per il momento un appoggio su cui riposare le sorti future del paese. Se già, non appena conchiusa la pace di Portsmouth, alcune voci si sono elevate con l 'usata superbia a significare il ritorno del grande Impero slavo alle preoccupazioni balcaniche, i serbi sentono che il braccio del grande protettore è ancora troppo scarno e indolenzito dalle recenti percosse e dai mali interni per potere stendere efficacemente su di essi la sua mano.

Neppure la Germania, che ad un certo momento aveva fatto nascere la speranza di voler prendere una posizione indipendente contrapposta ali' Austria, può essere presa dalla Serbia a base della sua politica. Il sig. d'Eckardt, che regge ora la legazione tedesca, mi ha esplicitamente dichiarato che il barone di Heyking aveva esagerato nelle sue manifestazioni di amicizia per ottenere rapidamente la conclusione del trattato di commercio, delle ordinazioni di forniture militari o la partecipazione al prestito. Egli mi disse pure che francamente si era espresso contro a questa attitudine che poteva far nascere fallaci speranze destinate ad essere seguite da disillusioni, poiché gli constava che le simpatie per la Serbia fossero in alto luogo, nel suo paese, assai limitate. L'incidente del telegramma da me riferito col rapporto del IO settembre,

n. 1972 , provano la giustezza de' suoi apprezzamenti.

Come si vede da questo quadro, all'infuori delle simpatie dell'Italia e della Francia, le quali si manifestano necessariamente in forme vaghe e platoniche e che non possono voler esercitare la loro azione che nel concerto generale delle potenze firmatarie del Trattato di Berlino, la Serbia è in questo momento non solo isolata, ma guardata dai più potenti interessati nella questione balcanica come la nazione destinata ad essere esclusa dai beneficì di una eventuale soluzione della questione macedone.

Questa situazione di cose è quella che ha gradualmente fatto penetrare anche nella convinzione del partito dei radicali indipendenti, di cui il presente Gabinetto è l'espressione, la necessità di stringersi possibilmente alla Bulgaria e presentarsi unita a quella davanti al tribunale delle grandi potenze il giorno in cui suonerà l'ora della curée.

Questa conversione dei giovani radicali ad una politica di riavvicinamento con la Bulgaria, escludendo vecchie e nuove suscettibilità nazionali, tenendo conto anche delle vecchie e nuove suscettibilità nazionali bulgare, è assai importante. Siccome, infatti, a questa politica si erano già convertiti i radicali moderati, si può ormai sperare che qualunque delle due frazioni vada al Governo, o nel caso, di cui si parla, di una fusione, la stessa politica estera sarà continuata.

La lamentata crisi ministeriale, permettendo così alla giovane opposizione di fare l'esperienza del Governo, avrebbe portato il vantaggio di dare, per il momento, alla grande maggioranza della rappresentanza nazionale, un unico indirizzo sulla questione della politica estera.

Non manca è vero un certo numero di persone che, piuttosto che riavvicinarsi alla Bulgaria, vorrebbero unirsi alla Turchia, ed altri che vorrebbero l'accordo con la Bulgaria a condizione che anche la Rumania vi acceda; ma il primo piano non è discutibile, non già perché non possa considerarsi sotto certi aspetti vantaggioso per la Serbia, ma per la impossibilità di addivenire a Costantinopoli ad accordi sui quali contare.

Quanto alla Rumania, se è vero che essa non ha interessi opposti alla Serbia, è vero anche che non ne ha abbastanza grandi in Macedonia per poter legare la propria sorte agli avvenimenti che colà vi si preparano. Il suo solo interesse è quello di impedirvi una soverchia espansione della Bulgaria. Anche ora che la rottura delle relazioni fra Bucarest ed Atene ha fatto vagheggiare a Sofia la possibilità di un accordo con la Rumania, il Governo del re Carlo si è affrettato a dissipare tutte le illusioni formatesi nell'ambiente balcanico intorno a questo progetto.

Alcuni giorni [or] sono il ministro rumeno è venuto espressamente a dirmi che egli poteva autorevolmente smentire tutte le voci corse di riavvicinamento fra Bulgaria e Rumania o di passaggio dei cutzo-valacchi all'Esarcato. Eguale comunicazione avrà probabilmente, ancora prima, già fatto a V.E. il ministro rumeno a Roma.

La Rumania, sia per i suoi intimi rapporti con gli Imperi centrali che per la qualità de' suoi interessi in Macedonia, non potrebbe agire sulla Serbia che per allontanarla dalla Bulgaria e servirsene come freno alla temuta espansione di quest'ultima in Macedonia.

Se perciò il fine della nostra politica rimane quello di sostenere l 'unione serbobulgara, parmi, salvo il migliore parere di V.E., che non ci convenga incoraggiare un riavvicinamento serbo-rumeno, che d'altra parte difficilmente si produrrebbe.

L'ambiente politico serbo, dunque, quasi con unanime consenso, [si] orienta di nuovo verso la Bulgaria.

Ma quali sono le disposizioni di Sofia?

Su questo punto quel r. agente avrà già con la nota sua competenza informato

V.E. Per quel che se ne può giudicare da Belgrado, i segni, che anche in Bulgaria vi sia un movimento diretto a riprendere e rafforzare l'accordo con la Serbia, sono: la venuta del sig. Rizov ed i suoi discorsi di cui ho già riferito coi rapporti sovra citati; il rifiorimento in una parte della stampa bulgara di articoli ispirati al concetto della solidarietà degli slavi balcanici; i rapporti del sig. Simié, agente serbo a Sofia, il quale scrive di ricevere da molti personaggi bulgari l'assicurazione delle favorevoli disposizioni della Bulgaria a mantenere ed allargare gli impegni presi con la Serbia. Nel colloquio che egli ebbe recentemente con l'Esarca, in occasione della visita che questi fece a Sofia, anche il Capo della Chiesa bulgara avrebbe promesso di cooperare con la sua influenza all'unione dei due Stati ed alla pacificazione delle due nazionalità in Macedonia.

Il principe si è solo rivelato a metà. (Non fo sempre che riferire le impressioni dei circoli politici serbi). Egli persegue così varì fini, la sua politica è così complicata e qualche volta ha scopi così immediati che è difficile rendersi conto della portata delle sue manifestazioni. Si ritiene però che l'elevazione di temperatura che sta producendo questo autunnale risveglio di simpatie serbe in Bulgaria non si produrrebbe senza il consenso e la spinta del Sovrano che, sopratutto in quistioni estere, conduce personalmente la politica del suo Stato.

Infine, si ripone molta speranza nel viaggio del principe a Parigi, dove, si crede, gli saranno fatte vive raccomandazioni per incoraggiarlo a fare una politica di riavvicinamento alla Serbia. Perché queste esortazioni vengano fatte al principe Ferdinando ha molto scritto ed insistito la legazione francese di Belgrado, e credo che a suoi suggerimenti s'informerà il linguaggio che sarà tenuto a Sua Altezza, sia perché pare che la Francia faccia un po' ora, in questa questione, la stessa nostra politica, sia per far piacere ai serbi, coi quali si vuoi concludere il prestito e da cui si vuole ottenere l'ordinazione dei cannoni per le officine del Creuzot.

Aspettando che i sentimenti così attribuiti alla Bulgaria si accentuino per poter giudicare della loro serietà e portata, si è però tentati di chiedersi se, ove il Governo di Sofia mostri di volere veramente un riavvicinamento con la Serbia, di questo fatto noi dobbiamo senz'altro rallegrarci, come conforme alle vedute della nostra politica, ovvero considerarlo anche come un indizio di prossime probabili complicazioni. Confesso che, se nei primordì del mio soggiorno a Belgrado io ho potuto credere alla possibilità di un accordo serbo-bulgaro ispirato al desiderio del mantenimento dello status qua in Macedonia, dopo due anni di esperienza, dirò così, balcanica, sono venuto nella convinzione che la Bulgaria non si avvicini alla Serbia che solo nei momenti in cui essa teme di poter essere obbligata a partire in guerra e senta il bisogno di avere il fianco guardato, per riprendere, a pericolo passato, la sua attitudine intransigente.

In questo senso un indirizzo politico decisamente diretto ad un accordo con la Serbia potrebbe essere un indizio che a Sofia si consideri nuovamente come probabile l'eventualità che a primavera possa scoppiare quella guerra con la Turchia dalla quale, può considerarsi come un assioma della politica balcanica, sarà aperta la questione macedone, e che perciò è generale interesse di allontanare.

Né ciò sembra impossibile quando si considera la situazione presente in Macedonia. Se, infatti, per i due anni decorsi non fu difficile prevedere una relativa tregua del movimento rivoluzionario ed un miglioramento dei rapporti turco-bulgari, lo stesso non si può con egual sicurezza profetizzare per il 1906. Un nuovo elemento è venuto ad aumentare il fermento delle nazionalità macedoni, la violenta entrata in iscena delle bande greche, a cui si possono aggiungere anche il movimento dei cutzovalacchi e la maggiore attività delle bande serbe. Oltre a concorrere con le rapine e le uccisioni a quell'intollerabile stato di cose che tutti lamentano ed a cui non si vede fine, la comparsa della bande greche e la loro importanza è destinata ad agire sull'organizzazione bulgara, la quale già padrona del campo or sono due anni, si vede ora attaccata e fortemente da più parti. Essa sarà obbligata a raddoppiare di vigore se vorrà mantenere il proprio prestigio, e questo fa temere che la primavera ventura sia per spuntare più sanguinosa e più gravida di pericoli delle altre.

Questi stessi ragionamenti debbono prevalere in Bulgaria dove si deve calcolare sulle possibilità che una violenta campagna dell'organizzazione rivoluzionaria macedone trascini il paese alla guerra, e non sarei sorpreso se questo fosse il principale movente delle rinnovate dichiarazioni di amicizia che, salvo errore, il Principato pare si disponga a fare alla Serbia.

Se questi dubbi fossero fondati la nostra soddisfazione per una ripresa delle relazioni serbo-bulgare, non potrebbe essere scevra da timori in quanto che il riavvicinamento, più che diretto al mantenimento dello status qua, sarebbe cercato dalla Bulgaria in vista di più o meno vicine complicazioni, e che sebbene l'unione dei due Stati slavi rappresenti per noi ancora la migliore combinazione nel caso che si apra la questione macedone, il suo effettuarsi accennerebbe alla prossimità del pericolo e forse lo aumenterebbe.

Certamente lo svolgimento della questione orientale è subordinato sopratutto ai superiori concerti delle grandi potenze, ma appunto ora in cui la diminuzione della potenza russa, l'accrescimento di quella inglese e gli imbarazzi de li'Austria sembrano dovere influire su tutte le questioni politiche internazionali, non mi è parso completamente inutile di esporre quella che, guardata di qui, appare la situazione locale dal punto di vista dei rapporti della Serbia cogli altri Stati balcanici e specialmente con la Bulgaria.

299 1 Non pubblicati.

299 2 Non pubblicato.

300

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 1968/84. Berlino. 4 ottobre 1905. ore 12,30 (perv. ore 13,35).

Barone Richthofen mi ha parlato ieri sera, di sua iniziativa, del rapporto del Cancelliere dell'Impero sull'incontro con VE. a Baden-Baden 1 , e mi ha espresso quanto Btilow sia stato lieto di averla incontrata e quanto soddisfatto sia rimasto delle conversazioni avute con lei.

301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 1598. Roma, 7 ottobre 1905, ore 19,30.

Rispondo suo telegramma riservato n. 93 1•

Pregola comunicare marchese Lansdowne essere io pure della sua opinione che le potenze non possono ormai recedere dalla loro proposta. Quanto ai mezzi da adoperarsi per vincere resistenza Sultano parmi opportuno lasciare l'iniziativa delle proposte agli ambasciatori Costantinopoli. Qualora nell'apprezzamento di tali proposte e

nelle decisioni da prendere sorgessero dubbi o difficoltà, io, grato al marchese Lansdowne del desiderio espresso, non mancherò alla mia volta di mettermi in rapporto con lui esprimendogli il mio parere con l'intento di procedere d'accordo.

300 1 Vedi D. 296.

30 l 1 Si tratta, in realtà, del T. riservato 1973/92, del 4 ottobre, col quale Pansa riferiva il suo colloquio con Lansdowne a proposito della ferma opposizione della Sublime Porta al progetto di controllo finanziario straniero in Macedonia.

302

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 1606. Roma, 8 ottobre 1905, ore 19.

Ciccodicola telegrafa che Harrington trova difficoltà per frontiera sud Etiopia e gli ha confidato avere Menelik recisamente affermato che Lug è suo. Ho dato istruzioni a Ciccodicola di appoggiare e di richiedere l'azione di Harrington secondo la conclusione delle proposte dei delegati itala-britannici a Roma 19 dicembre 1903 1• Sebbene su quelle proposte non sia intervenuto definitivo accordo, pure esse sono state, tranne una, accettate da Governo inglese, secondo risulta da rapporto del 23 ottobre 1904,2 e nella ultima parte rientrano ne li 'intesa generale itala-britannica di aiutarsi reciprocamente nelle questioni di comune interesse, intesa consacrata anche accordo segreto virtualmente accettato dalle due parti.

Prego pertanto la S.V. di voler interessare lord Lansdowne ad impartire ad Harrington analoghe istruzioni3 .

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 16072 . Roma, 8 ottobre 1905, ore 19.

Questione Lug deve esser trattata verso Menelik e verso Harrington secondo istruzioni 23 ottobre 1903 contemperate da scambio note gennaio-febbraio 1903 e proposizioni delegati itala-britannici 19 dicembre 1903 3 , su cui non è intervenuto definitivo accordo, ma che Governo inglese ha accettato tranne quella relativa impegno non stabilire stazioni monte Lug, pur dichiarandosi disposto consentire libertà

2 Non pubblicato.

3 Per la risposta vedi D. 306.

2 Trasmesso via Asmara. Risponde al D. 288.

3 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

transito commercio. Prego V.S. agire con Harrington secondo conclusione proposizione dicembre 1903 che rientra nella intesa generale italo-britannica di aiutarsi a vicenda nelle questioni reciproco interesse e di tener presente relazione Colli per Lug. Telegrafo Londra per Harrington. Segue dispaccio4 .

302 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

303 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 27.

304

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2127/195. Bucarest, 8 ottobre 1905 (perv. i/17).

Prima che io rientrassi qui, dove ripresi ieri i miei quartieri d'inverno, questo Sovrano fecemi l'onore d'invitarmi a colazione al suo castello aSinaia e di trattenermi dopo a conversare.

Come riferii nel mio rapporto del 30 settembre ultimo ai nn. 2089/191 1 , al recente passaggio a Vienna di re Carlo, l'imperatore Francesco Giuseppe si recò a visitarlo all'albergo Kranz ove era sceso. L'intravista avendo però durato poco più di mezz'ora, i due Monarchi poterono avere soltanto uno scambio d'idee sulle questioni politiche più importanti del momento. Ne formò argomento principale la situazione in Ungheria, che preoccupa e rattrista profondamente il vecchio Imperatore, il quale si mostrava profondamente deciso a non far concessioni relativamente alla lingua di comando nell'esercito comune. Per quanto concerne l'introduzione del suffragio universale in Ungheria~ cui re Carlo gli consigliò d'acconsentire sembrandogli questo l'unico modo di porre in scacco l'opposizione coalizzata--Francesco Giuseppe, pur convenendone, non nascondeva la propria ripugnanza a ammettere una siffatta estensione del diritto di voto, che, come conseguenza, sarebbe difficile rifiutare poi in Austria, dove egli non la vuole. L'impressione di re Carlo è che a Vienna non si abbia un piano preciso e determinato, e la Maestà Sua mi lasciò confidenzialmente intendere d'aver trovato l'Imperatore molto stanco ed accasciato fisicamente. Avendo io osservato che, se Francesco Giuseppe persistesse nel non voler far concessioni circa la lingua di comando e nel non accettare le proposte del generale Fejérvary per l'estensione del suffragio, le cose potrebbero voltare alla peggio c l'Ungheria imitare l'esempio della Norvegia, il Re risposemi che i chauvins magiari ci penseranno due volte prima di portarsi ad una simile estremità, che egli non sembra d'altronde paventar molto per l'Austria, poiché, aggiunse, nemmeno gli ufficiali ungheresi dell'esercito comune desiderano l'ungherese come lingua di comando nei loro reggimenti e l'Imperatore può far assegnamento sulla completa fedeltà di essi.

Questo Sovrano accennò poi con compiacimento al miglioramento delle relazioni tra l 'Italia e l'Austria, di cui l 'Imperatore è lietissimo e molto riconoscente all'E.V., attribuendogliene in gran parte il merito. Il Re mi espresse pure la propria

304 1 Non pubblicato.

soddisfazione della conclusione della pace russo-giapponese. La situazione interna nell'Impero degli zar rimane gravissima e, secondo la Maestà Sua, il Gabinetto di Pietroburgo non pensa a riprendere ora una politica più attiva nell'Oriente europeo, ma persevererà a procedervi d'accordo coll'Austria-Ungheria. Re Carlo non crede neppure che, per un anno almeno, la Bulgaria, la quale non possiede ancora il nuovo armamento per la sua artiglieria, s'impegni in una guerra. In generale, per quanto concerne un prossimo avvenire, egli sembra abbastanza rassicurato sulla situazione in Oriente. Le relazioni rumeno-bulgare continuano ad essere buone, quantunque, aggiunse la Maestà Sua, si manifestino, di quando in quando, nel Principato certi sintomi d'ostilità verso la Rumania. Così, recentemente ancora, fu destinato a Silistria un generale di brigata, ex professore all'accademia militare di Sofia, il quale non si nasconde per dire che la Dobrugia deve appartenere alla Bulgaria.

Re Carlo, infine, mi confermò di aver raccomandato più volte al suo Governo la calma e la moderazione nell'attuale conflitto con la Grecia. Se però il Gabinetto d'Atene provocherà una rottura formale e completa delle relazioni tra i due paesi, ciò lascerà questo Sovrano completamente indifferente. Il danno maggiore avrà a risentirne la Grecia che ha qui numerosi sudditi suoi ed interessi economici importanti.

303 4 Non pubblicato.

305

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO DELLA MISSIONE IN SOMALIA, PESTALOZZA

DISP. 50357/687. Roma, 9 ottobre 1905.

La S.V. è destinata in Aden in qualità di console generale con giurisdizione sulla Somalia italiana settentrionale, su cui ella dovrà esercitare, come commissario del Governo, la sua costante sorveglianza sia da Aden sia recandosi, quando necessario, sulla costa coi mezzi di cui potrà disporre. Le saranno di valido aiuto i sambuchi armati che stazionano lungo la costa italiana nel Golfo di Aden e la S.V. potrà, in ordine all'importante servizio, indicare in qual modo esso possa essere più utile.

Dopo l'accordo che ella, a nome del Governo, firmò col Mullah a Illig il 5 marzo 1905 1 , la situazione che allora sembrava tranquilla, incomincia ora a diventare oscura e direi quasi inquietante.

Da una parte l'amministrazione britannica del Somaliland lamenta piccole incursioni del Mullah sul confine sud verso Bohotle, dall'altra il Sultano di Obbia annunciaci assalti nel suo territorio da un partito del Mullah, mentre quest'ultimo, fa, per mezzo di suoi messi, vive rimostranze per le razzie a suo danno commesse dai Migiurtini (Issa Mahmud).

Recentemente, i messi del Mullah, venuti ad Aden per portare giuste lagnanze, furono con l'«Aretusa» trasportati a Bander Cassem affinché con l'aiuto del sultano Osman Mahmud e del capo di quel villaggio, Ahmed Tager, potessero influire presso gli Issa Mahmud per obbligarli alla quiete. Senonché, allontanatasi la r. nave, i messi del Mullah ebbero accoglienza ostile e dovettero, per aver salva la vita, rifugiarsi in territorio inglese donde giunsero poi ad Aden, ove ora si trovano. Da un recente telegramma comunicatoci dalla r. ambasciata a Londra parrebbe che l'incidente di Sander Cassem sia rappresaglia ad un precedente conflitto fra i soldati del Mullah e i Migiurtini nella regione di Hafun.

Se si considera che gli incidenti alla frontiera britannica possono essere attribuiti a sconfinamenti di tribù protette inglesi in territorio di protettorato italiano, come per es. la località di Damot, ove sarebbero giunti gli Aligheri da Bohotle, se si considera che lo stesso sultano Osman Mahmud dichiarò al comandante dell' «Aretusa» che il Mullah aveva mantenuto i patti, e che sugli Issa Mahmud irrequieti egli non avea sufficiente potere, mentre si sa che lo stesso Osman proibisce alle carovane e ai sambuchi migiurtini di commerciare col Mullah, se si considera infine che dello stesso incidente tra il Sultano di Obbia e una tribù amica del Mullah non è possibile determinare la responsabilità, si potrebbe, forse, trarre la conseguenza che la responsabilità di questa situazione vada piuttosto attribuita alle nostre tribù protette anziché al Mullah.

Si deve, però, d'altra parte tener presente che il Mullah può aver anch'esso aspirazioni ad estendere il suo potere sui territori che lo circondano e a raggiungere il mare in punto più vantaggioso pei suoi commerci con la costa, come sarebbe Bander Cassem.

È quindi necessario che ella si rechi nuovamente sui luoghi per rendersi esatto conto della situazione e delle vere cause che la hanno creata, specialmente riguardo ali' incidente di Bander Cassem e ne riferisca al R. Governo.

Al Sultano dei Migiurtini ella deve ora dichiarare che, se i torbidi sono dovuti essenzialmente agli Issa Mahmud, è necessario che egli intervenga per ridurli alla obbedienza; se non ne ha il potere, il R. Governo studierà di risolvere esso la questione, all'infuori del suo intervento. La S.V. avrà allora modo di vedere quale soluzione si possa proporre. Ella inviterà inoltre il Sultano a dare esaurienti spiegazioni sulla notizia giunta al R. Governo che egli impedisce il traffico terrestre e marittimo con le genti del Mullah.

Dalle sue trattative con esso dovrà risultare in modo categorico che, solamente quando la pacificazione sia effettiva, egli potrà avere i compensi che attende e che sono in nostre mani, e allora solo il R. Governo potrà interessarsi alla sorte dei danneggiati di Bander Cassem ne li 'ultima guerra tra gli inglesi e il Mullah.

Parmi necessario che ella, dopo essersi reso conto della situazione dei Migiurtini, veda il Mullah per chiarire le cose anche dalla parte sua sia verso il protettorato britannico, sia verso i territori del Sultano di Obbia e dei Migiurtini.

Quanto alla posizione del Saied Mohamed, come nostro protetto, in base all'accordo firmato a Illig, e al comune agente di fiducia Abdulla Sheri, questo Ministero si riserva di prendere definitivi provvedimenti anche di ordine pecuniario su sua proposta quando ella lo ritenga di assoluta necessità.

Da lei so che il Mullah desidererebbe avere il trattamento degli altri due Sultani (1800 talleri annui) e Abdulla Sheri di avere un assegno fisso mensile. Intanto al Mullah, a Abdulla Sheri e agli altri che ella ha già designato, porterà i doni già prescelti d'intesa col capo dell'Ufficio coloniale.

Quanto alla situazione generale nella Somalia italiana settentrionale e ai provvedimenti di comune interesse che possono rendersi necessari immediatamente o in avvenire, io mi riferisco alle intese corse a Lione tra la S.V. e il generale Swayne2 , che io ho approvate, salvo particolari da concordarsi sui luoghi. Il Governo britannico non ci ha ancora comunicata la sua adesione. A questo proposito e per chiarire la · questione di frontiera verso Bohotle sarà bene che ella alla prima occasione veda a Berlino il generale Swayne.

Nell'attuale situazione null'altro posso dirle, lasciando che ella, dopo essere stata sui luoghi, mi riferisca per quei provvedimenti che possano darci guarentigia di avviamento ad una sistemazione.

305 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 958.

306

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1087/3761• Londra, 14 ottobre 1905.

In assenza di lord Lansdowne ho parlato a sir Eldon Gorst nel senso del telegramma di VE. del1'8 corrente n. 16062 riguardo alle obiezioni di Menelik a riconoscere che Lug rientra nella nostra sfera d'influenza. Egli mi rispose che il colonnello Harrington non ha finora scritto nulla in proposito ed osservò che sulla base tuttora vaga di quanto sembra risultare dalle disposizioni di Mcnclik non sarebbe forse prudente incaricare quell'agente britannico di passi che potrebbero riuscire prematuri ed inopportuni. Sir Eldon Gorst mi promise però di scrivere in via particolare al colonnello Harrington per sentire da lui come stiano esattamente le cose in seguito a che si vedrà meglio il da farsi.

305 2 Vedi D. 231.

306 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra. 2 Vedi D. 302.

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI

T. 1671. Roma, 16 ottobre 1905, ore 18.

Ella avrà probabilmente rilevato la pubblicazione in alcuni giornali francesi di pretesi apprezzamenti che io avrei fatto in ordine all'accordo anglo-francese nell'eventualità di un conflitto fra la Francia e la Germania. Non ho bisogno di dirle che tali apprezzamenti a me attribuiti sono fantastici. Si riferisce ad essi il comunicato testé pubblicato dalla Stefani e che io ad ogni buon fine le riproduco, perché, nel modo che crederà più opportuno, richiami sopra di esso, senza dare del resto importanza alla cosa, l'attenzione di codesto Governo. Ecco il comunicato: «L'incaricato d'affari di Francia si è recato dal ministro degli esteri, Tittoni, per manifestargli il dispiacere del sig. Rouvier perché taluni giornali hanno fatto intervenire il suo nome nelle loro polemiche, e gli hanno attribuito dei discorsi che egli non ha mai tenuto all'ambasciatore di Francia, e che pertanto il sig. Barrère non poteva riferire e non ha mai riferito al suo Governo. Il ministro Tittoni ha ringraziato per l 'atto cortesemente riguardoso».

308

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1014/421. Madrid, 16 ottobre 1905 (perv. il 20).

Ho visitato in questi giorni gli ambasciatori d'Inghilterra e di Germania di ritorno dal loro congedo, e mi sono brevemente intrattenuto con loro sulla presente situazione politica rispetto alla questione del Marocco, quale essa è creata dalla pubblicazione del programma della futura conferenza di Algeciras, e dall'adesione ad esso delle potenze invitatevi.

Sir A. Nicolson mi ha detto che egli sarà il delegato britannico alla conferenza: che per quanto (a parer suo e contrariamente al parere di altri molti) il programma ne sia stato studiato con diligenza e senso pratico e ridotto alle proporzioni dell'equo e del possibile, pure la conferenza o dovrà riuscire assolutamente vana, oppure dovrà risultare in una delegazione alla Francia per compire essa a sua guisa le divisate riforme. Risultato questo che l'Inghilterra aveva cercato già di raggiungere coll'accordo dell'aprile 1904, e pel quale non occorreva (secondo sir Arthur) mettere a soqquadro l'Europa e giungere fino al pericolo d'una guerra. Il mio interlocutore continuò esprimendo i più acerbi giudizi sulla politica germanica; e disse che, alla impopolarità dovutale per la sua violenza ed improntitudine, aveva aggiunto la vergogna di un segnalato insuccesso.

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Il sig. di Radowitz mi espose la situazione nel senso che la conferenza di Algeciras non debba avere nessuna importanza politica, la quistione politica considerandosi dal suo Governo come esaurita nei negoziati di Parigi. A suo modo di vedere, non si tratterà dunque che di una conversazione tecnica fra specialisti, dalla quale gli ambasciatori accreditati a Madrid dovrebbero essere strettamente allontanati. Per dare alla conferenza un simile modesto carattere, e non per altra ragione, la diplomazia germanica aveva assolutamente rifiutato come luogo di riunione la capitale della Spagna. Conchiuse dicendo che egli riteneva e sperava di non essere designato come delegato; e quando gli dissi che sir A. Nicolson mi aveva espresso la quasi certezza di dover andare a Algeciras, egli osservò: «andrà come tecnico e specialista in grazia del suo soggiorno di dieci anni a Tangeri, perché come ambasciatore non vedrei che cosa vi avrebbe da fare».

Questo modo così diverso di considerare una questione già da tanto tempo sul tappeto e sulla quale tutto ormai è stato detto, nonché l'acrimonia nelle espressioni dei due personaggi che sono stati parte importante negli avvenimenti passati e lo saranno pure ancora negli avvenire, è prova per me d'una tensione d'animo ancora sussistente e di un'assoluta mancanza di un attuale scambio d'idee fra l'Inghilterra e la Germania.

309

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 2760/854. Washington, 16 ottobre 1905 (perv. il 28).

Il presidente parte dopodomani per il suo viaggio al Sud. Siccome egli non farà ritorno a Washington se non quando ne sarò io stesso partito, così sono andato, questa mattinata, a vederlo al suo ufficio. Egli mi ha ricevuto con la consueta cordialità ed espansione ed il discorso si è dapprima aggirato su argomenti d'indole familiare. Quando gli ho detto che mi recavo quanto prima in Italia, il che egli già sapeva, ha avuto a riguardo mio e dell'ambasciatrice parole di amichevole cortesia che è superfluo riferire, e mi ha pregato di porgere a S.M. il Re i suoi rispettosi saluti. Poi, raccogliendosi un momento, ha soggiunto: «E vi prego ancora di dire, da parte mia, al vostro Re, se non è troppo ardimento ("if i t is not impertinent") che lo ammiro grandemente; che con sommo compiacimento ho saputo, anche da persone della parentela di Mrs. Roosevelt che vivono in Italia, tutto ciò che egli fa per il suo popolo, tutte le cure che egli prende per lo sviluppo del suo paese, per il benessere delle classi meno favorite (''for the sufferers"). In questo modo, si assicura il mantenimento dell'ordine, che è, in una nazione, bisogno non inferiore a quello della stessa libertà e si mantiene, da un potere legittimo, il principio di autorità». Il presidente insistette a lungo e con grande enfasi in questi concetti, pregandomi ancora di farmi interprete della sua ammirazione presso il Nostro Augusto Sovrano, sempre, soggiunse nuovamente con

modestia che aveva tutta la parvenza della sincerità, «if it is not too impertinent». Risposi che certamente i suoi giudizi sarebbero da S.M. il Re «justly appreciated». E cordialmente ci accomiatammo.

Prego V.E. di voler anticipare, se così crede, la comunicazione che spero aver l'onore, in una non lontana udienza, di fare verbalmente alla Maestà del nostro Re.

310

IL VICE CONSOLE AD ADEN, TERRUZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 304/71. Aden, 16 ottobre 1905 (perv. il 28).

Facendo seguito al mio rapporto n. 292/68 del l O corr. mese1 , mi pregio di comunicare all'E.V. le ultime notizie giunte dalla costa, da due fonti diverse.

l) Da Bander Cassem, gente arrivata ieri rapporta che i migiurtini in numero di mille circa al comando di Sultan Osman e di suo figlio Jusuf erano pronti a fronteggiare i dervisci riuniti a Daror ed Ausane. Interrogato però l'oroscopo ed avutane risposta sfavorevole, si sciolsero, decidendo di attendere l'intervento del R. Governo che doveva essere vicino. Sultan Osman si recò a Bargal e suo figlio andò a Bander Cassem dallo zio Ahmed Tager. I dervisci, vista la ritirata dei migiurtini, incominciarono ad abbandonare Daror ed Ausane portando seco il grosso bottino fatto specialmente sugli Isa Mahmud, e dirigendosi per la strada di Karkar verso il Nogal. Nulla si sa del Mullah stabilitosi a Gardo e di ciò che fanno i dervisci che sono ad Orghelo (rapporto consolare n. 292/68 del 10/10/05).

2) Da Tahon, l'interprete consolare Ismael Aly, latore di mie lettere per Sultan Osman, partito col vapore «Scek Barkut» per accompagnarvi un incaricato delle assicurazioni francesi che doveva periziare il «Chodoc» ivi arenato, riporta che si abboccò colà con Mohamed Hersi Osman, zio di Sultan Osman Mahmud, il quale gli narrò che i dervisci avevano invaso il territorio migiurtino facendovi largo bottino, aggiungendo che Sultan Osman Mahmud aveva radunato molta gente che condusse, col figlio Jusuf, a fronteggiare i dervisci. Visto, però, che questi non avanzavano decise di non attaccarli, ed, ordinato ai suoi uomini di non muoversi se non provocati, si recò a Bargal dove attende ansiosamente l'arrivo del comm. Pestalozza, fidando nel suo intervento, per avere soddisfazione dai dervisci. Il Mohamed Hersi Osman assicura che Sultan Osman deve trattenere la sua gente che vorrebbe lanciarsi sui dervisci; egli confermò le operazioni di questi in diverse direzioni ed accennò al risentimento dei migiurtini contro l'Italia che li lasciò aggredire dai dervisci.

31 O1 Non pubblicato.

Le due versioni, Bander Cassem e Tahon, non corrisponderebbero appieno; la prima è forse la più attendibile: la conclusione di entrambe, però, è che nella Migiurtinia è subentrata la tregua, e dal loro esame ne scaturirebbe che i dervisci paghi del buon bottino si ritirano, e che i migiurtini consci della loro inferiorità, di fronte ai primi, preferiscono di non muoversi per tema di maggiori perdite. Ed ora mi permetto di comunicare ali 'E. V. le impressioni e l'opinione espressemi dali' Abdalla Sheri, (che sarebbero quelle anche del Mullah) con preghiera di notificarle al R. Governo, sulla situazione nella Somalia del Nord. Egli è fermamente convinto che lasciando le cose come sono, non si raggiungerà mai l'intento di mettere la pace. La natura del somalo mendace, l'ingordigia dei capi, l'ambizione degli uni ed i timori degli altri faranno sì che senza un severo controllo del R. Governo, il paese sarà continuamente in lotta, specialmente durante la stagione estiva. L' Abdalia dichiara esplicitamente che il

R. Governo dovrebbe presidiare la costa da Obbia a Bandar Ziada (Illik compreso) e ritiene che per questo basterebbero alcune centinaia di ascari: con ciò sarebbe anche assicurato il mantenimento del faro progettato per il Capo Guardafui. Egli assicura che i migiurtini accoglierebbero favorevolmente l'occupazione della costa per sfuggire alle vessazioni dei capi. L' Abdalla è certo che così le carovane prenderebbero la via della Migiurtinia, e non quella del protettorato inglese (come tenta di fare il Governo inglese, appare copia nota acclusa n. 756/c. dell' 11 corr. del generale Swayne) perché il Mullah ne favorirebbe la direzione. Il Mullah, a detta dell'Abdalla Sheri, pensa che, in mancanza dell'occupazione italiana, sarebbe costretto di combattere continuamente coi migiurtini, e dovrebbe da sé trovare una soluzione che potrebbe portare al tentativo di sottomettere la Migiurtinia stessa. Il Mullah non tollererebbe intervento inglese.

Ho riferito ali 'E. V. quanto sentii dali' Abdalla Sheri, senza la pretesa di pronunciarmi su sedute che richiedono competenza nella questione, pratica dei luoghi e conoscenza delle persone più di quelle che io possegga.

311

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI

Roma, 18 ottobre 1905, ore 11,45.

Può far menzione col segretario di Stato del comunicato dell'Agenzia Stefani, trovando modo di fare naturalmente cadere il discorso sull'argomento. Dovrebbe anche far sì che i giornali tedeschi riproducessero comunicato, il quale tende sopratutto a smentire i discorsi attribuitimi dal Matin e dalla Dépeche de Toulouse, secondo i quali io avrei incoraggiato la Francia ali' accordo coli 'Inghilterra contro la Germania. Il solo discorso che io feci a Barrère fu di consigliarlo ad accettare la confe

renza proposta dalla Germania, avvertendolo che io sapevo che, in caso contrario, la Germania non avrebbe esitato ad accettare un conflitto. Ciò è perfettamente noto a Biilow, al quale a Baden-Baden narrai tutto dettagliatamente.

311 1 Risponde al T. 2058/190 del 17 ottobre con il quale Mattioli aveva chiesto precisazioni in merito alle istruzioni di cui al D. 307.

312

SUA MAESTÀ VITTORIO EMANUELE III AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

Racconigi, 22 ottobre 1905 (perv. il 23).

Le trascrivo il seguente telegramma che ricevo dall'Imperatore di Germania:

«La pace avendo ristabilito l'ordine in Asia, io propongo di ritirare le truppe di occupazione che si trovano consegnate nelle province di Tschilì. Il ritiro avrà luogo di comune accordo, e le modalità essendo fissate dagli ufficiali comandanti i contingenti in consiglio, S.M. Imperatore China è informata. Le guardie delle legazioni rimarranno a Pechino».

Panni non avrei che a rispondere essere l'evacuazione per parte nostra già compiuta dal momento che in China rimane solamente la guardia della legazione. Ma desidero prima conoscere il suo pregiato parere2 .

313

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SUA MAESTÀ VITTORIO EMANUELE III

T. l. Roma, 23 ottobre 1905, ore 15.

Risposta che V.M. si propone di fare all'Imperatore di Germania è giustissima. Noi ritirammo già truppe di terra. Dei marinai che erano a guardia della legazione a Pechino ne distaccammo cinquanta2 per presidiare Won-Sung3 secondo l'obbligo che avevamo colle altre Potenze. Ritirando Germania e quindi anche le altre potenze i loro presidì noi concentreremo a Pechino i marinai a Won-Sung.

2 Per la risposta vedi D. 313.

2 Nell'interlinea: «cinquantasei con quattro uftìciali».

3 Corretto in Wong-Sun. Nell'interlinea: «Wang-Tsun».

312 1 Dalle carte della Serie P.

313 1 Minuta autografa. Dalle carte della Serie P. Risponde al D. 312.

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, A SUA MAESTÀ VITTORIO EMANUELE III

Roma, 23 ottobre 1905, ore 18,30.

In questo momento è venuto da me ambasciatore di Germania per parteciparmi a nome del suo Governo il telegramma diretto dall'Imperatore a V.M.2 e che è stato diretto anche ai capi degli altri Stati che hanno presidì in Cina.

Ambasciatore germanico mi ha chiesto di telegrafare al nostro ministro a Pechino perché all'uopo si ponga d'accordo coi ministri degli altri Stati ed io gli ho risposto che lo avrei fatto3 .

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 1724. Roma, 24 ottobre 1905, ore 16,15.

Questi ambasciatori d'Austria-Ungheria e di Russia mi hanno congiuntamente rimessa una nota verbale in data di oggi, colla quale i rispettivi Governi propongono che i rappresentanti delle grandi potenze tengano al Sultano, nella udienza collettiva già dall'E.V. preannunziatami, il linguaggio da lei indicatomi nel suo telegramma n. 1721•

La nota aggiunge che, per il caso possibile d'insuccesso, i predetti rappresentanti dovrebbero intendersi preventivamente sulla risposta da opporre ad un nuovo rifiuto, e aver pronto il piano di una più efficace azione ulteriore. Questa, secondo i due Gabinetti, sarebbe una dimostrazione navale sulle coste della Turchia, i cui particolari dovrebbero essere stati, in precedenza, discussi dagli ambasciatori.

Mentre confermo all'E.V. il mio telegramma n. 16962 , col quale la autorizzavo a prendere parte alla udienza collettiva, la prego, in conformità alla domanda espressa in fine della nota austro-russa, di agire, nel senso della medesima, d'accordo coi suoi colleghi.

2 Vedi D. 312.

3 Tittoni telegrafò a Pechino il 25 ottobre (T. 1734): «Concordi con colleghi ritiro forza armata eccetto guardia legazione».

2 Del 20 ottobre, non pubblicato.

Con questa occasione avverto l'E.V. che ella può ritenersi, in massima, autorizzata ad associarsi a tutti i passi che siano concordati fra gli ambasciatori delle grandi potenze. All'E.V. non occorrerà, quindi, per questa parte, di richiedere ulteriormente speciali istruzioni, se non nel caso in cui, dalle decisioni degli ambasciatori, uno, o più dei suoi colleghi, fossero dissenzienti.

314 1 Minuta autografa. Dalle carte della Serie P.

315 1 T. 2078/172 del 19 ottobre. L'ambasciatore austro-ungarico aveva precisato ad Imperiali che nell'udienza collettiva gli ambasciatori delle grandi potenze avrebbero dovuto chiarire al Sultano che, nel caso di un suo rifiuto di accettare le riforme in Macedonia, le potenze avrebbero adottato le misure rese necessarie dalla situazione.

316

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 714/228. Belgrado, 24 ottobre 1905 (perv. i/13 novembre).

Al mio ritorno dal congedo, il barone Romano, che aveva retta la legazione durante la mia assenza, non mancò di subito informarmi del cambiamento avvenuto nell'indirizzo della politica serba e di quanto egli aveva scritto a tale proposito all'E.V.

In agosto qui non si desiderava altro che compiacere l'Austria, e si dimostrava diffidenza e quasi avversione per la Bulgaria, ora si parla invece dell'Austria come del nemico ereditario della patria serba e si fa ogni sforzo per riannodare i buoni rapporti con Sofia. Un tale mutamento, del quale il barone Romano esamina con molto acume e pesa con molta saviezza le cause probabili nel suo rapporto del 3 corrente

n. 211 1 , non mi ha meravigliato molto perché, indipendentemente da qualsiasi ragione speciale, la politica serba è stata sempre abituata a queste evoluzioni e non ha di costante che la incostanza.

La lunga conversazione avuta ieri con S.M. il Re, durante una udienza di cui volle onorarmi, mi permise di meglio controllare le informazioni che avevo ricevute.

La Maestà Sua mi parve, infatti, anche più del consueto preoccupata di quel pericolo austriaco che, come una specie di incubo pauroso, pesa sul popolo serbo e ne turba i lunghi sonni e le convulse veglie.

Sua Maestà si mostrò convinta che, se il dissidio fra le due parti della Monarchia, salito in questi ultimi mesi a tanta acutezza non avesse signoreggiati gli animi e paralizzate le forze, era da temersi che a Vienna si fosse giudicato opportuno il momento attuale per tagliare colla spada il nodo balcanico, occupando militarmente parte della Macedonia col pretesto di ristabilire l'ordine e porre fine ad uno stato di cose divenuto intollerabile per tutti.

Ora qui le autorità militari ritengono, e credo con ragione, che l'occupazione della Macedonia non possa compiersi se non attraverso la Serbia, lungo la valle della Morava, e che tale sia il proposito dello Stato Maggiore austriaco, il quale avrebbe in animo di procedere oltre anche se il Governo serbo vi si opponesse. Di un fatto simi

le, aggiunse il Re, l'Italia deve certo preoccuparsi ed io ritengo che qualunque sia la forma che l'azione sua dovesse assumere, essa avrebbe per fine precipuo di impedire che gli interessi italiani sieno compromessi e che, soprattutto, il bacino dell'Adriatico diventi un lago austriaco.

Desiderando che la mia risposta a queste parole non potesse essere interpretata né come eventuale promessa, né come incoraggiamento ad una politica poco prudente, mi limitai a dichiarazioni molto vaghe e platoniche, cioè, che l'Italia certamente si interessava alle questioni balcaniche e all'avvenire della Serbia, che desiderava vivamente il mantenimento dello status quo, ma aveva fiducia che il Gabinetto di Vienna non sarebbe venuto meno, almeno per ora, agli impegni presi a questo proposito. Certo, aggiunsi, l'avvenire può far sorgere nuovi e inattesi pericoli ed è bene perciò che la Serbia si premunisca ed afforzi le difese dando al suo esercito l'assetto voluto ed assicurandosi l'alleanza di quei popoli, come il bulgaro, che hanno con essa comuni gli interessi e le aspirazioni.

Purtroppo, mi disse il Re sospirando, la questione degli armamenti non ha ancora fatto un passo decisivo e siamo, può dirsi, allo stesso punto in cui ci trovavamo un anno fa.

Se fosse lecito ad un rappresentante estero metter parola nella politica interna del paese presso il quale è accreditato, avrei fatto rispettosamente osservare come la responsabilità della situazione attuale ricadesse su chi si era adoperato a rovesciare il Ministero passato, invece che sostenerlo. Se il vecchio Ministero radicale fosse rimasto al posto, la questione degli armamenti sarebbe già risoluta e non si sarebbe perduto un anno in vuote ciarle.

Per quello però che riguarda la alleanza colla Bulgaria, il Re mi fece chiaramente capire che non faceva su di essa serio assegnamento. Questo linguaggio è certo molto diverso da quello che tengono i ministri, i quali, anzi, a quanto mi si assicura, eccedono ora nella manifestazione dei loro recenti sentimenti di simpatia per i fratelli bulgari, ma è conforme però al linguaggio tenuto dal colonnello Maschin, capo dello Stato Maggiore generale, al colonnello Del Mastro, come risulta dal mio rapporto in data d'oggi, n. 2292 .

Tutto ciò conferma quello che già si diceva, e cioè, che gli avversari più irreconciliabili dell'alleanza bulgara debbono cercarsi nel partito dei cospiratori e che la Corona, anche nelle questioni di politica estera, subisce intera la pressione o almeno l'influenza di costoro. Il motivo pel quale essi non hanno mai nascosta la loro avversione alla alleanza bulgara, deve attribuirsi in parte al desiderio di rivincita molto spiegabile al punto di vista dei sentimenti militari e alla persuasione che la gloria acquistata sul campo di battaglia cancellerebbe i ricordi della notte fatale dell'li giugno e porrebbe una pietra sul passato.

Il partito militare, inoltre, si fa l'illusione che l'esercito serbo potrebbe seriamente competere col bulgaro, ciò che è assolutamente negato da quanti si occupano con competenza delle questioni militari balcaniche.

Il colloquio avuto con S.M. il Re Pietro fece sull'animo mio una impressione penosa. È penoso, infatti, vedere un principe assuefatto alle idee e alle abitudini occidentali, animato da sincero desiderio del bene della patria, persuaso dei mali che la

affliggono e dei pericoli che la minacciano, non trovare intorno a sè che gente o inesperta, o incapace, o malfida, dibattersi fra mille difficoltà, impotente a trovare una via di uscita, dato che una ve ne possa essere3 .

316 1 Vedi D. 299.

316 2 Non pubblicato.

317

IL MINISTRO A TOKYO, VINCI GIGLIUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 425/134. Tokyo, 24 ottobre 1905 (perv. i/7 gennaio 1906).

Facendo seguito al mio rapporto del 5 corr. n. 1261 , ho l'onore di qui unito trasmettere a V.E. (annesso A)2 alcuni brani di giornali riflettenti l'opinione pubblica al Giappone a riguardo del recente rinnovamento ed allargamento del Trattato di alleanza anglo-giapponese. Trasmetto in pari tempo (annesso B) una traduzione del pensiero espresso sul medesimo argomento dall'ex ministro conte Okuma, che, per quanto appartenente al partito di opposizione verso l'attuale Governo, è sempre uno degli uomini politici più importanti di questo paese. Aggiungo anche (annesso C) due articoli del Japan Mali, dal titolo «Advocates and opponents of the Alliance», che mi sembrano abbastanza interessanti.

Il nuovo trattato è stato accolto generalmente con grande soddisfazione. Nessuno qui si nasconde che gli obblighi assunti dal Giappone in India sono assai onerosi, ma non sarebbe stato possibile ottenere dei vantaggi senza dar nulla in contraccambio.

Il recente trattato, mi sembra, può considerarsi come un vero trattato offensivo e difensivo. Se una delle parti contraenti, nella sfera contemplata nel trattato medesimo, di fronte ad un attacco improvocato, o azione aggressiva da parte di un terzo Stato, è costretto a far la guerra, l'altra parte è obbligata a venire subito in suo aiuto. Ora, al giorno d'oggi, non vi ha guerra in cui ciascuno dei belligeranti non pretenda esser costretto di ricorrere alle armi in seguito ad un improvocato attacco, o azione aggressiva da parte dell'avversario. Lo stretto carattere difensivo del trattato è pertanto perfettamente illusorio.

L'Inghilterra ed il Giappone hanno oggi assicurato, in modo assai difficilmente contrastabile, lo svolgimento dei loro rispettivi interessi in India ed in Estremo Oriente.

Se il trattato di Portsmouth, come qui da molti si lamenta, non aveva abbastanza efficienza, colla nuova alleanza coll'Inghilterra il Giappone viene ora a raggiungere ampiamente gli scopi pei quali combatté durante due anni contro la Russia.

L'integrità e l'indipendenza dell'Impero cinese vengono garantite. D'ora innanzi nessuna potenza potrà vagheggiare ingrandimenti territoriali a danno della Cina senza incorrere nell'ostilità dell'Inghilterra e del Giappone, né potrà tentare di acquistare privilegi esclusivi in qualsiasi delle ventuno provincie dell'Impero Celeste.

2 Gli allegati non si pubblicano.

Il Giappone sarà libero di prendere quelle misure di guidance contro! and protection che stimerà convenienti e necessarie alla protezione ed al progresso dei suoi grandi interessi politici, militari ed economici in Corea e l'Inghilterra sarà effettivamente obbligata ad assistere il Giappone in ogni conseguenza che da tali misure potrà derivare. D'altra parte l'Inghilterra sarà libera di prendere in prossimità della frontiera indiana quelle misure che crederà necessarie per salvaguardare i suoi possessi d'India ed il Giappone sarà effettivamente tenuto a prestare alla sua alleata assistenza in ogni circostanza che da tali misure potrà conseguire. Potrà sempre, infatti, ciascuna delle due potenze alleate, come ho accennato più sopra, invocare a proprio beneficio il caso di improvocato attacco o azione aggressiva giustificante ed esigente l'intervento dell'altra potenza.

In tale stato di cose il Giappone, allontanato il pericolo russo almeno per dieci anni e fatto riconoscere col trattato di Portsmouth e con quello recente coll'Inghilterra i suoi diritti sulla Corea, non sembra voglia perder tempo per cercare di stabilire in modo definitivo la propria preponderanza nell'Impero Eremita e di provare il suo governo sopra una razza assoggettata.

Quanto poi alla Cina, assicuratane l'integrità e l'indipendenza, al Giappone non mancherà certo occasione per cercare di coltivarne sempre più l'amicizia ed estendervi maggiormente la propria influenza, in attesa probabilmente del giorno in cui l'Impero Celeste potrà essere suo alleato per un'Asia per gli asiatici; ciò che evidentemente segnerebbe la fine di qualsiasi influenza occidentale in Estremo Oriente.

316 3 Per la risposta vedi D. 344.

317 1 Non pubblicato.

318

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. CONFIDENZIALE 53385/1220. Roma, 27 ottobre 1905.

Per opportuna informazione di V.E., mi pregio, qui unita, comunicarle copia di un rapporto, n. l 020/351, in data del 29 settembre u.s. 1 , relativo ad una conversazione avuta dal r. incaricato d'affari in Londra col marchese Lansdowne a proposito della convenzione per l 'Etiopia.

Ho risposto alla r. ambasciata approvando le dichiarazioni fatte dal barone Carignani e principalmente quella relativa all'interesse sempre vivo del Governo del Re di concludere al più presto possibile la convenzione anche stipulandola soltanto con la Gran Bretagna qualora non fosse possibile stabilire l'accordo col Governo francese.

Da lei non ho più ricevuto altra comunicazione su questo argomento dopo i due rapporti in data del l o agosto u.s. 2 e dopo il mio dispaccio n. 41073/905, in data del 12 agosto3 .

2 RR. 2154/875 e 2156/876, non pubblicati.

3 Vedi D. 243.

318 1 Non pubblicato.

319

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 727/234. Belgrado, 27 ottobre 1905 (perv. il 13 novembre).

Nella seduta del 14 corrente il ministro degli affari esteri, ribattendo le accuse che in occasione dell'indirizzo in risposta al discorso della Corona si muovevano da varie parti della Camera alla politica del Ministero, dichiarò che la Serbia, soltanto coll'aspettare tranquillamente l'effetto delle riforme in Macedonia, poteva conciliarsi le simpatie dell'Europa. Il Governo non essere fautore della guerra, ma disposto invece ad adoperarsi efficacemente per allontanare pericoli di complicazioni, però ben deciso a non soffrire affronti. Nelle circostanze presenti la miglior politica esser quella di rafforzare i legami di solidarietà fra la Serbia il Montenegro e la Bulgaria, rispettare i trattati internazionali, aiutare l'opera delle riforme.

Essendomi recato ieri a visitare il sig. Zujovié e, dopo essermi rallegrato del savio linguaggio da lui tenuto, rammentandomi di quanto avevano detto il Re e il colonnello Maschin a proposito della alleanza bulgara (vedi miei rapporti 24 corrente, nn. 228 1 e 229)2 , gli chiesi se non credesse esservi fra gli ufficiali serbi un gruppo molto influente decisamente avverso alla alleanza bulgara, così da dichiarare che certi alleati erano più pericolosi degli stessi nemici. Lo Zujovié rimase un po' confuso a questa mia interrogazione, e dopo una piccola pausa, mi rispose: «È possibile vi sia qualcheduno che abbia detto una simile bestialità, ma non vi è un gruppo politico che la pensi così. So bene che i bulgari sono per loro natura oltremodo diffidenti, ma ritengo debbano essere i nostri naturali alleati e noi dobbiamo continuare a stendere loro la mano, anche se persistessero a rifiutarci la loro. Se poi col tempo si vedrà in fatto ogni accordo con loro impossibile, allora penseremo ai casi nostri e orienteremo altrimenti la nostra politica». Aggiunse esservi in Belgrado tutta una combriccola di persone losche e note o per agenti stipendiati dali' Austria o per i legami avuti in passato con quel paese. Costoro esercitano lo spionaggio, seminano la zizzania, corrompono col denaro e, per mezzo della Neue Freie Presse e del Pester Lloyd, hanno organizzata una campagna instancabile contro la alleanza bulgara, gli armamenti, ecc. Verso la fine dell'estate, quando scoppiarono i torbidi di Plevlje, tutto faceva temere una avanzata delle truppe imperiali in quanto si sapeva che le autorità austriache, senza veruna dissimulazione, aiutavano colle armi, col denaro e coi consigli i contadini a sollevarsi, affinché l'incendio divampasse e si estendesse. Per conciliarsi poi i vecchi serbi e nascondere il loro giuoco, andavano dicendo: «Non temete nulla perché non sarà l'Austria, ma la Serbia o il Montenegro che verranno poi a ristabilire l'ordine».

Il ministro ritiene che si volesse così indurre il Governo serbo a qualche atto imprudente che servisse di pretesto ad una eventuale invasione. Però a Belgrado non

2 Non pubblicato.

si perdette la testa, si dettero ai serbi di oltre frontiera consigli di prudenza e si fecero pratiche a Costantinopoli perché venisse sospesa o temperata l'esazione delle imposte che avevano dato pretesto alla rivolta. L'azione che la Serbia ha esercitata è stata ed è sommamente conciliante, ma non sarà sempre possibile tener compresso il sentimento nazionale innanzi allo spettacolo dei mali a cui soggiacciono i fratelli serbi nella parte occidentale del vilayet di Uskiib per opera degli albanesi, i quali, ribelli ad ogni legge, traggono profitto dallo stato di anarchia da essi creato, per non pagare imposte, taglieggiare le altre nazionalità e commettere impunemente qualsiasi delitto. Oggi, i serbi d'oltre confine non possono abbandonare il loro villaggio per recarsi altrove se non sono accompagnati da un albanese che, mediante denaro, prenda la tutela della loro persona. Senza la presenza di questa specie di cavas di nuovo conio, lo sventurato incontrerebbe mala morte. Guai poi se una di queste povere famiglie serbe, per mancanza di denaro, licenziano il pericoloso protettore, questi, divenuto il più temibile dei nemici, si vendicherebbe sui loro beni e le loro vite.

A modo di conclusione lo Zujovié finiva col dirmi: «Non vi è che un modo per riparare ai mali: l'Europa dia al Montenegro e a noi il compito di ristabilire l'ordine. Che inconveniente vi sarebbe? Due piccoli popoli debbono far temere molto meno di uno grande e potente».

Risposi che, a mio credere, la soluzione proposta non sarebbe facilmente accolta. Le grandi potenze, che hanno dato prova sin qui di tanta pazienza e di tanta persistenza per impedire una conflagrazione balcanica o almeno per ritardarla, avrebbero ragione di temere che il mandato alla Serbia e al Montenegro di ristabilire l'ordine nelle provincie turche sarebbe il branle-bas de combat in tutta la penisola. È interesse dell'Europa non affrettare per ora un tal giorno3 .

319 1 VediD.316.

320

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 1755. Roma, 28 ottobre 1905, ore 14,25.

Con telegramma del 28 settembre 1 il marchese Carignani mi faceva conoscere essergli sembrato che lord Lansdowne trovasse conveniente la soluzione da noi immaginata per la questione della durata del programma di Miirzsteg. L'incaricato d'affari soggiungeva che, avendo chiesto al marchese Lansdowne se fosse disposto a farla sua ed a metterla innanzi nel qual caso il R. Governo l'avrebbe appoggiata, Sua Signoria gli rispose che avrebbe esaminata la cosa e comunicata sua decisione. Non mi consta che dipoi codesto ministro degli affari esteri sia con lei tornato sull'argomento. Il r. ambasciatore a Costantinopoli mi telegrafa ora2 che l'ambasciatore di

2 Con T. 21261182 del27 ottobre, non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato.

Russia ha proposto al suo Governo che, procedendosi eventualmente a dimostrazione navale, si colga l'occasione per liquidare in pari tempo questione proroga agenti civili e gendarmeria. Per il caso che la proposta di Zinoviev sia accettata dal Governo russo e formi indi oggetto di comunicazione formale dei due Governi imperiali gradirei conoscere in proposito il pensiero di codesto Governo3 . A me sembra che l'occasione potrebbe presentarsi, in tal guisa, propizia ed ovvia per accentuare meglio di quanto avvenne nel 1903, il carattere europeo dell'opera riformatrice in Macedonia, ed il principio fondamentale della pari competenza delle potenze firmatarie del Trattato di Berlino nelle questioni balcaniche.

319 3 Per la risposta vedi D. 344.

320 1 Vedi D. 295.

321

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, MONTS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. 1619. Roma, 28 ottobre 1905 (perv. il 29).

Le Gouvernement impérial, s'étant entendu avec le Gouvernement de la République française, m'a chargé de transmettre ci-près à V.E. un exemplaire de l'accord passé entre l'Allemagne et la France à Paris le 28 du mois dernier et concernant le projet de programme d'une conférence qui sera convoquée dans le but d'améliorer l'état de choses actuel dans l'Empire chérifien.

Je suis également chargé et j'ai l'honneur de demander si le Gouvernement royal italien, comme puissance signataire de la Convention de Madrid du 3 juillet 1880, serait prèt à prendre part à cette conférence en adoptant ledit programme, quand le Sultan de Maroc lui aura fait parvenir une invitation, et s'il adhère à la proposition des Gouvernements d'Allemagne et de la République française de réunir la conférence dans la ville espagnole d'Algésiras1 .

ALLEGATO

PROGETTO DI PROGRAMMA PER LA CONFERENZA

Parigi, 28 settembre 1905.

Les deux Gouvemements se sont mis d'accord pour proposer au Sultan le projet de programme suivant élaboré en conformité des principes adoptés dans l' échange de lettres du 8 juillet:

321 1 Per la risposta vedi D. 324.

I. - l) Organisation, par voie d' accord intemational, de la police hors de la région frontière; 2) Règlement organisant la surveillance et la répression de la contrebande des armes. Dans la région frontière, l'application de ce règlement restera l'affaire exclusive de la France et du Maroc.

II. -Réforme financière: Concours financier donné au Maghzen parla création d'une banque d'État avec privilège d'émission, se chargeant des opérations de trésorerie, s'entremettant pour la frappe de la monnaie dont !es bénéfices appartiendraient au Maghzen. La banque d'État procéderait à l'assainissement de la situation monétaire. Les crédits ouverts au Maghzen seraient employés à l'équipement età la solde des troupes de police et certains travaux publics urgents, notamment à l'amélioration des ports et de Ieur outillage.

III.-Étude d'un meilleur rendement des impòts et de la création de nouveaux revenus.

IV.-Engagement par le Maghzen de n'aliéner aucun des services publics au profit d'intérèts particuliers. Principe de I'adjudication, sans exception de nationalité, pour !es travaux publics.

320 3 Per la risposta vedi D. 323.

322

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. CONFIDENZIALE 1768. Roma, 29 ottobre 1905, ore 22, 15.

Il corriere reca il rapporto del 3 ottobre relativo alle convenzioni tunisine 1•

Mi preme di tosto chiarire che non fu mai mia intenzione di trasferire a Roma il relativo negoziato. Mi sono invece limitato, seguendo l'opportuno suggerimento di lei, a pregare Barrère di assecondare, dal canto suo, gli uffici di lei; poiché egli trovasi in congedo gli diressi in proposito una lettera particolare che esprimeva esattamente il mio concetto e della quale, per la posta, le invio copia2 . Evidentemente è occorso a Parigi un equivoco che le sarà agevole rimuovere col suo tatto abituale, mentre altrettanto farò qui col sig. Barrère di cui è imminente il ritorno. Bensì, appunto perché avrò prossima occasione di sentire dal sig. Barrère le impressioni che da Parigi egli reca circa questo affare, mi riservo di fornirle ulteriori indicazioni ed istruzioni. Ciò non toglie che intanto VE. possa ripigliare col sig. Rouvier il discorso su questo importante argomento.

2 L. personale del 28 agosto non pubblicata.

322 1 Vedi D. 298.

323

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1176/400. Londra, 2 novembre 1905 (perv. il 12).

Ho l'onore di accusare ricevuta dei tre ultimi telegrammi (nn. 1755 1 , 17752 , 17823) che V.E. mi ha diretti circa gli affari di Macedonia. Col primo di essi ella esprimeva il desiderio di conoscere il pensiero del marchese di Lansdowne circa quanto potrebbe farsi, data l'attuale scadenza dei poteri degli agenti civili creati dal programma di Miirzsteg, per fame risultare il prolungamento in una qualche forma atta a mantenere il carattere temporario dei poteri stessi, con salvaguardia dei pari diritti spettanti a tutte le potenze firmatarie del Trattato di Berlino.

Il marchese di Lansdowne non avendo dopo il mio recente ritorno in Londra fatto meco veruna allusione alla conversazione avuta in proposito col r. incaricato d'affari4 , approfittai di una visita da me fatta ieri a Sua Signoria per richiamare la sua attenzione su quell'argomento. Lo feci prendendo occasione da quanto VE. mi riferì circa l'intenzione mostrata dall'ambasciatore russo a Costantinopoli, di approfittare cioè delle presenti congiunture per liquidare in pari tempo la questione della proroga di cui si tratta. Codesta questione, osservai, doveva infatti necessariamente presentarsi insieme alla soluzione dell'attuale contrasto colla Sublime Porta circa il controllo finanziario e, da qualunque parte ne venisse l'iniziativa, sarebbe quello il momento opportuno per mettere in chiaro le cose conformemente ai principì sui quali Sua Signoria si era trovata con noi d'accordo. Lord Lansdowne, nel rispondermi, cominciò col tornare sulle considerazioni generali da lui già altre volte espostemi, nel senso cioè che la questione dei poteri degli agenti civili aveva ora alquanto perduto della sua importanza, in quanto che l'intervento comune di tutte le potenze nella direzione della gendarmeria e nella gestione anche più essenziale delle finanze, riduceva ormai entro limiti assai ristretti l'azione riservata a quegli agenti. Anche il punto relativo alla presidenza della Commissione finanziaria era stato da ultimo risoluto in modo soddisfacente, essendosi stabilito che in assenza dell'ispettore generale questi verrebbe rappresentato da un altro funzionario ottomano: e infine la pressione stessa che le sei potenze stanno ora esercitando di concerto per far accettare dal Sultano le loro proposte, implicava la più evidente dimostrazione del carattere europeo dell'intera questione.

T. 1774 del 30 ottobre per Costantinopoli. Imperiali aveva comunicato che gli agenti civili pretendevano di assicurarsi a turno la presidenza della Commissione finanziaria. Una pretesa-osservava l'ambasciatore -assolutamente inaccettabile perché implicitamente avrebbe riconosciuto una posizione privilegiata all'Austria-Ungheria e alla Russia, distruggendo il risultato ottenuto con l'istituzione della Commissione. Tittoni aveva risposto di condividere interamente l 'opinione del! 'ambasciatore.

3 T. 1782 del 31 ottobre: Tittoni comunicava di aver telegrafato ad Imperiali di approvare la soluzione, proposta nel frattempo dagli ambasciatori di Gran Bretagna e di Germania, che la presidenza della Commissione fosse assunta da un rappresentante ottomano.

4 Vedi D. 295.

Ammettendo il fondamento di queste osservazioni rilevai, tuttavia, che la situazione di fatto esposta da Sua Signoria non eliminava totalmente il punto di diritto concernente i poteri speciali creati dal programma di Miirzsteg, i quali, per quanto ridotti, pur si mantengono in qualche misura: non si trattava, dissi, di contestarli, ma soltanto di conservare ad essi la loro natura che era quella di una delegazione a tempo, e ciò per semplice considerazione di prudenza, non potendosi prevedere se, da chi, od in quali circostanze, potrebbe forse, un giorno, venir invocato un qualsiasi dubbio, che ora si lasciasse sussistere a loro riguardo.

Il marchese di Lansdowne non obbiettò a queste allusioni che egli anzi mostrò di apprezzare. Egli conchiuse col dirmi che si riservava, in momento propizio, di addivenire ad una dichiarazione nel senso accennato: allo stato delle cose non occorrerebbe, a parer suo, un atto formale e solenne di proroga degli accordi di Miirzsteg, ma egli potrebbe riferirsi in un qualche documento diplomatico destinato alla pubblicazione, per modo da far risultare gli intendimenti del suo Governo circa il valore ed il significato della proroga stessa, già implicata dai recenti accordi fra i Gabinetti.

Come V.E. lo rileverà, ciò è in sostanza la conferma delle intenzioni che lord Lansdowne mi aveva espresse nella scorsa estate sulla stessa questione. Non avendo io istruzioni di formulare per nostro conto alcuna proposta, non ho spinto più oltre l'argomento. Sua Signoria non ha indicato più precisamente la forma né il momento della dichiarazione da lui contemplata. Essa dovrebbe infatti prodursi in connessione cogli accordi che ora si tratta d'imporre alla Turchia per il controllo finanziario, ma nessuno può predire, sin qui, come e quando questi potranno effettuarsi. Lord Lansdowne mi disse a tale riguardo nulla esservi di positivo sino ad oggi circa le misure coercitive sottoposte all'esame degli ambasciatori a Costantinopoli. Oltre ai dubbi che sussistono rispetto all'attitudine della Germania nel caso di una proposta di dimostrazione navale si aggiungono ora le gravi preoccupazioni destate dagli eventi di Russia che paralizzano per il momento ogni azione di quella potenza all'estero. Sono quelli invero gli eventi che gettano al presente la loro ombra sull'intera situazione internazionale.

323 1 Vedi D. 320. 2 T. 1775 del30 ottobre che ritrasmetteva il T. 21481184 del29 ottobre da Costantinopoli e il

324

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, MONTS

L. 54569/541. Roma, 3 novembre 1905.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la lettre en date du 28 octobre courant1 , par laquelle V.E. a bien voulu me transmettre un exemplaire de l' accord passé entre l'Allemagne et la France à Paris le 28 du mois dernier et concernant le projet de programme d'une conférence dans le but d'améliorer l'état de choses actuel dans l'Empire chérifien.

En ce qui concerne la seconde partie de la lettre de V.E. j'ai l'honneur de vous faire connaìtre que le Gouvernement royal n'a point d'objection, comme puissance signataire de la Convention de Madrid du 3 juillet 1880, à prendre part à cette conférence en adoptant le dit programme, et qu'il adhère à la proposition des Gouvernements d'Allemagne et de France de réunir la conférence à Algésiras.

324 1 Vedi D. 321.

325

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

Addis Abeba, 3 novembre 1905.

Ho l'onore di informare V.E. che questo ministro d'Inghilterra, sir John Harrington, desideroso di veder riprese le trattative, ora rimaste sospese, fra i Governi d'Italia, d'Inghilterra e di Francia per la questione della ferrovia etiopica e di vederle condotte a termine in modo soddisfacente per gli Stati interessati, ha diretto al suo collega di Francia, sig. Lagarde, la lettera della quale accludo copia2 e nella quale è contenuto un progetto di soluzione della lunga e difficile questione.

Tale progetto, benché non ne sia fatto cenno nella lettera, deve certamente essere conforme ai desideri e deve avere avuto la sanzione del Governo britannico.

Il sig. Lagarde ha risposto alla comunicazione di sir John Harrington assicurandolo che non avrebbe mancato di portare le sue proposte a conoscenza del Governo francese, ma senza fare verun apprezzamento su esse.

Avendomi il mio collega inglese comunicato una copia della lettera in questione, gli ho fatto conoscere che mi sarei recato a premura d'informare il R. Governo intorno alla soluzione da lui proposta e che, secondo il mio parere personale, ritenevo questa assai soddisfacente per tutte le parti interessate.

In attesa di conoscere le intenzioni di V.E. riguardo all'opportunità di accettare o di respingere la proposta soluzione, mi valgo di questa occasione per confermarle ecc.

325 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra. 2 Non si pubblica.

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 1819. Roma, 4 novembre 1905, ore 23.

L'incaricato d'affari di Grecia mi ha comunicato un telegramma del suo Governo, nel quale, con riferimento alla dichiarazione recentemente fatta dai quattro consoli in Creta agli insorti cretesi, si obietta, con fiducia che le potenze non vogliano insistere, contro la parte di quella dichiarazione con la quale si manifesta il proposito di addivenire a riforme interne con l'opera di una speciale commissione e di invigilare indi, mercé organi permanenti, alla applicazione di quelle riforme, della costituzione e della legge. Non ho creduto di dare all'incaricato d'affari, il quale me ne richiedeva, risposta alcuna. Io penso che gli altri tre Gabinetti saranno meco consenzienti nel considerare questa intromissione del Governo ellenico, non solo destituita in diritto di ogni titolo, ma inammissibile altresì nel fatto, essendo oramai dimostrato che il mal governo in Creta è stato la causa determinante della attuale agitazione, e che in conseguenza la necessità di serie riforme da attuarsi sotto il diretto controllo delle potenze manifestamente s'impone come condizione assoluta della desiderata pacificazione dell'isola. Prego VE. esprimersi in questo senso con codesto ministro degli affari esteri, del quale gradirò conoscere il pensiero.

327

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

L. PERSONALE. Berlino, 4 novembre 1905.

Le promisi di darle conto per lettera privata della conversazione che avrei avuto col principe Biilow al mio ritorno di congedo. Essendo questa la prima conversazione che avrei avuto col Cancelliere dell'Impero dopo l'incontro con lei a Baden-Baden1 , potevano tra me e il principe venir scambiate parole che dovessero essere udite soltanto da lei e me; la forma di lettera privata era quindi la più consigliata per evitare indiscrezioni.

Veramente poco mi disse il Cancelliere. Tuttavia credo miglior consiglio di riferirle, appunto in forma privata ed in via affatto confidenziale, quanto egli ebbe a dichiararmi in lungo amichevole colloquio avuto ieri sera. Iniziai quel colloquio col ripetere al principe la soddisfazione di V.E. per l'accoglienza ricevuta in Baden-Baden, per l'importante scambio di idee avuto e per la piena concordanza di concetti che le era parso

risultarne. Ma, aggiunsi, che mi sarebbe stato molto gradito di conoscere, proprio tra BUlow e Lanza, l'impressione che il Cancelliere aveva riportato dall'incontro con lei. Il principe mi rispose con queste testuali parole: l'incontro con Tittoni mi ha grandemente soddisfatto. Ho trovato in lui un «vrai brave et honnete homme en qui on peut avoir pleine confiance, qui comprend les intérets de son pays et courageux». Commentando poi il giudizio, il principe lodò specialmente in lei il coraggio di affrontare anche, se occorre, l'opinione pubblica nella questione dell'irredentismo, che tanto danno può recare al nostro paese; lodò inoltre lei per aver compreso i pericoli che portava in sé la politica del Delcassé: pericoli tanto maggiori se la politica medesima avesse continuato coll'appoggio, come pareva, dell'Italia. Il Cancelliere si disse persuaso che gli errori da noi commessi non si rinnoverebbero; rilevò il pregiudizio che potrebbe su di noi ricadere con lo scoppiare di una guerra tra la Germania e la Francia sia che noi vi prendessimo parte sia che rimanessimo neutri perdendo così la fiducia e l'appoggio della Germania. A riguardo del conte Monts il principe mi espresse la persuasione che piena reciproca fiducia avrebbe d'ora innanzi esistito tra lei e l'ambasciatore imperiale. Il Cancelliere ha fatto personalmente vive rimostranze a quest'ultimo per talune «mancanze di forma» di lui venute a sua cognizione. Sua Altezza Serenissima è di parere che non sia anche in ciò estranea l'azione di Barrère, il quale ha frequenti rapporti sociali col Monts e cerca di «montarlm> facendogli sentire che ben più grande è sul Governo del Re l'influenza dell'ambasciatore di Francia di fronte all'influenza dell'ambasciatore della Germania alleata. Su tutto ciò il Cancelliere ha seriamente richiamato l'attenzione del conte Monts.

Ieri era stato qui il Re di Grecia; S.M. l'Imperatore non sapendo troppo come divertirlo lo aveva condotto a pranzo a casa del Cancelliere. Chiesi al principe se il re Giorgio non gli aveva parlato, com'era da supporre, degli affari di Creta. Sua Altezza Serenissima mi rispose che il Re gliene aveva fatto ben marcata parola lamentandosi anzi -ciò il Cancelliere mi pregò di considerare come strettamente confidenziale dell'attitudine dell'Italia la quale non soltanto agitava in Macedonia contro i Greci in favore dei bulgari (! !) ma tendeva anche a portare il principe Mirko di Montenegro al Governo di Creta. Re Giorgio ascrisse tali mene alla Nostra Augusta Regina Elena e si dimostrò molto irritato contro di noi. Il Cancelliere (e lo stesso Imperatore) cercarono di togliere presso il Re ogni fondamento a tali idee e lo rassicurarono che mai, in nessuno dei numerosi rapporti che qui giungono, non si aveva avuto il minimo accenno a siffatte tendenze dell'Italia. Ringraziai il principe di questa sua confidenziale comunicazione aggiungendogli per mia parte, sebbene nessun bisogno vi fosse, che fra le tante belle qualità che adornano la nostra amata Sovrana era anche quella di non occuparsi di politica nell'indirizzo della quale il Re ed il suo Governo sono guidati soltanto dall'interesse del paese all'infuori di qualunque altra considerazione.

Circa la Russia il Cancelliere si dimostrò molto preoccupato. Egli conosce personalmente il conte Witte e lo ritiene il solo uomo, in Russia, capace di tener le redini del Governo in questi frangenti. Purtroppo però Witte e le concessioni fatte dallo Zar arrivano in ritardo. L'opera del Witte si risentirà, inoltre, delle grandi inimicizie che egli ha, della poca simpatia e della poca fiducia di cui -lo stesso Witte lo sa gode nelle alte sfere russe.

Della Francia il principe non mi parlò. La conversazione aveva già durato a lungo ma non è certo presunzione la mia di prevedere che la Germania molto ancora avrà da fare per calmare lo spirito pubblico in Francia. Colà, me lo assicura il mio collega francese, pur

senza disapprovare la politica di Rouvier, si risente la male nascosta irritazione contro il vicino Impero, il Cancelliere, il potente, e, spesso troppo impulsivo, suo Sovrano. Stamane mi reco a Potsdam invitato a colazione dall'Imperatore; sospendo quindi la mia lettera per riprenderla dopo la conversazione con Sua Maestà.

***

Feci alle Loro Maestà i saluti dei quali ero stato incaricato dai Nostri Augusti Sovrani ed espressi le felicitazioni per il fidanzamento di S.A.R. il principe Eitel Friedrich nonché i ringraziamenti per la parte presa dalle Maestà e dal popolo germanico al nostro lutto in Calabria. L'Imperatore e l'Imperatrice mi incaricarono di far pervenire alla conoscenza dei Nostri Augusti Sovrani i più vivi ringraziamenti per i saluti e per le felicitazioni reali e mi dissero quanto volentieri avevano reso testimonianza del loro interessamento per la sventura che aveva colpito tanta parte e così nobile delle nostre popolazioni. Le sarò grato se di quanto precede ella vorrà informare i Nostri Augusti Sovrani.

L'Imperatore mi prese poi a parte, come di consueto, e mi parlò lungamente di politica. Sua Maestà rilevò innanzi tutto il lieto andamento delle feste di Genova, del quale sinceramente si compiaceva. L'imperatore Guglielmo attribuiva la felice riuscita di quella solennità in primo luogo al prestigio personale del Re: prestigio che aumenta per le alte doti del Nostro Sovrano le quali sempre più spiccatamente risaltano anche agli occhi del popolo italiano tutte le volte che questo ha occasione di vicino contatto col suo Re. Le masse operaie sono eccellenti in Italia come in Germania, disse l'Imperatore: è necessario soltanto impedire che i sobillatori si introducano in mezzo ad esse. La felice riuscita delle feste di Genova veniva in secondo luogo attribuita da Sua Maestà alla politica oculata del Governo italiano sotto l'alta direzione del Re, segnatamente all'intelligenza elevata dell'an. Fortis sul quale l'Imperatore a più riprese mi disse di far fiducioso assegnamento.

Venne poi la volta della politica internazionale. Sua Maestà parlò lungamente della Russia ripetendomi in sostanza le cose dettemi dal Cancelliere e che ho riferito più su. Parlò poi dell'Austria e dell'Ungheria informando il suo dire al concetto che le condizioni interne della Monarchia sono talmente complicate da rendere addirittura impossibile, non che fare, anche soltanto pensare a fare una politica attiva al di là delle sue frontiere. Sua Maestà si rende conto delle difficoltà che noi abbiamo coli' AustriaUngheria; ma, secondo l'Imperatore, le stesse condizioni interne di quell'Impero rappresentano per noi buona garanzia di sicurezza nazionale non soltanto per l'oggi bensì anche per un domani prevedibilmente lungo. Della Francia neppure l 'Imperatore ha fatto la benché minima parola sebbene io più d'una volta ne avessi porto occasione.

Affido la presente mia lettera al cav. Mattioli. Questi parte in licenza e la farà pervenire, raccomandata sul territorio italiano, a V.E.: io sarò grato se vorrà segnarmene ricevuta per semplice mio scarico. Mattioli si recherà forse anche a Roma durante il suo congedo: ad ogni modo si terrà, naturalmente, durante il congedo a disposizione di lei. Ella sa che egli possiede tutta la mia fiducia, se ella quindi avrà qualche comunicazione confidenziale da farmi fare anche a voce, la prego di valersi di lui2 .

327 1 Vedi D. 296.

327 2 Per la risposta vedi D. 333.

328

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 1844. Roma, 7 novembre 1905, ore 20.

Gli ambasciatori d'Austria-Ungheria e di Russia mi hanno consegnato una memoria con la quale i due Governi propongono una dimostrazione navale per esercitare pressione sulla Sublime Porta. Le potenze partecipanti alla dimostrazione dovrebbero contribuirvi con una nave e con almeno una nave minore, ma di grande velocità per servire da messaggero e da esploratore. Porto di ritrovo sarebbe Pireo, dove si concentrerebbero anche i carteggi tra i Governi ed i comandanti. La flotta vi rimarrebbe tre giorni e, se nel frattempo la Porta non avrà ceduto, muoverebbe per Metelino, lasciando al Pireo due delle piccole navi. A Metelino la flotta, dopo notificazione all'autorità locale, occuperebbe la dogana ed il telegrafo senza però disturbare le operazioni commerciali. Se dopo altri otto giorni nulla si ottiene, la flotta, lasciando a Metelino una grande e una piccola nave, per il servizio di corrispondenza, procederebbe a Lemno ed eventualmente a Tenedo per occuparvi del pari dogana e telegrafo. L'esecuzione tanto della prima quanto della seconda parte del programma spetterebbe al Consiglio dei comandanti sotto la presidenza del più anziano, il quale avrebbe anche la direzione delle operazioni. Queste avrebbero termine tosto che il comandante più anziano avrà avuto avviso da Costantinopoli per la via del Pireo che l'affare è stato composto colla Porta. l due Governi imperiali propongono che la data del ritrovo al Pireo ed ogni altro particolare siano concordati tra gli ambasciatori a Costantinopoli.

(Per Costantinopoli) Avendo accettato in ogni loro parte queste proposte, prego l'E.V. di volersi mettere, a tale riguardo, in comunicazione coi colleghi e di farmi indi conoscere le decisioni che di comune accordo saranno prese.

(Per Vienna e Pietroburgo) Ho, dal canto mio, accettate, in ogni loro parte, queste proposte, ed ho tosto telegrafato le opportune istruzioni all'ambasciatore in Costantinopoli.

(Per Parigi, Londra e Berlino) Ho, dal canto mio, accettate, in ogni loro parte, queste proposte, ed ho tosto telegrafate le opportune istruzioni all'ambasciatore in Costantinopoli. Prego di farmi conoscere quello che, in proposito, è stato risoluto da codesto Govemo 1•

Da Londra l'ambasciatore Pansa comunicava (T. 2231/100 dell'8 novembre) che Lansdowne aderiva al progetto di dimostrazione navale e riteneva che fosse conveniente approfittare dell'occasione per richiedere alla Sublime Porta di accettare il regolamento elaborato dagli agenti finanziari e l'attribuzione agli stessi agenti di un certo controllo sull'amministrazione della giustizia.

Da Berlino, l'ambasciatore Lanza comunicava (T. 22211204 del1'8 novembre c T. 2247/205 dell'Il novembre) che il Governo tedesco ritardava la sua risposta allegando la mancanza di ordini da parte dell'Imperatore ma in realtà perché sperava che il Sultano avrebbe ceduto senza che fosse necessario ricorrere alla dimostrazione navale. Gli era stato comunque assicurato che, qualora fossero state necessarie delle misure coercitive, la Germania non si sarebbe separata dalle altre potenze. Sull'atteggiamento di Berlino, si veda anche il D. 346.

328 1 Con T. 2228/109 del1'8 novembre, l'ambasciatore Tornielli comunicava che Rouvier si disponeva ad accettare la proposta austro-russa, anche se mostrava di avere dubbi sull'efficacia della dimostrazione navale.

329

IL MINISTRO A TOKYO, VINCI GIGLIUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 439/140. Tokyo, 7 novembre 1905 (perv. i/14 gennaio 1906).

Le manifestazioni di scontento suscitate dal Trattato di Portsmouth vengono a poco a poco attenuandosi. Pur rimanendo viva l'ostilità contro l'attuale Gabinetto, il pubblico e la stampa giapponese oramai non perdono più tempo a difendere le condizioni in base alle quali si venne alla pace con la Russia, ma pensano, soprattutto, e studiano, certo con maggiore utilità, la politica che dovrà essere adottata per mettere a sesto le finanze dello Stato, assai onerate dai molti debiti fatti per la guerra.

A maggiormente distrarre lo spirito pubblico dalle discriminazioni e dai lamenti per le condizioni di pace ha sommamente valso la visita al Giappone della squadra asiatica inglese, condotta dall'ammiraglio Noel.

In vista della nuova alleanza recentemente conclusa con l 'Inghilterra tale visita doveva necessariamente assumere significato di grande importanza. L'accoglienza fatta ai marinai inglesi è stata infatti entusiastica, tanto ufficiale quanto popolare. Essa è stata tale da far ritenere che la nuova alleanza anglo-giapponese sia assai apprezzata da ogni classe di persone al Giappone. E, se vi saranno, come certo, alcuni che porranno in dubbio se fu oppure no saggio stipulare una alleanza offensiva e difensiva con l'Inghilterra abbracciante un'area mondiale tanto estesa, il sentimento generale del popolo è evidentemente di grande soddisfazione, perché vede nel nuovo trattato il punto più culminante degli eventi di questi ultimi dieci anni.

In occasione intanto della rinnovata alleanza le decorazioni le più elevate sono scambiate tra i rispettivi ministri degli affari esteri e rappresentanti a Londra e Tokio. Ma ciò che in principale modo deve avere qui arrecato sommo compiacimento è l'annunzio che S.M. il Re d'Inghilterra ha deciso di conferire al Mikado l'Ordine della Giarrettiera, alta decorazione britannica che non gli fu conferita all'epoca della stipulazione della prima alleanza e della quale l'Imperatore sentiva soprattutto la mancanza da quando, or sono circa due anni, venne conferita ad altro Sovrano asiatico, lo Scià di Persia.

Sembra già deciso che il principe Arturo di Connaught sarà incaricato di portare all'Imperatore quel supremo ordine in principio del prossimo anno.

330

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2226/108. Parigi, 8 novembre 1905, ore 19.

Oggi ancora una volta Rouvier mi disse che, partendo per Roma, Barrère gli assicurò che era costà che l'affare di Etiopia doveva essere negoziato. Se così non è, glielo dirà a Roma, ed allora tratterò qui; ho mantenuto naturalmente che le istruzioni che V.E. mi ha date mi incaricano di negoziare a Parigi. Però non vorrei che per una questione puramente di forma si compromettesse esito delle trattative; e se V.E. trovasse opportuno assecondare desiderio dell'ambasciatore di Francia, io non avrei, dal canto mio, alcuna obbiezione da muovere: prego soltanto di farmi conoscere con precisione ciò che s'intende fare 1•

331

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. 1868. Roma, l O novembre 1905, ore 16.

Non ho difficoltà, per quanto ci concerne, a che nella domanda da presentarsi alla Porta, e da appoggiarsi eventualmente con la dimostrazione navale, siano inclusi il regolamento per il controllo finanziario e la riforma giudiziaria in Macedonia 1• Intanto debbo avvertire che, secondo un telegramma dell'ambasciatore in Costantinopoli2, parrebbe che gli ambasciatori di Austria-Ungheria e di Russia vogliano presentare separatamente e da soli una domanda per il prolungamento dei poteri degli agenti civili. Un simile procedimento è evidentemente inammissibile, non potendo concepirsi che la dimostrazione navale, da operarsi in comune, debba servire di eventuale appoggio ad altra domanda che non sia quella concordata fra tutte le potenze e dagli ambasciatori presentata a nome di tutte. Poiché di questo punto relativo ai poteri degli agenti civili si è particolarmente occupato codesto Gabinetto, prego V.E. di voleme intrattenere lord Lansdowne con preghiera che ne voglia fare egli stesso oggetto di opportuni uffici a Vienna ed a Pietroburgo, assicurandolo che appena ne avremo notizia non mancheremo di appoggiarli dal canto nostro. Di quanto precede avverto, fin d'ora, ad ogni buon fine, il r. ambasciatore a Costantinopoli.

2 T. 2230/187, dell'8 novembre, non pubblicato.

330 1 Per il seguito vedi D. 358.

331 1 Così come proposto da Lansdowne, vedi D. 328, nota l.

332

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2248/206. Berlino, 11 novembre 1905, ore 17,25 (perv. ore 21).

D'accordo con Francia, Governo imperiale farà in questi giorni invito al Governo spagnolo di volere, d'accordo col Sultano del Marocco, fissare la data della riunione della conferenza e diramare inviti alle altre potenze. Per parte sua, il Governo imperiale sarà pronto a prendere parte alla conferenza a datare dal 15 dicembre prossimo. Circa designazione dei suoi delegati a quella conferenza, il Governo imperiale non ha ancora presa decisione, aspettando sempre, se possibile, conoscere prima scelta che faranno le altre potenze. Pare certo che, oltre l'Inghilterra, anche AustriaUngheria delegherà suo ambasciatore a Madrid. La Francia sembra propendere per designare sig. Révoil (poco gradito alla Germania) e con questa nomina si collegano le voci messe in giro dal Matin circa cambiamento nei titolari delle ambasciate francesi a Madrid ed a Berlino.

333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 1891. Roma, 12 novembre 1905, ore 15,30.

Ho ricevuto sua interessante lettera del 4 corrente 1 e la ringrazio. Vado a comunicarla subito a Sua Maestà. Già l'ambasciatore di Russia mi aveva avvertito che alla Corte di Grecia si credeva che l'Italia patrocinasse la candidatura del principe Mirko a Creta. L'ambasciatore rise con me di tale diceria che è assolutamente ridicola. Né io né alcuno in Italia ci ha mai pensato. V.E. può smentirla nel modo più assoluto e deciso. L'Italia non ha nulla contro il principe Giorgio di Grecia. Desidero solo che a Creta sia assicurata quella buona amministrazione che fino ad ora mancò.

333 1 Vedi D. 327.

334

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. CONFIDENZIALE 56252/435. Roma, 14 novembre 1905.

Il ministro di Serbia presso la Real Corte, sig. Milovanovié, è da pochi giorni qui reduce da Belgrado. Egli aveva dal suo Governo un incarico confidenziale di cui è venuto tosto ad intrattenermi.

L'interruzione di ogni rapporto diplomatico tra l'Inghilterra e la Serbia, la quale dura tuttora mentre le relazioni ufficiali furono riprese con gli altri Stati, riesce grave assai a S.M. il Re Pietro ed al suo Governo. Il sig. Milovanovié mi richiedeva -questo era l'incarico suo-di interpormi presso il Gabinetto di Londra acciocché voglia, col ristabilimento dei suoi rapporti diplomatici col Governo serbo, porre un termine a così spiacevole stato di cose. Il Governo serbo, soggiungevami il sig. Milovanovié, è disposto, pur di ottenere il suo intento, a far tutte le concessioni che fossero desiderate rispetto agli ufficiali che ebbero parte nel regicidio.

Espongo quanto precede a V.E. acciocché scandagliando anzitutto cautamente il terreno, ella veda se alcun officio si possa fare, convenientemente e con speranza di utile risultato, presso codesto Governo nel senso delle preghiere rivolteci dal Governo serbo. L'E.V. intende che nel non ricusarci alle istanze che ci vengono da Belgrado, siamo mossi dalla fiducia che il Governo serbo, ritrovandosi in condizioni normali con tutte le maggiori potenze, ne tragga argomento e incoraggiamento a perseverare nei propositi d'ordine e di pace che esso dimostra rispetto alle cose balcaniche.

Di quanto ella avrà stimato di fare e dell'effetto eventualmente ottenuto, gradirò avere, poi, sollecite notizie.

335

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL CONSOLE GENERALE AD ADEN, PESTALOZZA

DISP. 56473/89. Roma, 15 novembre 1905.

Ho ricevuto i suoi due rapporti (s.n.) da Suez in data 18 ottobre1• Ringrazio V.E. della comunicazione fattami delle lettere a lei dirette da Amed Tager di Bander Cassem e dal generale Swayne, nonché della relazione di Abdalla Sceri.

Il complesso delle notizie in tali documenti contenute, e quelle pervenute al Ministero dal r. consolato di Aden e che hanno conferma nelle informazioni inviate al Foreign Office dal commissario pel Somaliland e comunicate a quella nostra amba

sciata, fa supporre con un certo fondamento che il torto nella quistione sorta ora tra il Mullah ed i Migiurtini, stia dalla parte di questi, mentre rimane assodato che fino ad ora né gli uni né l'altro sono entrati in territorio inglese, come era stato asserito dal sig. Cordeaux.

Occorre non ostante che la situazione sia ben chiarita per giudicare con cognizione di causa sull'opportunità dei provvedimenti da prendersi. Confido che la presenza della S.V. sulla costa valga non solo ad informare esattamente il Ministero sulla situazione ma anche a far cessare lo stato di ostilità che regna fra le tribù migiurtine ed il Mullah.

Per i provvedimenti da prendersi in Somalia è necessario che la situazione sia chiarita e che la S.V. nel modo più semplice e come minimo ci indichi i più urgenti, all'infuori delle proposte già presentate nella prima sua missione e che sono di notevole spesa e di carattere grave.

335 1 Non pubblicati.

336

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 929/451. Atene, 16 novembre 1905 (perv. i/21).

Le colonne di tutti i giornali d'Atene riboccano di notizie, di particolari, e di commenti intorno al viaggio in Inghilterra di S.M. il Re Giorgio, viaggio che questa

r. legazione aveva già in precedenza annunziato col rapporto n. 646/414, del 17 ottobre u.s. 1• Ciò che spicca in generale è un senso di vanitoso compiacimento per le splendide onoranze rese a Londra al Sovrano della Grecia, «onoranze», così si esprime la pubblicazione ufficiosa Bulletin d'Orient, «che non sono minori di quelle cui fu fatto oggetto due anni or sono il Sovrano di una grande potenza strettamente unita alla Gran Bretagna». Ma la maggior parte dei giornali non si contenta di ciò, e vuole attribuire alla accoglienza che re Giorgio trova nella capitale inglese un alto significato politico. È noto, così si dice, che ogni anno il re di Grecia suole incontrarsi, nel corso dei suoi viaggi all'estero, coi diversi monarchi europei, ma egli ha l'abitudine di evitare il frastuono dei festeggiamenti ufficiali. Egli è per ciò che desta molta impressione il ricevimento solenne che gli viene ora fatto alla Corte di Londra, come, poche settimane or sono, a quella di Berlino. È vero che la sua visita a re Edoardo, col quale è legato da sì intimi vincoli di parentela, poteva essere interpretata come una semplice restituzione di quella che la regina Alessandra fece ad Atene nella scorsa estate. Ma bisogna considerare che al ricevimento hanno partecipato ufficialmente il Governo britannico, nonché il sindaco e l'amministrazione municipale di Londra, dove re Giorgio fu fatto segno alle più schiette manifestazioni di simpatia popolare.

Tutto ciò -pretendono questi fogli -ha molta importanza e ne possono derivare conseguenze assai benefiche per la Grecia. Negli Stati parlamentari, e specialmente in Inghilterra, la politica estera non dipende soltanto da vincoli dinastici o da benevolenze sovrane, ma è ispirata dalle correnti dell'opinione pubblica, la quale, colà più che altrove, fu sempre per il passato favorevole alla Grecia, che ne serba oggi ancora profonda riconoscenza. Soltanto in questi ultimi anni -così si prosegue -in seguito agli errori della nostra politica ed agli sfacciati intrighi dei bulgari, le simpatie per la causa ellenica sembravano essersi alquanto raffreddate in Inghilterra, ed il linguaggio della stampa inglese aveva assunto pur troppo in parecchie quistioni -e soprattutto in quella macedone -un atteggiamento quasi ostile alla Grecia. Il viaggio attuale di re Giorgio, il quale nelle sue conversazioni col Re e cogli uomini politici inglesi saprà fornire un concetto esatto della situazione balcanica e dei diritti della Grecia, contribuirà senza dubbio a dissipare molti erronei apprezzamenti, ed a riacquistare intero alla causa ellenica il sincero, caloroso ed efficace appoggio della nazione inglese. Così si esprimeva, a quanto dicesi, anche un telegramma stato diretto dal ministro di Grecia a Londra a questo Ministero degli affari esteri.

Non mancano, però, in questo coro esultante, alcune voci discordi che consigliano un più calmo ed obiettivo apprezzamento, ed ammoniscono il pubblico perché non si lasci andare a soverchie illusioni. Diversi giornali, come il Nuovo Asti, l'Atene, l' Embros dicono che il ricevimento di Londra fu fatto precipuamente al fratello della Regina d'Inghilterra, che fu un ricambio dell'accoglienza che questa aveva avuto pochi anni or sono in Grecia, che si tratta sopratutto di cortesie fra parenti, e che tutta l'azione del Governo inglese, nelJe questioni attualmente pendenti nell'Oriente d'Europa, prova come anch'esso, come quelli delle altre grandi potenze, sia tutt'altro che favorevole alle aspirazioni dell'ellenismo. A smorzare gli ardori di coloro che, in seguito alle feste di Londra, già inneggiano ad un completo mutamento in senso filelleno della politica britannica, è venuto infatti in buon punto un articolo del Times oggi stesso qui segnalato dal telegrafo. Il giornale della City, pur facendo gli elogi di re Giorgio e ricordando le simpatie dell'Inghilterra per la Grecia, deplora le «stravaganze» e le «follie» dei demagoghi greci, come pure l'asprezza e l'intolleranza che mostrano i partiti in Grecia. Esso biasima poi vivamente l'opera delle bande greche in Macedonia, coiie quali, esso dice, le autorità di Atene mantengono una colpevole connivenza. Sarebbe molto a desiderare-ma purtroppo non è a sperare con qualche fondamento-che l'autorevole monito producesse il suo effetto sulla opinione pubblica di questo paese.

336 1 Non pubblicato.

337

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2303/42. Madrid, 18 novembre 1905, ore 18,30 (perv. ore 6 de/19).

Sottosegretario di Stato reggente Ministero affari esteri mi ha fatto oggi seguente comunicazione verbale formale:

«Governi di Francia e Germania hanno invitato Governo spagnuolo fissare data conferenza Algeciras. Governo spagnolo ha scelto il 15 dicembre, ed ha proposto al Sultano del Marocco tale data. Crede che sarà accettata, ma accorreranno vari giorni per la risposta. Intanto per guadagnare tempo e riservandosi invitare formalmente le potenze dopo la accettazione del Sultano ha deciso di invitarla fin d'ora in modo meno formale».

S.E. mi ha quindi pregato, in nome del Governo spagnolo, di invitare il Governo italiano. Sono ancora invitate potenze che firmarono od aderirono Convenzione di Madrid; sono quindici col Marocco. Governo spagnuolo desidera intanto che i Governi procedano intanto, scelta delegati. Circa nomina delegati, sottosegretario di Stato, nulla poté dire di ufficiale e di sicuro. Meglio è informarsi direttamente dai vari Gabinetti 1•

338

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1238/419. Londra, 18 novembre 1905 (perv. il 25).

Ho l'onore di confermare a V. E. i telegrammi che ebbi da ultimo a dirigerle circa gli affari di Macedonia.

Dal marchese di Lansdowne fui informato del passo collettivo fatto a Costantinopoli mercoledì scorso [il 15] dai sei ambasciatori per intimare alla Sublime Porta le intenzioni dei loro Governi circa l'applicazione del controllo finanziario in Macedonia, nonché delle intese stabilite circa la contemplata dimostrazione navale.

Noto anzitutto come la forma collettiva adottata per quella intimazione, nonché i termini di essa, che fissano a due anni il prolungo dei poteri degli agenti civili, e, infine, la soluzione cui si addivenne circa la questione della presidenza della Com

missione finanziaria, costituiscano un insieme di atti dai quali risulta chiaramente caratterizzata la parità di posizione spettante a tutte le potenze nel procedimento di cui si tratta.

Quanto alle due condizioni suppletorie che lord Lansdowne aveva proposto di aggiungere alle domande da presentarsi alla Turchia, Sua Signoria mi disse come sia stata esclusa dalla maggioranza degli ambasciatori quella concernente le riforme giudiziarie: il suggerimento messo innanzi in tal senso dal rappresentante britannico era stato appoggiato dal suo collega d'Italia, ma l'ambasciatore di Germania l'aveva contrastato come inopportuno e gli altri si erano dichiarati privi di istruzioni dei propri Governi.

Miglior sorte aveva incontrata l'altra proposta inglese, di includere cioè nella domanda la preventiva accettazione del regolamento elaborato dai commissari europei. Sua Signoria mi soggiungeva però che, allo scopo di render quel regolamento più accetto alla Sublime Porta, il primitivo progetto era stato modificato dalla maggioranza degli ambasciatori in modo da menomare sensibilmente la sua efficacia.

Se cito codeste circostanze delle quali V.E. sarà stata prima d'ora più direttamente informata da Costantinopoli, è per notare che il marchese di Lansdowne, pur mantenendo la convinzione della utilità delle sue proposte, ha rinunciato ad insistervi per deferenza verso gli altri Gabinetti e per non ritardare l'azione che importa sopratutto di veder condotta in comune, senza ulteriori indugi.

Si attende ora di vedere l'effetto che sarà per produrre sul Sultano la riunione preparatoria delle navi delle diverse potenze, che dovrebbero trovarsi al Pireo il 22 prossimo. La bandiera britannica vi sarà rappresentata, come ne ho avvisato per telegrafo, dali' incrociatore corazzata «Lancaster» e dali' avviso «Sentinel», sotto il comando del capitano Tottenham, il cui rango fu espressamente calcolato per modo da lasciare il comando superiore della dimostrazione all'ammiraglio austro-ungarico.

Mancherà a questa una rappresentanza della bandiera germanica, ed ho riferito a V.E. come il marchese di Lansdowne, dietro l'allegazione del conte Metternich della assenza di ogni legno da guerra di sua nazione dal Mediterraneo, cercasse invano di suggerire che basterebbe, per l'effetto morale che si ha in vista, l'invio dello stazionario tedesco del Bosforo. Per quanto il Governo di Berlino non sia per mancare di dare a Costantinopoli più o meno attendibili spiegazioni di questa assenza, asseverando la propria perfetta unione con le altre potenze, sarà difficile che il Sultano non vi dia una interpretazione diversa; né lord Lansdowne mi nascondeva il timore dell'accresciuta resistenza che potrà derivarne.

337 1 Con T. 1930 del20 novembre, Tittoni informava le ambasciate a Parigi, Londra, Vienna, Berlino e Pietroburgo di aver ricevuto l'invito del Governo spagnolo a designare un delegato per la conferenza.

339

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2305/14. Bucarest, 19 novembre 1905, ore 2,20.

Generale Lahovary informa me e ministri di Germania ed Austria-Ungheria di avere dichiarato a questo ministro di Turchia che se Sultano continua seguire politica grecofila e non protegge cutzo-valacchi, Rumania muta politica e si intende con la Bulgaria. Lahovary accennò anche a possibile rottura delle relazioni colla Turchia. Ministro di Turchia telegrafa al suo Governo ed è preoccupatissimo. Ministri d'Austria-Ungheria, di Germania ed io abbiamo fatto serie osservazioni a Lahovary, rilevando Rumania, in affare così grave, non dover agir all'infuori, ma soltanto d'accordo con grandi potenze amiche, poiché altrimenti non potranno seguirla. Ci troviamo, probabilmente, in presenza d'un nuovo atto impulsivo del generale, avendo io motivo di ritenere egli abbia agito senza previo assenso del Re, al quale miei precitati colleghi ed io abbiamo fatto conoscere nostro modo di vedere. Minaccia ha un lato buono, poiché dimostra al Sultano realtà del pericolo segnalato al gran visir da Imperiali e barone Marshall. Per distogliere questo ministro degli affari esteri dal passare ai fatti, sarebbe opportuno che VE, se approva mio contegno, mi indirizzi telegramma 1 da comunicare a Lahovary per convincerlo che le mie osservazioni non sono puramente personali, ma riflettono pensiero del R. Governo e che Rumania deve assolutamente procedere soltanto d'accordo con potenze amiche.

Lahovary ha rinunziato idea procurare armi ai cutzo-valacchi, di cui è cenno nel mio rapporto 211 2 .

340

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1244/4221• Londra, 19 novembre 1905.

Approfitto del ritorno del corriere per informare V.E. di una circostanza venuta in questo momento a mia cognizione relativamente agli accordi in discussione tra noi, l 'Inghilterra e la Francia, circa l'Abissinia. Essi rimasero praticamente sospesi durante questi ultimi mesi, probabilmente per effetto dei gravi incidenti che hanno assorbito l'attenzione del Governo francese, oltre a diverse altre circostanze accidentali quali l'assenza di lord Lansdowne e un lutto in famiglia che ha tenuto lungamen

2 Non pubblicato.

te lontano da Londra l'ambasciatore francese M. Cambon. Non so se altri motivi più specialmente connessi alla questione stessa abbiano fors'anche contribuito al prolungato silenzio del Gabinetto di Parigi, del quale qui si attendeva di conoscere gli intendimenti circa le ultime proposte colà comunicate nella scorsa estate.

Checché sia di ciò, mentre M. Cambon si trova tuttora in licenza, questo ministro di Francia M. Geoffray ha ricevuto stamane istruzioni dal suo Governo di recarsi d'urgenza a presentare al marchese di Lansdowne un progetto modificato della nota convenzione trasmessagli a tal uopo da Parigi. La modificazione, per quanto ho potuto verificarlo, consiste principalmente in ciò che nell'elenco degli accordi anteriori, da confermarsi nell'articolo l G, fu soppressa la menzione della convenzione ferroviaria del 1902, sostituendovi, in forma di annesso, una convenzione nuova, anzi due convenzioni, l'una delle quali, mi fu detto, riguardante il trattamento dell'esistente linea ferroviaria di Gibuti e l'altra, relativa al prolungamento di essa in territorio abissino.

Le istruzioni a M. Geoffray dicono che mediante l'eliminazione della convenzione ferroviaria del 1902, essendosi data soddisfazione alla principale obiezione del Foreign Office (indirettamente del re Menelik) il Governo francese confidava che il nuovo progetto così modificato verrebbe senz'altro accettato a Londra: e gli si dava quindi l'ordine di attenervi d'urgenza l'adesione del marchese di Lansdowne e di parafarlo con Sua Signoria. M. Geoffray mi aggiunse poi che il suo Governo avrebbe nello stesso tempo riaperto i negoziati con Roma per risolvere d'accordo con l'Italia la questione della dicitura dell'articolo 14 che specialmente la interessa, per il quale anzi sarebbero state formulate due nuove proposte alternative.

M. Geoffray si recò quindi stamane al F.O. e, in assenza del marchese di Lansdowne, fece la sua comunicazione a sir Elden Gorst. Questi prese atto del documento consegnatogli, riservandosi di esaminarlo e di sottometterlo con le proprie osservazioni al ministro. Ma quanto a parafarlo sir Elden rappresentò subito a M. Geoffray che certamente lord Lansdowne non potrebbe procedere a una tale formalità prima che fosse acquisita l'adesione anche dell'Italia: si era rinunciato, egli osservò, a parafare la primitiva convenzione già stabilita col Governo italiano, per un riguardo appunto verso la Francia alla quale si desiderava anzitutto presentarla, e non sarebbe quindi possibile al Governo inglese di agire adesso diversamente verso l'Italia accordandosi, all'infuori di questa, con la Francia.

Devo dire che M. Geoffray nel comunicarmi confidenzialmente queste cose, mi confessò non comprendere come il suo Governo avesse potuto figurarsi che lord Lansdowne si prestasse ad un simile procedimento. Egli anzi attribuiva tutto ciò ad un'incompleta nozione che forse si aveva avuto sullo stato di questo affare, dal caposervizio del Quay d'Orsay che l'aveva ora preso in mano. In ogni caso, egli mi disse aver oggi stesso esposto al proprio Ministero le ragioni del diniego di sir Elden Gorst che egli trovava perfettamente fondate.

Questa sera mi sono recato dal canto mio al F.O. dove trovai sir Elden occupato appunto nell'esame del nuovo progetto francese riguardante la ferrovia. Egli mi confermò interamente le cose che già io sapevo circa la domanda della Francia e la sua risposta negativa circa il parafamento proposto. Quanto poi al merito del nuovo progetto, sir Elden aggiunse che prima facie esso gli sembrava sostanzialmente accettabile, ma che trattandosi di disposizioni interessanti pure l'Abissinia, sul territorio della quale esse dovrebbero eseguirsi, egli dubitava che lord Lansdowne si risolve

rebbe a pronunciarsi a loro riguardo prima di aver interpellato Menelik. Se il progetto dovesse a tal uopo spedirsi fino ad Addis Abeba, diverrebbe quindi impossibile di concludere alcuna cosa se non tra qualche mese e tanto meno per conseguenza, con la fretta ora ad un tratto dimostrata dal Governo francese.

Questo è quanto io so finora, non avendo potuto esaminare il progetto di cui si tratta, del quale lo stesso M. Geoffray non possiede copia, il solo esemplare da lui ricevuto essendo quello appunto che egli dovette consegnare d'urgenza al F.O.

Fra due o tre giorni sarà qui di ritorno M. Cambon e forse potrò ottenere da lui qualche ulteriore schiarimento circa questo affare. È del resto assai probabile che dopo la risposta mandata da M. Geoffray a Parigi quel Governo si sarà deciso a fame oggetto di comunicazioni a V.E. ed al conte Tomielli.

Per ogni buon fine, farò passare, approfittando del corriere, il presente rapporto sotto gli occhi di quel mio collega.

Con questa occasione, avverto ancora che sir Elden Gorst mi disse avere lord Lansdowne, dopo maturo esame, trovata giusta la proposizione già messa innanzi da V.E., di comunicare anticipatamente a Menelik il nostro accordo ferroviario, quando ne saranno fra noi convenuti i termini, prima di procedere alla sua firma definitiva. Ella rammenterà che, in seguito al dispaccio di V.E. del 13 luglio u.s. 2 , avendo io parlato in quel senso a lord Lansdowne ed a sir Elden Gorst, Sua Signoria si era riservata di esaminare la cosa e sir Elden aveva espresso qualche dubbio in senso contrario. Il Foreign Office si è ora accostato alle nostre idee e anzi sembra andare più oltre come lo indica quanto ho sopra riferito circa la sua intenzione d'interpellare Addis Abeba sul non ancora approvato progetto francese.

Nel conchiudere il presente rapporto, mi permetto di raccomandare la dovuta cautela nel far uso delle suesposte informazioni circa il tentativo del Ministero francese di parafare all'infuori di noi con lord Lansdowne la convenzione di cui si tratta: e ciò specialmente in quanto riguarda le confidenze fattemi da M. Geoffray che si espresse meco con tutta franchezza. Giacché quel passo rimane, come doveva, senza risultato, mi sembra ormai inutile il fame caso, salvo a indagare per nostra informazione quali circostanze possano spiegarlo.

339 1 Vedi D. 341.

340 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Londra.

341

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA

T. 1935. Roma, 20 novembre 1905, ore 20.

Approvo pienamente il linguaggio da lei tenuto a codesto ministro degli affari esteri 1 . Non mancherà mai alla Rumania l'appoggio delle potenze quante volte essa abbia ragione di legittima doglianza verso la Turchia. Sarebbe invece grave errore se,

341 1 Vedi D. 339.

cedendo all'impulso del momento, il Governo rumeno si inoltrasse per una via nella quale le potenze non potrebbero seguirlo, suscitando complicazioni, di cui dovrebbe in prima linea subire il danno e la responsabilità e compromettendo gli utili effetti ottenuti con la savia politica finora seguita. Non dubito che in questi nostri consigli codesto Governo ravviserà nuovo pegno della cordiale nostra amicizia e dell'interesse che portiamo alla Rumania2 .

340 2 Vedi D. 180.

342

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

DISP. CONFIDENZIALE 57315/119. Roma, 20 novembre 1905.

Ringrazio la S.V. del suo rapporto 3 corr. n. 245 1 , col quale ella mi ha riferito il suo colloquio con codesto vice-console britannico circa le interrotte relazioni tra Serbia e Inghilterra c l'accenno da lui fattole circa l'opportunità dei nostri buoni uffici per il ristabilimento di esse.

Mentre approvo il riserbo da lei mantenuto in tale occasione, credo opportuno farle noto che questo ministro di Serbia, da pochi giorni reduce da Belgrado, mi ha formalmente pregato, a nome del proprio Sovrano e del proprio Governo, di interpormi appunto presso il Gabinetto di Londra, per lo scopo suaccennato. Il Governo serbo, soggiungevami il sig. Milovanovié, è disposto, pur di raggiungere tale intento, a far tutte le concessioni che fossero desiderate rispetto agli ufficiali che presero parte al regicidio.

In seguito a tale passo, ho impartito istruzioni al r. ambasciatore a Londra2 , nel senso di scandagliare il terreno per spiegare eventualmente i nostri buoni uffici in proposito3 .

2 Vedi D. 334.

3 Per la risposta vedi D. 352.

341 2 Per la risposta vedi D. 343.

342 1 Non pubblicato.

343

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2321/15. Bucarest, 21 novembre 1905, ore 15,50.

Ringrazio V. E. telegramma 1935 1 , che io leggerò quanto prima a questo ministro degli affari esteri; avendolo visto ieri sera appresi da lui che ministro di Turchia gli ha detto Sultano ordinò, con iradè imperiale, all'ispettore generale delle riforme ed ai valì di prendere seri provvedimenti per proteggere cutzo-valacchi e distruggere bande armate. Lahovary dichiarasi soddisfatto, purché iradè imperiale non rimanga lettera morta.

Egli era informato passi fatti ultimamente a Costantinopoli nella questione dall'Italia, Germania e Russia, e se ne compiace assai. Avendogli rimostrato che sarebbe tanto più inopportuno Rumania crei complicazioni e insistito sulla necessità Governo rumeno agisca soltanto di pieno accordo colle potenze amiche, Lahovary mi autorizza trasmettere all'E.V. formale assicurazione in questo senso, e aggiunse non avrebbe certamente dato seguito sua minaccia senza consultarsi con quelle potenze. Di ciò, però, mi permetto dubitare, conoscendo indole sua impulsiva, ma ritengo le nostre osservazioni, e, probabilmente, quelle del Re, lo abbiano persuaso del grave errore che commetterebbe, mettendosi sopra altra via.

344

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

DISP. 57502/120. Roma, 21 novembre 1905.

Ringrazio la S.V. dei rapporti nn. 2281, 2292 , 2343 e 248 2 del24 e 27 ottobre u.s. e del 6 corr., con i quali ella mi ha fornito interessanti ragguagli circa l'attuale politica estera di codesto Stato, ed in ispecial modo circa la tendenza che ora prevarrebbe costì per un'intesa con la Bulgaria e con il Montenegro.

Per ciò che concerne la Bulgaria, tali ragguagli coinciderebbero con le assicurazioni datemi testé, al suo ritorno dal congedo, dal ministro di Serbia circa il vivo desiderio che il proprio Governo nutrirebbe di render sempre più intimi i vincoli con il vicino Principato. Del resto, quale che sia il valore da attribuirsi a simili assicura

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 319.

zioni, noi non dobbiamo stancarci di insistere e in questo senso continuerà ad esplicarsi la sua azione costì su due punti principali, cioè che la Serbia conservi costantemente propositi pacifici, e che tra essa e gli altri due Stati slavi dei Balcani si stabiliscano rapporti di sincera cordialità.

343 1 Vedi D. 341.

344 1 Vedi D. 316.

345

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 2169/805. Costantinopoli, 21 novembre 1905 (perv. il 28).

La recente nota collettiva delle ambasciate 1 , per quanto preveduta ed aspettata, non ha meno prodotto sensazione alla Porta ed al Palazzo. Siccome avviene in casi analoghi, i ministri si sono riuniti quasi tutti i giorni in Consiglio e replicate conferenze hanno avuto luogo tra il Sultano ed i suoi fidi consiglieri.

Fino a ieri sera nessuna deliberazione definitiva era ancora stata presa.

Dalle informazioni pervenutemi la situazione può riassumersi in poche parole. Si riconosce dai più che oramai si avvicina il momento di cedere. Il Consiglio dei ministri però aspetta che la parola d'ordine parta dal Palazzo. Ma il Sultano, che intende accollare ogni responsabilità sui ministri, vuole che questi gli presentino proposte concrete.

Secondo notizie che correvano ieri, il gran visir ed il ministro degli esteri sembrerebbero disposti a fare la parte del cireneo, ed a sottoporre al Sultano il consiglio di non protrarre più a lungo questa situazione pericolosa e senza uscita.

Riferisco l'informazione perché essa è stata data dal primo dragomanno di Germania e corrisponde pure all'impressione tratta dal commendatore Cangià in colloqui da lui avuti con alti personaggi della Porta.

La nota del 15 corrente ha dissipato le ultime illusioni del Sultano, il quale, fino all'ultimo momento, aveva sperato di potere rompere l'accordo tra le potenze. Comunicazioni segrete a tale intento furono rivolte alle ambasciate di AustriaUngheria, di Russia e di Gran Bretagna.

Alle due prime fu fatto sapere che Sua Maestà imperiale era pronto a rinnovare ed estendere anche i poteri degli agenti civili. Venne inoltre rappresentato che l'istituzione della commissione finanziaria era una misura diretta non solo contro la Turchia, ma anche e principalmente contro le due potenze «dell'intesa» delle quali si mirava a diminuire in pratica l'influenza preponderante negli affari di Macedonia, col sostituire all'azione loro isolata quella collettiva di tutto il concerto europeo.

Ignoro il tenore della risposta dei miei due colleghi, ma è evidente che dopo la nota collettiva deli'S maggio e dopo i replicati passi fatti in comune per raccoman

dame l'accettazione, sarebbe riuscito per essi ben malagevole di separare all'ultimo momento la causa loro da quella degli altri rappresentanti.

Questa mossa del Sultano, della quale sono in grado di guarentire l'autenticità, è una novella prova della cecità di questo Sovrano, e dimostra quanto abile sia stato il lavoro eseguito in passato dalle due ambasciate, specie da quella di Austria-Ungheria, per radicare nell'animo del Sultano il convincimento che l'ingerenza di due potenze sia preferibile, nel suo interesse, a quella europea. A tale insidioso lavoro io ho avuto più volte occasione di accennare nei rapporti rivolti a V.E. nel principio di quest'anno. Fortunatamente, grazie al contegno reciso tenuto da noi e dalle altre potenze la scorsa primavera di fronte al progetto di regolamento finanziario austrorusso, nonché alle condizioni speciali in cui si trovava, e tutt'ora si trova, la Russia, si è potuto riuscire a rendere vani ed infruttuosi tutti gli sforzi del barone Calice. Di tal che all'ora presente e per quanto è dato di giudicarne da Costantinopoli, il pericolo di una maggiore accentuazione dell'azione austro-russa in Macedonia sembrerebbe eliminato, mentre per contro appare meglio precisato, se non tanto in apparenza, certo in realtà, il principio dell'azione europea. E del risultato ottenuto, siccome io scriveva nel maggio, credo vi sia per noi ogni buon motivo di compiacersi.

La comunicazione fatta all'ambasciatore britannico fu di altro genere. A sir Nicholas O'Connor venne detto che il Sultano era pronto non solo a liquidare in modo soddisfacente tutti gli affari pendenti, ma anche a fare accoglienza favorevole ad ogni domanda inglese, purché il Gabinetto di Londra si adoperasse presso gli altri per indurii a rinunciare alla commissione finanziaria.

Sir Nicholas rispose sdegnosamente che né egli né il suo paese potevano prestare orecchio ad entrature che avevano carattere di un tentativo di corruzione (bribery). Nessuna comunicazione è stata fatta, che io ne sappia, ai rappresentanti di Francia e di Germania. Nessuna certamente a me.

Il barone Marschall, per conto suo, ha fatto sapere, in modo ufficiale or sono tre giorni, che la Germania non poteva, per difetto di navi nel Mediterraneo, prendere parte all'eventuale dimostrazione, ma che tale astensione non implicava nullamente un incoraggiamento a resistere ai voleri delle potenze, con le quali il Governo imperiale è in perfetta conformità di vedute, e, come esse, non è disposto ad ammettere ulteriori tergiversazioni, ovvero tentativi di riaprire una discussione, che va considerata come definitivamente chiusa, le domande formulate nella nota del 15 novembre dovendo essere dalla Sublime Porta accettate nella loro integrità.

Tali dichiarazioni il barone Marschall mi disse che aveva in animo di ripetere personalmente a Tewfik pascià, a casa del quale doveva recarsi per conferire di alcuni affari urgenti.

Il contegno della Germania ha destato serio risentimento presso moltissimi alti personaggi, i quali non esitano, quando sanno di poter parlare liberamente, a mormorare contro la politica germanofila del Sultano, dalla quale questo Impero non ha, finora, ricavato vantaggio alcuno, in compenso delle splendide concessioni, di cui, da anni, fruiscono i tedeschi, che si arricchiscono a spese della Turchia.

Per quanto ci concerne, l'opinione generale è che l 'Italia, nella presente fase della questione, ha preso parte attiva ed efficace, ed ha inspirato il suo contegno non già alla pretesa amicizia professata verso la Turchia, sibbene allo interesse vivissimo che essa annetteva a rompere, ad ogni costo, il monopolio austro-russo.

345 1 Del 15 novembre. Su di essa si veda il D. 338.

346

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2334/216. Berlino, 23 novembre 1905, ore JI,/9.

Dopo che partecipazione materiale della Germania alla dimostrazione navale contro Turchia, in massima decisa da Governo imperiale, ha trovato, ali' ultimo momento, ostacolo insuperabile nella volontà de li'Imperatore, questo Governo aumenta suoi sforzi presso il Sultano e vuole dimostrare, con la sua attitudine, a Costantinopoli, che veramente esiste tuttora accordo tra tutte le potenze nella questione riforme. Credo, però, non andare errato nell'affermare che qui si teme che Inghilterra, o meglio, Austria-Ungheria, spinta da Inghilterra, vogliano, per avventura, andar troppo in là, e so che questo timore è stato, in forma velata, comunicato a Vienna. In ogni caso, esso non è certamente estraneo alla decisione dell'Imperatore di non partecipare dimostrazione navale. Non mi sembra inutile rendere di ciò confidenzialmente avvertita V.E. per sua norma, memore del famoso "flauto", deposto da Germania, mentre "orchestra" europea suonava dinnanzi Creta. Se, per avventura, o per iniziativa de li'Austria-Ungheria, ora che la Russia esercita azione meno prevalente, o per spinta dell'Inghilterra, azione coercitiva delle potenze in Turchia oltrepassasse certi limiti, o troppo si pretendesse dal Sultano, io non garantirei che Imperatore, anche contro il parere dei suoi consiglieri, ordinasse la ritirata al suo Governo, e il concerto europeo, nella questione delle riforme in Macedonia, a stento finora mantenuto, andasse a rotoli.

347

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2337/107. Londra, 23 novembre 1905, ore 20,40.

In relazione ali' argomento del mio rapporto n. 422 spedito per corriere 1 , marchese Lansdowne mi ha detto che avendo esaminato l'ultimo contro-progetto francese di convenzione per l'Abissinia, egli lo considerava per conto proprio, come generalmente accettabile. Sua Signoria ha però dichiarato a Cambon che l'adesione dell 'Inghilterra rimane subordinata a quella dell'Italia. Ritenendo che il nuovo testo sarà stato comunicato anche a Roma, egli ha incaricato codesto ambasciatore di Inghilterra raccomandarlo all'accettazione di V.E.

Circa art. 4, Lansdowne dopo di avere nuovamente confessato la sua intenzione di escludere ogni clausola segreta, osservò che, in vista della necessaria comunicazione dell'intero accordo a Menelik, conveniva adottare una formala non troppo offensiva per le sue suscettibilità. Credo però che Sua Signoria aderirebbe a qualsiasi dicitura modificata di quell'articolo sulla quale riuscissimo ad accordarci con la Francia.

347 1 Vedi D. 340.

348

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 3042/966. Washington, 23 novembre 1905 (perv. il 9 dicembre).

Quest'oggi è stato ufficialmente annunziato, a mezzo della stampa, che oltre al ministro in Tangeri, sig. Samuel R. Gummere, gli Stati Uniti avranno come plenipotenziario alla Conferenza pel Marocco, il sig. Henry White loro ambasciatore in Roma.

La Confederazione americana non ha invero nello svolgimento della questione marocchina interessi rilevanti e diretti, ma con il provvedimento testé preso il Governo federale mostra di riconoscere al prossimo consesso internazionale la grande importanza ch'esso ha, dal punto di vista della politica generale, per la maggior parte degli aderenti, ed ha creduto perciò conveniente di prendervi, anche a mezzo della nomina dei plenipotenziari, una posizione pari a quella delle potenze più direttamente interessate. Si è detto inoltre che il sig. Gummere fu scelto per la profonda conoscenza che egli ha degli affari del Marocco ed il sig. White oltre che in considerazione del suo grado, per le note alte qualità di diplomatico provetto che lo fanno tanto stimato dal presidente e dal suo Governo e beneviso al mondo ufficiale straniero.

I giornali americani notano che la presenza del sig. White alla Conferenza è in armonia con la parte che in essa si propongono di avervi gli Stati Uniti. Ad un uomo provvisto di molto tatto, calmo, autorevole, si addice interpretare e sostenere il compito del peacemaker. Ed al Governo americano tornerebbe gradito di poter conciliare i grandi opposti interessi che si dibatteranno in seno a quel consesso.

Questo ambasciatore di Francia con il quale ho oggi stesso parlato in merito a tale oggetto, mi ha fatto comprendere che gli Stati Uniti interverranno alla Conferenza con propositi conciliativi, ma saranno, senza dubbio, animati da uno spirito di simpatia verso la Francia cui egli ha ragione di credere, vorranno essere più benevoli che non verso la Germania con la quale, malgrado i buoni rapporti apparenti, essi non mancano di avere sempre qualche ragione di dissentimento come ad esempio ora nella vertenza di politica doganale. D'altro canto si pensa in questi circoli diplomatici che gli Stati Uniti sosterranno, se non per ragioni intrinseche, a soddisfazione però dell'opinione pubblica americana e per coerenza di condotta politica il principio della open door.

Il sig. Jusserand mi ha inoltre dichiarato che la nomina del sig. White non potrà che provocare, come è già avvenuto in lui, una favorevolissima impressione presso il Governo della Repubblica.

349

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T. 1956. Roma, 24 novembre 1905, ore 11,30.

Gli ambasciatori di Austria-Ungheria e di Russia mi hanno rimesso il testo della seguente comunicazione che sarebbe da farsi dalle potenze ai Governi degli Stati balcanici:

«Gli sforzi ultimamente fatti dalle grandi potenze per ottenere l'adesione della Porta a proposte aventi per scopo di dotare i vilayets di Salonicco Kossovo e Monastir di una amministrazione finanziaria regolare non essendo riusciti, le potenze si vedono costrette di ricorrere verso il Governo imperiale ottomano a misure coercitive. Pur rammaricando che l'ostinazione della Porta le obblighi di ricorrere a tale mezzo, le potenze credono loro dovere, per prevenire interpretazioni erronee a cui la loro azione potrebbe dar luogo, di far conoscere fin d'ora il loro modo di vedere nonché i principii che regolano la loro condotta. Gli sforzi fatti dai Governi di Austria-Ungheria e di Russia per tradurre in atti l'applicazione delle riforme destinate a migliorare lo stato attuale delle cose in detti vilayets non hanno dato tutti i risultati che le due potenze si credevano in diritto di aspettarsi. Questa circostanza non si potrebbe, tuttavia, imputare unicamente agli indugi che il Governo imperiale ottomano ha frapposto ali 'applicazione delle riforme che egli si era impegnato d'introdurre. Essa è in parte dovuta alla rivalità che divise le differenti nazionalità formanti la popolazione dei vilayets, rivalità che non dà se non (sic) troppo sovente luogo a conflitti sanguinosi fra i gruppi appartenenti a queste nazionalità e ad attentati criminosi diretti contro la vita ed i beni di pacifiche popolazioni. Persuase che questi attentati non potrebbero mancare d'incorrere nella disapprovazione di tutti gli onesti le Potenze credono dover dichiarare che gli sforzi degli elementi rivoluzionari e tendenti a mantenere lo stato di disordine nei tre vilayets non potrebbero far deviare le potenze dalla linea di condotta che esse si erano tracciata e nella quale credono di dover perseverare. Pur essendo risolute a non trascurare sforzo alcuno che possa contribuire al benessere della popolazione di questi vilayets, le potenze non potrebbero tollerare i tentativi aventi per scopo di alterare lo statu quo politico nella penisola dei Balcani, nel qual caso esse si troverebbero nella necessità di opporsi a qualunque tentativo di questo genere. Le potenze, quindi, vogliono sperare che i Governi degli Stati balcanici, i quali non potrebbero se non profittare del miglioramento dell'attuale stato di cose nelle provincie limitrofe dell'Impero ottomano, saranno disposti a secondare nei limiti dei loro mezzi gli sforzi delle potenze e non esiteranno ad adottare senza il minimo indugio le misure più efficaci per impedire tutto ciò che potrebbe incoraggiare e tener vivo il movimento rivoluzionario che regna nelle provincie ottomane e che è disastroso dal punto di vista degli interessi delle popolazioni locali».

(Per Parigi, Londra, Berlino) Prego informarsi e telegrafarmi l'accoglimento che questa proposta dei due Governi imperiali sarà per incontrare presso codesto Governo1 .

(Per Pietroburgo, Vienna, Costantinopoli) Quanto precede è per informazione confidenziale di lei.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. SEGRETO 1964. Roma, 24 novembre 1905, ore 19,15.

Ricevuti suoi rapporti telegrafo, agenzie commerciali e Dancalia contemporaneamente rapporti Ciccodicola.

Mi riservo impartire istruzioni per singole questioni, ma intanto mi preoccupa molto situazione esistente tra codesto Governo e legazione Addis Abeba, situazione che presenta pericoli ed accresce difficoltà anche per risolvere dette questioni rimaste insolute mentre urge regolarle. Grave giudizio di V.E. su r. ministro Etiopia più che trattazione singoli affari investe tutta azione di lui presso Menelik. Esso quindi più che ad istruzioni di indole generale indurrebbe ad un provvedimento di cui io e V.E. non possiamo non vedere la gravità e che ad ogni modo non avrebbe potuto essere di immediata esecuzione.

Faccio per questo caldo appello alla E.V. affinché, ricondotte d'accordo con questo Ministero le singole questioni di interesse eritreo alla loro trattazione, ella si unisca a me per dirigere azione r. rappresentante Addis Abeba, agli scopi cui deve tendere. Prego quindi attendere mie comunicazioni.

349 1 Da Berlino, l'ambasciatore Lanza rispondeva (con T. 2350/218 del 25 novembre) che il Governo tedesco aveva accolto favorevolmente la proposta e che aveva già dato le necessarie istruzioni ai suoi rappresentanti negli Stati balcanici. L'ambasciatore Tornielli rispondeva che il Governo francese aveva accettato in linea di massima la proposta di comunicazione indicata da Austria-Ungheria e Russia ma faceva delle riserve circa «la frase comminatoria» in essa contenuta che sarebbe stata soppressa nelle istruzioni inviate ai rappresentanti francesi (T. 2403/117 del 29 novembre).

350 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 71-72.

351

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2342/202. Pera, 24 novembre 1905, ore 13,40.

Sultano ha fatto chiamare questa notte Romei e lo ha incaricato di trasmettermi messaggio che qui presso testualmente riproduco:

«Nella situazione difficile in cui mi trovo in presenza violenta pressione dall'estero e minaccia rivoluzione all'interno come conseguenza avvenimenti in Russia, mi rivolgo al Re d'Italia unico vero amico mio nella cui lealtà pienamente confido, pregandolo di profittare della sua amicizia con altri Sovrani e specialmente con Imperatore di Germania per escogitare soluzione che salvi mia dignità di uomo e di sovrano alla quale non posso abdicare dinnanzi ai miei sudditi e nello stesso tempo accontentare potenze. Io sarei disposto ad accettare eventuali proposte che mi venissero fatte, per esempio: di prendere al mio servizio uomini competenti e scelti fra le varie nazioni europee, per riordinare le finanze della Macedonia. Per tal modo le potenze otterrebbero loro intento ed io non subirei umiliazione di accettare delegati esteri che mi si sono voluti imporre per forza. Faccio appello anche all'ambasciatore non come personaggio ufficiale, ma come gentiluomo a cui ho sempre dimostrato particolare benevolenza e che mi si è sempre dimostrato amico, affinché egli telegrafi subito questa mia domanda e la appoggi».

In risposta ho pregato Romei di dichiarare in mio nome al Sultano che, in obbedienza al desiderio sovrano, io non credevo potermi esimere dal trasmettere a V.E. il messaggio da lui diretto a Sua Maestà, ma però non ho nascosto il timore che l'iniziativa del Sultano giunga ora alquanto tardiva. Ho ricordato i consigli, le esortazioni e le raccomandazioni da me fatte senza posa al gran visir, al ministro degli affari esteri con preghiera di riferirli a S.M. Imperiale. Governo imperiale invece di rendersi conto della serietà dei propositi delle potenze lealmente desiderose di introdurre delle riforme destinate non già ad affievolire sovranità Sultano in Macedonia, ma ad eliminare quei gravi pericoli atti a compromettere in modo irrimediabile lo statu quo, l'integrità dell'Impero, ha con contegno sistematicamente intransigente, quasi aggressivo, costretto anche potenze veramente amiche e disinteressate, a ricorrere a misure dalle quali sarebbe ora difficile di recedere a meno che la Turchia non cambi strada e si mostri arrendevole. Al punto in cui sono giunte le cose, spetta non alle potenze, ma alla Sublime Porta di presentare delle proposte accettabili, tali da permettere ai Governi amici di dimostrare i loro cordiali sentimenti verso la Turchia.

Dichiarazioni precedenti hanno avuto carattere esclusiva opinione mia personale e non impegnano nullamente il Governo di Sua Maestà del quale mi affretterò trasmettere al Sultano la risposta non appena VE. me l 'avrà comunicata. In attesa di essa, credo preferibile astenermi dal fare a qualsiasi mio collega menzione del messaggio del Sultano'.

351 1 Si veda per il seguito il D. 354.

352

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 787/258. Belgrado, 24 novembre 1905 (perv. il 27).

Mi affretto ad accusar ricevuta del riverito dispaccio 20 corrente, n. 119 1 , relativo ai rapporti fra l 'Inghilterra e la Serbi a e alle istruzioni impartite all'ambasciatore a Londra in seguito alla preghiera rivolta alla E. V. dal sig. Milovanovié.

Ad evitare però spiacevoli malintesi le cui conseguenze sarebbero certo gravi, mi faccio premura di prevenire la E.V. che quel sig. ministro serbo è certo andato al di là delle intenzioni del suo Governo affermando che qui si era disposti «a fare tutte le concessioni che fossero desiderate rispetto agli ufficiali che presero parte al regicidio». Questo sig. ministro degli affari esteri, che pure dimostra molta energia e buona volontà per risolvere d'accordo co' suoi colleghi la pericolosa questione, mi ha detto chiaramente parecchie volte, ieri sera fra le altre:

l) che esso credeva sufficiente l'allontanamento dai pubblici uffici delle persone più cospicue e più gravemente compromesse nella congiura;

2) che riteneva assolutamente escluso potersi parlare di punizioni, anzitutto perché due anni e mezzo erano trascorsi e la Skupchtina, mentre era investita di poteri sovrani, aveva non solo assolto da ogni responsabilità, ma perfino glorificati gli autori del regicidio, e poi sopratutto perché sarebbe stato chiedere cosa di impossibile attuazione l'aprire un processo nel quale avrebbero dovuto essere coinvolti circa ottanta persone fra ex ministri, deputati, funzionari militari e civili di ogni grado, appartenenti alle famiglie più note della città, sotto l'accusa di un reato che per le leggi serbe porta la pena di morte, tanto per gli autori principali quanto pei complici. Da un altro lato colpire alcuni lasciando impuniti altri sarebbe pure una enormità, in quanto tutti sanno ormai come andettero [sic] le cose e quali ne furono gli autori.

La E.V. vedrà pertanto se sia opportuno informare di quanto scrivo il nostro ambasciatore a Londra; giacché a me sembra che se, scandagliando il terreno, egli si accorgesse che il Governo inglese richiede la punizione dei regicidi, varrebbe meglio mettere la cosa per ora in tacere, salvo a riprenderla in più favorevole occasione.

Anche gli ambasciatori di Francia e di Russia a Londra saranno incaricati dai rispettivi Governi di indagini e pratiche conformi a quelle ordinate dall'E.V. a S.E. il cavalier Pansa2 .

2 Per la risposta vedi D. 361.

352 1 Vedi D. 342.

353

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AI MINISTRI AD ATENE, BOLLATI, A BELGRADO, GUICCIOLI, E ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO

T. 1981. Roma, 27 novembre 1905, ore 21,40.

I rappresentanti di Austria-Ungheria e di Russia hanno presentato a codesto Governo una nota collettiva 1 con la quale prendendo occasione dalla dimostrazione navale contro la Turchia, lo si invita ed ammonisce perché dal canto suo cooperi al mantenimento dell'ordine in Macedonia. Io la autorizzo a recarsi da codesto ministro degli affari esteri ad appoggiare amichevolmente a nome del R. Governo quelle esortazioni.

354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 1985. Roma, 28 novembre 1905, ore 16,40.

È venuto a vedermi ieri sera l'incaricato d'affari di Turchia per dirmi che il suo Governo, fiducioso che non avesse a smentire nelle presenti contingenze la nostra tradizionale amicizia, faceva nuovo appello al Governo del Re perché lo aiutasse ad uscire da una situazione imbarazzante ed umiliante.

Dichiarai anzitutto dolermi che questo passo giungesse tardivo, mentre, se fatto in tempo utile, mi avrebbe permesso di dimostrare ancora una volta alla Sublime Porta quanto leale e disinteressata sia l'amicizia dell'Italia. Riconfermai quindi la necessità per la Turchia di cedere alle domande delle potenze alle quali il Governo italiano si era associato nel convincimento del bene che, dalle proposte riforme, riceverebbe il Governo ottomano. Assicurai da ultimo l'incaricato d'affari che, una volta di fronte all'acquiescenza della Sublime Porta, il Governo del Re avrebbe contribuito volenteroso a quelle modificazioni di forma e di dettaglio che, non alterando la sostanza delle riforme divisate, fosse gradito alla Turchia di introdurre. Colsi inoltre l'occasione per rilevare che la dichiarata fiducia della Sublime Porta nel carattere disinteressato dell'amicizia italiana avrebbe sempre dovuto trovare un efficace riscontro nei fatti, mentre nella trattazione di più di un affare il Governo ottomano aveva mostrato di dubitarne,

o quanto meno di non corrispondervi. Le precedenti mie dichiarazioni armonizzano con quelle che S.M. il Re si propone di far pervenire al Sultano in risposta al suo messaggio, e che formano oggetto di separato mio telegramma 1•

354 1 Vedi D. 355.

353 1 Vedi D. 349.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATISSIMO 2001. Roma, 28 novembre 1905, ore 21,30.

Ho comunicato questa mane a S.M. il Re di ritorno a Roma, il messaggio del Sultano inviato da VE. per mezzo di Romei 1•

Voglia rispondere che S.M. il Re, grato di questa nuova prova della fiducia riposta in lui, è lieto di poter riconfermare al Sultano la sua leale e speciale amicizia. Ed è in nome di questa amicizia che egli prega il Sultano di volersi convincere che le domande delle potenze, lungi dal mirare ad affievolire la sua sovranità tendono alla difesa dei più vitali interessi della stessa Turchia. Sua Maestà consiglia quindi il Sultano di accogliere, essendone ancora in tempo, le domande delle potenze alle quali il suo Governo ha aderito riconoscendole giustificate da una situazione di cose che la Turchia deve per prima desiderare di vedere cessare. Quando ciò avvenga, Sua Maestà sarà lieto di cooperare a che nella forma e nei dettagli si preferiscano i procedimenti più consoni alla legittima suscettibilità del Sultano e alla dignità della Turchia.

356

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2401/225. Berlino, 28 novembre 1905, part. ore 2,50 del 29 (perv. ore 15,20).

Faccio seguito ai miei telegrammi 221 1 , 2222 •

Parte discorso della Corona relativa politica estera è, fino ad ora, poco commentata dalla stampa tedesca. Mi consta che redazione fu lungamente dibattuta, ogni parola pesata. Prevalse, naturalmente, desiderio Imperatore di non limitarsi, cioè, a vaghe parole, ma esporre esattamente situazione presente, difficoltà superate, pericoli futuri. Il discorso non corrisponde solo a quel concetto, ma palesa esattamente stato d'animo del Sovrano che lo pronunziò, ed il pensiero del suo Governo. Se sia stato prudente solennemente dichiarare che relazioni con l 'Inghilterra sono corrette, ma non cordiali, che le difficoltà sorte, questa estate, con la Francia per il Marocco possono ripetersi su

2 T. 2392/222, pari data, con il quale Lanza trasmetteva un passo del citato discorso in merito alle intenzioni pacifiche della Germania in un contesto in cui era, però, necessario rafforzare le proprie difese, per raggiungere più facilmente gli scopi de li 'alleanza con l 'Austria-Ungheria e l'Italia.

un altro punto, ecc. non voglio ora giudicare. Certamente quelle dichiarazioni non serviranno a conciliare alla Germania le simpatie di quelle due potenze. Ma Germania non aspira essere amata e temuta, come Crispi, mi pare, augurava un giorno all'Italia, ma le basta e agisce spesso in modo di essere solo temuta. Le parole del discorso della Corona relative a Giappone e Norvegia sono la vera espressione dei sentimenti, o meglio, corrispondono alle relazioni che la Germania desidera inaugurare con quei due Stati, l'uno entrato ora nel novero delle grandi potenze, l'altro appena costituito, ma che Germania non vuole vedere cadere sotto l 'influenza inglese. E non solo ai sentimenti, ma a vero interesse ed alla politica tradizionale della Germania, corrispondono le parole, più che amichevoli, cordialissime pronunciate all'indirizzo del vicino Impero russo e del suo capo. L'allusione alla pace, che chiude il discorso della Corona, è la parte confortante, ed il connettervi la Triplice Alleanza risponde a chi volle togliere ormai a quel patto internazionale ogni valore.

355 1 Vedi D. 351. 356 1 T. 23911221, pari data, con il quale Lanza comunicava una sintesi del discorso imperiale ali' apertura del Reischstag.

357

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1426/387. Sofia, 28 novembre 1905 (perv. il 2 dicembre).

Facendo seguito al telegramma testé inviato (n. 37) 1 , ho l'onore di informare

V.E. che i rappresentanti d'Austria-Ungheria e di Russia, secondo istruzioni avute, non potevano presentare il memorandum (ricevuto testualmente per telegrafo), finché agli agenti delle altre quattro grandi potenze non fossero pervenute istruzioni di associarsi ai loro passi.

Questa mane, il conte di Thurn e il sig. Lermontov, informati che i Gabinetti di Londra, Berlino, Parigi e Roma avevano fatto pervenire analoghe istruzioni ai rispettivi rappresentanti, hanno chiesto, ciascuno per loro conto, a questo presidente del Consiglio e ministro degli affari esteri, un'udienza che venne loro successivamente accordata verso mezzogiorno.

Nel pomeriggio fui ricevuto pur'io dal generale Petrov.

Egli mi espresse innanzitutto la sua meraviglia per i passi fatti dagli agenti d'Austria-Ungheria e di Russia, ai quali vedeva associarsi gli agenti delle altre grandi potenze; giacché secondo lui, la condotta della Bulgaria non può giustificare gli ammonimenti che le furono diretti. Il Governo bulgaro, egli disse, ha sempre fatto tutto il possibile per agevolare l'esecuzione delle riforme ed ha la miglior volontà di cooperare, anche in avvenire, al raggiungimento di un migliore assetto della Macedonia a vantaggio delle popolazioni cristiane. S.E., nell'accennare, peraltro, agli scarsi risultati dell'opera riformatrice, colse l'occasione di lamentare ancora una volta che

la popolazione bulgara in Macedonia continui ad essere fatta segno ad una vera guerra di sterminio da parte delle bande turche e greche, appoggiate dalle stesse autorità militari e civili ottomane, le quali ritengono l'elemento bulgaro colpevole di aver invocato le riforme e provocato l'intervento delle potenze. Pertanto, sempre secondo lui, i serii ammonimenti, anziché alla Bulgaria, dovrebbero essere rivolti alla Turchia ed alla Grecia, onde abbia a cessare quello stato di cose tanto pericoloso che è quotidianamente constatato dai consoli delle varie potenze e dagli ufficiali della gendarmeria internazionale in Macedonia.

Il generale Petrov, apprezzando il linguaggio amichevole che, conformemente alle istruzioni di VE. ho tenuto nel fargli la comunicazione di cui ero incaricato, mi ripeté dover con rammarico constatare come, anche in questa circostanza, misconoscendosi gli altri sforzi del suo Governo per pacificare le popolazioni bulgare, gli si volessero addossare responsabilità di cui si sentiva immune.

Egli si propone di dar risposta alla nota austro-russa, per mezzo dei suoi agenti diplomatici accreditati presso le grandi potenze.

357 1 T. 2389/37, non pubblicato.

358

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2404/118. Parigi, 29 novembre 1905, ore 19.

Rouvier mi ha parlato spontaneamente del negoziato per l 'Etiopia, dicendomi che da Roma gli fu telegrafato che V.E. insiste per l'inserzione di una clausola che assicurerebbe all'Italia la sovranità territoriale di una striscia di paese fra le regioni nord e la regione sud dei suoi possedimenti africani. Egli soggiunse che una simile clausola indispettirebbe Menelik, che le clausole segrete non restano mai segrete, che l'accordo con l'Inghilterra è ormai ultimato.

Ebbi l'impressione che ora qui si ha fretta di concludere perché il Governo deve sostituire al suo contratto con la Compagnia francese delle ferrovie, altra convenzione dalla quale scomparirebbero le clausole che avevano dispiaciuto al Negus. Questa convenzione doveva essere stipulata dopo la conclusione dell'accordo franco-inglese cd il nostro in conformità di esso. Risposi che io aveva finito per annunziare a VE. l'inefficacia delle mie insistenze per trattare qui, ma che il R. Governo non mi aveva ritirato l'incarico, sicché io era sempre pronto ad entrare in trattative.

Rouvier replicò che vedrebbe come la cosa si metteva, ed al caso me ne riparlerebbe.

359

IL MINISTRO A TANGERI, MALMUSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2422/18. Tangeri, 30 novembre 1905, ore 21 (perv. ore 9,40 del ]0 dicembre).

Questo ministro degli affari esteri interinale, con dispaccio in data di oggi diretto a ciascuno dei rappresentanti esteri, riferendosi a precedente invito imperiale, annunzia che S.M. il Sultano fissa la conferenza di Algeciras per il 21 dicembre, e prega i rispettivi Governi perché i loro rappresentanti vi intervengano.

360

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2431/40. Atene, 2 dicembre 1905, ore 13 (perv. ore 16).

Ministri di Austria-Ungheria e Russia avendo presentato ieri a questo presidente del Consiglio nota collettiva di cui tratta il telegramma di V. E. n. 1981 1 , mi sono recato oggi da lui insieme coi colleghi delle altre grandi potenze per appoggiare quel passo in nome del R. Governo. Presidente del Consiglio assicurò che il Governo ellenico, come già ha fatto, così continuerà ad agire colla massima energia per impedire sconfinamenti e per influire in senso moderatore sullo spirito pubblico in Grecia. Soggiunse, però, che dovrebbe declinare ogni responsabilità per quanto accadesse in Macedonia avverandosi nuove progettate incursioni di bande armate bulgare sulle quali pretendeva avere informazioni precise e sicure.

360 1 Vedi D. 353.

361

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI

DISP. 60230/126. Roma, 5 dicembre 1905.

Pregiomi accusare ricevuta e ringraziare la S.V. del rapporto n. 258 in data 24 novembre u.s. 1 relativo ai rapporti fra l 'Inghilterra e la Serbia ed alle cose dette le anche di recente a tale proposito da codesto ministro degli affari esteri.

Per norma della S.V. credo opportuno avvertire che questo ministro serbo, nel dirmi che il suo Governo era disposto a far qualunque concessione rispetto agli ufficiali implicati nel regicidio, intese effettivamente parlarmi del loro allontanamento escludendo ogni eventualità di punizioni o processi e aggiungo che in questo senso appunto io intesi il suo discorso. Il linguaggio a me tenuto dal sig. Milovanovié coincide, dunque, esattamente con quello tenutole da codesto ministro per gli affari esteri e dalla S.V. riferitomi col rapporto cui rispondo.

362

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2477/123. Addis Abeba, 6 dicembre 19052•

Lagarde ha assicurato ad Harrington di avere ricevute istruzioni relativamente alla definizione della questione ferrovia Etiopia e che esiste già accordo completo per tale questione fra i Governi di Francia e di Inghilterra.

361 1 Vedi D. 352.

362 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 90. 2 Trasmesso via Keren 1'8 dicembre.

363

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2479/125. Addis Abeba, 6 dicembre 1905 1•

In attesa istruzioni annunciatemi assicuro V.E. che mi adopererò col massimo impegno per riuscire ad indurre Menelik a ristabilire ordine nei dancali. Già il due corrente con telegramma ho promesso al Governo Eritrea riferire Menelik questione Birru appena questi sarebbe rientrato Addis Abeba. Già con precedenti telegrammi riferii a V.E. la grande difficoltà che tutti i ministri qui accreditati incontrano per trattare affari con Menelik, in questi ultimi tempi perché egli decisamente evita discuterli ed anche con la sua spedizione verso il nord mira ad allontanarsi da qui per sfuggire specialmente Harrington che vuole indurlo alla definizione della frontiera sudanese.

364

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 1350. Parigi, 6 dicembre 1905 (perv.l'll).

Ho segnalato, con il mio rapporto d'ieri 1 , l 'impossibilità in cui mi era trovato di procurarmi prima d'oggi le informazioni da V.E. desiderate circa l'accoglienza fatta dal sig. Rouvier alle lagnanze contenute nella lettera da S.A.R. il principe Giorgio, alto commissario in Creta, diretta il 31 ottobre ultimo a V.E. 1• Questo ministro degli affari esteri, in un colloquio che ebbi or ora con lui, mi disse ch'egli non aveva ricevuto tali lagnanze in forma di lettera di Sua Altezza Reale; ma che, verso la fine di ottobre, egli aveva avuto qui un abboccamento con S.M. il Re di Grecia il quale, insieme ad altre considerazioni, aveva sporto anche i lagni di suo figlio, il principe Giorgio, al quale le potenze, a dire suo, facevano una posizione lesiva della sua dignità.

Dippoi la questione dei rapporti diretti dei consoli con gli insorti cretesi aveva potuto risolversi in modo che pareva soddisfacente poiché le armi erano state deposte e le persone avevano in gran numero abbandonato l'isola. Non vi era ragione, osservò il sig. Rouvier, di ritornare sovra una situazione ormai passata e che non pareva doversi riprodurre poiché era stato convenuto che i consoli stessi funzionerebbero come commissari per l'introduzione e l'applicazione delle riforme.

364 1 Non pubblicato.

363 1 Trasmesso via Keren 1'8 dicembre.

365

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2462-2465/232-233. Berlino, 7 dicembre 1905, ore 11,56.

[232]. Ieri sera ora tarda principe Biilow pronunziò nel Reichstag discorso sulla politica estera germanica. Rispondendo deputato Fritzen del centro, che aveva domandato quale era posizione Italia verso la Triplice Alleanza, Biilow disse: «Deputato Fritzen teme forse che nelle relazioni tra l'Italia e la Germania sia avvenuto qualche mutamento in seguito all'avvicinamento dell'Italia alla Francia. Già altra volta ho dichiarato che non sia da temere il distacco dell'Italia dalla Triplice Alleanza. L'Italia, da parte sua, non è entrata nella Triplice Alleanza per sentimentalità, ma perché vi trova suo tornaconto. I motivi che determinarono le tre potenze centrali ad unirsi esistono ancora. Tra l'Italia e la Germania non esiste il minimo contrasto d'interessi. Fra l'AustriaUngheria e l'Italia vi furono, in passato, alcuni malintesi e malumori; ma il buon volere di entrambe riuscì a superarli. La Germania forma l'anello di congiunzione fra le altre due alleate. L'attuale Governo italiano pone la Triplice Alleanza come base della sua politica estera, ma anche grande maggioranza del popolo italiano è troppo patriottica, troppo intelligente per non sapere che un'Italia sciolta dalla Triplice Alleanza dovrebbe essere ancora più forte se non vuole mettere a repentaglio la sua indipendenza. Se l'Italia in questo momento è ricercata da più parti, non si può contestare che ciò avviene perché la sua amicizia ha acquistato importanza appunto per la sua appartenenza alla Triplice Alleanza e per la [ .... ] che questa le dà. La Triplice Alleanza vuoi mantenere la pace e lo statu qua in Europa, perciò noi l'abbiamo conclusa e rinnovata, perciò teniamo fermamente ad essa. Ma la Germania deve essere forte abbastanza per poter, nel peggiore dei casi, far fronte da sola agli avvenimenti e da sola difendersi. Questo caso non si è presentato e speriamo che non si presenterà mai».

[233]. Nel resto del suo discorso Biilow accennò alle relazioni della Germania coll'Inghilterra. Esse sono certamente corrette, per quanto riguarda i due Gabinetti, alle [sci/. ma le] cure dei Governi non bastano quando le passioni popolari agiscono in senso opposto, ed in Inghilterra esiste una corrente di opinioni così ostili alla Germania che questa deve stare in guardia. Per fortuna in questi giorni sembra farsi strada una corrente opposta ed è da sperare che ciò sia l'inizio della reciproca intesa che dovrebbe esistere fra due grandi popoli.

Col Giappone, Biilow rileva essere le relazioni buone ed amichevoli. Il trattato anglo-giapponese non sembra urtare con la politica che la Germania intende seguire nell'Estremo Oriente, ove essa non aspira che a mantenere le porte aperte al suo commercio, alle sue industrie, alla sua civilizzazione. Della Cina la Germania desidera l'integrità e l'indipendenza, con questa politica si accorda la decisione presa di ritirare di là le nostre (tedesche) truppe.

Germania si astiene da ogni ingerenza negli affari interessi [sci!. interni] della Russia. Biilow, nel fare voti perché l'ordine presto si ristabilisca, protesta contro tutte le voci d'intervento armato, di aspirazioni sulla Polonia russa attribuite alla Germania.

La Germania ha un'azione sola da esplicare, impedire cioè che i disordini si propaghino, oltre la frontiera, sul territorio tedesco: «in casa nostra sapremo provvedere all'ordine, di questo il Parlamento può essere sicuro», conclude il principe Biilow.

Alla questione del Marocco, il Cancelliere dell'Impero dedica l'ultima parte del suo discorso. Non dice a questo proposito nulla di nuovo, ma non è perciò meno interessante la minuta narrazione dell'origine dei motivi del dibattito con la Francia. V.E. ne troverà il testo intero nel resoconto della seduta del Reichstag che trasmetterò.

Biilow, applaudito da tutte le parti del Parlamento, terminò il suo discorso con le parole «noi lavoreremo sempre per sviluppare l'opera nostra civilizzatrice all'intemo e all'estero, ed in mantenerci costantemente armati contro gli orrori della guerra». Sulla Macedonia, e tanto meno sull'azione delle potenze in Turchia, il Cancelliere dell'Impero ha mantenuto un silenzio eloquente!

366

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DISP. 60578/467. Roma, 7 dicembre 1905.

Da un rapporto pervenuto mi dal console generale di Aden 1 risulterebbe erronea la notizia data dalla Reuter che gli incrociatori inglesi «Fox» e «Proserpine» i quali attendevano a Suez per far scorta d'onore al principe di Galles, abbiano ricevuto ordine di partire immediatamente pel Somaliland.

È da ritenersi che di proposito si sia detto Somaliland per non dire costa araba, ove presumibilmente potrebbe essere nato qualche nuovo incidente dopo l'ultima dimostrazione dell'incrociatore «Fox» su quella costa.

E tanto più credo attendibile questa supposizione in quanto che il generale Mason, al quale il nostro console di Aden si è rivolto, non seppe dir nulla in proposito dimostrandosi anzi meravigliato della notizia; e il generale Swayne in una lettera al nostro console datata da Sceik 25 ottobre, annunciava tutto tranne quello nel Somaliland. Un veliero indigeno poi partito da Bender Cassem e giunto in Aden confermava non esservi novità alcuna in Migiurtinia né essersi più mossi i dervisci dalla regione di Halim e Nogal.

Il generale Swayne ha scritto al nostro console in Aden che le conclusioni della loro intervista di Lione erano state accettate, in principio, a Londra; ma che occorrerebbe però un nuovo colloquio per determinare certe richieste spiegazioni. Il console ha risposto che per ora il convegno non è possibile e che intanto avrebbe chiesto ulteriori istruzioni a questo Ministero.

Pregiomi comunicare questa notizia a V.E. per opportuna norma.

366 1 R. 4 del lo novembre, non pubblicato.

367

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE CIFRATO 1220/517. Madrid, 9 dicembre 1905 (perv. i/14).

Malgrado la semplicità del programma che è stato limitato a questioni amministrative, il ministro delle Colonie mi ha confidenzialmente espresso il timore che il dissidio franco-tedesco possa risorgere alla conferenza di Algeciras allorché si tratterà di istituire un controllo internazionale sulla polizia, la Banca di Stato e le finanze marocchine, giacché, appoggiata dall'Inghilterra, la Francia e la Spagna vorranno forse che a loro si deleghi l'esercizio di tale controllo, e non si crede probabile che la Germania voglia consentirvi. Sorgendo tale conflitto è particolarmente delicata la posizione dell'Italia che già assunse impegno di disinteressarsi a riguardo del Marocco.

Sarò grato a V.E. se, in via confidenziale, vorrà farmi conoscere se il R. Governo considera tuttora in vigore il detto impegno già assunto colla Francia oppure ritiene che gli accordi intervenuti tra la Francia e la Germania lo abbiano praticamente annullato. Giacché nel primo caso la nostra azione nella conferenza si limiterebbe a cercare di conciliare i due contendenti, ma non potremmo mai votare contro la Francia1•

368

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

DISP. SEGRETO 61136. Roma, 10 dicembre 1905.

All'E.V. è stato assegnato l'onorevole incarico di rappresentare il R. Governo, nella prossima Conferenza per il Marocco, in qualità di primo delegato, avendo seco, in qualità di secondo delegato, il commendator Malmusi, r. ministro in Tangeri, l'esperienza del quale nelle cose marocchine le sarà certo di grande giovamento.

Perché a VE. spetterà, come di ragione, il compito di dare alla rappresentanza italiana nella Conferenza quel giusto indirizzo che corrisponda agli intendimenti del

R. Governo, mi preme di qui segnarne, per norma di lei, le linee generali.

La situazione dell'Italia rispetto al Marocco è definita da un accordo segreto, interceduto tra il R. Governo ed il Governo della Repubblica francese, la sostanza del quale si compendia nel concetto del nostro disinteresse. Qui acchiudo, per notizia

riservatissima e personale di lei, i documenti da cui quell'accordo risulta 1 . V. E. scorgerà come l'accordo abbia subito due fasi successive: nella prima il R. Governo ha limitato la dichiarazione del suo disinteresse al caso di una azione francese avente il solo intento di una polizia di frontiera, mentre in caso di una maggiore azione l'Italia avrebbe potuto trame conseguenze per sé vantaggiose; nella seconda invece la dichiarazione di disinteresse ha assunto un carattere assoluto ed applicabile ad ogni contingenza, la Francia essendo libera di spiegare quella azione politica, nel Marocco, che le possa convenire, e di spiegarla quando lo stimi di sua convenienza. In tale stato di cose, è manifesto che, quante volte si tratti, nella Conferenza, di alcun tema attinente alle condizioni politiche del Marocco, V.E. dovrà tenersi in grande riserbo, non solo astenendosi da qualsivoglia iniziativa, ma avvertendo altresì, nelle sue enunciazioni c nelle eventuali deliberazioni, di evitare tutto ciò che possa implicare una nostra opposizione a proposte francesi; mentre, d'altra parte, qualora ella abbia ragione di supporre che tale contegno possa interpretarsi, da talun collega, e segnatamente dal tedesco, come avente il significato di propensione nostra piuttosto verso l'una che verso l'altra delle potenze che nel Marocco si contendono il campo, non le sarà malagevole di lasciar comprendere, senza che naturalmente sia opportuna, e neppure occorra, una enunciazione qualsiasi, che il contegno di lei è invece il naturale effetto del disinteresse che, nell'ordine politico, noi professiamo rispetto al Marocco.

Nell'ordine economico e nell'ordine giuridico il nostro atteggiamento potrà bensì avere, come corollario indiretto dell'accordo, un carattere benevolo verso la Francia. Però in questo duplice ordine di argomenti, l'azione del R. Governo e della sua rappresentanza nella Conferenza è libera da preesistenti impegni, e dovrà quindi spiegarsi a seconda dei nostri particolari interessi. Non potendosi prevedere quali punti potranno venire in discussione, sia in quanto riguarda i rapporti commerciali od industriali, sia in quanto riguarda la condizione giuridica delle cose e delle persone, non sarei in grado di porgerle, a tale riguardo, specifiche istruzioni: notizie sicure ed apprezzamenti degni di considerazione V.E. potrà facilmente attingere dal collega di lei, commendator Malmusi, che per la lunga sua residenza nel Marocco, e la frequente trattazione di affari rifcrentisi a siffatte questioni, le sarà, per tale rispetto, prezioso collaboratore. Intanto, fin d'ora, e come direttiva generica, V.E. potrà attenersi a questi concetti: che, cioè, il R. Governo nella materia economica ha sempre caldeggiato e professato il principio della porta aperta con eguaglianza di trattamento verso tutti, e che nella materia giuridica l'animo nostro è costantemente favorevole ad ogni progresso umanitario e civile che sia compatibile con le speciali condizioni del paese e della popolazione. Sopratutto, poi, a noi preme che gli accordi da prendersi ed i provvedimenti da adottarsi nell'una e nell'altra materia abbiano grande chiarezza e precisione, sia per rimuovere ogni pericolo di abusi, che condurrebbero a nuove complicazioni, sia per eliminare la possibilità di conflitti tra il Governo locale e gli esteri Governi.

Non è d'uopo aggiungere che, quante volte si presenti alcuna particolare questione per la quale ella abbia bisogno di apposite istruzioni, queste le saranno sollecitamente fomite.

Nella presente occasione, l'Italia, appunto perché disinteressata, desidera di fare, in seno alla Conferenza, opera essenzialmente conciliante tra le aspirazioni varie che, da parte di altre potenze, saranno per manifestarsi. VE. ed il commendator Malmusi sapranno certamente adoperarsi efficacemente e con successo in tal senso. Ad entrambi mi è grato di esprimere, anticipatamente, la piena fiducia del R. Governo.

367 1 Con Disp. riservato 62555/293 del 19 dicembre, Tittoni rispose rinviando alle istruzioni di cui al D. 368.

368 1 Sono lo scambio di lettere Visconti Venosta-Barrère del 16-18 dicembre 1900 e lo scambio di lettere Prinetti-Barrère del l o novembre 1902 per i quali vedi in questa serie, il vol. IV, DD. 577 e 586, e il vol. VI, DD. 619 e 620.

369

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 743/148. Pechino, l O dicembre 1905 (perv. il 28 gennaio 1906).

Non appena ricevuto il telegramma deli'E.V. in data 25 ottobre u.s. 1 ho chiesto ai rappresentanti delle potenze che ancora conservano contingenti militari in Cina quale fosse l'accoglienza fatta dai loro Governi alla proposta d'iniziativa della Germania per il pronto ritiro delle truppe di occupazione ad eccezione delle guardie delle legazioni. Il solo ministro di Russia ricevette subito dal suo Governo istruzioni di concertarsi coi colleghi circa le modalità del ritiro, gli altri affermavano di esserne privi. Il ministro d'Inghilterra mi fece poi giustamente osservare che essendo prossima la stagione in cui il porto di Tientsin era chiuso dal ghiaccio non si poteva, ad ogni modo, effettuare il ritiro che nella veniente primavera poiché in inverno era troppo difficile l'imbarco delle truppe nel vicino porto di Cinquantao.

Siccome la cosa trascinava per le lunghe ed al ministro di Germania premeva che, anche se non immediata, la partenza delle truppe fosse decisa per un'epoca non troppo lontana, egli provocò insistenze da parte del Gabinetto di Berlino presso quelli di Londra e di Parigi perché istruzioni venissero impartite ai rispettivi rappresentanti in Pechino. Risultò da queste pratiche che il Governo britannico ed il francese avevano già, a suo tempo, dato istruzioni favorevoli alla proposta tedesca ai loro ministri in Cina. Sir Ernest Satow riconobbe allora di averle infatti ricevute, ma non aveva creduto di parlarne dovendo chiarire qualche punto di esse: in quanto al sig. Dubail disgraziatamente gli era andato, egli disse, smarrito il telegramma col quale le istruzioni stesse gli venivano comunicate. Il ministro del Giappone ha pure in questi giorni avuto ordine di dichiararsi favorevole al ritiro immediato delle truppe, conformando però le sue decisioni il più che sia possibile a quelle del suo collega britannico.

Tutti sono quindi in massima favorevoli alla partenza delle truppe e quantunque né il ministro d'Inghilterra né quello di Francia vogliano, per ora, fissarne con precisione l'epoca è però probabile che il ritiro dei distaccamenti esteri lungo la linea ferroviaria Pechino-Shanhaikuan avverrà nel prossimo mese di marzo. In questo senso appunto ho avuto l'onore di telegrafare all'E.V. (telegramma n. 29)2•

2 Del 9 dicembre, non pubblicato.

In tale eventualità che, salvo circostanze straordinarie, ritengo quasi sicura ho aggiunto che sarebbe bene di dare sin d'ora istruzioni al comandante il Distaccamento della R. Marina in Cina di iniziare trattative per la alienazione delle nostre caserme subordinandone, naturalmente, la cessione al ritiro degli altri distaccamenti esteri lungo la linea ferroviaria.

Quanto precede ho creduto dovere per telegrafo portare a notizia dell'E.V. perché di diretto interesse per il R. Governo, il quale ha consentito a lasciare, fin che vi restano gli altri, distaccamenti a custodia della linea Pechino-Shanhaikuan, pur ritirando le rr. truppe da Tientsin. Non si può però, per ora, affermare come altrettanto probabile a così breve scadenza l'evacuazione di quest'ultima località da parte dei contingenti militari esteri. Il ministro di Germania avendo, infatti, proposto per ragioni amministrative che la partenza dei corpi di occupazione si effettuasse per reparti, sir Ernest Satow prendendo la proposta alla lettera disse che acconsentiva a ritirare in primavera le truppe britanniche nei dintorni di Tientsin, ma che avrebbe suggerito al suo Governo di conservare in questa città un certo numero di soldati, dei quali si sarebbe poi ulteriormente fissata l'epoca della partenza. Se così sarà gli inglesi non vi rimarranno certamente soli.

lo non so, dal punto di vista militare, quale possa essere il valore del suggerimento del ministro britannico, ad ogni modo il movente di esso e delle difficoltà che, tanto da lui quanto dal suo collega di Francia, si cercò di creare alla iniziativa germanica va ricercato, io credo, nelle ragioni seguenti. I due ministri in quistione si mostrarono assai preoccupati dei vantaggi che la legazione di Germania avrebbe potuto ottenere in compenso dell'iniziativa stessa. Preoccupazione vana nelle attuali disposizioni del Governo cinese, ma che si comprende se si considera la sospettosa politica personale di quasi tutti i rappresentanti delle potenze maggiormente interessate in Cina. Ponendo ostacoli alla proposta tedesca e coll'agire in modo, forse, non troppo conforme alle loro istruzioni sir Ernest Satow ed il sig. Dubail vollero probabilmente mostrare al Governo imperiale che la partenza delle truppe estere dipendeva anche dalla loro buona volontà e da questo stanno cercando di tirare profitto a proprio favore.

Ma v'e poi un'altra ragione che, probabilmente, li spinse a cercare di prender tempo prima d'arrivare ad una decisione netta. E sta nel fatto che, se tutti i Governi hanno ormai convenuto di ritirare i loro contingenti militari in Cina, la maggioranza qui teme le conseguenze che potrebbero derivare da tale provvedimento.

È evidente che la presenza dei corpi d'occupazione nel Petchili crea una situazione anonnale, alla quale conviene pur una volta di porre termine. È anche ragionevole il supporre che la lezione del 1900 abbia valso efficacemente a convincere il Governo cinese del pericolo cui si esporrebbe nel prendere di nuovo diretta parte in una rivolta contro gli stranieri, rivolta che qui nel Petchili almeno ha la forza di reprimere. Ed è infine da considerarsi che i contingenti militari esteri si trovano attualmente in uno stato di forte inferiorità numerica di fronte alle truppe organizzate cinesi.

Tuttavia la situazione presente è tale da rendere arrischiata qualsiasi previsione. L'odio per Io straniero, a chiunque se ne voglia addossare la responsabilità, è un fatto che non può negarsi ed è profondamente radicato nell'animo di tutti, dal più alto magistrato ali 'ultimo coolie, è, direi, l'esplicazione del patriottismo cinese. Le riforme che il Governo sembra voler largamente introdurre nel paese potranno valere in processo di tempo a modificare questo sentimento, sinora però non è forse esagerato ritenere che i fautori di esse le considerano soltanto come l'unico modo di sbarazzarsi a qualunque costo dall'elemento forestiero. Si aggiunge che l'Imperatrice madre ha settantun anni e della sua morte si crede potrebbe per avventura prendere occasione il partito anti-mancese per far sorgere tumulti che diverrebbero probabilmente fonte di gravi pericoli per gli stranieri.

In questo stato di cose temesi da molti che la partenza delle truppe abbia ad essere interpretata come un atto di debolezza e servire a rendere più frequenti e gravi quelle manifestazioni brutali contro gli stranieri, che avvengono del resto ogni tanto anche al presente.

Quanto precede ho creduto dover riferire all'E.V. semplicemente a spiegazione delle difficoltà mosse dal ministro d'Inghilterra e di Francia all'immediata esecuzione della proposta germanica3 .

369 1 Vedi D. 314, nota 3.

370

IL CONSOLE GENERALE AD ADEN, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 14. Aden, 11 dicembre 1905 (perv. il 26).

Confermando il mio telegramma di oggi a n. 13 1 , e in relazione al mio precedente rapporto del 6 corr. 1 ho l'onore di informare l 'E. V. che ieri appena fu qui arrivato il generale Swayne, ci ritrovammo in questo mio ufficio per concretare sul testo definitivo dell'accordo in questione, sulle basi dell'intesa di Lione2; il generale mi osservò che da lettere ricevute dal Colonia] Office di Londra riteneva vi sarebbero difficoltà per la modificazione dei confini verso il Nogal e mi proponeva di lasciare per ora la questione di Bander Ziadc e quella del Nogal per intenderei definitivamente sugli altri paragrafi.

Risposi che sugli altri punti ed anche su quello stesso di quei confini eravamo già personalmente intesi, che non mi credevo autorizzato a firmare un accordo che non implicasse un vantaggio anche per noi, e per ciò proponevo di redigere ugualmente il testo definitivo secondo le nostre vedute e sottoporlo ai rispettivi Governi. Ciò fu fatto, come dal qui unito documento in inglese'; però stamane il generale Swayne, con biglietto confidenziale, mi pregava di sopprimere i due paragrafi riferentisi ai confini, poiché il Colonia] Office gli aveva telegrafato, insistendo perché non ne fosse fatta menzione. A voce poi più tardi, il generale mi diceva nello stesso modo riservatissimo, che supponeva potessero essere ragioni di difesa militare che inducevano il Colonia] Office ad insistere, che forse anche quella frase del Mullah, per rivendicazione di terri

2 Vedi DD. 23! e 250.

torio, nella lettera a Swayne aveva contribuito a mantenere i sospetti. Gli ripetei che conoscendo quella gente non davo importanza a quella frase e che del resto, ora che il testo era stabilito, i nostri Dicasteri sarebbero i migliori giudici.

Se in conseguenza l'E.V. crederà opportuna l'accettazione di quell'accordo, sopprimendone i due paragrafi che ho segnato a lapis rosso, potrò alla prima occasione recarmi a Berbera per farlo firmare dal Swayne; aspetterò al riguardo gli ordini che mi saranno dati.

369 3 Per il seguito vedi DD. 484 e 522.

370 1 Non pubblicato.

371

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 12 dicembre 1905, ore 17,45.

Si sta ora trattando Londra per accordo a tre per Etiopia, e questione ferrovia fa parte detto accordo.

Intesa fra Inghilterra e Francia per detta questione deve quindi essere subordinata alla intesa tra Italia e Inghilterra e in questo senso sono appunto condotte trattative Londra. Ciò anche secondo intendimenti esplicati Menelik che vuole su questione ferroviaria accordo tra le due potenze. Spero fra poco sia a Londra conchiuso accordo; intanto ella può informare di ciò Harrington, e, se lo crede necessario, anche Lagarde.

372

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1351/461. Londra, 12 dicembre 1905 (perv. il 23).

Riferendomi al mio rapporto in data IO ottobre u.s. n. 3641 , ho l'onore di rimettere qui acclusa a V.E. copia della nota in data del 7 del corrente mese2 colla quale il marchese di Lansdowne mi comunicò le decisioni del Governo britannico in relazione al noto progetto di accordo Pestalozza-Swayne circa Somalia.

Come V.E. rileverà, Sua Signoria riconosce che le due versioni corrispondono fra loro sostanzialmente. Egli osserva soltanto che in quella del comm. Pestalozza

2 Non pubblicato.

non è detto specificatamente che la somma di lire sterline quattromila, che si propone al Governo britannico di pagare, costituirebbe una sistemazione definitiva di tutti i reclami dei Migiurtini relativamente al passaggio delle truppe inglesi nella regione dei loro pascoli. Crede però non vi sia dubbio circa codesta intenzione.

Quanto al contenuto delle proposte stesse, il Governo britannico è disposto ad accettarle, salvo il comma c del memorandum B (traduzione Swayne), che comporterebbe lo spostamento del confine anglo-italiano in modo da includere nel nostro territorio le località in cui il Mullah ha diritto di pascolo in base all'accordo di Illig del 5 marzo 1905. Il Governo britannico dichiara di non potere consentire senza assoluta necessità ad una consimile cessione di territorio: esso ritiene che la Valle del Nogal ha per esso un grande interesse politico e strategico, e che la sorveglianza del Mullah, principale argomento in favore della proposta cessione, può essere effettuata egualmente senza che il territorio cambi di sovranità.

Quanto alle altre proposte, il Foreign Office ha già dato istruzioni al generale Swayne perché si metta d'accordo col comm. Pestalozza per una sistemazione definitiva che dovrà poi essere ratificata dai due Governi.

Le obbiezioni del Ministero degli esteri ad accettare le proposte del generale Swayne relative al Nogal, fu (sic) certamente determinata dalle opposizioni del Colonia\ Office nella competenza del quale sono ora passati questi affari. Esso ha dovuto considerare che la cosa non poteva trattarsi come una semplice rettificazione locale di confine, ma come una propria cessione di territorio, che avrebbe fra altro richiesto la sanzione del Parlamento. In tale stato di cose, non essendo da attendersi che il nuovo Ministero receda da quel punto, converrebbe forse, a tutela della nostra eventuale responsabilità, far meglio risultare nel proposto accordo che, giacché le località lasciate per uso di pascolo alla gente del Mullah sono destinate a rimanere entro i confini della Somalia britannica, spetterà alle Autorità britanniche il provvedere alle misure necessarie per mantenervi la tranquillità3•

371 1 Trasmesso via Asmara.

372 1 R. 1067/364, non pubblicato.

373

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATISSIMO 2509/236. Berlino, l 3 dicembre l 905, ore l 4, l 7 (perv. ore l 5,30).

Ho avuto iersera occasione d'intrattenermi col conte Tattenbach, e l'ho trovato preoccupato della responsabilità che gli incombe come rappresentante della Germania alla Conferenza di Algeciras, la cui cattiva riuscita potrebbe avere le più gravi conseguenze. Lo preoccupano le continue voci che vengono dalla Francia, aver questa col ritiro di Delcassé dato alla Germania tutte le soddisfazioni possibili e non

esservi altro da fare. Lo preoccupa l'attitudine che eventualmente possa tenere l'Inghilterra al Congresso, quantunque speri migliori disposizioni nel nuovo Gabinetto di Londra che non nel Gabinetto precedente. Preoccupa finalmente il Tattenbach il pensiero che possano per avventura i rappresentanti italiani e tedeschi alla Conferenza non procedere pienamente d'accordo. Egli va alla Conferenza animato dalla migliore disposizione, e protesta contro la leggenda che si è formata sul suo nome, sull'animosità verso la Francia che gli si attribuisce. In questi giorni saranno ultimate le istruzioni del Governo imperiale che il conte Tattenbach porterà seco alla Conferenza: esse saranno, per mezzo di codesto ambasciatore di Germania, comunicate alla E.V. ed il Tattenbach nutre speranza che non discordi con esse saranno quelle che VE. darà ai nostri delegati. Sulla cooperazione conciliante e intelligente di Malmusi Tattenbach, che lo conosce e molto apprezza, fa grande assegnamento.

Non ho mancato assicurare al Tattenbach che anche noi ci presenteremo alla Conferenza colle migliori disposizioni, e, per quanto delicata sia la nostra posizione, sapremo, ne sono certo, evitare ogni anche semplice apparenza di disaccordo colla Germania. Insistetti naturalmente su quello che a noi più preme: Tripoli!

372 3 Vedi D. 426.

374

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 25231128. Addis Abeba, 13 dicembre 19052 .

Benché in attesa istruzioni chieste relative questione nostra linea telegrafica e nostra attitudine per questione dancala, non ho trascurato intrattenere Menelik su queste cose, senza nulla pregiudicare ma solo per interpretare suo pensiero. Menelik sembra disposto dare assetto al Governo dei territori confinanti con Eritrea, ed il suo prossimo viaggio al nord ha questo scopo. Menelik partirà da qui fra una trentina di giorni, e mi ha fatto comprendere desiderarmi a Borumieda per trattare tutte le questioni che ci interessano e le soddisfazioni che esigiamo pei noti torbidi sulla frontiera dancala. In nulla mi sono impegnato cose [sic]. Attendo dalla E.V. ordini sulla condotta che dovrò seguire3 .

374 1 Ed. con varianti in MARTIN I, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. l 05. 2 Trasmesso via Keren il 16 dicembre. 3 Vedi D. 379.

375

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 1493/406. So.fìa, l 4 dicembre l 905 (perv. il 18).

Il riverito dispaccio a margine segnato 1 mi giunse per mezzo del corriere di Gabinetto il 6 corr. Siccome sabato scorso [il 9] non ebbe luogo il consueto ricevimento diplomatico, soltanto ieri mi fu possibile di recare a conoscenza del generale Petrov le assicurazioni date ali 'E.V. dal sig. Milovanovié circa le intenzioni del Governo serbo di render sempre più intimi i rapporti colla Bulgaria.

Questo presidente del Consiglio mi ringraziò vivamente della comunicazione che l'E.V. gli faceva pervenire per mio mezzo, apprezzando in tutto il suo valore questa testimonianza della cordiale amicizia e del sincero interesse che l' ltalia ha sempre dimostrato alla Bulgaria

Egli mi disse che il Governo principesco era animato dagli stessi sentimenti verso la Serbia e si augurava che la reciproca intesa dei due Governi sarebbe feconda di risultati. S.E. nutriva fiducia che le relazioni fra i due popoli diverrebbero ancora più intime in seguito ai nuovi patti stipulati circa l'unione doganale: patti che il Governo bulgaro non ha ancora pubblicati per far cosa gradita alla Serbia, la quale vorrebbe, prima che siano conosciuti, aver firmato la convenzione di commercio che sta negoziando coli' Austria-Ungheria.

S.E. aggiunse che, se l'accordo serbo-bulgaro non aveva potuto manifestarsi più chiaramente in questi giorni, con una risposta identica alla nota austro-russa, (come venne proposto dal sig. Simié, prima, e poscia dai ministri serbi al principe Ferdinando, a Belgrado), ciò ha dipeso soltanto dal fatto che egli aveva già in precedenza impartito istruzioni agli agenti diplomatici bulgari presso le grandi potenze, ma non mancheranno altre occasioni ai Gabinetti di Sofia e di Belgrado per agire di concerto nelle questioni che li interessano.

Il linguaggio tenutomi dal generale Petrov, ed anche altri indizi, mi rendono persuaso che il principe Ferdinando in questo momento si rende conto della opportunità di rafforzare le reciproche buone relazioni fra le due Corti ed i due Governi.

375 1 Disp. 56272/212 del 14 novembre, non pubblicato.

376

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2513/112. Londra, 15 dicembre 1905, ore 13,34.

Riferendomi telegrammi di V.E. del 71 e 12 corrente2 , sono in grado di assicurarla che, sebbene il Foreign Office e l'ambasciatore di Francia si trovino già, per quanto li concerne, d'accordo circa gli articoli ferroviari, nulla sarà concluso senza previo nostro consenso e assenso.

Tanto ministro degli affari esteri, quanto Cambon, mi hanno detto essere pronti prendere in esame i nuovi emendamenti da V.E. annunziati.

Circa articoli ferroviari, sir E. Gorst mi assicurò aver già fatto quanto stava in lui per ottenere dalla Francia condizioni il più possibile conformi alle nostre previe intelligenze, nell'interesse nostro comune, né egli crede che si riesca ad ottenere di più.

Quanto ali' articolo 4, Cambon mi accennò che si potrebbe sostituire alle parole «comunicazioni terrestri», le parole «comunicazioni territoriali»; e Gorst, di ciò informato, ritiene che non dovrebbero esservi difficoltà ad adottare questa dicitura. Per codesto articolo egli si rimette, del resto, alla preferenza del Governo italiano, notando soltanto la convenienza del tenere presente che intero accordo dovrà essere sottoposto a Menelik.

Debbo poi avvertire che il ministro degli affari esteri sarà, subito dopo le vacanze di Natale, assorbito nella campagna elettorale fino alla fine di gennaio. Se l'E.V. credesse di comunicarmi immediatamente i suoi emendamenti, e questi non fossero troppo numerosi e radicali, potrei tentare di giungere ad una conclusione prima di Natale. Ma, in caso contrario, ulteriori negoziati non potrebbero venire ripresi se non nel febbraio.

377

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. RISERVATO 2518/113. Londra, 15 dicembre 1905, ore 23,10.

In relazione al mio telegramma n. 112 1 , ho veduto oggi Cambon ritornato da Parigi, il quale mi ha informato dello scambio di comunicazioni già intervenuto fra

V.E. ed il Governo francese circa oggetto del telegramma sopraccennato. Cambon mi

2 T. 2088, non pubblicato ma vedi D. 362.

disse avere Rouvier, dietro suo consiglio, autorizzato Barrère ad accettare il citato emendamento dell'art. 4, nonché la proposta di uno scambio di note spiegative allo scopo di determinare l'estensione dell'eventuale zona d'accesso italiana tra gli hinterland francesi ed inglesi. Se siamo d'accordo su tutto il resto, spero mi sarà possibile, col concorso di Cambon, ottenere adesione del Foreign Office a codesto scambio di note, vincendo la sua ripugnanza a simile accordo segreto. Cambon mi disse infatti essere l'articolo 4 il solo punto ancora da sistemare, mentre VE. avrebbe accettato gli articoli ferroviari approvati dal Governo britannico.

376 1 Non rinvenuto.

377 1 Vedi D. 376.

378

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. RISERVATO 2116. Roma, 18 dicembre 1905, ore 18,30.

Nelle condizioni indicate da VE. riterrei non solo utile ma ora molto opportuno convegno Borumieda, specialmente dopo dolorosi incidenti telegrafo e situazione non rassicurante Dancalia, per affermare buone relazioni e normale situazione Eritrea-Etiopia. Notizie giunte in Italia hanno fatto parlare di pericoli, di cui, sebbene inesistenti, solo annuncio turba visione verità. In convegno dovrebbe parlarsi di tutte questioni pendenti con Eritrea e quanto a questione politica ferrovia affermare necessità, nell'interesse Menelik che l'ha proclamata, che, cioè, Italia, Inghilterra e Francia siano d'accordo, e che senza questo accordo non sia conveniente all'Etiopia consentire. Spero VE. potrà sormontare difficoltà giustamente messe innanzi, disposto da parte mia fare, nei limiti possibile, quanto VE. richiedesse.

379

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. RISERVATO 21172 . Roma, 18 dicembre 1905, ore 18,45.

Nei termini e condizioni indicati da r. commissario e con presenza VS., ritengo non solo utile ma opportuno convegno Menelik Borumieda, tanto più ora dopo incidenti telegrafo e vista situazione non rassicurante Dankalia. Circa, però, modalità

379 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 115. 2 Trasmesso via Asmara. Risponde al D. 3 74.

convegno, per giuste osservazioni dell 'on. Martini, la S.V. dovrà attendere comunicazioni r. commissario, quando questi giudichi difficoltà ridotte in termini convenienti per decoro capo colonia e per utilità convegno.

378 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 114.

380

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. 848/282. Belgrado, 18 dicembre 1905 (perv. il 27).

Le dimissioni del ministro Zujovié, di cui ho intrattenuto la E.V. nel mio rapporto del I 7 corrente, n. 281 1 , mi inducono a sottoporre alcune considerazioni circa alla evoluzione resa necessaria nella politica estera della Serbia dagli avvenimenti di questi ultimi tempi.

Da circa settantacinque anni, cioè dacché la Turchia riconobbe ereditaria nella Casa degli Obrenovié l'autorità principesca, tutta la politica della Serbia fu determinata esclusivamente dalla lotta di influenze fra l'Austria e la Russia. Ragioni di carattere geografico ed economico stavano in favore della prima, ragioni di carattere religioso, etnografico, filologico, diremo, sentimentale, in favore della seconda.

Favorevoli ali' Austria, per interessi dinastici, furono le due Case regnanti che si alternarono al potere, cioè sempre i Karageorgevié, quasi sempre gli Obrenovié, meno durante gli ultimi anni del principe Michele, che però il l Ogiugno 1868 scontava col sangue il suo fallo. Favorevole alla Russia fu sempre la gran massa del popolo e russofilo, o piuttosto slavofilo, il gran partito nazionale che prese nome di radicale. Quindi, allorquando i re Milan ed Alessandro vollero opporre a questo un partito a tendenze austriache, dovettero fabbricarlo a bella posta coi premi e colle minacce, senza riuscire però mai a fargli prendere radici in paese.

La guerra russo-giapponese fu il principio di un mutamento e scosse le basi della politica tradizionale della Serbia. La Russia, impegnata in una lotta formidabile nell'Estremo Oriente, legata all'Austria dai patti di Miirzsteg, non fece più sentire qui la sua azione come per il passato. Malgrado questo, il popolo serbo le rimase fedele e non perdette coraggio. Nemmeno il succedersi della sconfitte valsero a smuovere la sua fiducia incrollabile nel trionfo finale delle armi russe. E quando poi si parlò di pace, le speranze si riaccesero, perché si credette che la Russia, dovendo metter fine alle sue aspirazioni verso il mar Giallo, avrebbe di nuovo rivolte le sue forze verso la penisola balcanica, le sue cure verso i fratelli jugo-slavi. Ma sopravvennero le insurrezioni e le rivolte, e apparve ormai chiaro che la Russia si trovava, almeno per qualche tempo, nella impossibilità assoluta di esercitare una azione efficace qualsiasi oltre le sue frontiere.

Per la prima volta, dunque, dopo settantacinque anni, l'equilibrio è rotto ed il partito nazionale serbo, privo dell'appoggio della Russia, trovasi in uno stato di angoscioso scoraggiamento.

A chi chiedere aiuto? In chi sperare, il giorno forse non lontano nel quale le sorti dei tre Stati jugo-slavi saranno di nuovo poste in discussione? Per queste ansie sorse, nello Zujovié e in molti altri uomini politici, il pensiero di volgere lo sguardo verso quelle potenze che hanno istituzioni politiche liberali conformi allo spirito di questo paese e che, in pari tempo, non possono nutrire verso la Serbia brame di conquista e di dominazione: Italia, Inghilterra e Francia. Gruppo di nazioni che rappresenta un alto grado di civiltà e che in questo momento non può svegliare nella Russia sospetti od avversioni, giacché la Francia le è alleata, l 'Inghilterra lo è della Francia, l'Italia rappresenta un elemento pacificatore, amico della indipendenza dei popoli, non proclive a che l'Austria estenda soverchiamente l'imperio a danno dei vicini.

Fu questa persuasione che indusse i capi delle due frazioni radicali a fare ogni sforzo per riannodare i rapporti coll'Inghilterra. Per quali ragioni non vi sieno riesciti, quale sia stato l'ostacolo, ho riferito alla E.V. col rapporto sovra citato.

Vi ha poi un ostacolo di natura un poco diversa, ma di origine simigliante, che rende difficile anche la intimità coi due Stati jugo-slavi, Montenegro e Bulgaria. Scarse, infatti, le simpatie reciproche fra le Case regnanti del Montenegro e di Serbia, scarsa la fiducia. Qui se ne parla apertamente e si attribuisce a ciò la tendenza prevalente a Cettigne di seguire una politica propria, senza preoccuparsi molto di quel che si fa o pensa a Belgrado. Anche le relazioni fra Serbia e Bulgaria non sono divenute molto migliori di quel che fossero. Persona che assistette ali 'ultimo colloquio fra il principe Ferdinando e il re Pietro mi assicurò che, mentre il primo dimostrava, o affettava dimostrare, quasi eccedendo nella misura, una cortesia piena di prevenzioni, una cordialità affettuosa, un abbandono ricco di fiducia, il Re si mostrò molto freddo e riservato, così da non rispondere nemmeno a parecchie delle domande d'ordine politico e militare che gli erano rivolte. I due ministri presenti si trovavano in così grande imbarazzo che dovettero parecchie volte intervenire nella conversazione per dissipare l'impressione penosa e addiacciante che il principe Ferdinando doveva risentire in quel momento.

La scomparsa di ogni influenza russa, resa anche più evidente dalle tendenze austrofile del conte di Lamsdorf e dalla eccessiva riserva del suo rappresentante qui, il sig. Gubastov, la speranza svanita della benevolenza inglese, la difficoltà di rendere più intime le relazioni cogli altri Stati jugo-slavi, hanno fatto perdere allo Zujovié e a parecchi fra i più noti radicali, la fiducia di poter dare alla politica estera della Serbia una direzione ed un impulso corrispondente agli interessi del paese, ai sentimenti e alle aspirazioni del suo popolo.

380 1 Non pubblicato.

381

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

DISP. RISERVATO 62557/295. Roma, 19 dicembre 1905.

Le istruzioni che, rispetto all'atteggiamento da tenersi nella Conferenza per il Marocco, sono contenute nel mio dispaccio del IO di questo mese 1 , si fondano sul presupposto che le discussioni e le eventuali deliberazioni debbano essere contenute entro i limiti del programma che per la Conferenza stessa è stato concordato tra la Germania e la Francia, e che l'aspetto politico della questione marocchina non altrimenti vi si debba affacciare se non in rapporto diretto con i singoli temi inclusi in quel programma. Adattate a questa ipotesi, che mi sembra doversi considerare come probabile, le istruzioni che le impartii porgono ali' E.V. sufficiente guida e norma direttiva.

Sennonché è pure da considerarsi la contraria ipotesi, e cioè che nel corso del dibattito sorga e si imponga alla Conferenza alcun tema, non incluso espressamente nel programma, ma avente con esso attinenza, il quale abbia indole nettamente politica con l'implicare mutamenti eventuali alla compagine stessa ed alle condizioni presenti dell'Impero. V. E. comprende che in tale ipotesi la situazione nostra si farebbe particolarmente delicata in relazione appunto a quell'accordo segreto di cui le feci conoscere i termini nel dispaccio del l O di questo mese. Converrà quindi che non appena un argomento di simile natura sia recato, o sia per recarsi, od anche solo ella possa dubitare che sia per essere recato, davanti la Conferenza, l'E.V. segnali, con ogni opportuna spiegazione, il fatto al R. Governo acciocché io le possa tosto far pervenire quelle speciali direzioni che le indicazioni di lei e le circostanze del momento saranno per consigliare.

382

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

T. 2560/33. Asmara, 21 dicembre 1905, ore 16,30.

Quantunque sia stabilito che trattative accordo a tre devono svolgersi tra Roma, Parigi, Londra, Governi francese ed inglese continuamente riferiscono ai loro rappresentanti andamento delle cose, esigendo ragguagli locali, opinioni personali ed intese fra loro per avere base sicura alle discussioni in Europa, senza trascurare alcun inte

382 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 127-128.

resse in Etiopia. Per gli ordini avuti, e privo di istruzioni e di notizie, ho mantenuto il più completo riserbo coi miei colleghi. Però ieri fui invitato a prender parte ad una loro conversazione sull'ultimo progetto di convenzione che i rispettivi loro Governi avevano inviato in copia stampata. Harrington decisamente persiste nel limitare alla Francia pretese territoriali che questa spinge sino alla Gildezza, Lagarde, mentre nega intenzioni acquistare territorio [ ... ]2 tutto bacino Awash e creando una zona neutra fra influenza francese d eli'est ed influenza inglese dell'ovest. Feci notare a Lagarde che, sebbene non autorizzato intervenire periodiche discussioni che il mio Governo fa direttamente con Parigi e Londra, non potevo nascondere mio personale stupore nel rimarcare l'oblìo da parte sua di ogni nostra azione in Etiopia passata e presente, di ogni nostro sacrificio compiuto, di ogni interesse delle nostre colonie. Parlare di zona neutra fra inglesi e francesi è inesatto quando, trattandosi di eventuale ripartizione, questa deve essere fatta a tre e non a due. Se Francia ed Inghilterra vogliono stabilire, fin da ora, ciò che forse un giorno sarà fatale (?) non possono dimenticare che all'Italia spetta la sua parte che può essere rappresentata dalla continuità territoriale fra Eritrea e Benadir. Harrington con generoso slancio di leale amicizia affermò che mai avrebbe consigliato accettazione accordo in discussione, senza la netta affermazione di questa [ ... Fde Il' Italia, ed insistette affinché Lagarde accettasse la parziale modificazione dell'articolo che tratta della nostra comunicazione fra Eritrea e Benadir nei termini seguenti già convenuti tra noi: «Sia lasciata senza soluzione di continuità l'Eritrea col Benadir attraverso l 'Etiopia nella zona compresa fra Gildezza ad ovest di Addis Abeba». Lagarde conviene in massima assicurando riferire al suo Governo, prevenendoci che Francia non cederà nessuna parte del bacino dell' Awash e perciò il punto ovest Addis Abeba non potrebbe essere che sorgenti Awash. Feci notare che queste sono a poche ore Addis Alem e che fra zona così ristretta, non è a supporsi possibilità di contrasto tra Francia c Italia. Dichiarai ai miei colleghi che riferirei tutto al Governo del Re.

Ho detto tutto a VE. per segnalare leale condotta di Harrington al nostro riguardo, per cercare, se possibile, in qualche modo concorrere nell'onore devoluto costì a difesa interessi nostra colonia e nostro avvenire in Etiopia; e se tarda arriva questa mia azione, resta, per lo meno, tranquilla la mia coscienza. Intanto segnalo che più si indugia per stabilire accordo a tre, più si renderà per noi dannosa la soluzione, perché non è nascosto intendimento della Germania di intervenire presto nelle cose di Etiopia in modo efficace e diretto.

381 1 Vedi D. 368.

382 2 Gruppo mancante.

383

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. SEGRETO 2139. Roma, 22 dicembre 1905, ore 16,55.

Nell'accordo tra Italia, Inghilterra e Francia per Etiopia, Governo francese offre che commercio tre paesi abbia eguale trattamento sulla ferrovia e nel porto Gibuti, e che le merci non siano passibili di alcun diritto di transito. Come reciprocità, Governo francese domanda che su ferrovie inglesi e italiane che si costruiranno e nei porti inglesi e italiani da cui partiranno dette ferrovie, i tre paesi abbiano eguale trattamento e le merci non siano gravate da alcun diritto di transito. Prego V.E. telegrafarmi se ella crede possa esservi difficoltà da parte nostra accettare, essendo consueto in convenzioni internazionali accordare eguaglianza trattamento nei porti e esenzione tasse transito2 .

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 22 dicembre 1905, ore 17.

Ricevuto rapporto 15 novembre, n. 12 frontiera anglo-etiopica2 .

Richiamo attenzione vivissima della S.V. affinché negoziato anglo-etiopico per frontiera sud Etiopia non pregiudichi questione Lug, ma sia risoluta secondo reciproci interessi in conformità di quanto le telegrafai 8 ottobre u.s. 3 . Non ho ancora inviato dispaccio poiché da Londra non hanno ancora ricevuto da Harrington comunicazioni che furono chieste per lettera fin da ottobre.

2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 303.

383 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 130. 2 Per il seguito vedi D. 410.

384 1 Trasmesso via Asmara.

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. RISERVATO 2142. Roma, 22 dicembre 1905, ore 18,20.

Ricevuti telegrammi 15 corrente n. 112 e 113 1 .

Prendo atto che circa progetto accordo per Etiopia nulla sarà concluso senza previo nostro consenso ed assenso. Quanto agli altri articoli ferroviari di detto progetto, non ho preso altro impegno che quello di esaminarli insieme con altri articoli. Sarà molto difficile che io possa mandare nuovo schema prima feste Natale, essendo necessario in alcune clausole articoli ferroviari sentire telegraficamente on. Martini ora in viaggio nell'interno Colonia.

Proposta scambio di note come spiegazione dell'art. 4 è da me accettato, poiché parmi sarà espediente necessario per garantire nostri interessi come sono garantiti interessi inglesi e francesi.

386

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. RISERVATO 2717/1334. Vz'enna, 22 dicembre 1905 (perv. il 9 gennaio 1906).

Nella prima visita da me fatta al conte Goluchowski dopo il mio ritorno a Vienna, S.E., nel manifestarmi la sua soddisfazione nell'esito favorevole della dimostrazione navale, mi disse che conoscendo l'animo timoroso e facilmente impressionabile del Sultano non aveva mai dubitato che esso avrebbe finito per cedere alle pressioni delle potenze col consentire alle loro domande. La resistenza da esso fatta erasi, è vero, prolungata più oltre di quello che avesse creduto, ma ciò era da attribuirsi alla speranza che la Porta nutriva di far sorgere scissure fra le potenze, atte ad attraversare l'ulteriore svolgimento della loro azione ed anche alla supposizione che l'assenza di una nave germanica dalla dimostrazione navale dinotasse che questa non fosse approvata dal Governo imperiale. Il barone di Marschall però non aveva tralasciato in tale circostanza di adoperarsi energicamente per far dissipare nella Porta ogni dubbio al riguardo. Ma qualora essa avesse perdurato nel suo rifiuto egli non sarebbe stato alieno dall'adottare mezzi più coercitivi proponendo alle potenze di estendere il programma della dimostrazione navale coll'aumentare il numero delle navi e coll'invio della flotta internazionale a Smirne. E a tale suo proposito avrebbe dato seguito

anche nel caso che le potenze non aderendo alla sua proposta, egli avesse dovuto agire da solo, giacché non credeva ormai possibile d'indietreggiare senza menomare il proprio prestigio di fronte alla Porta.

Nel rilevare poi che la dimostrazione navale aveva avuto per scopo di far riconoscere dalla Porta i delegati delle quattro potenze per il controllo finanziario in Macedonia, il conte Goluchowski osservò che, nel farne la proposta d'accordo con la Russia, il Governo imperiale e reale aveva dimostrato la lealtà dei suoi propositi giacché avrebbe potuto disinteressarsi del tutto della questione, l'agente civile austroungarico avendo già al pari di quello russo tra le attribuzioni affidategli in forza del programma di Miirzsteg quella di provvedere al controllo suddetto.

L'osservazione fatta dal conte Goluchowski, che non credetti opportuno di rilevare, ma che fa ricordare la tenace opposizione da esso fatta alla partecipazione delle quattro potenze al controllo, che era suo desiderio di riservare esclusivamente all' Austria-Ungheria ed alla Russia per consolidare la rispettiva influenza preponderante in Macedonia, non è conforme al vero sebbene possa sembrare in apparenza esatta. Se agli agenti civili austro-ungarico e russo venne affidato, in virtù del programma di Miirzsteg, il compito di provvedere a quel controllo e se di questo fu fatto menzione nel promemoria, presentato nel gennaio scorso alla Porta dalle due potenze dell'intesa, il conte Goluchowski non può ignorare che non gli sarebbe stato agevole di farlo riconoscere dalla Porta, né esso avrebbe potuto avere, in ogni caso, la necessaria efficacia, se all'azione da esso esercitata in tale intento non avessero concorso ad un tempo le altre potenze, senza l'accordo comune delle quali non sarebbe possibile d'introdurre qualsiasi riforma vitale in Macedonia.

Il conte Goluchowski poi è andato indubbiamente troppo oltre nel suo discorso ed ha ecceduto i limiti delle sue intenzioni nell'affermarmi che il Governo imperiale e reale avrebbe agito da solo anche nel caso che le potenze non fossero state consenzienti con lui n eli' adottare provvedimenti più coercitivi di fronte a un'ulteriore resistenza della Porta. Tale affermazione non corrisponde ai suoi intimi sentimenti, né alla linea di condotta prudente da lui sempre seguita nelle questioni balcaniche aliena dal provocare qualsiasi complicazione. E queste avrebbe potuto provocare se avesse tradotto in atto il suo proposito, che non mi risulta abbia fatto conoscere ad alcuno dei miei colleghi, coi quali si sarebbe anzi espresso col solito suo ottimismo nel rispondere ai dubbi da loro manifestati circa il favorevole esito della dimostrazione navale, dichiarando che mediante la medesima si sarebbe riuscito a vincere la resistenza della Porta e coli'accennare alla necessità, ove ciò non avvenisse, di darle una maggiore estensione adottando i provvedimenti sopra riferiti.

Ad un'azione isolata contro la Porta egli non sarebbe certamente indotto anzitutto perché non eragli consigliata dalle gravi condizioni interne della monarchia e dall'opposizione che avrebbe potuto trovare nell'opinione pubblica, specialmente in Ungheria, che era stata preoccupata dell'iniziativa da esso presa per le conseguenze che avrebbe potuto produrre, ed in secondo luogo per non porre in rischio lo statu qua dei Balcani che è precipuo suo scopo di mantenere in questo momento nell'interesse proprio per riguardo alla situazione in cui si trova la Russia.

Ma tra le ragioni che non potevano non indurlo ad intraprendere da solo un simile passo non devesi dimenticare l'avvertimento amichevole che gli venne rivolto da quest'ambasciatore di Germania, a quanto egli mi fece conoscere in via confidenziale, di mantenere cioè nella sua azione contro la Porta una certa misura e di evitare di spingere le cose troppo oltre.

Nell'interesse quindi di non turbare l'accordo fra le potenze nella questione delle riforme in Macedonia, che deve stargli a cuore di mantenere per condurle a buon termine, il conte Goluchowski non avrebbe potuto accingersi ad un'azione isolata contro la Porta, ma è da rallegrarsi in ogni caso che questa siasi convinta di aderire alle domande delle potenze che avrebbe poste in un serio impiccio, per le risoluzioni da prendere, se avesse persistito nella sua resistenza.

385 1 Vedi DD. 376 e 377.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. SEGRETO 21552 . Roma, 23 dicembre 1905, ore 22,55.

Coi telegrammi 15 aprile, 12 luglio e 12 dicembre corr. 3 S.V. fu informata di quanto poteva urgentemente interessare codesta legazione circa ultimo svolgimento negoziato a V. S. ben noto per sua missione a Parigi.

Progetto convenzione pervenuto Harrington-Lagarde costituisce unicamente progetto di intesa franco-inglese, non è stato da noi accettato, e, secondo esplicita dichiarazione del Governo britannico, una intesa per l'Etiopia da parte della Francia deve essere subordinata all'intesa anglo-italiana. È stato comune desiderio Italia e Inghilterra non chiudere accordo per Etiopia, già dalle due parti accettato in un testo definitivo, senza prima aver domandato accessione Francia. Non essendo ciò stato possibile, cerchiamo ora procurare che l'intesa avvenga a tre. Si sta per questo negoziando a Londra. Si tratta soprattutto determinare formula articolo quarto. Francia domanda tutela suoi interessi per protettorato somalo, per suo hinterland e per ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba. Non comprendiamo quindi affermazioni Lagarde circa pretese Francia fino alla Didessa e per costituzione zona neutra, di cui non si è mai parlato. Proprio in questi giorni si tratta spiegare a Londra significato che noi diamo clausola continuità territoriale fra Eritrea e Somalia. Noi intendiamo che zona italiana intercedente tra zona inglese e francese debba comprendere Tigrè, Amara, Scioa, Dancalia, Arussi, Ogaden, regioni Omo-Bottego, Caffa, e Uollega. Completata in questo senso, fonnula da lei concordata con Harrington potrebbe forse accettarsi. E siccome si vuole da Francia e Inghilterra comunicare testo accordo a Menelik, sarà forse necessario spiegare nostra formula in uno scambio di note, lasciando clausola generale nell'accordo. Per clausole ferroviarie, mi riferisco mio telegramma 12 luglio, Francia fa nuove proposte che sono quelle forse comunicate Harrington-Lagarde e che stiamo esaminando.

2 Trasmesso via Asmara.

3 Vedi DD. 36, 174 e 371.

Fra poco invierò Londra nostro testo secondo idee suespresse, che ella può comunicare ad Harrington, tenendo per fenno che nessuna intesa tra Francia e Inghilterra è possibile senza consenso Italia. Prego S. V. darmi suo parere su portata da noi attribuita alla formula continuità territoriale, e se sia preferibile dopo «Dancalia» accennare genericamente ai bacini dell'Orno e dell'Uebi Scebeli.

387 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 134-135.

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. RISERVATO 2156. Roma, 23 dicembre 1905, part. ore 0,50 de/24.

Governi francese e inglese hanno comunicato propri rappresentanti Addis Abeba progetto accordo Etiopia, al quale manca nostra adesione, senza la quale I'Inghilterra non può per i precedenti avvenuti dare la sua. Lagarde, pur negando intenzione acquistare territorio, spinge pretese Francia tutto bacino Aussa ed oltre fino alla Didessa ad ovest di Addis Abeba, creando una zona neutra fra influenza francese ad est e influenza inglese ad ovest, della quale sento parlare adesso per la prima volta. Harrington affermò che mai avrebbe consigliato accettazione accordo senza la netta affermazione degli interessi Italia in modo che «sia lasciata senza soluzione di continuità l'Eritrea col Benadir attraverso l'Etiopia nella zona compresa tra la Didessa ad ovest Addis Abeba». Questa formula convenuta fra Harrington e Ciccodicola fu in massima accolta da Lagarde e comunicata al suo Governo.

Allo stato del negoziato, e anche in base ali 'ultima formula francese d eli' art. 4 d eli' accordo, non comprendiamo fondamento pretese Francia affennate da Lagarde fino alla Didessa e per costituzione zona neutra, venuta fuori ora improvvisamente. Nello schema di accordo che si sta formulando, mi propongo spiegare significato da noi attribuito alla clausola continuità territoriale, comprendendo nella zona di interessi italiani Tigré, Amara, Scioa, Dancalia, Ogaden, Arussi, regione Omo-Bottego, Caffa, e Uollega, ciò che, salvo non grande differenza, equivale a formula comunicataci da Ciccodicola.

Siccome contegno Lagarde fa contrasto con quello di Harrington, delle cui franche dichiarazioni mi compiaccio, prego V.E. di comunicare quanto precede a codesto ministro degli affari esteri, affinché questi ne tenga parola al sig. Cambon, specialmente su pretese Francia fino Didessa e per zona neutra, delle quali cose non si era finora parlato, e che noi non possiamo ammettere. È necessario che i tre rappresentanti in Etiopia abbiano istruzioni conformi ai punti che saranno concordati a Londra nel negoziato a tre.

Solo un unico negoziato tra le tre potenze potrà condurre ad una conclusione. Se Francia persisterà nel suo sistema di voler trattare contemporaneamente oltre che a Londra anche a Parigi, Roma ed Addis Abeba, non potrà che crescere la confusione.

389

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, TITTONI

R. CONFIDENZIALE 1292/552. Madrid, 24 dicembre 1905 (perv. i/29).

Mercoledì [il 20] ritornarono dai loro congedi gli ambasciatori di Francia e di Germania, ed ebbi ieri occasione di vederli.

Il sig. Cambon mi confermò quanto già m'aveva detto l'incaricato d'affari de Margerie sul desiderio del suo Governo che la conferenza si faccia e si finisca al più presto, e che il Marocco possa scomparire dalle questioni del giorno. Aggiunse che la Germania sembrava animata da disposizioni concilianti: intendeva parlare del Governo tedesco e dell'ambasciatore de Radowitz, non dei giornali. Se così era realmente, l'accordo non sarà difficile; e concluse: «la conferenza per riuscire non deve avere la pretesa di regolare per tutti i secoli avvenire la situazione del Marocco, ma solo per un tempo ragionevole e breve; i nostri figli faranno in seguito ciò che vorranno. La Francia non ha intenzione né di conquistare né di spartire il Marocco; v'ha però dei grandi interessi e vuol garantirli». Disse pure che converrebbe tener conto delle aspirazioni "ragionevoli" della Spagna e non scontentarla. Riguardo infine al proposto trasferimento di sede, da Parigi avevano risposto come da Berlino, ed in seguito ad un'intesa fra le due potenze, che, se il Sultano del Marocco non s'opponeva, nulla avevano in contrario. L'intesa suddetta era stata necessaria, dal momento che la scelta d'Algeciras era stata concordata l'autunno scorso tra la Germania e la Francia.

Il sig. de Radowitz mi disse le stesse cose riguardo alla proposta spagnola di trasferire a Madrid la conferenza, e personalmente mi parve persuaso che la riteneva opportuna. Si mostrò con me piuttosto ottimista ed affermò che il suo Governo era animato da spiriti concilianti: «alla conferenza non dovrebbe esservi né parte vincitrice né parte vinta, e se v'andremo in questa disposizione di spirito, tutto finirà bene». Aggiunse però che la Germania mirava a garantire diritti eguali e la porta aperta per tutti al Marocco, ed a non ammettervi posizioni privilegiate.

Come ebbi già occasione d'accennare a V.E., le difficoltà potranno precisamente sorgere allorquando si cercherà di dar forma determinata e concreta a questa "internazionalizzazione" del Marocco.

Frattanto il Governo spagnolo ha nominato don Eugenio Monterio Rios rappresentante della Spagna alla conferenza e dicesi che presto nominerà pure il sig. Cologan. Ciò sembrerebbe indicare la convinzione che si finirà per andare a Algeciras. Ma nulla si sa di definitivo, e martedì [il 26] o mercoledì [il 27] speravo avere la risposta da Tangeri e prendere una risoluzione. Riguardo alla data, si osserva che il 5 gennaio è venerdì ossia festa musulmana; il 6 è l'epifania, festa cristiana, e il 7 è domenica; sicché 1'8 soltanto potrà aprirsi la conferenza. Ma prima che sia risoluto il punto controverso della sede, è evidentemente prematura la fissazione d'una data certa, e conviene perciò d'aver pazienza e aspettare.

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, A TUTTE LE AMBASCIATE

Roma, 25 dicembre 1905, ore 17,50.

Nell'assumere la direzione degli affari esteri desidero manifestarle il mio proposito di attenermi allo stesso indirizzo politico del mio predecessore.

391

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 25921115. Londra, 26 dicembre 1905, ore 18,50.

Ho ricevuto i telegrammi ministeriali nn. 2142 e 2156 relativi accordo per l'Etiopia1•

Per le circostanze accennate nel mio telegramma n. 1122 , questo ministro per gli affari esteri non è, pel momento preparato ad occuparsi di quell'accordo del quale, egli mi disse, non aveva ancora avuto agio di prendere conoscenza. D'altra parte, Cambon essendo partito in congedo per un mese e sir. E. Gorst, essendo anche egli sul punto di assentarsi per qualche settimana, quelle trattative non potranno essere riprese qui, prima della fine di febbraio.

In questo stato di cose mi permetto di sottoporre a V.E. se non vi sarebbe ad approfittare di questo intervallo per cercare di intendersi frattanto con Parigi circa art. 4. Se si potesse accordarsi con la Francia sulla formula riprodotta nel telegramma

n. 2156 come convenuta fra Ciccodicola ed Harrington sono certo che qui non si farebbe difficoltà ad aderirvi.

390 t Telegramma di analogo tenore fu inviato anche alle legazioni e ai consolati. 391 t Vedi DD. 385 e 388. 2 Vedi D. 376.

392

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 2346/883. Costantinopoli, 26 dicembre 1905 (perv. il 3 gennaio 1906).

Venerdì scorso [il 22] mi recai a Palazzo per assistere alla cerimonia del Selamlik. Erano presenti gli ambasciatori di Germania e di Russia, nonché l'incaricato di affari di Francia.

Terminata la funzione, fummo tutti, separatamente e per ordine di anzianità, ricevuti in udienza privata dal Sultano.

S.M. Imperiale mi accolse con particolare cortesia. Espresse il suo compiacimento di rivedermi e mi ringraziò per la premura dimostrata nel presentarmi a lui, dopo gli «incresciosi avvenimenti dei giorni scorsi».

Il Sultano mi pregò di rendermi, presso S.M. il Re ed il Governo, l'interprete della sua profonda riconoscenza per la buona volontà da noi dimostrata nell'intervenire provvidamente presso le altre potenze allo scopo di temperare l'asprezza dei noti provvedimenti, i quali gli avevano cagionato non poca amarezza.

«<l Re d'Italia, aggiunse Sua Maestà, mi ha dato, in questa spiacevole circostanza, una novella prova della sua buona amicizia a mio riguardo; voglio che sappia quanto io gliene sono grato».

Il Sultano mi disse, poi, essergli nota l'azione conciliativa ed amichevole verso la Turchia, da me spiegata nelle varie conferenze degli ambasciatori, e per tale contegno si compiacque rivolgermi i suoi ringraziamenti.

Risposi che il benevolo apprezzamento della modesta opera mia mi lusingava assai, in quanto mi permetteva di constatare che io avevo fedelmente interpretato le intenzioni del Governo del Re, e scrupolosamente eseguitone le istruzioni.

Associandomi alle altre potenze nel raccomandare l'adozione dei noti provvedimenti, l'Italia non ha avuto altro scopo se non quello di rendere un vero servizio alla Turchia. Se diversa fosse stata l'intenzione delle potenze, se si fosse voluto sul serio attentare ai diritti di sovranità del Sultano, od ali 'integrità dell'Impero, Sua Maestà non avrebbe veduto sulle note dirette alla Sublime Porta, né la mia firma, né quella dell'ambasciatore di Germania.

Il Sultano prese, poscia, a parlarmi della questione dell'aumento del tre per cento, questione che al momento gli sta specialmente a cuore. Avendo ora egli accettato tutte le proposte delle potenze, sembragli giusto che si forniscano al suo Governo i mezzi indispensabili per far fronte agli obblighi assunti.

Il Sultano era stato informato, da un telegramma del suo incaricato di affari a Roma, deli'adesione dell'Italia e se ne mostrava molto soddisfatto. Anche l'AustriaUngheria, la Germania e la Russia hanno dato risposte favorevoli. Gli ostacoli e le difficoltà provengono ora dall'Inghilterra, la quale, secondata dalla Francia, insiste, per scopi non economici, ma politici, affinché sieno introdotte, nella legge sulle miniere alcune importanti e radicali modificazioni. S.M. Imperiale considerava le esigenze inglesi affatto ingiustificate, non essendovi alcuna connessità tra la legge sulle miniere e la riforma finanziaria in Macedonia. Le modificazioni propostegli sono, del resto, inaccettabili, perché, se tradotte in atto, egli non sarebbe più «padrone a casa sua». In conclusione, S.M. Imperiale mi pregò di intervenire presso il collega d'Inghilterra per indurlo a recedere da una opposizione che, paralizzando la condiscendenza delle altre potenze, avrà per risultato di ritardare ancora di più la soluzione definitiva della questione.

Dal linguaggio del Sultano potei facilmente rendermi conto che le domande inglesi gli sono state, da chi vi ha interesse, presentate in modo e sotto forma tale da alimentare in lui sospetti ed apprensioni.

Mi sarebbe stato pertanto assai agevole di dimostrare a Sua Maestà quanto poco espediente sia la sua riluttanza ad accettare le giuste e ragionevoli proposte inglesi, approvate dall'intero Consiglio dei ministri, e combattute solo da persone interessate a mantenere Io stato attuale delle cose, il quale assicura loro lauti, illeciti guadagni. Ma l'udienza aveva già durato un gran pezzo e S.M. Imperiale era visibilmente stanca ed affaticata.

In tali condizioni, e trattandosi di una questione non sollevata da noi e che ci interessa solo indirettamente, mi parve più prudente consiglio di astenermi dall'addentrarmi in una particolareggiata discussione, la quale non solo non avrebbe avuto alcun risultato pratico, ma poteva anche irritare il Sultano, che gusta pochissimo il sentire emettere opinioni diverse dalle sue.

Mi limitai pertanto a rispondere evasivamente, dichiarando che, pur non conoscendo la questione a fondo, io avevo l'impressione che le domande inglesi non fossero ispirate da mire politiche.

Alla fine della lunga udienza chiesi a S.M. Imperiale il permesso di presentarle il nuovo comandante del r. stazionario. Il Sultano annuì, dicendosi sempre lieto di rivedere l 'uniforme italiana. Colmò di cortesie il conte Lovero di Maria e, contrariamente alla tradizione, gli conferì subito la terza classe dell'Osmanié.

Nel riferire i particolari del mio colloquio col Sultano, mi è specialmente grato di significare a V.E. che la soddisfazione dimostratami da S.M. Imperiale, per il contegno dell'Italia nell'ultima fase della controversia ora felicemente terminata, trova l'unanime consenso non solo della Sublime Porta, ma anche dell'opinione pubblica musulmana in generale. Da tutte le parti mi viene confermato che qui si è apprezzata l'azione conciliante da noi esercitata presso le altre potenze, e si è riconosciuta l'importanza del servizio reso alla Turchia, aiutandola, nei limiti del possibile, a cavarsi con relativa dignità dal mal passo in cui, per la sua ostinazione, si era cacciata.

Non credo di esagerare nemmeno sottoponendo alla E.V. l'impressione mia che, cioè, al momento attuale, le disposizioni generalmente qui prevalenti sieno, verso l'Italia, anche più cordiali che verso la Germania.

Altrettanto piacevole mi riesce di informare l'E. V. che anche l'ambasciatore austro-ungarico è venuto, giorni fa, a ringraziarmi caldamente, per avere io contribuito, con le mie proposte concilianti, a mantenere tra gli ambasciatori l'accordo che, per un momento, accennava a rompersi.

In conclusione, mi pare lecito affermare, senza esagerazione, che questa seconda fase delle riforme in Macedonia si chiude con un successo dal punto di vista della politica italiana. Di fatti, senza compromettere le sue buone relazioni con l'Impero alleato, l'Italia è riuscita a scuotere, sensibilmente, l'egemonia austro-russa in Macedonia, a riconfermare, in modo più solenne e più tangibile, il diritto di tutte le potenze firmatarie del Trattato di Berlino di intervenire direttamente nell'opera riformatrice, ed accattivarsi, in pari tempo, la gratitudine del Sultano.

L'avvenire dimostrerà se i risultati della riforma finanziaria -dato che la Turchia voglia lealmente cooperare a tradurla in atto -corrisponderanno allo scopo prefissosi dalle potenze e varranno a ristabilire in Macedonia una situazione, se non perfetta, almeno tollerabile.

Su questo punto, mi parrebbe imprudente di formulare oggi speranze più rosee di quelle manifestate in tutta la mia corrispondenza col R. Ministero.

lo non contesto certo che, grazie all'opera solerte ed intelligente degli agenti imposti dall'Europa per esercitare il controllo finanziario in Macedonia, si potrà, mediante un'onesta amministrazione, migliorare alquanto le condizioni di quella parte della Turchia europea. Ma non posso, d'altra parte, e non lo può nessuna persona al corrente della situazione, permettermi di ravvisare, nella istituzione della commissione finanziaria, il rimedio sovrano contro i disordini in Macedonia. A voler essere sinceri, è d'uopo riconoscere che nessun rimedio, sulla base dei provvedimenti finora adottati, riuscirà proficuo, fino a quando i turchi, i macedoni ed i bulgari non avranno cambiato di natura.

Ambizioni inconciliabili, animosità secolari di razza e di religioni non possono d'un tratto essere distrutte da riforme amministrative strappate, mediante energica pressione dall'estero, a governanti incapaci di capire il principio informatore di quelle riforme; né le potenze hanno motivo di sperare aiuto dalle diverse razze insorte, l'esperienza avendo oramai dimostrato che bulgari, serbi, greci si ammazzano tra loro con la medesima indifferenza con la quale, alla !or volta, e ciascuno per suo conto, ammazza il turco 1 .

393

L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, MONTS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. Roma, 28 dicembre 1905.

Par l'entremise du comte Lanza, VE. a fait parvenir au Gouvemement impérial la déclaration de son ferme propos de continuerà s'inspirer des principes politiques qui furent ceux de son prédécesseur1•

Le Chancelier de l'Empire, tout en vous remerciant, monsieur le ministre, de cette déclaration, me charge de dire à VE., qu'il est convaincu de trouver en elle

~autant qu'en monsieur Tittoni ~un partisan fidèle de la Triple Alliance et notamment de l'amitié traditionnelle entre l'Allemagne et l'Italie, amitié qu'aussi lui, le prince Biilow, a adopté comme une des bases fondamentales de sa politique.

l'ai un véritable plaisir à exécuter cet ordre2 .

392 1 Con Disp. 868/8 dell'8 gennaio 1906, di San Giuliano esprimeva il suo compiacimento per le «cordiali disposizioni che ella constata esistere attualmente costà verso l'Italia riconoscendo in ciò anche i buoni risultati del modo col quale l'E.V. diede esecuzione alle istruzioni concilianti, per quanto sempre intese al costante mantenimento del pieno accordo tra le potenze, impartitele da questo Ministero».

393 1 Vedi D. 390.

394

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. 2179. Roma, 29 dicembre 1905, ore 16, l O.

Prego prendere conoscenza, e, se VE. condivide mio modo di vedere, inviare a Ciccodicola seguente telegramma circa attitudine per questioni pendenti in previsione convegno Borumieda. Prego V.E. telegrafarmi in merito ad altre questioni qui non indicate che fossero di urgente o importante soluzione.

«Rispondo telegramma n.l282 .

[l)] Quanto confine verso Dancalia, credo conveniente non sollevare questione territoriale principio, procurando di fatto sistemazione tribù da noi dipendenti, e reclamando per torbidi avvenuti soddisfazioni chieste da Governo eritreo.

2) Quanto piano Sale, cui esatta posizione geografica non è determinata, è anche conveniente non sollevare questione territoriale, ma vedere se Menelik entra nell'idea sfruttamento mezzo Società, secondo proposta Governo eritreo.

3) Per agenzie commerciali, allo stato delle cose, è opportuno continuare pratiche per commercianti, limitandosi, nel nostro interesse, a richiedere un semplice previo ufficioso gradimento di Menelik da persone a lui prima note per indicazione Governo eritreo. È bene agenzie commerciali dipendano quanto al servizio dal Governo eritreo, ma quanto alla disciplina dipendano gerarchicamente da codesta legazione, restando stabilito che relazioni ed informazioni debbano essere trasmesse contemporaneamente al Governo eritreo e legazione. Di tutto ciò è bene informare lealmente Menelik.

4) Per telegrafo, è necessario ottenere che o in una nuova convenzione, o in regolamento, sia ben chiarito personale italiano dipendere esclusivamente da r. legazione. Quanto telegrafisti indigeni, se non si possono eliminare, è necessario siano mantenuti in condizioni di semplici apprendisti, secondo lettera spirito articolo 3 convenzione. Per sistemazione confine Belesa Mun mi associo idee r. commissario. Quanto questione ferrovia Gibuti Barrar conviene affermare necessità, nell'interesse stesso Menelik, che Italia, Inghilterra e Francia siano d'accordo, e che senza quanto non convenga all'Etiopia consentire (sic)».

2 Vedi D. 374.

393 2 Per la risposta vedi D. 400.

394 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 141-142.

395

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 1396/4771• Londra, 28-29 dicembre 1905 (perv. il 5 gennaio 1906).

Nell'ultima conversazione da me avuta con questo ministro degli affari esteri, ebbi occasione di domandargli a qual punto si trovasse la questione della Conferenza del Marocco, se, fra l'altro, fossero definitivamente fissati il giorno e il luogo della sua riunione e, in genere, che cosa egli pensasse dei suoi probabili risultati.

Mi rispose sir Edward Grey che intorno a tutto ciò regnava ancom l'incertezza: non si em nominata alcuna nuova data, dopo di quella già preveduta dell5 gennaio; non si conoscevano le defmitive risposte delle potenze circa le difficoltà materiali segnalate dal Governo spagnuolo per l'adunarsi della Conferenza ad Algeciras, né circa la sua proposta di tenerla invece a Madrid; e quanto ai risultati da attendersi, anch'essi rimanevano dubbiosi, mentre an com non risultava precisamente quali proposizioni sarebbero messe innanzi dalla Germania.

Alla mia interrogazione se egli avesse ricevuto in proposito alcuna preliminare comunicazione del Gabinetto di Berlino, il ministro rispose negativamente: unico indizio delle sue disposizioni era, fin qui, il noto accordo generico da esso stabilito con la Francia. La situazione generale e i precedenti politici, egli soggiunse, gli sembravano indicare che verso la Francia non sorgerebbero difficoltà da parte della Spagna, né dell'Italia; quanto alla Gran Brettagna, la sua condotta era chiaramente tracciata dall'impegno da questa assunto colla Convenzione delli 8 aprile 1904, di prestare al Governo della Repubblica il suo appoggio diplomatico, e questo appoggio sarebbe dato dai rappresentanti britannici senza riserva, nel modo il più ampio e cordiale.

Nel corso della conversazione, avendo io fatto allusione alla situazione piuttosto delicata in cui si troverebbe l 'Italia nella prossima Conferenza, fra la sua amicizia verso le due potenze firmatarie dell'Accordo del 1904 ed il dovere di fedeltà alle proprie alleanze, aggiunsi come da noi si vedessero con naturale compiacimento i sintomi di un ristabilimento di più cordiali relazioni fra l'Inghilterra e la Germania, le quali avrebbero per conseguenza di agevolare un'equa e pacifica soluzione da tutti desiderata. Sir Edward mi confermò che infatti il suo Governo si associava con tutta sincerità agli sforzi che benemerite persone nei due paesi stavano ora facendo per dissipare fra loro i passati malintesi: uno di questi era nato dall'essersi accreditata in Germania l'impressione che nella scorsa estate l'Inghilterra avesse mirato ad incoraggiare la resistenza della Francia alle pretese germaniche, a scopo di provocare una guerra fra le due nazioni: ciò era assolutamente falso ed egli aveva la prova della perfetta lealtà che in quella occasione aveva guidato la condotta del suo predecessore il marchese di Lansdowne, la politica del quale egli stesso intendeva in tutto continuare; la presente propaganda pacifica anglo-tedesca era un'utile preparazione morale dell'opinione pubblica dei due paesi, fra i quali effettivamente non esisteva alcun serio motivo di divergenza e tanto meno di conflitto; ma bisognava che in Germania si per

suadessero che, pur essendo pronta a mantenere con essa relazioni di perfetta amicizia, l'Inghilterra doveva in prima linea conservarsi fedele ai propri impegni verso la Francia; il ristabilimento di quelle relazioni rimaneva quindi subordinato, nell'attuale momento, al contegno della Germania nella prossima Conferenza; il suo concorso ad una soluzione conciliante degli affari del Marocco costituirà un mezzo indiretto ma il più sicuro per condurre all'augurato effetto, anche nei rapporti coli 'Inghilterra.

Questo linguaggio di sir Edward Grey non offre alcuna novità, essendo in sostanza una ripetizione delle dichiarazioni già da lui fatte in un pubblico discorso, poco prima della sua entrata al Governo, e del quale ho a suo tempo reso conto. Non per questo sono meno notevoli i termini precisi nei quali egli mi ha fatto intendere che la strada delle buone relazioni con Londra passa ora per Parigi.

Questo punto di massima è da tenersi presente nell'apprezzare i probabili effetti del lavoro che si è ora iniziato a pro di un riavvicinamento anglo-tedesco. Un tale movimento già si preparava, come ebbi più volte a riferirlo, da oltre un anno. Era del resto evidente che lo stato di tensione creatosi fra i due paesi dopo la guerra boera non avrebbe potuto protrarsi troppo a lungo senza degenerare in un conflitto, e giacché questa eventualità era riguardata con intimo orrore da entrambe le parti, diveniva evidente del pari che una détente si imponeva. I primi tentativi, sospesi per qualche tempo dall'incidente marocchino, furono da ultimo ripresi, con metodi identici a quelli adoperati già con successo pel riavvicinamento colla Francia, col concorso cioè di un certo numero di intellettuali e con l'appello delle Camere di Commercio agi 'interessi economici delle due nazioni, i quali rimangono, per entrambi, solidali del mantenimento della pace. Di fronte a tutto ciò che si è detto sull'incompatibilità di quegl'interessi, sta il fatto dominante che, malgrado ogni tariffa, le esportazioni annue della Gran Brettagna in Germania salgono a circa 750 milioni di franchi, mentre le importazioni da quell'Impero oltrepassano il miliardo.

Se altro non interviene a contrariarli, è da sperarsi che l'attuale lavorio di pacificazione raggiungerà il suo scopo. Da un certo qual punto di vista, si può perfino domandare se il suo rinvio ad un momento posteriore all'incidente marocchino non possa considerarsi come una circostanza favorevole alla sua futura solidità. Ciò dico nel senso che, prima di quell'incidente, un riavvicinamento all'Inghilterra sarebbe probabilmente stato interpretato in Germania come implicante un rilassamento dell'accordo anglo-francese, con la conseguenza di uno sgradevole disinganno quando gli eventi avessero dimostrato il contrario. Ma dopo i fatti degli ultimi mesi e dopo le concordi dichiarazioni dei capi di entrambi i grandi partiti politici di questo paese, non può rimanere alcun dubbio a Berlino circa la natura e le condizioni dell'augurato riavvicinamento. Questo potrà forse riuscirne un poco ritardato, ma se una volta stabilito, non potrà che giovarsi dell'eliminazione di una pericolosa ambiguità e ciò ch'esso perderà in estensione, lo potrà guadagnare in sincerità e durata.

Riguardo alle linee generali della politica inglese, giova tener presente il fatto che, unico forse tra le grandi potenze, questo Impero, già saturo ormai di territori, non ha mire né palesi né segrete di ulteriori espansioni. Dopo le delimitazioni di confine e di sfere d'influenza stabilite nell'ultimo ventennio, si può invero asserire che non esiste ora verun territorio per l'acquisto del quale anche i più ardenti imperialisti inglesi contemplino l'eventualità, non solo ben s'intende di una guerra, ma nemmeno di una qualsiasi seria complicazione internazionale. Essi differiscono dai cosiddetti Little Englanders circa i mezzi più atti al consolidamento politico ed economico della compagine dell'Impero; ma scopo finale di entrambi è poi soltanto la conservazione dei suoi attuali possessi. È questo uno scopo che semplifica la politica estera dell'Inghilterra, emancipandola dalle preoccupazioni e secondi fini più o meno confessati o reconditi onde è resa oscillante, in certi casi, la condotta di altri Governi, ed è uno scopo che ammette, anzi suppone, il mantenimento di rapporti sinceramente amichevoli con tutti. Se sussistono gradazioni in codesti rapporti, esse non sono dovute a preconcetti rispetto all'una od all'altra delle potenze straniere, ma alle divergenze esistenti fra queste, delle quali la Gran Brettagna non può fare astrazione per provvedere alla sicurezza propria in caso di possibili complicazioni. Codesta sicurezza, nei limiti del probabile, il Governo britannico ritiene di averla conseguita mediante l'alleanza col Giappone nei riguardi dell'Asia e mediante le amicizie stabilite con gli Stati Uniti e con la Francia. L'amicizia con gli Stati Uniti è il frutto di paziente e non sempre grato lavoro di oltre venti anni. Quella con la Francia, i cui germi furono gettati con l'Accordo africano del marzo 1899, maturò in silenzio durante cinque anni, per trovare la sua base concreta nelle Convenzioni dell'aprile 1904, affrettate dallo scoppio della guerra russo-giapponese. Non è qui luogo di riandare le circostanze diverse per le quali il posto ora occupato dalla Francia accanto all'Inghilterra non poté venir preso, prima che da questa, dalla Germania, né i recenti atti del Governo tedesco che riuscirono, malgrado suo, a rendere più stretto il nodo ch'esso avrebbe voluto allentare. Ciò che importa di riconoscere è che l'intimità con la Francia, insieme a quella con gli Stati Uniti, è ora venuta a costituire e costituirà probabilmente per un lungo avvenire, la base immanente della politica internazionale dell'Impero britannico. E da tutto ciò deriva che l'effettuarsi della sperata pacificazione anglo-tedesca significherà bensì il ristabilimento di corrette e buone relazioni fra i due paesi, con inestimabile benefizio dei paesi stessi e della pace europea; ma, allo stato delle cose, saranno buone relazioni e non più tali cioè da entrare nel quadro della politica generale di conservazione di questo Governo e senza alterarne la bilancia.

P S. 29 dicembre. A complemento delle ancora dubbie informazioni di sir E. Grey circa il luogo e la data di riunione della Conferenza pel Marocco, mi fu poi detto da questo ambasciatore di Spagna che essa si adunerebbe definitivamente ad Algeciras il 16 o 17 gennaio.

395 1 Autografo.

396

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Vienna, 29 dicembre 1905.

Al momento in cui V.E. assume il portafogli degli Esteri mi permetto di farle pervenire le mie più vive e sincere congratulazioni.

È per me una vera fortuna di poter servire sotto i suoi ordini diretti e posso assicurarla che porrò ogni studio ad eseguire scrupolosamente le istruzioni che si compiacerà impartirmi e a meritare per quanto sarà in mio potere nell'adempiere il mio ufficio l'alta sua approvazione.

È mio debito ora di farle conoscere con tutta franchezza l'impressione prodotta in questi circoli politici ed al Ministero imperiale e reale degli affari esteri dalla dimissione dell'on. Tittoni e dalla nomina di lei a suo successore.

La partenza dalla Consulta dell'on. Tittoni è stata qui vivamente lamentata; in tal senso esprimevasi non ha guarì S.M. l'Imperatore con questo ambasciatore di Germania che me lo riferì confidenzialmente. La condotta da lui seguita verso questo paese dacché assunse la direzione della nostra politica estera e la lealtà dei suoi propositi avevangli cattivato le simpatie generali c specialmente quelle del conte Goluchowski che aveva in esso piena fiducia.

Il conte Goluchowski che vidi la vigilia della sua partenza per Lemberg e prima di ricevere i telegrammi dell'E .V. del 25 corr. 1 mi manifestò infatti il suo vivo rincrescimento per l'informazione pervenutagli dal conte Liitzow secondo la quale l'on. Tittoni non avrebbe fatto parte del nuovo Ministero Fortis. Non era qui giunta ancora la notizia della nomina d eli' E. V. ma egli mi chiese se fosse esatto eh'ella sarebbe stato chiamato a succedergli.

Risposi che al momento in cui gli parlava non ne aveva avuto la conferma ufficiale ma che se essa avesse dovuto avverarsi non poteva che rallegrarmene giacché ella era un partigiano convinto della Triplice Alleanza e che avendo l'onore di conoscerla di persona da più tempo poteva assicurarlo che avrebbe continuato a seguire con pari lealtà la stessa politica dell'on. Tittoni adoperandosi a mantenere non solo, ma a rendere più intimi ancora i nostri reciproci rapporti.

Nell'istesso senso mi espressi col primo capo di sezione sig. de Mérey che in un colloquio privato avuto con esso avcvami rivolta identica domanda, ma che nel parlarmi in modo più esplicito aveva accennato incidentalmente alle sue pubblicazioni sull'Albania2•

Al che osservai che gli apprezzamenti di cui quella pubblicazione aveva formato oggetto nel tempo per parte di questa stampa e della quale essa erasi ora di nuovo occupata erano del tutto erronei e non rispondevano ai suoi sentimenti giacché le idee di lei a tale riguardo collimavano interamente con quelle dell'on. Tittoni che si riassumevano nell'intesa. D'altra parte da tale pubblicazione e dai suoi discorsi al Parlamento risultava chiaramente come ella si fosse sempre pronunciato nel modo più reciso in favore della Triplice Alleanza e avesse riconosciuta l'utilità che aveva l'Italia di camminare in pieno accordo coli' Austria-Ungheria in tutte le questioni che interessavano i due paesi.

Queste mie affermazioni per quanto siano state accolte con apparente soddisfazione tanto dal conte Goluchowski che dal sig. de Mérey non hanno potuto però modificare che in parte -conviene non illudersi -la loro opinione intima circa le disposizioni di lei giacché aspettano di vederla all'opera per meglio conoscere la condotta che intende seguire verso l'Austria-Ungheria e specialmente le modalità di questa stessa condotta per giudicare quale affidamento possano fare nell'E. V.

2 Si tratta delle corrispondenze inviate dal di San Giuliano al Giornale d'Italia, durante il suo viaggio in Albania poi raccolte in un volume: A. DI SAN GruUANO, Lettere sull'Albania, Roma, Giornale d'Italia, 1903.

Nell'animo di questi uomini politici in generale esiste una certa diffidenza a nostro riguardo sia per le aspirazioni irredentiste che si attribuiscono ad una parte delle popolazioni del Regno, sia per la politica che si sospetta essere intenzione dell 'Italia di seguire nei Balcani in opposizione a quella dell'Austria-Ungheria.

Tale diffidenza che è una conseguenza della disgraziata politica adottata dall'on. Prinetti verso questo paese che ha lasciato qui tracce profonde, andò, è vero, dileguandosi coll'indirizzo diverso seguito dal on. Tittoni che si dedicò innanzitutto a dissipare ogni sospetto per ristabilire i nostri rapporti sopra un piede amichevole e riuscì infatti nel suo intento rendendoli anche più intimi.

Dal mio canto mi studiai ad agire nel medesimo senso col chiarire la situazione eliminando qualsiasi malinteso per contribuire così, per quanto da me dipendeva, a secondare la politica di lui essendo convinto della necessità per noi di coltivare colla massima cura i nostri rapporti coll'Austria-Ungheria per ottenere che questi siano ispirati alla massima fiducia e cogliere ali' evenienza quelle occasioni propizie che si presentassero in avvenire per entrare a parlare e regolare possibilmente in modo più pratico e rispondente ai nostri interessi le quistioni che ci stanno a cuore come quella macedone ed albanese.

Ma la fiducia che aveva saputo ispirare l'on. Tittoni se non si può dire sia ora venuta meno essa è stata però scossa in certo modo in seguito alla demissione di lui.

Per quanto debba sembrare strana la supposizione che la politica estera di un paese come l'Italia fondata sopra una base così solida quale è quella della Triplice Alleanza possa essere modificata per il mutamento del titolare del Ministero degli affari esteri, tale tuttavia è il sentimento che qui trapela e ciò non riesce nuovo a chi conosce l'indole ombrosa e corriva al sospetto di questi uomini politici e dello stesso Governo imperiale e reale in specie verso l'Italia. Certamente non si suppone che si voglia agire in opposizione all'alleanza ed agli impegni presi ma che nella condotta che sarà per essere da noi seguita non si usino quei procedimenti e temperamenti a cui l'istinto gretto e formalista di questi governanti li fa tenere onde si teme che nella modalità di quella stessa condotta possano avvenire oscillazioni e anche cambiamenti tali da adombrare le reciproche relazioni.

Coi rapporti nn. 28 dicembre 2754/1347 (mettere soli quelli di ieri e ieri l'altro)3 ho avuto cura di trasmettere all'E.V. il testo dei vari articoli pubblicati finora dai principali giornali viennesi circa la demissione dell'on. Tittoni e la sua assunzione al Ministero degli affari esteri e dai medesimi ella avrà rilevato la conferma di quanto ho l'onore di riferirle.

Per confutare l'opinione espressa a suo riguardo in quei (sic) articoli sarà però pubblicato domani nel\ 'ufficiosa Politische Correspondenz una corrispondenza da Roma da me ispirata di cui trasmetterò il testo all'E.V. domani stesso e che spero sarà per incontrare l'approvazione di lei.

Mi riservo di esprimermi col conte Goluchowski nel senso del telegramma dell'E.V. n. 2162 1 non appena avrà fatto qui ritorno da Lemberg e mi adopero, ove ne fosse il caso, di dissipare nel suo animo ogni dubbio o falsa opinione che avesse nelle sue disposizioni.

Intanto essendo stato informato che il ministro reale e imperiale non sarebbe qui giunto che il 3 gennaio prossimo ho creduto opportuno di non tardare a far conoscere al sig. de Mérey gli intendimenti dell'E.V.

Il sig. de Mérey mi manifestò il suo compiacimento per quanto avevagli riferito e mi disse che non avrebbe mancato di renderne consapevole per telegrafo il conte Goluchowski al quale sarebbe stato comunicato al suo ritorno da Lemberg il rapporto del conte di Liitzow pervenuto stamane nel quale rendeva conto della conversazione avuta con lei al riguardo e del cui tenore non avrebbe potuto ch'esser soddisfatto essendo sua intenzione di mantenere i migliori rapporti col R. Governo.

Nel chiudere questa lettera posso assicurare l'E.V. che sarà mia cura di continuare a dissipare all'evenienza nel conte Goluchowski come nel sig. Mérey qualsiasi dubbio o falsa supposizione che potesse sussistere ancora nel loro animo circa le disposizioni di lei verso l'Austria-Ungheria, giacché come già le dissi è d'assoluta necessità che i nostri reciproci rapporti siano improntati alla maggior fiducia che io ho cercato e cercherò sempre d'ispirare nell'interesse della soluzione delle varie questioni che ci stanno a cuore.

PS. Mi rincrebbe molto di non avere avuto il piacere di incontrarla nel mio recente passaggio da Roma. Fui più volte a cercarla all'Albergo della Pace ove mi fu detto ch'ella si trovava ancora in Sicilia. Avrei desiderato parlarle delle cose nostre e specialmente delle nostre relazioni con questo paese.

396 1 Vedi D. 390 e T. 2161, pari data, col quale di San Giuliano dichiarava alle rappresentanze diplomatiche, nell'assumere la direzione degli Esteri, di contare sulla loro "efficace cooperazione".

396 3 Gli estremi del secondo rapporto non sono indicati ma si tratta del n. 2784/1363. Il contenuto di entrambi è qui riassunto.

397

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

D!SP. SEGRETO 64421/852. Roma, 30 dicembre 1905.

Mi è pervenuto il pregiato rapporto n. 6733/4 7, in data del 2 novembre u.s. 1 circa la questione del confine dancalo, i recenti avvenimenti che accennerebbero da quel lato ad una espansione etiopica e missione Odorizzi sulla costa dancala.

Dopo quanto ebbi a comunicarle col dispaccio del 25 settembre u.s., n. 47878/6661 , mi sembra che, data la situazione quale io le ho esposto, sia miglior partito, per il momento, di non sollevare la questione del confine in Dancalia, cercando di mantenerla, per quanto è possibile, impregiudicata.

A questa opinione mi inducono ragioni di ordine particolare e ragioni di ordine generale. Circa le prime, ricorderò che il solo fatto che dal Governo eritreo si accettò il protettorato sui Sultani del Teru e del Biru, ha spinto Menelik ad un'azione dei suoi capi in quel territorio, e che il sollevare ora la questione secondo le idee esposte nel rapporto di V.E. spingerebbe certo Menelik ad una affermazione dei suoi diritti oltre i sessanta chilometri.

Circa le seconde, conviene aver presente che in Etiopia noi ci troviamo di fronte non solo a Menelik, ma anche alla Francia e all'Inghilterra, delle quali gli interessi possono naturalmente trovarsi in opposizione coi nostri, e quindi nel momento attuale la nostra azione troverebbe opposizioni latenti e per questo più temibili.

E non potremo dubitare di ciò se si consideri che, come è noto alla E.V., esiste una convenzione segreta del marzo 1897 tra Francia e Etiopia nella quale è detto: «il reste bien entendu, qu'aucune puissance étrangère ne pourra se prévaloir de cet arrangement pour s'immixer sous quelque fonne et quelque prétexte que ce soit dans les régions situées au delà de la zone còtière française».

Anche questa questione, pertanto, può rientrare nella questione generale della situazione politica in Etiopia: fino a che non sia conchiuso l'accordo tra Italia, Francia e Inghilterra, fino a che non avremo una posizione netta e definita, è necessario non sollevare questioni territoriali, per noi, in Etiopia.

E per questo mi adopero in ogni modo affinché a questo accordo si giunga al più presto.

Ciò premesso, gli agenti in Dancalia e in Borumieda non debbono discostarsi dalla linea di condotta che la E. V. ha già tracciato al cav. Odorizzi; e sta bene che quest'ultimo limiti la sua azione ad un compito di carattere amministrativo ed informativo.

Leggo nel suo precitato rapporto di incidenti avvenuti e costituenti vere e proprie violazioni dei nostri diritti e di altri che sarebbero prova di un'azione costante e preordinata contro i nostri interessi.

Per i primi, è necessario che, se si tratta di nostri amministrati o di atti compiuti in territorio incontestabilmente nostro, la r. legazione provveda in via di reclamo; e il farlo non credo possa pregiudicare la nostra situazione.

Per i secondi, è, nelle attuali condizioni, arduo il nostro intervento ora, e potrebbe sollevare a nostro danno affermazioni di Menelik che vogliamo evitare.

Ho conosciuto solamente ora dalla E.V. i fatti che ella mi descrive nel suo rapporto, e ne è stato telegrafato alla r. legazione, alla quale darò istruzioni conformi a quanto le ho esposto in questo dispaccio.

Le sarò grato pertanto se vorrà tcncrmi informato della missione Odorizzi e di quanto avvenga in Dancalia2•

397 1 Non pubblicato.

397 2 Per la risposta vedi D. 440.

398

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO CIFRATO 1313/564. Madrid, 30 dicembre 1905 (perv. i/9 gennaio 1906).

Ambasciatore d'Inghilterra Nicolson col quale sono in eccellenti relazioni personali si espresse ieri con me pessimista riguardo alla Conferenza prevedendo sopratutto serie difficoltà nella questione della organizzazione della polizia. Fece intendere che egli non avrà istruzioni tassative, ma appoggerà la Francia in conformità degli obblighi assunti nell'Accordo anglo-francese de li'8 aprile 1904. Già a proposito del trasferimento a Madrid della Conferenza io feci notare la sua attività eccessiva nel rapporto n. 535 del 16 corrente1; non è quindi escluso che nella Conferenza possa creare difficoltà. Per potere opportunamente discernere fin dove agisce personalmente e fino a dove per ordine del suo Governo non sarebbe forse superfluo fare chiedere al Governo britannico, a semplice titolo informativo, per mezzo del r. ambasciatore a Londra, quali siano il suo modo di vedere ed i suoi propositi riguardo alla attuazione del programma della Conferenza.

399

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 2624/252. Berlino, 31 dicembre 1905, ore 11,22 (perv. ore 12,30).

Per corrispondere nel modo migliore possibile a desiderio espresso dalla E.V. nella chiusa del telegramma in data 29 corrente 1 , mi sono direttamente rivolto a conte Biilow col quale mi sono procurato, cosa non sempre facile, ancora ieri sera, una lunga conversazione. Ho trovato Cancelliere Impero molto favorevolmente prevenuto verso V.E. da un rapporto giunto in giornata da Roma e in cui Monts riferisce il primo colloquio avuto con lei. Non mi riuscì quindi difficile ottenere da Biilow dichiarazioni che sono lieto portare a sua conoscenza e che possono riassumersi così. Per quanto dolente dipartita Tittoni, saluta con vera soddisfazione venuta dell'E.V. alla Consulta. S.M. l'Imperatore e il suo Governo ripongono in lei la più completa fiducia, non dividono punto apprezzamenti e deduzioni che taluno vuole trarre dalle sue pubblicazioni del 19022 e sono persuasi che, oltreché colla Germania, VE. saprà,

399 1 Non rinvenuto. 2 Si fa, presumibilmente, riferimento alla pubblicazione di cui ai D. 396, nota 2.

quello che è più difficile, mantenere con Austria-Ungheria quelle relazioni cordiali, franche che sono necessarie fra alleati, secondo lettera e spirito del Trattato di alleanza. Per raggiungere questo scopo, Biilow sarà lieto mettere a disposizione di lei tutta l'influenza che egli possa esercitare a Vienna. A mia domanda, poi, Cancelliere dell'Impero, ancora ieri sera, e in mia presenza, mandò ordine a Dipartimento di Stato affari esteri di indirizzare la stampa tedesca sulla via delle idee sovra esposte e di fare pubblicare ufficiosamente qualche parola di cui redigemmo insieme traccia3 .

398 1 Non pubblicato.

400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, MONTS

L. Roma, 31 dicembre 1905.

C'est avec la plus vive satisfaction que j'ai reçu la lettre que V.E. m'a fait l'honneur de m'adresser le 28 de ce mois 1 . En chargeant l'ambassadeur du roi à Berlin, de déclarer au Gouvemement impérial ma ferme intention de maintenir la direction que mon prédécesseur a imprimée à sa politique extérieure, je n'ai fait qu'obéir à une conviction que je suis heureux de voir partagée par le Chancelier de l'Empire à savoir que la Triple Alliance et l 'amitié traditionnelle entre l 'Italie et l'Allemagne sont une des bases fondamentales pour la politique des deux Pays.

V.E. sait que mon sentiment à cet égard n'est pas seulement d'hier et qu'il me sera toujours agréable de collaborer avec elle parce que cette politique assure à l 'Italie com me à l'Allemagne tous l es avantages qu'elle peut nous procurer.

401

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. S.N. Asmara, ... dicembre 1905.

Ho l'onore di riferirmi al telegramma del 5 ottobre u. s. n. 15772 , con cui l 'E.V., nel comunicarmi la sua determinazione nel soprassedere all'invio di una nostra nave nelle acque di Hodeidah in occasione della presenza colà della nave inglese «Foxy»

2 Non pubblicato.

ivi recatasi per ottenere soddisfazione dell'aggressione patita dal sambuco «Alauani», compiacevasi parteciparmi che si riservava di esaminare con me i mezzi più adatti per la repressione della pirateria e per la tutela del nostro prestigio.

Quanto all'invio in quell'occasione di una nostra nave, esso fu proposto nell'intento di non lasciar troppo libero campo alla nave inglese nell'azione coercitiva che essa minacciava di spiegare e che avrebbe potuto portare conseguenze più vaste e durevoli. Sotto tale aspetto il nostro intervento avrebbe potuto farsi intravedere anche alla Sublime Porta, attenuando così il significato ostile che avrebbe potuto assumere verso di essa; mentre verso l'Inghilterra avrebbe potuto dissimularsi sotto l'intendimento di un'amichevole cooperazione, come in altre non lontane circostanze fu da sua parte usato verso di noi. Ché ove poi tale nostro intendimento non fosse stato condiviso dali 'Inghilterra, poteva trarsene occasione per porre ormai chiaramente le cose nei termini che avrò appresso l'onore di esporre. Non mi era infine sfuggita la giusta considerazione di V.E. che il nostro intervento a fianco dell'Inghilterra avrebbe potuto apparire quasi una confessione della nostra impotenza ad agire da soli; ma riflettei che lasciar agire da sola l'Inghilterra di fronte alla nostra precedente inazione, avrebbe potuto aggravare anche più il significato di tale nostro contegno; e d'altra parte pensai che poteva forse riuscire opportuno dare a dividere in quel modo una comunanza di interessi e di azione fra noi e l'Inghilterra, per quanto riguarda la questione arabica.

Ciò mi porta a considerare un lato generale della questione stessa, su cui mi permetto di richiamare l'attenzione di VE. Non occorre che io insista a dimostrare l'importanza di tale questione per noi, sia

sotto l'aspetto della politica generale sia sotto quello più ristretto dell'avvenire della Colonia Eritrea, così intimamente connesso con le condizioni d eli' opposta e vicina sponda del Mar Rosso. In ordine alla detta questione parmi sia di nostro vitale interesse:

l) considerato che manca a noi, in questo come in altri casi, la necessaria preparazione materiale, diplomatica e soprattutto morale, conservare, per ora, l'attuale statu qua per quanto riguarda la sovranità territoriale della Turchia, salvo a cercar di ottenere, con l'azione più amichevole possibile, un miglioramento delle condizioni in cui essa si esplica, a vantaggio dei nostri interessi economici.

2) Qualora per circostanze interne od esterne, tale statu qua venisse a mutarsi, evitare assolutamente, che la parte occidentale dell'Arabia, in parti colar modo quella prospiciente alla Colonia Eritrea, potesse cadere in mano di altra potenza.

Quale possa essere tale potenza, che potrebbe o turbare lo statu qua o approfittare del turbamento prodotto da altre cause, è facile intendere. Onde la necessità da parte nostra di venire ad un accordo con quella potenza, facilitato da un lato dalla situazione della politica generale, né dall'altro reso impossibile da una vera incompatibilità di interessi.

E infatti, se la questione arabica ha grandissima importanza per l'Inghilterra, come dimostra l'interessamento, a mala pena dissimulato, con cui essa ne segue e talora ne promuove le vicende, tale importanza, chi ben consideri, è forse minore appunto in quella parte della penisola che presenta un maggior interesse per noi.

A mio avviso, eliminati, come sarà fatto in appresso, alcuni interessi puramente speciosi e di minor conto, la questione arabica ha per l'Inghilterra principalmente importanza in quanto si riconnetta con quella dell'Impero indiano e del Golfo Persico. Si ha di ciò una conferma anche nel fatto della dipendenza della Colonia di Aden dal Governo indiano, come dallo stesso Governo fu presa l'iniziativa e la condotta dell'azione spiegata nel 1902 verso il Sultanato di Kowei"t. Dall'Impero indiano da un lato e dalla colonia di Aden dall'altro, appoggiandosi al punto intermedio di Kowelt, l 'Inghilterra tende a congiungere i due punti estremi con azione lenta e costante. E poiché tale azione non può per ora liberamente espandersi sulla costa persiana del Golfo Persico, per ragioni che non occorre accennare, è necessario si esplichi con tanta maggiore energia sulla costa arabica del Golfo Persico, del Golfo di Oman, del Mare Arabico e del Golfo di Aden. Così stando le cose, la sola parte meridionale ed orientale dell'Arabia e tutt'al più, in relazione a più vasti disegni, quella settentrionale continentale, sarebbero di vitale interesse per l 'Inghilterra, mentre le parti medesime non sono di uguali interessi per noi, per cui invece ha vitale importanza la sola parte occidentale della penisola.

Tale parte, specialmente se limitata a quella sud-occidentale, già dissi che non può presentare seria importanza per l 'Inghilterra, i cui interessi vi sarebbero di minor entità e in massima parte speciosi. Potrebbe essa infatti accampare i suoi interessi relativi alla tutela dei luoghi santi dell'Heggiaz, sia in nome dell'Egitto, le cui armi sotto il comando di Mehemet Alì ebbero già a liberarli dall 'usurpazione uahabita, sia anche in nome dei propri sudditi musulmani delle Indie.

Se non che tali interessi religiosi potrebbero in altro modo tutelarsi, meglio che con l'intervento, anche dissimulato, di una potenza non islamica, né d'altra parte noi desidereremmo assumerci i rischi di un tale intervento in quella regione. Potrebbe poi l'Inghilterra far valere i propri interessi militari per quanto riguarda la navigazione nel Mar Rosso. Ma a ciò, oltre che con la sua situazione in Egitto, l'Inghilterra già provvede col porto di Aden, che costituisce di fronte ai mari dell'emisfero orientale una posizione analoga a quella rappresentata da Gibilterra di fronte ai mari dell'emisfero occidentale. Potrebbero infine affacciarsi dall'Inghilterra, per quanto riguarda la navigazione di quel mare, gli interessi commerciali della Nubia e del Sudan. Ma il commercio di tali regioni ha il suo naturale sviluppo per la via del N ilo e il suo sbocco nel Mediterraneo, e quella minor parte di esso che sfugge da tale orbita e gravita verso il Mar Rosso, trova il suo libero sbocco nel nuovo porto del Sudan, cui non potrebbe nuocere né giovare in alcun modo una diversa situazione che fosse fatta nella parte meridionale dell'Arabia.

Ma oltre a tali particolari ragioni, sembra a me che di fronte a simili eventuali pretese debba da noi risolutamente affermarsi la nostra speciale posizione e i nostri prevalenti interessi nel Mar Rosso ed in particolar modo nel bacino meridionale di esso. Senza che occorra nemmeno riandare alle ragioni ed agli impulsi che determinarono il nostro insediamento nel Mar Rosso, donde pure potrebbero trarsi, in confronto di taluno, precedenti e argomenti a nostro favore, sta il fatto che l'Italia, tra le potenze europee, all'infuori della Turchia, è quella che possiede, con piena e incontestata sovranità, assai lunga estensione di coste su quel mare; quella che compiendo opera altamente civile, in delegazione quasi delle altre potenze, ne ha mantenuta la polizia perseguitando i pirati, reprimendo la tratta degli schiavi e il traffico delle armi e provvedendo inoltre alla sicurezza della navigazione; quella che con gravi sacrifici di denaro e di sangue ha impedito che la trionfante insurrezione mahdista dilagasse sino alle sue rive; quella infine che seppe istituirvi e mantenervi, con sforzi non lievi, una Colonia, donde s'irradia all'intorno un benefico influsso di civiltà.

Tali titoli io non credo che possano esserci da alcuno disconosciuti e tanto meno dali 'Inghilterra; e pertanto confido che, tenuto conto altresì della situazione politica generale e delle considerazioni suesposte circa i peculiari interessi di quella potenza nella penisola arabica, non riesca impossibile addivenire con l'Inghilterra ad un accordo mercé il quale, riconoscendole quelli che sono i suoi interessi prevalenti in quelle parti che li concernono, ci siano riconosciuti i nostri su quella parte che specialmente ci riguarda. Ebbi già ad accennare come questa sia costituita dalla porzione occidentale della penisola e in parti colar modo da quella sud-occidentale, salvo aprecisarne meglio i limiti sia lungo la costa e nell'interno, ed a considerare anche quale miglior porzione di essa potesse esser riservata all'Inghilterra, in connessione ali' hinterland di Aden.

L'accennato accordo dovrebbe a mio avviso basarsi sui seguenti punti. Anzi tutto, in relazione a quelli già posti da principio come fondamentali per noi: l) allo stato attuale, mantenimento dello statu qua per quanto si riferisce alla sovranità della Turchia;

2) nell'eventualità che circostanze interne od esterne rendessero necessario o conveniente un mutamento dello statu qua, fosse riservata, a ciascuna delle parti, la sfera già riconosciuta di rispettiva spettanza.

Su tali punti si è trattato di sopra.

E inoltre, in dipendenza ai medesimi:

3) assistenza diplomatica di fronte alle altre potenze per la tutela degli interessi a ciascuna delle due parti riconosciuti.

In proposito devesi rammentare che, all'infuori di qualche fuggevole accenno fatto da altre potenze, quelle che hanno dimostrato in passato di seriamente occuparsi delle questioni relative al Mar Rosso, sono la Francia e la Germania.

Quanto alla Francia non occorre ch'io mi dilunghi a ricordare la nota questione di Scek Said, nella quale gli interessi francesi, in relazione alla navigazione del Mar Rosso verso I'Indo-Cina e il Madagascar, sono gravemente in giuoco e si opporrebbero a che quel!' importantissima posizione cadesse in mano di altra potenza. Sul tal punto sarebbe perciò necessaria un'intesa anche con la Francia, che, nella situazione generale attuale, non credo d'impossibile conclusione. E poiché per ragioni analoghe a quelle accennate l'Inghilterra dovrebbe opporsi, come già fece nel passato, all'occupazione di Scek Said da parte della Francia, potrebbe riconoscersi da entrambe la convenienza di mantenere ivi finché possibile lo statu qua della sovranità ottomana, e quindi eventualmente stabilirvi quella dell'Italia, con le opportune garanzie per le altre parti interessate.

Quanto alla Germania, vi è il tentativo fatto nel 190 l di insediarsi alle isole Farsan. È però da riconoscere che la Germania non ha alcun legittimo interesse ad occuparsi particolmmente della questione del Mar Rosso, e sarebbe quindi da sperare che non dovesse opporsi ad una equa sistemazione dei nostri, alla quale dovrebbe mantenersi estranea.

4) Libertà d'azione ed eventualmente anche assistenza diplomatica di fronte alla Turchia nei passi che fossero necessari per ottenere, sulla base dello statu quo della sovranità ottomana, un miglioramento nelle condizioni di sicurezza, commerciali, ecc, ciascuna nella sfera rispettivamente riconosciuta.

Ciò mi porta a considerare la nostra situazione di fronte alla Turchia, per quanto si riferisce ali' Arabia. È superfluo che io rammenti ali 'E.V. gli innumerevoli incidenti in cui furono vittime i sudditi eritrei ed anche i nostri connazionali per le gesta sempre impunite dei pirati, alcuni dei quali d'inaudita gravità come quello in cui ben trenta nostri sudditi furono ridotti e trovansi tuttora in schiavitù. Per tali incidenti nessuna soddisfazione fu mai ottenuta, salvo dei lievi indennizzi materiali alle vittime, e fummo invece finora trastullati con periodiche illusorie promesse di invio di navi da Costantinopoli. Questa situazione potrà, al probabile manifestarsi di qualche nuovo incidente, porci nella necessità-a tutela ormai del nostro decoro e del nostro prestigio certamente scosso, anche di fronte alle nostre popolazioni, specialmente in seguito al diverso contegno testé assunto dall'Inghilterra -nella necessità, dico, di compiere un'azione violenta verso la Turchia, tanto più che tale estremo è stato già più di una volta minacciato alla Sublime Porta dal nostro ambasciatore in Costantinopoli. Ora, un'azione violenta verso la Turchia sarebbe certamente spiacevole anche a noi nelle presenti condizioni della politica generale. Allo scopo quindi di evitarla, è indispensabile prendere, d'accordo con la Turchia, tutte le misure atte a prevenirne la necessità. Non credo che la Turchia si voglia negare ad assecondarci su questo punto, e dovrebbe anzi vedere in questo nostro contegno una prova di sincera amicizia, desiderando noi appunto prevenire il manifestarsi di fatti che tale amicizia potrebbero turbare.

Le garanzie di sicurezza della navigazione che noi abbiamo il diritto di richiedere, è mestieri convincerci, e convincere anche la Sublime Porta, che la Turchia non può, allo stato attuale, in alcun modo fornircele. È necessario quindi che ce le lasci prendere da noi stessi.

All'uopo sarebbe di comune interesse-com'ebbe anche a dichiarare spontaneamente al console generale di Hodeidah un alto funzionario ottomano, le cui parole non mancai di segnalare all'E.V. -che la Turchia ci consentisse di esercitare una specie di alta polizia nelle acque arabiche, sia pure col concorso figurativo delle inservibili cannoniere ottomane.

All'intento poi di rendere più facile tale nostro servizio, la Turchia potrebbe accordarci, salva sempre la sua sovranità, un punto d'appoggio a Gebel Zugur o alle isole Hanisc.

Come l 'E.V. potrà rilevare dal dispaccio del 24 luglio 1902 n. 35692/5672 , codesto R. Ministero aveva già allora dichiarato di non essere alieno dal procedere all'occupazione di dette isole, pigliando occasione da qualche fatto di schiavismo, di contrabbando di armi o di pirateria (che d'allora non sono certo mancati); e si poneva solo l'ostacolo dell'esistenza colà di una guarnigione turca (uno dei cui componenti è stato testé autore di brutale omicidio commesso a danno di un nostro suddito), attendendo soltanto l'occasione di un ritiro della guarnigione stessa per prendere una definitiva risoluzione. Allo stato attuale, salvo che nuovi e gravi avvenimenti non ci costringessero, io, in verità, non sarei in questo momento favorevole ad un occupazione delle isole suddette. E ciò in considerazione sia della situazione politica generale la quale sconsiglierebbe una tale azione aggressiva verso la Turchia, sia del fatto che questa, forte ora dei successi riportati contro l 'insurrezione zeidita, non lascerebbe facilmente sminuire l'accresciuto prestigio sulle popolazioni con un atto di debolezza verso una potenza estera. Credo peraltro che facendo valere le considerazioni suaccennate, la Sublime Porta non si rifiuterebbe di entrare nel nostro ordine di idee che, salvando la propria dignità, corrisponde poi anche ai suoi benintesi interessi. Resta a considerare se in relazione a quanto fu già detto ed a considerazioni di altro ordine i passi ora accennati debbano iniziarsi verso la Turchia dopo avere già avuto con l'Inghilterra un preliminare scambio di idee nel senso su esposto o non convenga iniziarli senz'altro, salvo a darne amichevole notizia all'Inghilterra, prendendone anche occasione per entrare nelle trattative ond'ebbi a far cenno.

Ho creduto doveroso di esporre all'E.V le mie idee e le mie proposte sull'importante questione, lasciando a VE. di giudicare quanto quelle siano meritevoli di approvazione e queste ultime, opportune e tempestive, nonché circa il miglior modo di tradurle eventualmente in atto.

399 3 Per la risposta vedi D. 402.

400 1 Vedi D. 393.

401 1 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d'ora in poi ACS), Carte Martini.

402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. R!SERVAT01 . Roma, 1° gennaio 1906.

Ringrazio VE. suo telegramma n. 2522 . Prego VE. ringraziare cordialmente Biilow. Non da oggi, ma in ventiquattro anni di vita pubblica, miei intendimenti sono appunto quelli espressi nel telegramma

V.E. Spero che le mie cordialissime preesistenti relazioni personali con Liitzow mi facilitino il compito di rendere sempre più cordiali e fiduciose le reciproche relazioni fra Italia e Austria-Ungheria.

403

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 6/2. Berlino, 1° gennaio 1906, ore 15,26 (perv. ore 16,45).

Nel ricevimento di questa mattina degli ambasciatori per capo d'anno S.M. l 'Imperatore, dopo di avermi espresso, in termini molto affettuosi, i suoi auguri per le LL.MM. Nostri Sovrani, mi ha manifestato sua viva soddisfazione per pronta soluzione nostra crisi ministeriale, compiacendosi, in special modo, che Fortis sia rimasto a capo del Governo, e che V.E., di cui ha sempre sentito da tutti parlare in modo tanto favorevole e di cui conosce idee politiche, abbia assunto direzione politica estera italiana.

2 Vedi D. 399.

402 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Berlino.

404

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, BRUNETTI Y GAYOSO

NOTA 262/2. Roma, 3 gennaio 1906.

Con nota del 29 dicembre p.p. n. 85 1 l'E.V. si è compiaciuta di parteciparmi, per incarico del suo Governo, che, insistendo S.M. il Sultano del Marocco nel desiderio che la Conferenza internazionale concernente quell'Impero sia tenuta ad Algeciras, il Governo spagnuolo, siccome già S.E. il ministro di Stato ne ha informato i rappresentanti delle potenze accreditate presso S.M. Cattolica, accoglierà con piacere i delegati alla Conferenza nella città predetta e rivolge, intanto, al Governo italiano l'invito di prender parte a quel congresso.

Prego l'E.V. di voler ringraziare il Governo spagnuolo, notificandogli l'accettazione del Governo italiano, i cui delegati si troveranno ad Algeciras per la data del 16 corrente, stabilita per l'apertura della Conferenza stessa, come risulta dalla ultima parte della nota alla quale ho l'onore di rispondere.

Nel dichiararmi, infine, grato alla E.V. per la comunicazione fattami colla abituale sua cortesia, ...

405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI

T. 30. Roma, 4 gennaio 1906, ore 20.

Ragioni di politica generale non attinenti alla persona di V.E., che gode tutta la fiducia del R. Governo, mi hanno indotto a modificare le disposizioni del mio predecessore circa la rappresentanza dell'Italia alla Conferenza di Algeciras.

Come primo delegato è stato nominato S.E. il marchese Visconti Venosta, il quale ha patriotticamente fatto il sacrificio di accettare. V.E. rimane così esonerata dal partecipare alla predetta Conferenza, la presenza di lei a Madrid essendo assolutamente necessaria quale che sia la sede del negoziato per nuovo accordo commerciale, la sollecita conclusione del quale sta molto a cuore ai due Governi ed ai due paesi.

Prego V. E. di notificare quanto precede a codesto ministro di Stato 1 .

404 1 Non pubblicata.

405 1 Il 5 gennaio Silvestrelli rispose: «Ho partecipato ufficialmente a questo ministro degli affari esteri la nomina di Visconti Venosta. Una gravissima malattia sopraggiunta ai miei bambini, mi rende anche personalmente riconoscente provvedimento».

406

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T.4111. Parigi, 5 gennaio 1906 ore 17,5 O (perv. ore 21).

Rouvier ha accolto con molta soddisfazione la notizia della nomina di S.E. il marchese Visconti Venosta alla Conferenza di Algeciras e mi incarica di porgere al Governo del Re ed alla E. V. l'espressione della sua gratitudine per la designazione di una persona di così alta autorità e di tanta considerazione.

407

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 49/30. Parigi, 6 gennaio 1906 (perv. iliO).

I nostri rapporti con la Francia negli ultimi sei mesi non subirono apparentemente alcuna variazione; rimasero cioè buonissimi. Il primo d'anno il presidente Loubet, stringendo la mia mano fra le sue, poté con effusione sincera parlarmi della cordialità degli auguri da lui scambiati con l'Augusto Nostro Sovrano e dimostrarsene felicissimo. S.E. Barrère ha potuto lo stesso giorno proclamare, in un discorso che la stampa periodica francese ha registrato quasi senza commenti, l'inalterabilità dell'amicizia intima fra il suo ed il nostro paese. Io trovo tanto presso il sig. Rouvier ed i ministri in carica, quanto presso i principali uomini di Stato francesi, le stesse amichevoli accoglienze che mi erano fatte prima della crisi dell'estate scorsa. Tuttavia, scrivendo io per la prima volta a V.E. sovra lo stato delle relazioni politiche fra l'Italia e la Francia, non posso esimermi dallo osservare che, negli ultimi mesi, si è prodotta una essenziale variazione nelle relazioni stesse, cagionata, non dal mutamento di persona nell'uffizio di ministro degli affari esteri, ma dalla inevitabile ripercussione che le condizioni generali della politica internazionale della Francia dovea avere sui rapporti suoi con l'Italia.

L'opinione pubblica francese è ormai formata nel senso che il Marocco, che fu il pretesto e la riuscita della politica delle amicizie intime, è la causa dell'improvviso e qui inaspettato ritorno della Germania alla politica che ebbe, dopo la guerra del 1870, e per qualche anno dipoi il principale, se non l 'unico, obbiettivo nella depressione in cui dovea essere mantenuta la Francia. Riavutasi dal primo panico, cagionato dalla sorpresa e dalla generale convinzione della propria impreparazione militare, l'opinione dominante in Francia che, nella prima ora, avea condannata la politica di

Delcassé, si è fatta più riflessiva ed i disastri militari come le catastrofi interne della Russia vennero in buon punto per assolvere il predetto ministro dalle sue mosse ardite per guadagnarsi l'appoggio e fors'anche l'assistenza dell'Inghilterra. Ma nell'analisi che i francesi hanno fatto della politica che li mise in pericolo di avere la guerra, un punto dovea rimanere necessariamente oscuro. Il sig. Delcassé voleva ingrandire, diciamo piuttosto ricostituire, la posizione morale della Francia riunendo intorno ad essa le altre nazioni con vincoli di amicizia intima. Di questa sua politica l'Italia era uno dei necessari fattori. Noi potevamo contare sovra una certa dose di condiscendenza sua perché a lui importavano le palesi, successive manifestazioni di uno stato di relazioni intime del suo con il nostro paese. Ma quando, con esagerazione evidente, si sconfessò qui la politica seguita per sette anni con buon esito, designandola alle moltitudini come causa di imminente pericolo di guerra, il Governo si trovò costretto ad assumere un atteggiamento diverso, non forse nella sostanza delle cose, ma nelle loro manifestazioni esteriori. Il mirabile, calmo contegno dell'Inghilterra che non cessò di professare ostensibilmente l'amicizia cordiale ricostituita, contribuì in larga misura a far nascere il convincimento che la politica di Delcassé avea salvato la Francia da una situazione pericolosissima. Ma certe manifestazioni della politica italiana valsero a rinforzare qui l'opinione che nell'amicizia intima con l'Italia la politica del sig. Delcassé nessun vantaggio avea trovato e -diciamolo pure -per non pochi francesi il prezzo pagato per quell'amicizia con la rottura delle relazioni con la Santa Sede parve assolutamente eccessivo.

Non credo che nella sostanza delle cose si sia verificato un vero mutamento. Ma per certo l'attuale Ministero francese che cerca con ogni studio di evitare gl'indizi esteriori della continuazione della politica dello scomparso ministro degli affari esteri, non può essere spinto da considerazione alcuna a fare con l'Italia quegli atti che il sig. Delcassé avrebbe probabilmente desiderato egli stesso di compiere.

Or, per una fatalità di cose, le tre grosse questioni che si dovettero risolvere con la Francia per conseguire il nostro ravvicinamento, si sono negli ultimi tempi riaffacciate nelle nostre relazioni con questo paese ed interessi di un'importanza morale forse maggiore della materiale, aspettano di essere regolati. L'accordo per l'Abissinia -la rinnovazione degli scaduti trattati per la Tunisia -l'estensione alle sete ed aJ\e seterie degli accordi commerciali sono tre questioni già aperte, che potranno essere aggiornate, ma che non potrebbero venire eliminate dal programma delle nostre relazioni con la Francia senza che apparisca lo scarso valore reale della amicizia intima di questo paese col nostro.

Di ciò, a parer mio, conviene che il Governo del Re si renda conto sia per vedere chiaramente la ragione per cui nessuna delle tre anzidette questioni ha progredito negli ultimi tempi, sia per premunirsi contro qualche impeto d'impazienza che taluni eccessivi indugi da parte della Francia giustificherebbero. Non sono infatti soltanto le tre questioni mentovate che non progrediscono. Altre si trovano ugualmente arenate davanti ostacoli che una dose maggiore di buona volontà avrebbe bastato a rimuovere da assai tempo. Sono di questo numero l'affare della congiunzione della ferrovia Cuneo-Nizza e le negoziazioni destinate a dare pratico valore al così detto trattato del lavoro.

Stimo attenermi ad una condotta che avrà l'approvazione di VE. nel continuare a non dimostrare di avvedermi di un tale cambiamento di cose, ma nel rendermene esatto conto. Sicché, salve istruzioni in contrario senso da parte di V.E., mi asterrò dal dimostrare soverchia impazienza e dall'affrettare i passi che in questo momento potrebbero più facilmente riuscire a mettere in luce le difficoltà che a risolverle 1•

408

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 58/35. Vienna, 6 gennaio 1906 (perv. ill7).

Chiesi ieri al conte Goluchowski in qual modo fosse considerato dal Governo imperiale e reale l'accordo, che, sotto il titolo di unione doganale, era stato stipulato fra la Serbia e la Bulgaria e quali disposizioni era sua intenzione di prendere al riguardo.

Il conte Goluchowski mi disse ch'esso rendeva del tutto impossibile la continuazione dei negoziati commerciali intavolati con entrambi i Governi e che questi erano stati già interrotti non appena se ne aveva qui appresa l'esistenza. Lamentò il procedere poco corretto da loro usato nel non fame conoscere le disposizioni prima di iniziare tali negoziati e rilevò che la Serbia e la Bulgaria eransi illuse di poterle attuare e fruire ad un tempo delle concessioni che il Governo imperiale e reale sarebbe per far loro nei nuovi trattati, giacché questi non avrebbero potuto esser ritenuti che siccome nulli se dopo la loro stipulazione avesse avuto notizia di quel patto. Nell'indurre il Governo serbo a concluderlo il Governo del Principato avevalo tratto in inganno, non potendo esso concedere alla Serbia favori speciali senza accordarli del pari agli altri Stati, incombendogli l'obbligo, in forza dell'art. 8 del Trattato di Berlino, di far un eguale trattamento in materia commerciale a tutte le potenze indistintamente. Gli risultava infatti che il Governo germanico era intenzionato a rivendicare per le proprie merci gli stessi vantaggi assicurati a quelle serbe, dichiarando, in caso diverso, che avrebbe considerato come nullo e non avvenuto il trattato di commercio stipulato di recente colla Bulgaria.

Al ministro di Serbia, che era venuto a dargli schiarimenti circa le disposizioni contenute nell'unione doganale e ad informarlo del proposito del suo Governo di subordinarle e coordinarle, all'evenienza, con quelle del nuovo trattato coli' AustriaUngheria, egli aveva fatto conoscere che la questione sarebbe stata esaminata nel Consiglio dei ministri comuni che doveva tenersi nella settimana prossima, ma che intanto credeva dovergli dichiarare in modo esplicito che il Governo imperiale e reale era deciso a non addivenire alla sua stipulazione se il Governo serbo avesse persistito a mantenere in vigore quel patto ed a chiudere in tal caso la propria frontiera alle merci serbe, ciò che non avrebbe potuto non ridondare a grave danno del commercio del Regno che trovava il principale suo sbocco sul mercato della Monarchia.

Di fronte a tale dichiarazione il sig. Vuié avrebbe replicato che il Governo serbo era disposto a lasciar cadere l'unione doganale se il suo mantenimento avesse dovuto condurre all'interruzione delle sue relazioni commerciali con l'Austria-Ungheria.

Siccome feci conoscere all'E.V. col mio rapporto n. 40/24 del 3 corrente1 , la viva opposizione, che l'unione doganale stipulata tra la Serbia e la Bulgaria ha incontrato ne li'opinione pubblica di questo paese e nel Governo imperiale e reale, è originata non tanto dalle conseguenze economiche che potrebbero risultarne per il commercio della Monarchia, quanto per la tendenza che in essa si ravvisa, la quale rivela gli sforzi che entrambi i Governi fanno per addivenire ad un'intesa politica tra loro.

È evidente che l'accordo doganale, che mira a vinc[ola]re vieppiù i reciproci rapporti economici ove si effettuasse realmente, condurrebbe ad un riavvicinamento maggiore di que[gli] Stati e ad una estensione forse degli impegni, che si pretende esser stati già da essi presi in vista di quell'intesa politica che desiderano raggiungere, ma la realizzazione della quale, oltre ad essere poco verosimile date le divergenze che sussistono tra le rispettive loro aspirazioni nazionali, è riconosciuta per ora impossibile dallo stesso Governo serbo, per le eccessive esigenze accampate dalla Bulgaria e da cui non sarebbe facile farla recedere, siccome mi faceva osservare il sig. Milovanovié, ministro di Serbia a Roma, che trovasi attualmente a Vienna quale delegato del proprio Governo per i negoziati commerciali e che venne a visitarrni in questi giorni.

Alla possibilità di una simile intesa politica non si è qui mai prestata fede alcuna ed i ripetuti incontri del re Pietro e del principe Ferdinando, avvenuti nell'autunno del 1904 e l'azione esercitata in tale scopo dal ministro Pasié, furono considerati colla massima indifferenza dalla opinione pubblica della Monarchia e dal conte Goluchowski che mi affermava in quell'epoca non doversi attribuire a tali fatti un'importanza maggiore di quella che aveva in realtà, ciò che non l'impediva però di far vigilare con cura dai propri rappresentanti in Belgrado e Sofia i passi dei due Governi. Egli è perciò che la notizia della stipulazione, per parte loro, di un accordo doganale, che fa intravvedere lo scopo politico cui mirano, ha prodotto qui una sorpresa e sensazione tanto maggiore ch'essa era ignorata ed imprevista ed ha sollevato specialmente nella stampa ungherese recriminazioni contro il Ministero imperiale e reale degli affari esteri per non averne avuto sentore cd essersi lasciato sorprendere da quell'avvenimento.

Gli sforzi del Governo imperiale e reale saranno ora diretti ad impedire l'attuazione dell'accordo doganale e non v'ha dubbio che riuscirà nell'intento, se dovessi prestar fede alle dichiarazioni fatte dal sig. Vuié al conte Goluchowski confermate da quelle del presidente del Consiglio dei ministri serbo, sig. Stojanovié, ad un corrispondente della Neue Freie Presse in Belgrado, ma esso non può illudersi di impedire, coll'eliminare quell'accordo, che la Serbia o la Bulgaria non proseguano anche in avvenire le loro mire per conseguire l'intesa politica cui tendono e se questa, siccome qui si suppone, non fosse per essere raggiunta, potrebbe però realizzarsi in dato momento, qualora la necessità di difendere i loro interessi li inducesse ad unire le proprie forze ed a schierarsi dali' istessa banda per opporsi ali' azione di qualsiasi potenza che si accingesse ad attentare a quelli che reputano loro diritti.

407 1 Per la risposta vedi D. 429.

408 1 Non pubblicato.

409

IL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE URGENTE 13/3. Cettigne, 6 gennaio 1906 (perv. i/14).

Come ebbi già l'onore di riferire a codesto superiore Ministero, con precedenti rapporti, il simultaneo concretarsi delle diverse intraprese italiane al Montenegro, che hanno reso ancor più intimi i vincoli felicemente esistenti fra i due paesi, è stato per l'Austria una manifestazione di inattesa energia da parte nostra, e, conseguentemente, una sorpresa certo tutt'altro che gradita.

Naturalmente questa impressione, sia per sentimento proprio, sia forse quale eco di giudizi superiori, è sempre viva e cocente n eli' animo del mio egregio collega austro-ungarico, barone Kuhn, diligente funzionario, al quale manca forse-e non son io che debba rammaricarmene -quello slancio, che consiste nel non esitar mai davanti alla responsabilità personale, debitamente ponderata, ogniqualvolta l'attendere le istruzioni superiori, data la lontananza, vorrebbe dire perdere irremissibilmente la fuggevole opportunità d'agire.

È quindi naturale che egli, spinto dal suo Governo, cerchi ora di riacquistare il tempo perduto. Già ebbi occasione di riferire, in via riservatissima, a codesto Ministero come egli avesse fatto ogni sforzo per infiltrare nel Governo principesco -e anche più in alto -una sfiducia nelle nostre iniziative, che avrebbe potuto bastare per farle naufragare. Ma era certo alquanto ingenuo il credere che io -come avrebbe fatto qualunque altro al mio posto-non avessi di lunga mano preveduto e prevenuto un simile colpo.

Gli rimase dunque solo l'arma della concorrenza sullo stesso campo economico, di fronte alla quale a noi s'impone di !imitarci ad una prudente difensiva, scevra da esagerazioni e da gretto esclusivismo, sia per una ragione di correttezza internazionale, sia per un doveroso riguardo agli interessi del Principato, i quali non possono che avvantaggiarsi di una lotta leale in questo campo.

Cominciò dunque il mio collega, tornato qui pochi giorni dopo di me, a chiedere insistentemente che il Governo principesco consentisse l'erezione di un consolato imperiale e reale, con annessa agenzia commerciale, in Podgoritza, che, come l'E.V. sa meglio di me, è la città più popolata e importante del Principato. La domanda era motivata apertamente col desiderio del Governo imperiale e reale «di mettere un argine alla invadente preponderanza commerciale italiana». Ma il Governo montenegrino rifiutò tale consenso, osservando che un consolato austro-ungarico così vicino alla frontiera servirebbe sovratutto a scopo di spionaggio politico-militare e ad estendere maggiormente nella limitrofa Albania una influenza che mal si accorda cogli interessi del Principato.

Un simile tentativo da parte del Governo austriaco-il quale ha già a Podgoritza un privato informatore regolarmente stipendiato -era facilmente prevedibile, e fu da me preveduto fin da quando, la scorsa estate -non senza aver preso gli ordini del predecessore di V.E. -iniziai personalmente dei passi presso il R. Ministero del commercio, perché fosse nominato in Antivari un delegato commerciale onorario, nella persona del cav. Giulio Razzani, milanese, commissionario onesto e volonteroso, praticissimo del commercio con questo paese e coll'Albania. Io chiedevo soltanto al Ministero predetto che assicurasse al sig. Razzani, a termini del nuovo regolamento sui delegati commerciali una sovvenzione di f. 2.000 annue (a titolo rimborso di spese, di corrispondenza, ecc,), per il primo biennio, affinché egli, certo di vedersi così diminuita la naturale alea dell'inizio, potesse lasciare la sua agenzia commerciale a Milano e venirne a fondare una nuova in Antivari. Ero poi già d'accordo con codesto R. Ministero che, garantita così la posizione economica del sig. Razzani, per il periodo più difficile, si sarebbe istituita in quella città una r. agenzia consolare, affidandola alle sue cure.

Senonché sfortunatamente i miei sforzi rimasero infruttuosi e anche il rapporto, che diressi in proposito a codesto R. Ministero il 12 dicembre da Venezia 1 , trovandomi in viaggio per Cettigne, rimase finora senza risposta. Ritenendo che sia andato smarrito, mi faccio un dovere di accluderne una copia e aspetto fidente le determinazioni di VE. in proposito.

Pur considerando la crescente importanza commerciale di Podgoritza, è superfluo rilevare che, dati i precedenti sopra riferiti, noi non potremmo ora chiedere di istituirvi un ufficio consolare, senza venir meno a quella correttezza e a quella prudenza che mi pare essenziale tener sempre di mira nel nostro interesse, inteso ad una penetrazione commerciale pratica, efficace e scevra di complicazioni. Però, come ebbi occasione di esporre verbalmente a codesto Ministero, nel mio progetto di far nominare il cav. Razzani agente consolare e delegato commerciale onorario inAntivari vi era il concetto di comprendere nella sua giurisdizione anche Podgoritza, perché, una volta costruita la ferrovia da Antivari al Lago, il tragitto fra quelle due città potrà farsi in poche ore, mentre anche attualmente si effettua comodamente in una giornata. Egli avrebbe potuto quindi, con frequenti gite, esplicare anche in Podgoritza una efficace duplice attività.

Andato a vuoto, almeno per il momento, il tentativo di creare il consolato a Podgoritza, il barone Kuhn ha ora fatto al suo Governo la proposta che costruisca a sue spese una strada carrozzabile dal golfo di Risano, nelle Bocche di Cattaro, a Niksié, città posta nel centro del Principato, la quale, come è ben noto a V.E. viene subito dopo Podgoritza per importanza commerciale c, a differenza di Cettigne, sorge nel centro di un vasto e fertile altipiano. L'idea veramente non è sua, ma gli fu ispirata dal principe, che ha sempre desiderato una simile strada, sovratutto per opportunità strategiche. Io sono incompetente a giudicare se tali opportunità possano coincidere col modo di vedere del R. Governo, e quindi mi parrebbe necessario che fosse, a questo proposito, interpellato il R. Ministero della guerra. Ma, per quanto concerne il puro lato commerciale della cosa, secondo il mio subordinato avviso, noi non avremmo ragione di osteggiare un simile progetto, dato che l'Austria l'adottasse. Infatti, quanto più aumenteranno le grandi vie di comunicazione, (delle quali finora il Princi

pato era quasi totalmente sprovvisto), tanto maggiore sarà per noi la possibilità di penetrazione commerciale in ogni direzione, pur tenuto calcolo dell'aumentata concorrenza austriaca; poiché sarebbe un 'ubbia puerile il credere che si possa monopolizzare tale penetrazione. D'altronde la strada in discorso sarebbe lunga circa 56 chilometri (non costerebbe meno di due milioni di corone) ed è evidente che, come complemento delle vie di mare, sarebbe sempre preferibile, anche nella direzione di Niksié, la via Antivari-Lago di Scutari. Questo tanto più se incamminandosi l'impresa a lieti risultati, la Compagnia d'Anti vari si decidesse in progresso di tempo (come avrebbe in animo), a costruire un altro tronco ferroviario Plavniza (stazione d'approdo dei battelli)-Podgoritza-Danilograd. Questo tronco, tutto in piano o quasi, presenterebbe poche difficoltà tecniche e si potrebbe quindi costruire con una spesa relativamente moderata. Danilograd poi dista solo 32 chilometri da Niksié.

In ogni modo, io sarò particolarmente grato all'E.V. di volermi far conoscere le sue superiori vedute in proposito2 e non ho bisogno di assicurarla che alle medesime uniformerò scrupolosamente la mia linea di condotta.

409 1 Cusani Gonfalonieri riferiva dell'esito negativo della richiesta, presso il Ministero del commercio, di sovvenzionare un posto di delegato commerciale onorario ad Antivari.

410

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. SEGRETO 192/11. Asmara, 6 gennaio 1906 (perv. il 22). Mi riferisco al telegramma odierno n. 3 segreto 1 .

La proposta della Francia circa l'accordo per l'Etiopia riguarda tre punti: le ferrovie, il transito e il trattamento nei porti.

Per quanto riguarda le ferrovie ritengo che non vi possa essere nulla in contrario all'accettazione della proposta francese per l'eguaglianza di trattamento alle merci dei tre paesi nelle rispettive linee ferroviarie; tanto più che una tariffa differenziale nei trasporti, oltreché odiosa, mi sembrerebbe di difficile attuazione, anche per le merci degli altri paesi.

Circa l 'esenzione dai diritti di transito, l 'interesse della Colonia e quello dell'industria nazionale esigerebbero che di transito non si parlasse neppure.

Attualmente la linea doganale esiste in Eritrea solo sul mare. E perciò, tutte indistintamente le merci che attraversano la linea vengono assoggettate a dazio, anche se destinate per il consumo di oltre confine.

Quindi, il territorio che fa capo alla dogana di Massaua, il quale rappresenta la nostra sfera d'influenza commerciale, è ben più vasto del territorio eritreo. È certo che del milione di lire che incassa annualmente la dogana, oltre la metà viene pagato

41 O1 T. 53/3, non pubblicato.

dall'Abissinia. E su questo vasto territorio le merci italiane godono di un eccezionale trattamento di favore, essendo esenti dal dazio doganale.

Fino a due anni fa, l 'Italia non ha, veramente, saputo approfittare di queste condizioni favorevoli alle sue industrie. Ma ora, e in ispecie nel 1905, l 'importazione di merce nazionale ha avuto un grandissimo incremento, segnatamente per i consumi di oltre confine. Mi basti accennare che nel 1903 tutte le merci importate in Colonia dall'Italia ammontarono, complessivamente, al valore di f 1.788 mila, mentre nel 1905 le sole cotonate italiane raggiunsero il valore di f 1.850 mila. Ma, se le merci francesi e inglesi potessero giungere oltre confine in transito e trovarsi ivi a parità di condizioni con quelle italiane, tutto ciò si cambierebbe immediatamente nella esclusione dai mercati abissini dei nostri prodotti, i quali non sono ancora in grado di potersi espandere senza la protezione.

In questa condizione di cose, la domanda della Francia può sì essere accolta: ma ad una espressa condizione: che la esenzione dal transito abbia vigore soltanto dal giorno nel quale la ferrovia eritrea oltrepassi o tocchi il confine etiopico. In tal modo, l'attuale ordinamento doganale durerà ancora per anni, durante i quali vi è speranza che l'industria italiana sappia raggiungere una posizione così solida da non temere in Etiopia la concorrenza francese e inglese.

Circa poi l'eguaglianza di trattamento nei porti delle tre potenze la richiesta della Francia può essere accolta senza difficoltà, giusta quanto si pratica di consueto nei trattati di navigazione. Aggiungo, anzi, che attualmente nel porto di Massaua le navi estere e nazionali godono tutte parità di trattamento.

409 2 Vedi D. 444.

411

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Vienna, 6 gennaio 1906.

Vidi ieri sera il conte Goluchowski e nel colloquio privato ch'ebbi con esso gli parlai nel senso stesso col quale erami espresso col sig. de Mérey siccome ebbi l'onore di riferire all'E.V. colla mia lettera privata del3 corrente1•

Il conte Goluchowski mi disse che dopo le assicurazioni da me fattegli pervenire a Lemberg e dopo quelle da lei date a più riprese di persona al conte di Liitzow non dubitava affatto dei suoi sentimenti amichevoli verso l'Austria-Ungheria ed aveva fiducia nelle disposizioni da lei manifestate di seguire cioè l'identica politica del suo predecessore. Non avendo però l'onore di conoscerla né essendosi trovato nel caso d'intrattenere rapporti ufficiali coll'E.V. non poteva naturalmente affermare di avere l'istessa e piena fiducia che aveva nell'on. Tittoni col quale aveva lavorato insieme per due anni e di cui era stato in grado di constatare la lealtà dei propositi e

dei procedimenti nella linea di condotta da lui seguita in ogni occasione verso l'Austria-Ungheria. Se egli avesse ora affermato di avere nell'E.V. l'istessa piena fiducia che nutriva nel suo predecessore, a tale sua affermazione non avrebbesi potuto attribuire un valore reale e questa non sarebbe stata considerata che come una pura e semplice banalità.

Non poteva d'altra parte dimenticare che l'E.V. erasi pronunziato in certe sue pubblicazioni anteriori2 ed in alcuni discorsi al Parlamento, in modo non del tutto conforme alla politica seguita dal suo predecessore. Non era da meravigliare se in quell'epoca ella si fosse pronunziato in tale senso non essendo pienamente istruito degli accordi presi dal R. Governo e degli impegni che ne risultavano dei quali aveva potuto prendere ora intiera cognizione nell'assumere il Ministero degli affari esteri siccome avevane informato il conte di Lutzow e comprendeva benissimo che in seguito a ciò avesse potuto modificare le sue idee circa la linea di condotta da seguire dall'Italia.

Feci rilevare al conte Goluchowski che l'opinione ch'egli erasi formata delle pubblicazioni e dei discorsi di lei non mi sembrava esatta e che i commenti fatti in proposito da una certa stampa viennese erano del tutto erronei, né corrispondevano ai sentimenti da cui era stato sempre animato verso l'Austria-Ungheria. Siccome avevagli già osservato, in quella pubblicazione l'E.V. non aveva patrocinato affatto una politica in opposizione a quella del Governo imperiale e reale ma le sue idee al riguardo si riassumevano nell' intesa intervenuta tra l'Italia e l'Austria-Ungheria e in quanto ai suoi discorsi ella e rasi dimostrato in essi come uno dei più caldi fautori della Triplice Alleanza ed aveva sempre appoggiato la politica dell'on. Tittoni e a tale proposito gli ricordai le parole da lei pronunziate al Senato nello scorso giugno3 . Né era da supporre che nell'assumere la direzione della nostra politica estera ella fosse per sconfessare tale sua opinione ed io poteva assicurarla di nuovo nel modo più formale che ella avrebbe seguito colla massima lealtà le orme del suo predecessore perché era suo scopo precipuo di rendere sempre più sincera e fiduciosa l'amicizia reciproca coll'Austria-Ungheria.

Il conte Goluchowski soggiunse che non aveva potuto tenere dietro agli articoli pubblicati da questa stampa in seguito alla nomina di lei essendo stato assente da Vienna ed essendosi occupato a Lemberg esclusivamente dei suoi affari privati, ma che da quanto eragli stato riferito non gli risultava che i commenti fatti in tale occasione avessero ecceduto i limiti di quella riserva richiesta dalle circostanze.

Nell'accennare poi a quanto V.E. aveva affermato al conte di Lutzow circa la non esistenza dell'irredentismo nel Regno, il conte Goluchowski rilevò che non credeva poter consentire nell'opinione da lei espressa, giacché le manifestazioni avvenute sotto il Gabinetto Zanardelli che avevano fatto correre grave rischio alle relazioni reciproche attestavano il contrario. Riconosceva ch'esse non eransi rinnovate di poi mercé la fermezza e l'energia dell'o n. Giolitti e si augurava che non fossero per ripetersi in avvenire. Egli non temeva però tali manifestazioni ma gli sembrava fosse interesse del R. Governo di impedirle perché avrebbero potuto produrre tra i due paesi un certo malessere nocivo ai loro rapporti.

Replicai ch'io non poteva che confermare l'affermazione fatta dall'E.V. al conte di Liitzow assicurandola che l'irredentismo di cui qui ci si formava un'idea esagerata non esisteva in realtà in Italia. Se eranvi persone esaltate che professavano tali idee, a queste non partecipava la grande maggioranza della popolazione italiana che era ad esse estranea. Del resto poteva dichiarargli, conoscendo le disposizioni del Gabinetto attuale e quelle personali di lei, ch'esso si sarebbe adoperato coll'istessa energia dell'on. Giolitti nel prevenire e reprimere, all'evenienza, ogni manifestazione simile.

Nel ripetermi che non dubitava delle amichevoli disposizioni dell'E.V. rispetto all'Austria-Ungheria, il conte Goluchowski concluse col dirmi che non le sarebbe mancata occasione nella prossima occasione [sci/. sessione] del Parlamento di far conoscere pubblicamente le sue idee circa la linea di condotta che intendeva seguire a suo riguardo.

Da quanto ho avuto l'onore di esporle, l'E.V. potrà rilevare che il conte Goluchowski, senza entrare nei vari particolari a cui il sig. de Mérey avevami accennato, mi ha parlato suppergiù nel senso istesso nel quale questi erasi espresso meco e sebbene egli abbia dimostrato aver fiducia nei suoi sentimenti e non dubitare delle disposizioni di lei verso l'Austria-Ungheria, esisterebbe tuttavia in esso una certa riserva-questa parola però non venne da lui pronunziata-che gli impedisce di affermare di avere in lei l'istessa piena fiducia che, per le ragioni già riferite, metteva verso l'on. Tittoni. E siccome mi fece intendere, egli aspettare di vedere l'E.V. all'opera per giudicare se possa fare su di lei uguale affidamento ed attende di conoscere le dichiarazioni che sarà per fare al Parlamento circa la politica che è disposto a seguire verso l'Austria-Ungheria.

Credo dover richiamare l'attenzione dell'E.V. sulle parole dettemi dal conte Goluchowski relativamente all'irredentismo. Esse rivelano gli intimi sentimenti del Governo imperiale e reale a nostro riguardo perché mentre dimostrano, siccome feci conoscere all'E.V. nella mia lettera privata del 29 dicembre scorso4 , che l'irredentismo è una delle cause principalissime e permanenti della sfiducia latente che qui si nutre verso di noi, mettono in rilievo l'eccessiva suscettibilità di questo paese e di questo Governo per qualsiasi accenno che da noi fosse fatto verso le provincie di lingua italiana facenti parte della Monarchia e quella sfiducia sarebbe per rendersi palese se nuove enunciazioni benché minime e lontane o manifestazioni qualsiasi in senso irredentista avvenissero di nuovo nel Regno. Non abbastanza sufficienti quindi potrebbero mai essere le cautele che da parte nostra si stimerà di prendere per prevenire ed impedire enunciazioni e manifestazioni simili se si vuole eliminare nuovi incidenti ed evitare di turbare i nostri reciproci rapporti.

Il modo col quale il conte Goluchowski si espresse meco viene a confermare le conclusioni in cui venni nella mia lettera privata del 3 corrente, che non è cioè da attendere eh' egli si induca almeno per ora a far conoscere in qualche modo pubblicamente che non consente negli erronei apprezzamenti di questa stampa a suo riguardo. Ma mi sembra che delle dichiarazioni da esso fattemi debbasi prendere nota perché attestano come egli sia animato dalle migliori disposizioni e dal sincero desiderio per quanto da lui dipenderà di continuare coll'E.V., ove ella gliene fornisca l'occasione, siccome è suo fermo proposito, gli stessi amichevoli e fiduciosi rapporti che intratteneva col suo predecessore.

411 1 Non pubblicata.

411 2 Si fa presumibilmente riferimento alla pubblicazione di cui al D. 396, nota 2. 3 Vedi Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, 1904-1905, vol. Il!, tornata del 14 giugno 1905, pp. 1439-1457.

411 4 Vedi D. 396.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A L' AJA, TUGINI

T. CONFIDENZIALE 65. Roma, 9 gennaio 1906, ore 20.

In vista della seconda Conferenza per la pace si riparla di una possibile azione per l'intervento del Papa. Si dice anche che per tale scopo si dia moto codesto ministro di Germania. Desidero che ella mi riferisca ciò che per avventura le consti a questo riguardo. Qualora ne avesse modo cauto ed indiretto, ella potrebbe anche cercare informarsene1•

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

D!SP. 1165/33. Roma, 9 gennaio 1906.

Nel trasmettere a V.E. le credenziali sovrane per la prossima Conferenza internazionale di Algeciras, desidero di rinnovarle l'espressione della viva gratitudine del

R. Governo per avere ella, con patriottica abnegazione, acconsentito a prestare in questa occasione la propria opera illuminata ed autorevole, quale primo ministro plenipotenziario di S.M. il Re, Nostro Augusto Sovrano.

All'E.V. non occorrono istruzioni per il compimento dell'alto suo mandato, nessuno più di lei essendo edotto della situazione in cui sta per aprirsi la Conferenza e delle conseguenze che dalla Conferenza stessa possono derivare in particolare per quanto concerne gli interessi del nostro paese.

In quelle istruzioni, del resto, che l'on. mio predecessore aveva già predisposto fossero da comunicarsi a S.E. il comm. Silvestrelli 1 , il testo delle quali le fu testé rimesso, VE. troverà indicazioni, di cui potrà, eventualmente, giovarsi.

412 1 Per la risposta vedi D. 415. 413 1 Vedi DD. 368 e 38!.

414

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 77/44. Vienna, 9 gennaio 1906 (perv. ill6).

Il ministro di Serbia sig. Vuié venne ieri a vedermi per intrattenermi dell'accordo doganale serbo-bulgaro, delle ragioni che avevano indotto entrambi i Governi a stipularlo e confutare le obiezioni sollevate al riguardo nella stampa viennese.

Egli mi disse che quel patto era una conseguenza naturale dell'intesa politica intervenuta tra loro ed aveva per scopo di stringere maggiormente i rispettivi interessi economici per agevolare la realizzazione completa di quella intesa. I negoziati per il trattato di commercio serbo-bulgaro il quale contemplava l'accordo, iniziati sotto il Ministero Pasié e continuati dal Gabinetto Stojanovié, erano stati ultimati nell'agosto scorso in cui era avvenuta la firma del trattato stesso. In occasione della sua stipulazione egli erasi recato a Belgrado, dietro invito del proprio Governo, per far conoscere il suo parere circa l'accordo doganale e non aveva esitato a far rilevare che le sue disposizioni avrebbero potuto provocare obbiezioni da parte del Governo imperiale e reale, per ovviare alle quali aveva suggerito d'inserire nel medesimo una clausola segreta con cui la Serbia si sarebbe obbligata di modificarle o coordinarle con quelle del nuovo trattato coll'Austria-Ungheria se ciò fosse stato richiesto dalla sua conclusione alla quale era interesse del Governo serbo di addivenire.

Parlandomi in merito dell'accordo, il sig. Vuié mi fece conoscere ch'esso era stato designato sotto il titolo di Unione doganale al fine di evitare che le agevolezze consentite tra i due Governi potessero essere rivendicate da altri stati in forza del trattamento della nazione più favorita: le sue disposizioni però non erano da considerarsi come costituenti una vera e propria Unione doganale, bensì racchiudevano gli elementi necessari per renderla perfetta nel 1917, data della scadenza dei nuovi trattati di commercio da stipularsi col Governo imperiale e reale. E per raggiungere tale scopo erasi stabilito di conchiudere nel frattempo varie convenzioni, tra cui quelle ferroviaria, consolare, monetaria e di estradizione. Le agevolezze contenute nell'accordo riflettevano il libero commercio nei rispettivi territori dei loro prodotti, salvo il bestiame, escluso a richiesta del Governo serbo, che non ignorava che la sua ammissione avrebbe potuto ostacolare la conclusione del nuovo trattato di commercio coll'Austria-Ungheria.

Neli'accennare poi ali'opposizione incontrata n eli' opinione pubblica della Monarchia e nel Governo imperiale e reale dall'accordo, reso noto in Sofia, all'insaputa della Serbia, e la cui pubblicazione attribuiva a mera indiscrezione, il sig. Vuié osservò che non comprendeva le apprensioni qui manifestatesi per il riavvicinamento che i due Stati balcanici miravano a raggiungere con esso nel campo economico, perché questo che era loro consigliato da varie potenze per far cessare le inimicizie e le lotte che regnavano tra gli elementi serbi e bulgari in Macedonia, non avrebbe potuto che contribuire alla pacificazione della penisola c facilitare vieppiù l'attuazione delle riforme. La Serbia, come la Bulgaria, non erano animate da sentimenti ostili contro l'Austria-Ungheria, esse non avevano altro scopo che di provvedere ai rispettivi interessi per la tutela dei quali erano state indotte a stabilire le basi di un'intesa politica che non aveva potuto ancora essere estesa non essendosi creduto opportuno per il momento di toccare questioni che, come quella della divisione delle loro sfere d'influenza, avrebb[ero] potuto sollevare difficoltà ed ignorandosi, d'altra parte, le disposizioni del principe Ferdinando, nel quale, a quanto mi fece intendere, non si faceva in Serbia troppo affidamento.

Il conte Goluchowski, dal quale erasi recato allorché era qui giunta la notizia della conclusione dell'accordo per fornirgli schiarimenti circa le sue disposizioni e dimostrargli come queste non fossero dirette a danno degli interessi austro-ungarici, avevagli dichiarato non essere ancora in grado di pronunciarsi in merito al medesimo, la questione dovendo esser sottomessa all'esame del Consiglio dei ministri comuni che sarebbe tenuto nella settimana prossima ed al quale spettava di prendere quelle decisioni che avrebbe creduto del caso. In tale occasione il sig. Vuié avrebbe però fatto conoscere al ministro imperiale e reale che il Governo serbo, sebbene avesse intenzione di subordinare o coordinare le stipulazioni dell'accordo doganale con quelle del nuovo trattato di commercio, non avrebbe potuto consentire a ]asciarlo cadere, se a tale condizione soltanto il Governo imperiale e reale fosse disposto a riprendere con esso i relativi negoziati.

Egli concluse col dirmi che aveva creduto farmi conoscere, quale rappresentante di una potenza amica della Serbia, a cui aveva sempre dimostrato la sua benevolenza, i vari particolari sopra esposti, per mettermi in grado di rendermi conto del vero stato della questione.

Ringraziai il ministro di Serbia per le informazioni che aveva voluto darmi e l'assicurai di nuovo dei sentimenti benevoli del R. Governo verso la Serbia e dell'interessamento che prendeva a tutto ciò che potesse contribuire al suo incremento economico e politico.

Nel riferire all'E.V. le cose dettemi dal sig. Vuié, credo dover far rilevare come l'affermazione di lui, riferita del pari al mio collega di Francia, secondo la quale il Governo serbo non sarebbe disposto a lasciar cadere l'accordo doganale, qualora esso fosse di impedimento alla conclusione del trattato di commercio coli' AustriaUngheria, sarebbe in opposizione colle dichiarazioni che avrebbe fatte al conte Goluchowski, a quanto questi mi disse, siccome feci conoscere all'E.V. col mio rapporto

n. 58/35 del 6 corrente 1•

In questi circoli politici si dubita che, di fronte ai gravi danni che potrebbero ridondare al commercio serbo da un'interruzione delle relazioni commerciali colla AustriaUngheria, il Governo serbo voglia persistere a mantenere in vigore l'accordo doganale.

Se si considera infatti l'esportazione serba nella Monarchia, che ammonta ad un valore annuo di cinquanta o sessanta milioni di corone, c la si raffronta con quella in Bulgaria che ascende ad un milione appena all'anno, sarebbe da supporre che il Governo serbo debba esitare a porre in rischio il suo avvenire economico nell'incertezza di poter sostituire con vantaggio il mercato austro-ungarico con quello di altri

Stati europei, inviando le sue merci attraverso il Principato, per la via di mare, per smaltirle in Germania, in Francia e nel Belgio. Per quanto esso abbia voluto, collo stipulare quell'accordo, emanciparsi economicamente dall'Austria-Ungheria, la situazione geografica attuale della Serbia però è tale da non metterla in grado di realizzare tale scopo e la costringe anzi a rimanere per ora almeno sua tributaria. Tuttavia l'importanza che la questione dell'accordo va assumendo in Serbia e il linguaggio della stampa locale, specialmente di quella ufficiosa, che si pronuncia in suo favore ed in opposizione alla domanda del Governo imperiale e reale, non permettono per il momento, di giudicare quale decisione il Governo serbo sarà per prendere al riguardo.

414 1 Vedi D. 408.

415

IL MINISTRO A L'AJA, TUGINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L 'Aja, l O gennaio 1906, ore 11,54.

Sino ad oggi non mi risulta che questo mio collega di Germania si dia moto a favore intervento Papa Conferenza della pace. Avverto che egli dopo assenza di un mese, ritornò Aja soltanto da una settimana. Suppongo voce sia dovuta al troppo zelo che, durante l'assenza del titolare, l'incaricato d'affari parve dimostrare nelle ricerche di notizie politiche, ma so che, parlando con me, si espresse in senso a noi amichevole. Se mi riesce procurarmi più sicure notizie, telegraferò a VE.

416

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 89/7. Parigi, 10 gennaio 1906, ore 19,40 (perv. ore 23).

Marchese Visconti Venosta è persona troppo cospicua perché Governo francese potesse ignorare, o fingere di ignorare il suo passaggio per Parigi. Rouvier aveva dapprima voluto andargli incontro alla stazione ed invitarlo a pranzo od a colazione. La brevità del tempo del soggiorno ed altre considerazioni gli fecero rinunziare a questi progetti. Ma qui si userà al marchese Visconti Venosta la cortesia solita per i personaggi della sua importanza: il sig. Mollard, capo del servizio dei cerimoniali, si

troverà alla stazione a complimentare il marchese e gli chiederà di fissare l'ora in cui gli piacerà ricevere all'albergo la visita del Rouvier. Non mi sembra possibile, senza sgarbo, impedire che questi faccia a Parigi gli onori di casa, usando all'inviato italiano una cortesia che qui ha soltanto di insolito la circostanza che Rouvier, invece di aspettare la visita del marchese, andrà egli a farla. Radolin sa che marchese passa domani per Parigi e lo conosce personalmente, ma non ha, fino a quest'ora, manifestato intenzione di andare a visitarlo.

Marchese, se andasse egli da Radolin e stesse invece ad aspettare all'albergo la visita di Rouvier, mancherebbe evidentemente di riguardo a quest'ultimo. Farò conoscere telegramma di V.E. al riguardo1 al marchese Visconti Venosta domani sera al suo arrivo, farò anche sapere a Radolin che Rouvier manda ad incontrare il marchese alla stazione, ed andrà a fargli una visita privata alla locanda. Se Radolin esprime il desiderio di fare egli pure una visita, insisterò presso il marchese perché lo riceva. Vi è tra Rouvier e Radolin la sostanziale differenza che il primo fa gli onori di casa, e l'altro non ha speciale motivo di presentarsi a Visconti Venosta2 .

415 1 Copia priva del protocollo di partenza. Risponde al D. 412.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DJSP. 1290/22. Roma, l O gennaio 1906.

Il r. console generale in Tunisi mi riferiva testé la incresciosa impressione prodotta fra i nostri connazionali da un recente discorso pronunziato dal sig. Pichon nella riunione del gruppo «des études algériennes» 1 . Il residente generale francese esprimeva in quel suo discorso l'avviso che i trattati vigenti in Tunisia debbono essere riveduti nel senso di eliminare gli ostacoli che l'amministrazione della Reggenza trova nell'azione e nei privilegi degli «stranieri».

Portata così la mia attenzione sull'importante argomento ebbi sott'occhio gli interessanti rapporti che l'E.V. ha diretto al mio predecessore circa una desiderabile proroga della nostra convenzione del settembre 1896, ed in particolare su quello che porta la data del28 luglio u.s. n. 8592 .

L'E.V. ha opportunamente rilevato nella sua corrispondenza come, in massima, non possa essere confaciente allo scopo cui noi miriamo, che la questione di siffatta

2 Di San Giuliano rispose l'Il gennaio, ore 16 (T. confidenziale 77): «Intorno al desiderabile incontro con Radolin mi rimetto interamente all'alto senno di V. E. e del marchese Visconti Venosta». 417 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 203.

proroga venga portata innanzi codesto Parlamento e vi susciti pericolosi dibattiti; ed io convengo interamente in questo suo modo di vedere.

Approvo, pertanto, senza restrizioni, il linguaggio da lei tenuto, su questo tema col sig. Rouvier. Mi sembra, però, che per assicurare la continuazione in Tunisia di uno stato di cose che, così per la Francia, come per l'Italia, ha fatto buona prova, non dovrebbe occorrere un vero e proprio atto formale di proroga alla convenzione del 1896, per cui non sarebbe probabilmente evitabile l'approvazione parlamentare. Poiché, infatti, per la cessazione di siffatta situazione, occorrerebbe, invece, un atto positivo di denunzia che il tenore stesso della vigente convenzione lascia al libero arbitrio delle parti contraenti, sembrerebbe sufficiente che queste se ne astengano, perché l'intento comune si trovi raggiunto.

In tale ordine di idee, sarebbe a desiderarsi che VE. potesse procurarsi qualche affidamento per parte del sig. Rouvier; né credo, date le disposizioni da lui manifestate, che ciò debba riuscire troppo difficile a conseguirsi.

Naturalmente, perché siffatto affidamento avesse per noi il valore che desideriamo potergli attribuire, converrebbe che la assicurazione di non valersi della facoltà della denunzia si riferisse ad un determinato periodo e che, per quanto espressa in forma confidenziale, la dichiarazione ne risultasse da un documento scritto.

Mi affido interamente alla provata esperienza ed abilità della S.V. per procurare, nel momento e nel modo più opportuno, che la questione di tanta importanza per i nostri interessi, abbia una favorevole soluzione nel senso ora da me accennato; ed in attesa di conoscere l'esito dei suoi affari presso codesto ministro degli affari esteri,.J

416 1 Alle 9,35 di San Giuliano aveva telegrafato (T. confidenziale 67): «Dal momento che l'incontro del marchese Visconti Venosa con Rouvier è inevitabile, è assolutamente necessario che egli veda anche il principe Radolin. Lascio a V.E. la cura di combinare il modo più conveniente, ma la cosa deve assolutamente farsi».

418

IL MINISTRO AD ATENE, BOLLATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 27/13. Atene, 10 gennaio 1906 (perv. il 16).

Col principe Giorgio di Grecia, alto commissario delle potenze in Creta, dal quale fui ieri mattina ricevuto (v. mio rapporto n. 5/2 del 3 corrente) 1 ho avuto una conversazione che non durò meno di due ore. Mi affretto a dirlo: l'impressione generale che ho riportata da questo lungo scambio d'idee, è che tutte le voci, fatte qui ad arte circolare circa un ritiro del principe dalle sue funzioni, non saranno confermate dai fatti. Fra due, o tre settimane, o fors'anche più tardi, secondo la piega che prenderanno le cose -e a meno di nuovi incidenti imprevedibili -egli farà ritorno all'isola diletta «al benessere ed alla prosperità della quale ha dedicato tutto se stesso!». Ciò non vuoi dire, però, che l'alto commissario si dimostri soddisfatto

418 1 Non pubblicato.

dell'attuale stato di cose. Ché anzi, tutto il suo discorso con me-come già prima coi miei colleghi di Russia e d'Inghilterra -non fu che una serie ininterrotta di reclami, di doglianze e di recriminazioni, contro i suoi nemici dentro e fuori d eli 'isola, contro il contegno tenuto, verso di lui e del suo Governo, dalle grandi potenze protettrici e specialmente dai loro rappresentanti alla Canea. Questo suo malcontento si riferisce al passato più remoto, al passato prossimo, al presente ed anche all'avvenire. Ma, per il momento, esso prende di mira, in prima linea, l'attitudine che ebbero, fin dall'inizio del! 'insurrezione di Therisso, i consoli generali delle quattro potenze alla Canea. È alla condiscendenza, agli incoraggiamenti che gli insorti trovarono presso di loro-e principalmente presso quelli di Francia e d'Italia-che si deve attribuire se il disordine e l'agitazione si mantennero per tanti mesi nell'isola. I consoli, i quali non avevano esitato a entrare subito in relazione e in negoziati diretti con ribelli, che s'erano posti fuori della legge e formavano solo una piccolissima minoranza della popolazione, coronarono poi l'opera loro, promettendo agli insorti-senza mettersi preventivamente d'accordo col principe e senza nemmeno avvertirlo-una quantità di provvedimenti e di riforme nell'amministrazione interna dell'isola. Tutto ciò ha costituito, di fronte ad un popolo per temperamento e per tradizioni già così pronto alla rivolta, un precedente estremamente pericoloso, e tutto ciò crea all'alto commissario una situazione insostenibile, incompatibile coll'autorità e colla dignità sua, e in contraddizione colla volontà espressa dai Governi stessi, i quali lo avevano assicurato «essere egli il solo ed unico mandatario, assolutamente indipendente, delle quattro potenze» per tutto quello che concerne, appunto, l'amministrazione interna autonoma di Creta. Circa il merito delle proposte presentate dai consoli, il principe non solleva alcuna abbiezione contro quella relativa all'invio nell'isola di una commissione speciale in missione temporanea, incaricata di studiare quali riforme siano necessarie per il regolare funzionamento dell'amministrazione. Egli se ne ripromette, invece, un beneficio considerevole per il progresso e la prosperità del paese, e vorrebbe, anzi, che ne fosse allargato il mandato, comprendendovi pure il compito di ricercare le vere cause della recente insurrezione. Al contrario, l 'istituzione -cui accennarono pure i consoli nel loro proclama agli insorti -di organi permanenti, designati dalle potenze, per vegliare alla stretta e leale applicazione delle riforme, della costituzione e delle leggi in vigore, sembra al principe un'offesa gravissima recata a lui ed al suo Governo, tale da limitare ingiustamente l'estensione dei poteri dell'alto commissario e quelli della Camera cretese.

Non queste cose soltanto mi disse il principe; il quale, parlando con molta foga ed eccitazione -benché sempre, debbo riconoscerlo, in termini assai cortesi enuciava anche, sulla persona e l'azione dei successivi agenti del R. Governo in Creta, giudizi severi ed appassionati, contro i quali io mi affrettai naturalmente a protestare. Gli dissi che, nella mia qualità di rappresentante di S. M. il Re presso

S.M. il Re degli Elleni, non mi era possibile seguirlo su questo terreno, non avendo io alcuna veste per rendermi interprete dei reclami che l'alto commissario di Creta volesse indirizzare al R. Governo ed alle altre potenze protettrici. Mi limitavo quindi ad ascoltarlo, con tutti i riguardi dovuti al figlio del sovrano presso il quale ero accreditato, pur formulando le più ampie riserve sulle considerazioni che mi veniva esponendo. Le quali saranno, del resto, più ampiamente ed ordinatamente registrate in due memorandum alle potenze, dei quali il principe mi annunciava il prossimo invio. Il primo di essi, a quanto egli mi diceva, conterrà un'esposizione riassuntiva delle origini e dei motivi della recente insurrezione di Creta, colla risposta a tutte le accuse che dai capi di essa furono lanciate contro il Governo dell'alto commissario; e conchiuderà colla proposta di istituire nell'isola-in difetto dell'unione colla Grecia, voluta da tutta la popolazione, ma negata dalle potenze -un nuovo regime provvisorio, simile a quello che è in vigore nella Bosnia-Erzegovina. Il secondo esporrà, invece, gli inconvenienti che, agli occhi del principe, risultano dalla mancanza di una definizione esatta dei suoi rapporti coi consoli e coi comandanti le truppe internazionali; e le sue obbiezioni contro la proposta istituzione della commissione permanente di controllo.

Benché il caso non abbia finora precedenti, pure i miei colleghi ed io abbiamo creduto che l'esaudimento, da parte nostra, della preghiera del principe di incaricarci della trasmissione ai nostri rispettivi Governi dei memorandum in questione, non presentasse alcun inconveniente. Mi affretterò quindi a far pervenire tali documenti ali'E.V. non appena l'alto commissario di Creta me li avrà consegnati.

417 3 Per il seguito vedi D. 429. Per la risposta vedi D. 437.

419

IL MINISTRO A BRUXELLES, BONIN LONGARE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 42/18. Bruxelles, 11 gennaio 1906 (perv. il 13).

Nel corso d'una conversazione che ebbi ieri con lui, il barone di Favereau, parlandomi delle preoccupazioni che si manifestano in vari centri circa l'esito della Conferenza di Algeciras, preoccupazioni che a lui pure venivano segnalate dagli agenti belgi, ma che egli sperava poter ritenere infondate, mi disse che il Belgio, nella sua doppia qualità di piccola potenza e di Stato permanentemente neutrale, non intendeva portar nella Conferenza la propria attenzione che sulle quistioni d'indole economica, lasciando alle maggiori potenze le quistioni d'indole politica. Aggiunse che, avendogli il sig. Verhaeghe de Naeyer segnalato le istruzioni eminentemente pacifiche e conciliative date dal R. Governo ai delegati italiani, egli era stato lieto di dare ai rappresentanti belgi, sig. Joostens e Buisseret, speciali istruzioni di associarsi ai loro colleghi italiani nell'azione che questi eserciteranno nell'interesse della concordia e della pace.

420

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 105/1. Parigi, 12 gennaio 1906, ore 14 (perv. ore 16,48).

Da miei colloqui con Rouvier e Radolin ho potuto prevedere che, secondo ogni probabilità, non mi troverò ad Algeciras in una situazione che per sé renda necessarie le comunicazioni e spiegazioni di cui V.E. ha parlato col generale Lanza1• Queste comunicazioni potranno essere consigliate a V.E. da altre considerazioni, ma, per parte mia, confido poter tenere condotta egualmente compresa ed accettata dalle due parti senza spiegazioni speciali.

421

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATISSIMO 146/13. Berlino, 16 gennaio 1906, ore 17, 40.

Biilow, quantunque alquanto indisposto, mi ricevette iersera ed io potei ripetergli con la massima sincerità gran parte delle comunicazioni avute negli scorsi giorni costà specialmente riguardo Conferenza internazionale di Algeciras. Non feci notare al Cancelliere dell'Impero il testo del nostro accordo colla Francia, ma ne indicai il carattere e il significato per spiegare la difficile posizione in cui ci saremmo trovati alla Conferenza se la Francia avesse chiesto il mandato di esercitare la polizia nella parte occidentale dell'Impero sceriffiano. Biilow mi ringraziò e mi incaricò di ringraziare V.E. delle franche dichiarazioni.

Egli comprende bene nostra delicata posizione, ma non dubita che Visconti Venosta, quantunque di animo francofilo, saprà nell'interesse della solidità della Triplice Alleanza, sormontare difficoltà per assicurare attitudine concorde delle potenze che compongono Triplice Alleanza. Nel seguito del discorso, Biilow mi ripetè cose già dette sull'interesse anche per l'Italia che sia mantenuto libero il commercio del Marocco, e protestò energicamente contro le idee bellicose che non si cessa di attribuire alla Germania. L'Impero poteva bensì venire trascinato alla guerra dalla continuazione di una politica tendente ad isolarlo e ad umiliarlo, come era quella di Delcassé: ora però Governo imperiale ed Imperatore non hanno altro desiderio che mantenimento della pace e soddisfacente soluzione delle questioni pendenti alla Conferenza di Algeciras.

420 1 Vedi D. 402.

422

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 149/2. Algeciras, 16 gennaio 1906, ore 17,45 1•

Conferenza inaugurata oggi. Nomina del presidente e dell'Ufficio si fece secondo precedenti. Presidente Almodovar del Rio pronunziò discorso che cominciò coll'affermare i principii della sovranità del Sultano, integrità suoi Stati ed uguaglianza commerciale. Primo delegato francese 2 prese la parola associandosi discorso del presidente e dichiarando molto esplicitamente che egli formulava propria adesione alla triplice base dei principii sovraccennati e a quelli che ne sono la conseguenza, e cioè concessione delle aggiudicazioni senza retrospettiva di nazionalità e mantenimento dei pubblici servizi nelle mani del Sultano. Primo delegato germanico3 dichiarò che aderiva senza riserve alle parole pronunziate dal presidente e dal delegato francese. Presidente propose come ordine dei lavori che fosse posto all'ordine del giorno della prossima seduta la questione della sorveglianza contrabbando guerra. Si presero altre minori decisioni. Fu lasciato al presidente fissare data prossima seduta. Seduta ha lasciato nei delegati impressione disposizioni favorevoli.

423

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATISSIMO 97/36. Costantinopoli, 16 gennaio 1906 (perv. il 23).

Lo svolgimento della questione marocchina è seguito con speciale interesse dal Sultano, il quale ha espresso il desiderio di esserne tenuto minutamente al corrente.

Secondo mi risulta in modo positivo, fin dall'inizio della fase acuta della questione, S.M. Imperiale, non saprei affermare se di sua propria iniziativa, ovvero in seguito ad ispirazione estera, fece, per mezzo di un suo fido, pervenire al Sultano del Marocco l'istante consiglio di resistere ad oltranza alle pressioni francesi che miravano in pratica a spodestarlo, e di mettersi invece sotto la salda protezione del suo amico l'Imperatore di Germania, il quale era, più che ogni altro Sovrano, in grado di tutelare efficacemente gl'interessi dell'Impero sceriffiano.

Dello interesse che prende il Sultano alle cose del Marocco ebbi io stesso una prova manifesta durante l'estate scorsa.

2 Pau! Révoil.

3 Joseph von Radowitz.

Nel corso di una udienza concessami, S.M. Imperiale, dopo avermi intrattenuto di altri affari, chiese ex abrupto che cosa pensavo io della controversia sorta tra la Francia e la Germania a proposito degli affari del Marocco. Giudicai opportuno usare linguaggio circospetto. Mi limitai quindi a replicare che, non avendo bene studiata la questione, preferivo non pronunziarmi. Aggiunsi che, in ogni caso, dato il senno c la prudenza dei due Governi, animati entrambi da sentimenti pacifici e concilianti, tutto lasciava sperare che la controversia si sarebbe risoluta senza gravi complicazioni.

Riprese allora il Sultano con grande enfasi: «L'Imperatore di Germania, per il suo benefico intervento negli affari marocchini, ha acquistato diritto alla eterna riconoscenza di tutti i musulmani. Credo an c h 'io che la questione si aggiusterà pacificamente. La Francia sa bene che, se facesse la guerra, sarebbe battuta anche peggio che nel 1870. E, del resto, i francesi di oggi non sono quelli di una volta. Essi non vogliono affrontare pericoli, non cercano gloria, ma vogliono fare solo affari e buoni affari. Il loro Governo, i loro ambasciatori non pensano che a ciò, ed io lo so bene».

Vi sarebbe stato forse qualche osservazione da fare al ragionamento del Sultano, ma io me ne guardai bene. L'argomento era troppo scabroso e valeva meglio lasciar cadere la conversazione.

Ritenni, ciò stante, opportuno di chiudermi in prudente silenzio, lasciando senza replica l'intemerata del Sultano.

Da quanto le son venuto narrando, sig. marchese, V.E. potrà farsi un'idea delle disposizioni non certo benevole dalle quali è attualmente animato il Sultano a riguardo della Francia.

Ultimamente ancora, quando S.M. Imperiale mi parlava delle domande inglesi, relative alla modificazione della legge delle miniere, avendo io osservato che analoghe domande erano state formulate anche dalla Francia, il Sultano mi rispose testualmente: «Oh, la Francia deve sempre mettersi a rimorchio di qualche altra potenza! Prima era la Russia, ora è l'Inghilterra». Sua Maestà fece poi un gesto come per indicare che delle esigenze francesi egli si preoccupava solo fino ad un certo punto.

I sentimenti di sprezzante indifferenza nutriti dal Sultano per la Francia, vanno, a mio avviso, attribuiti a cause di varia indole. Anzi tutto l'ammirazione senza limiti per l'imperatore Guglielmo, considerato da S.M. Imperiale come il più sicuro palladio del suo Impero, e la convinzione che, paralizzata oggi temporaneamente l'azione tanto temuta della Russia, la Germania è la sola potenza capace di dettare legge in Europa, e di opporsi efficacemente alle aspirazioni cd alle cupidigie che qualsiasi altro Governo avesse per avventura a danno dell'Impero Ottomano.

Oltre che con questa causa precipua e determinante, le più che scarse simpatie francesi si possono anche spiegare, in parte col risentimento perdurante tuttora nell'animo di Sua Maestà per il contegno aggressivo della Repubblica nel 190 l, in occasione dell'incidente Tubini-Lorando, in parte anche per la partecipazione forse troppo diretta ed accentuata dell'ambasciatore in persona, nei negoziati occorsi per la stipulazione del prestito dell'anno scorso, negoziati durante i quali, come ebbi a suo tempo l'onore di riferirlo, vennero a luce, e furono oggetto di generale commento, fatti e circostanze che sarebbe stato preferibile rimanessero sepolti nelle tenebre, e che destarono meraviglia e disgusto persino in Turchia; il che è tutto dire.

422 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

424

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 98/37. Costantinopoli, 16 gennaio 1906 (perv. il 23).

Mi riferisco al telegramma n. 20 l del 23 novembre'.

Il l Ocorrente ricevetti dal r. console generale in H od e ida il telegramma che trascrivo qui appresso: «Nuovo presidente Commissione d'inchiesta ... mi ha confidato ieri che progetto costruzione ferrovia Hodeida-Sana'a sarà attuato prossimamente e che, per cura di Munir pascià, ambasciatore di Turchia Parigi, costruzione sarà data a società francese, presieduta da suddito ottomano residente a Parigi. Ho detto a Ferid pascià che una società italiana potrebbe anche assumere detta impresa alle condizioni che saranno fatte alla società francese con vantaggi anche per Turchia, e che ... ottime relazioni tra i due Governi soprattutto per recente azione ... Italia, mi affidano che Sultano vorrà dare possibilità a società italiana. Presidente disse che avrebbe riferito Sublime Porta in proposito. Ho creduto di somma necessità di sottoporre il fatto a

V.E. e aggiungo che anima progetto è maresciallo Sciakir, ex presidente Commissio

ne d'inchiesta, attualmente presso Sultano».

Feci immediatamente assumere informazioni alla Porta ed al Palazzo.

Da quelle informazioni risulta infatti che la concessione della ferrovia HodeidaSana'a (costruzione ed esercizio) è stata effettivamente chiesta dal banchiere Elia Leon, ma secondo le dichiarazioni del gran visir, la Sublime Porta si è limitata per ora ad autorizzare il predetto banchiere a procedere, per mezzo dei suoi ingegneri, agli studi preliminari della ferrovia, facendosi previamente rilasciare una dichiarazione nella quale l'interessato riconosce che l'autorizzazione accordatagli non costituisce per lui alcun diritto ad un'eventuale concessione. La Sublime Porta essendosi riservata in tal guisa la facoltà di esaminare le proposte definitive del sig. Leon senza assumere alcun impegno, è evidente che il Governo imperiale prevede che le condizioni alle quali verrà subordinata la concessione saranno assai onerose e tali forse da non permettergli di concederla a nrivati. Trattasi infatti di una linea la cui costruzione è stata decisa per ragioni militari, ma che deve percorrere una regione ove il traffico non è sufficiente a rimunerare per ora il capitale ed ove si oppongono anche difficoltà tecniche.

È d'uopo riconoscere per altro che il sig. Leon avrebbe tutti i requisiti per ottenere la concessione, se non altro, della costruzione della ferrovia. Egli è suddito ottomano, console onorario di Turchia a Parigi, e quivi egli occupa una posizione elevata nel mondo finanziario, partecipa alle operazioni bancarie che interessano la Turchia, s'impegna a costituire, occorrendo, una società ottomana, con sede a Costantinopoli, cd è fortemente spalleggiato da Munir pascià, ambasciatore ottomano presso il

Governo francese, e da altri funzionari della Sublime Porta i quali forse parteciperebbero nei vantaggi dell'impresa.

Stando così le cose, per motivi che ho ampiamente esposti in altri miei rapporti, un'azione qualsiasi della r. ambasciata per assicurare ad una ditta italiana la costruzione della ferrovia anzidetta, non preceduta dalla presentazione di una proposta concreta e particolareggiata, e dagli indispensabili accordi segreti tra la ditta stessa e i personaggi di Palazzo interessati all'affare, non presenterebbe alcuna probabilità di successo. Una nostra domanda, in tali condizioni, non avrebbe altro risultato se non quello di inspirare diffidenza nell'animo del Sultano, fargli supporre che noi si abbia delle aspirazioni future nel Yemen ed indurlo ad opporci un categorico rifiuto.

Qualora pertanto importasse al Governo del Re procacciare al capitale italiano, almeno una partecipazione a questo affare, l 'unica via pratica da seguire mi parrebbe quella di entrare in trattative dirette col sig. Leon a Parigi.

Una volta stabilito l'accordo col sig. Leon, avviato l'affare ed assicuratasi l'indispensabile cooperazione dell'influentissimo ambasciatore Munir pascià, potrei utilmente entrare in campo io, per ottenere l'adesione definitiva della Sublime Porta2•

424 1 T. 2339/201, con il quale Imperiali riferiva che non era stato ancora emanato un iradé imperiale sulla costruzione di una ferrovia Hodeida-Sana'a.

425

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 101/40. Costantinopoli, 16 gennaio 1906 (perv. il 23).

Il gran vizir mi parlava ieri della recente convenzione serbo-bulgara. Al riguardo le vedute di Sua Altezza erano alquanto diverse da quelle manifestatemi lunedì scorso [il 15] dal ministro degli affari esteri. A differenza del suo collega, la stipulata convenzione non ispira a Ferid Pacha speciali apprensioni dal punto di vista economico, giacché contro le conseguenze economiche che dalla medesima potrebbero derivare alla Turchia, la Sublime Porta ha a sua disposizione mezzi sufficienti per premunirsi.

Sua Altezza invece esprimeva alquanta preoccupazione per il significato politico che, a suo avviso, ha la convenzione, come quella che costituisce, ai suoi occhi, un indizio sufficiente dell'intenzione dei due Governi, e più di essi, dei due Sovrani, di rinviare ad epoca futura l'esame delle questioni che formano oggetto di serie divergenze, e di stringere intanto accordi destinati eventualmente ad esplicarsi contro la Turchia.

Il gran vizir escludeva in modo assoluto la possibilità che siffatti accordi abbiano scopo semplicemente difensivo. In tal caso essi non potrebbero aver di mira che l'Austria-Ungheria. Orbene niente dà luogo a ritenere che quella potenza abbia oggi propositi avventurosi in Macedonia. Dato poi che li avesse, non sono certo i bulgari ed i serbi che potrebbero opporvisi. I serbi sono troppo furbi per non ignorare che,

schierandosi contro l'Austria, si esporrebbero a conseguenze disastrose. Alla prima loro mossa, Belgrado sarebbe distrutta dalle cannoniere austro-ungariche e tre soli Corpi di armata basterebbero per annientare l'intero esercito serbo.

Da tutto ciò deduceva Sua Altezza che l'intesa commerciale ne cela un'altra politica diretta contro la Turchia, e soltanto contro la Turchia. A prova di tale sua affermazione il gran vizir citava l'art. 17 della Convenzione, nel quale è stipulato che il convenuto trattamento doganale verrà applicato ai territori attualmente appartenenti ai due Stati, ed a «quelli che potranno appartener loro in futuro». Questa disposizione il gran vizir qualificava puramente e semplicemente «impertinente».

Ferid Pacha ricominciava poi le sue favorite lagnanze contro la Bulgaria, la quale, malgrado le dichiarazioni contrarie, non ristà dal tollerare con benevolenza l'organizzazione sul suo territorio della propaganda rivoluzionaria in Macedonia. Ultimamente ancora il generale Zonchew si è recato a Kustendjil per ispezionare sette bande, quivi radunate, le quali si preparano a passare prossimamente la frontiera. Sua Altezza accennava da ultimo alla recente scoperta di bombe a Salonicco, osservando che tutti questi fatti messi insieme gli fanno presagire una ripresa, a breve scadenza, dell' azione rivoluzionaria bulgara. D'altra parte i greci, contro i quali egli, trionfando a fatica dall'esitazione di Palazzo, è riuscito a provocare misure di severa repressione non se ne staranno nemmeno essi tranquilli, ma attendono invece alacremente a preparare sulla frontiera nuove bande, di cui non si tarderà a sentire le gesta nefaste. In tutto questo le potenze si limitano a rivolgere raccomandazioni e moniti, più o meno blandi, agli Stati balcanici, i quali, sicuri della loro impunità, non ne tengono conto alcuno. E così, mentre alla Turchia si sono volute imporre con straordinarie pressioni nuove riforme, gli Stati balcanici, dove è la radice del male, sono lasciati tranquillamente indisturbati nella loro opera malefica, di cui la conseguenza prima e precipua è di paralizzare sensibilmente, anzi di rendere vani addirittura quei risultati benefici, che dalle riforme introdotte l'Europa dichiara d'impromettersi. «Quando», diceva ironicamente Sua Altezza, «noi, cedendo alle vostre esigenze, abbiamo consentito all'introduzione di quella riforma finanziaria, che, col relativo controllo europeo, pareva fosse l'oggetto delle più calde aspirazioni dei popoli balcanici, io mi aspettava un poco di tregua, e mi illudevo che, per qualche tempo almeno, bulgari, serbi, greci, e kutzovalacchi di Macedonia si sarebbero tenuti tranquilli e d'accordo, e l'Impero, per riflesso, avrebbe potuto respirare!-ma ...mi pare che le cose vadano oggi come per Io passato e che quei signori non solo continuano a massacrarsi come prima, ma si preparano a più gloriose imprese. Ed allora a che pro infliggerei tante umiliazioni?».

Le geremiadi del gran vizir non mi giunsero nuove. Gliele ho sentite ripetere replicatamente da che son qui, e più volte ho avuto occasione di manifestargli chiaramente il mio modo di pensare. Non era quindi il caso di riaprire ieri una oziosa discussione per dimostrare a Sua Altezza, che, se alcune sue osservazioni sono esatte, non è men vero però che la colpa principale della situazione in Macedonia risale, in fin dei conti, sempre al Governo ottomano, il quale, per una ragione o per l'altra, non ha mai ascoltato i consigli delle potenze ed ha quivi seguito e segue tuttora metodi di Governo, con cui non si arriverà mai a ristabilire in quella regione una situazione normale. Del resto i consigli e le ammonizioni alla Sublime Porta sono oramai divenuti inutili. Converrebbe rivolgerli più in alto, con probabilità più che scarsa di vederli ascoltati e messi in pratica.

Malgrado il linguaggio violento del gran vizir al riguardo dei bulgari, non ho alcun motivo di affermare che le relazioni tra la Turchia e il principato sieno, in oggi, peggiori di quello che, più o meno, sono normalmente, da qualche anno. Né mi risulta che i propositi pacifici sinora qui predominanti si siano venuti seriamente modificando. La tendenza, però, a dare addosso ai bulgari con la convinzione di schiacciarli e colla prospettiva di assicurarsi qualche anno di tranquillità, esiste sempre e mi pare si vada facendo maggior strada anche all'infuori dei circoli militari. Nulla però mi permette di argomentare che tale tendenza bellicosa prevalga anche presso il Sultano, arbitro supremo dei destini dell'Impero. Si dovrebbe anzi ritenere contrario, se si pon mente alla irreconciliabile avversione finora dimostrata dal Sovrano contro avventure bellicose, di cui, ammaestrato dali' esperienza, egli sa bene che i risultati, in ogni eventualità, non sarebbero mai favorevoli alla Turchia.

In complesso nessun pericolo immediato di complicazioni per il momento. Quanto all'avvenire non è il caso di avventurarsi in profezie in un senso o nell'altro.

Per quello che concerne il contegno della Turchia di fronte alla convenzione commerciale serbo-bulgara, dall'insieme delle notizie attinte alla Sublime Porta, nonché dalle dichiarazioni del gran vizir e del ministro degli affari esteri, sarei indotto a ritenere che qui si rinvierà anzitutto la firma del trattato di commercio già conchiuso con la Serbi a, e si seguirà una linea di condotta parallela a quella d eli' Austria-Ungheria, nella speranza di riuscire a mandare a monte la convenzione stessa, e, possibilmente, impedire, come legittima conseguenza, ogni accordo eventuale politico fra i due Stati vicini.

424 2 Per la risposta vedi D. 462.

426

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

DrsP. 2503/14. Roma, l 7 gennaio l 906.

Mi riferisco al rapporto di V.E. del 12 s. dicembre, cui era annessa copia della nota del Foreign Office del 7 dello stesso mese 1•

Da quanto VE. mi comunica e dal contesto della nota suddetta rilevo come il Governo britannico sia ben disposto ad accettare le proposte risultanti dal convegno di Lione fra il generale Swayne ed il comm. Pestalozza2 , facendo eccezione per ciò che si riferisce alla rettifica del limite delle rispettive zone d'influenza nel senso d 'includere nel nostro territorio la zona in cui le genti del Mullah hanno diritto di pascolo in base all'accordo di Illig del 5 marzo 1905 3 , (vedi linea blu nello schizzo annesso t

2 Vedi D. 250.

3 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 958.

4 Non si pubblica.

Su questo, che costituisce uno dei punti più importanti da definire, è bene insistere. Occorre far notare che nel caso speciale si tratta di rettificare sul terreno la linea del protocollo del 5 maggio 1894 (vedi linea rossa dello schizzo )4 determinata per meridiani e paralleli, e quindi non rispondente a criteri né topografici né politici.

L'interesse reciproco comporta che si ritorni su quanto fu stabilito allora, e, se si vuole assolutamente considerare come cessione di territorio la rettificazione della linea stabilita con quel protocollo, giova far notare come, in parte almeno si trova un compenso nello avanzare che la linea fa ad OW del 47° meridiano (vedi linea verde dello schizzo)4 . E inoltre la cosa può benissimo esser considerata come una rettificazione di frontiera sul terreno in base alle condizioni locali.

L'E.V. potrebbe anche insistere sulla conseguente impossibilità di sorvegliare completamente il Mullah, non essendo pratico l'ammettere che una effettiva sorveglianza possa esercitarsi su territorio soggetto ad altra sovranità.

Il Governo britannico cedendo su questo punto eviterebbe la responsabilità derivante dall'aver concesso alle genti del Mullah il diritto di pascolo in territorio soggetto alla giurisdizione inglese. In ordine a B. Ziade lo stesso generale Swayne (vedi intesa di Lione) è propenso a lasciare che essa resti in territorio italiano malgrado l 'accertamento geodetico la collochi ad OW del 49° meridiano. La questione di Bender Ziade dovrebbe essere risoluta separatamente per la sua natura di frontiera. Preme quindi insistere maggiormente sulla questione di frontiera nell'alto Nogal, vedremo poi che cosa ci converrà di fare, e qualora avessero ad incontrarsi irresistibili difficoltà, se sarà il caso di accettare l 'accordo in questione facendo però riserva per la rettificazione di frontiera anzidetta e per ciò che si riferisce a B. Ziade se quest'ultima questione non sarà risoluta isolatamente nel senso da noi desiderato.

Ad ogni modo, e finché non si rettifica la frontiera più volte citata, è assolutamente necessario mettere bene in chiaro che spetta alle autorità britanniche il provvedere alle misure necessarie per mantenere la tranquillità nelle località lasciate per uso di pascolo alla gente del Mullah.

In ordine, infine, alle 4000 st. che si propone al Governo britannico di pagare, sebbene non sia detto specificatamente, deve bene intendersi che detta somma costituisce una sistemazione definitiva di tutti i reclami dci migiurtini relativamente al passaggio delle truppe inglesi nella regione dei loro pascoli.

426 1 Vedi D. 372.

427

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. RISERVATO 145. Roma, l 8 gennaio l 906, ore l 6, 55.

Salvo contrario avviso di V.E. panni opportuno che, in forma amichevole ed anche semplicemente privata, se così crede, ella dichiari apertamente che, come il Papa non intervenne alla prima Conferenza per la pace, così il R. Governo tanto meno potrebbe ammetterne l'intervento alla seconda, la quale, secondo le dichiarazioni iniziali del Governo americano proponente, deve essenzialmente occuparsi di temi necessariamente connessi con la sovranità territoriale, e cioè i diritti e doveri dei neutri, inviolabilità della proprietà privata nelle guerre marittime, bombardamenti navali. La nostra opposizione andrebbe certo fino al punto di ritirarci eventualmente dalla Conferenza. Noi saremmo molto grati al Governo germanico se si adoperasse ad evitare che la questione sia sollevata. Osservo, a questo riguardo, che l'ambasciatore di Russia mi ha dato affidamento in questo senso per parte del suo Governo. Se la questione fosse sollevata, noi dovremmo opporci anche per gravi ragioni di politica interna.

Certo non vorrà sollevarla il Governo germanico dal quale non può venire un atto che sarebbe manifestamente poco amichevole e non conforme allo spirito stesso della alleanza 1•

428

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 178-179/3-4. Algeciras, 18 gennaio 1906, ore 18,40 (perv. ore 6,45 de/19).

[3] Delegati hanno stabilito riunirsi quando parrà utile in comitato non ufficiale, senza processo verbale per preparare risoluzioni e gli accordi per le sedute ufficiali. Nella seduta odierna di questo Comitato si esaminarono senza incidenti questioni relative alla proibizione introduzione armi e penalità relative. Questioni circa i mezzi di sorveglianza furono differite. Domando se posso associarmi ad un impegno tra le potenze di aprire trattative di unificare le attuali diverse penalità pel contrabbando d'armi al Marocco da applicarsi dai tribunali consolari competenti 1•

[4] In un colloquio avuto oggi coi delegati marocchini mi hanno chiesto se il colonnello Ferrara facesse parte della delegazione italiana, colla evidente intenzione di lasciare intendere che ciò sarebbe stato poco gradito al Governo marocchino. Risposi che il Governo italiano non aveva dato tale incarico al Ferrara, appunto per riguardo alla sua situazione rispetto al Governo sceriffiano. Colsi l'occasione per dir loro che qualunque cambiamento nella fabbrica d'armi italiana avrebbe fatto cattiva impressione al Governo del Re e sarebbe stato considerato come atteggiamento poco amichevole. I delegati mi diedero assicurazione che nulla sarebbe mutato allo stato attuale delle cose.

427 1 Per la risposta vedi D. 430.

428 1 Di San Giuliano rispose il 18 gennaio, ore 17,35 (T. 156): «Niuna obiezione per l'impegno unificare penalità contrabbando di armi da applicarsi dai tribunali consolari. In questo come in ogni altro argomento mi rimetto al giudizio di V.E.».

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. RISERVATO 2887/63. Roma, 19 gennaio 1906.

Ringrazio in particolar modo l'E.V. dell'interessante suo rapporto del 6 corrente

n. 30 sullo stato attuale della relazione fra l 'Italia e la Francia 1 .

Convengo che, per la ripresa delle questioni accennate nel suo rapporto, occorre, in massima, scegliere il momento più opportuno e propizio. A questo proposito e per quanto concerne più specialmente le aperture di cui nel mio dispaccio del l O di questo mese n. 222 , relativamente alla Tunisia, qualora V.E. non sia di diverso avviso, sembra potersi ritenere che l'interesse della Francia di assicurarsi sempre maggiormente il benevolo nostro atteggiamento in occasione della Conferenza di Algeciras, debba influire favorevolmente nella disposizione di codesto Governo a nostro riguardo, ed indurre il sig. Rouvier a far buon viso alle aperture stesse 3 .

430

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 196/17. Berlino, 20 gennaio 1906, ore 17.

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 145 1•

Ho incontrato jeri sera a Corte Biilow che io ho brevemente, come occasione comportava, intrattenuto intorno all'intervento della Santa Sede alla Conferenza della Aja. Da quanto Biilow mi disse ho avuto la persuasione che la Germania in siffatta questione nulla farà che possa dispiacerci, e non si scosterà dalla linea di condotta seguita nella precedente Conferenza. Tornerò esaurientemente sull'argomento tenendo presente quanto V.E. mi ha telegrafato il 18 corrente per il che la ringrazio.

2 Vedi D. 417.

3 Per la risposta vedi D. 471. 430 1 Vedi D. 427.

429 1 Vedi D. 407.

431

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 168. Roma, 21 gennaio 1906, ore 9.

V.E. ricorderà che le parlai delle trattative tra Italia, Francia ed Inghilterra intorno ali' Abissinia e le dissi che Francia e Gran Bretagna si oppongono a che ne sia data partecipazione alla Germania prima della firma. Anche V.E. fu di avviso che tale partecipazione non sia necessaria. Per sua norma e pel caso che codesto Governo gliene parli è bene che V.E. sappia che oggi Jagow mi ha domandato che ci fosse di vero nelle voci corse di siffatte trattative. Io senza smentire né confermare l'esistenza delle trattative risposi che per l 'Italia era difficile far senza un accordo con quelle due potenze che sono in grado in tal caso di precludere ogni avvenire economico alla Colonia Eritrea e che è anche difficile conchiudere l'accordo e lo pregai di dare a questa risposta un carattere strettamente confidenziale. Gli domandai se in caso che un accordo fosse possibile tra l'Italia, l 'Inghilterra e la Francia sull'Abissinia essa avrebbe potuto dispiacere alla Gern1ania, ed egli mi rispose che no, aggiungendo che la Germania ha ben pochi interessi in quell'Impero. Gli dissi pure che la politica italiana con o senza accordi, mira a contenere l 'integrità de !l 'Impero etiopico. Prima di entrare in questa conversazione Jagow mi aveva ripetuto che giudicherebbe utile che la Banca d'Abissinia nella quale la Germania e l'Italia hanno una partecipazione prendesse parte come una delle fornitrici di fondi alla costruzione delle ferrovie da Gibuti ad Addis Abeba, ma avendogli io offerto di far pratiche in questo senso ha declinato l'offerta ringraziando e dicendo che ciò spetta all'iniziativa della Banca medesima. Io allora gli ho detto che avrei molto gradito la partecipazione così della Banca di Abissinia come in genere del capitale tedesco alle opere idrauliche ferroviarie ed altre da intraprendersi nella Colonia Eritrea e nella relativa sfera d'interessi'.

432

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 207/8. Vzenna, 21 gennaio 1906, ore 14,27 (perv. ore 16,32).

Nel circolo diplomatico tenutosi ieri notte a Palazzo Imperiale, in occasione del ballo di Corte, S.M. l'Imperatore intrattenendosi meco, mi disse, nel parlarmi di V.E.,

essere lieto che direzione Ministero affari esteri fosse stata affidata «a così buone mani». Profittai circostanza per fare conoscere a Sua Maestà essere fermo proposito, come vivo desiderio di VE., di rendere sempre più intimi e fiduciosi rapporti con Governo imperiale e reale. Nell'esprimermi sua soddisfazione S.M. l'Imperatore replicò essere stato già informato sentimenti amichevoli della E. V. verso l'AustriaUngheria, di cui aveva avuto del pari conferma dal conte Liitzow. Delegati per trattato di commercio vennero da me presentati al ballo a Sua Maestà che li accolse con molta benevolenza, compiacendosi del modo come procedono i negoziati 1•

431 1 Per la risposta vedi D. 433.

433

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 220/22. Berlino, 21 gennaio 1906, part. ore 2,20 del 22.

Ringrazio l'E.V. per il suo telegramma 168 1•

Mia intenzione sarebbe nel caso mi venga fatta parola delle trattative per Abissinia, di esprimermi come segue: «Sono, cioè, informato della domanda rivoltale da Jagow e della risposta da lei datagli: ho sentito costà di uno scambio di idee circa Abissinia, ma non mi è noto a quale risultato esso abbia condotto o potrà condurre». Domani ha luogo un ricevimento diplomatico, le sarei quindi grato telegrafarmi subito se ella approva. Io ritengo che la domanda Jagow possa essere stata determinata da indiscrezioni di chi ha interesse di metterei in sospetto presso la Germania, e, per essere chiaro, dico Barrère; a me quindi sembra difficile mantenere ora uno stretto segreto sulle trattative senza correre il rischio essere sospettati dalla Germania2 .

2 Di San Giuliano rispose il22 sera (T. 191): «Rispondo al telegramma n. 220. Se V.E. è interrogata circa Abissinia, può confidenzialmente dichiararsi conscio, avendone da me avuta telegrafica notizia, del mio colloquio con Jagow, ripetendone integralmente la sostanza, anche per la parte che si riferisce direttamente alle trattative con la Francia e l'Inghilterra».

432 1 Per la risposta vedi D. 435.

433 1 Vedi D. 431.

434

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 45/15. Belgrado, 21 gennaio 1906 (perv. il 24).

Faccio seguito al mio rapporto n. 13 in data di ieri1 , affrettandomi a informare la

E.V. che il Governo serbo ha già risposto alla nota presentata il giorno 18 dal ministro austro-ungarico, circa ai negoziati commerciali. Detto Governo ha dichiarato che esso dava gran valore alla conclusione di un buon trattato di commercio con l' Austria-Ungheria e che perciò non avrebbe presentato alla Skupchtina la Convenzione colla Bulgaria fino a che non fossero terminate le trattative con l'Austria-Ungheria. Esso ha dichiarato pure di consentire a tutte quelle modificazioni della Convenzione serbo-bulgara che saranno richieste dalla natura del conchiuso trattato di commercio serbo-austro-ungarico.

Ormai dunque tutto si riduce a questo, che Vienna chiede sieno introdotte nella Convenzione tutte quelle modificazioni che essa potrà richiedere, mentre il Gabinetto di Belgrado acconsente alle modificazioni che saranno richieste dalla natura del futuro trattato serbo-austro-ungarico. È dunque questione di modalità, facile a risolvere se a Vienna si usa un poco di moderazione e non si vuole stravincere riducendo a nulla gli impegni reciproci fra Serbia e Bulgaria.

Pare vi sia dalle due parti speranza di trovare una via di conciliazione, poiché già si annunzia per domani la ripresa dei negoziati commerciali da un paio di settimane interrotti.

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. CONFIDENZIALE 180. Roma, 22 gennaio 1906, ore 17,15.

Ringrazio VE. d'avermi riferito parole a lei dette da S. M. Imperiale e Reale circa la mia persona 1 . S.M. ha recato, circa i miei intendimenti nel dirigere la politica estera del mio paese, giudizio altrettanto benevolo quanto strettamente esatto. Desidererei che VE. avesse modo opportuno di far pervenire alla Maestà Sua l'espressione del mio animo rispettosamente grato2 .

434 1 Non pubblicato. 435 1 Vedi D. 432. 2 Con T. confidenziale 23611 O del 23 gennaio, A varna rispose che avrebbe eseguito le istruzioni in occasione del successivo ballo a Corte, che si sarebbe dovuto tenere ai primi di febbraio.

436

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 221/5. Algeciras, 22 gennaio 1906, ore 15 (perv. ore 19).

Seduta odierna stata consacrata discussione regolamento proibizione contrabbando che verrà continuata seduta posdomani.

437

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 218/107. Parigi, 22 gennaio 1906 (perv. il 26).

Tosto che mi pervenne il dispaccio di V.E. in data l O corrente, relativo ad un discorso che il residente francese a Tunisi avrebbe pronunciato nel senso che i trattati vigenti per la Reggenza dovranno essere riveduti 1 , ho telegraficamente domandato al comm. Bottesini di trasmettermi il testo di quel discorso. Mi premeva rendermi conto subito se le cose dette a Tunisi dal sig. Pichon differivano sostanzialmente dalle disposizioni delle quali il sig. Rouvier si era fin qui dimostrato animato.

Il r. console generale, rispondendo al mio telegramma, mi ha informato che il testo del discorso non era stato pubblicato. I giornali locali ne avevano dato soltanto un estratto. Il residente francese aveva parlato, non di denuncia dei trattati, ma solamente di una revisione in un senso più favorevole alla influenza francese.

Stando le cose in questi termini e trattandosi di una allocuzione che fu pronunciata in una riunione che non avea un carattere ufficiale abbastanza ben determinato, stimo cosa opportuna il non dare alle parole del sig. Pichon l 'importanza che loro attribuirebbe una rimostranza eh 'io qui facessi a proposito di esse presso il ministro degli affari esteri.

Il Parlamento francese, stretto dalla brevità del tempo disponibile prima del periodo elettorale, non potrà dare al rapporto sulla Tunisia che la commissione del bilancio presenta annualmente, una speciale attenzione. Accadrà probabilmente, quest'anno ancora una volta, che una discussione sovra le condizioni generali di quel protettorato sarà evitata. Qualunque possano essere le opinioni che il relatore esprimerà, importa che un voto della Camera non venga a vincolare il Governo. Prima della metà di aprile tutti i bilanci dovranno essere votati e se a quel momento il Ministero avrà

evitato di prendere impegni circa la Tunisia, noi potremo utilmente ricercare il modo di dare qualche stabilità alla presente tacita riconduzione in forza della quale restano in vigore le nostre convenzioni. Mi adoperai e mi adopererò presso il sig. Rouvier acciocché egli eviti di lasciarsi imporre un vincolo qualsiasi, od anche una semplice indicazione di linea di condotta che potrebbe risultare dalla votazione di un ordine del giorno dell'uno o dell'altro dei due rami del Parlamento. Ma per ora sono d'avviso che non convenga fare altri passi, dei quali bisogna che non si abbia sentore perché, in caso diverso, il Ministero si sottrarrebbe difficilmente alla necessità di accettare una intempestiva discussione sovra le sue intenzioni in riguardo alle convenzioni tunisine.

437 1 Vedi D. 417.

438

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 48/16. Belgrado, 22 gennaio 1906 (perv. il 2febbraio).

L'attitudine del rappresentante russo a Belgrado durante la recente controversia austro-serba conferma quanto già scrivevo alla E.V. nel mio rapporto del 18 dicembre

n. 2821 , e cioè, che la influenza russa nei Balcani è ormai scomparsa.

Il sig. Gubastov, seguendo molto alla lettera le istruzioni del conte Lamsdorf, inventore di quei patti di Miirzsteg che hanno innalzata una barriera insormontabile fra il Governo di Pietroburgo e le aspirazioni dei jugo-slavi, non ha creduto potere appoggiare, nemmeno con una parola di simpatia, i diritti sovrani della Serbia, conculcati in malo modo dali' Austria. Da un altro lato, poi, per non rendere qui odiosa la politica del suo Governo, non ha osato nemmeno appoggiare le pretese austriache. Freddo, quindi, e silenzioso si è tenuto in disparte.

Tenersi in disparte in una contesa di così grave carattere che riguarda i due più importanti Stati slavi dei Balcani, è caso senza precedenti nella secolare politica della Russia ed equivale ad una completa abdicazione.

Se si parla a quattr'occhi con gli uomini politici serbi e bulgari circa gli accordi di Miirzsteg, essi non esitano a dirvi: «Noi sappiamo bene quale era il loro vero significato, il loro ultimo fine. La Serbia ali' Austria, la Bulgaria alla Russia. Il conflitto fra Vienna e P est, la guerra dell'Estremo Oriente e la crisi interna della Russia hanno impedita la effettuazione del programma, e ne siamo ben lieti».

Anche in questi paesi la fatale politica della russificazione ad ogni costo, già causa di tanti errori e di tanti mali, ha resa sospetta ogni ingerenza di Pietroburgo.

Bulgari e serbi, per quanto nuovi alla civiltà, si trovano però alle porte del mondo occidentale e ne risentono le influenze. Abituati ormai alla libertà di pensiero e di parola e ad un regime politico nel quale la nazione prende diretta parte al Governo di se medesima, non si rassegnerebbero mai ad un regime interamente autocratico, alla rinuncia delle loro libertà e della loro autonomia nazionale.

Gli esempi della storia ci mostrano come i popoli, che riuscirono ad aggruppare intorno a sé altri popoli per formare un grande impero, ebbero sempre cura di rispettare la religione, la lingua, le tradizioni, i costumi dei sottomessi. La Russia ha tentata altra via, quella della completa e rapida fusione in un tutto omogeneo. Un solo principe, una sola chiesa, una sola lingua, una sola legge.

L'esperimento non è riuscito, ma il timore della russificazione è rimasto sempre una delle cause per le quali, oltre Miirzsteg e le sconfitte dell'Estremo Oriente, la Russia ha qui perduta l'antica influenza.

Pertanto il quesito che si proponevano talvolta i nostri uomini politici dieci anni fa, se cioè valesse meglio avere sui Balcani, e quindi alle nostre porte d'Oriente, austriaci o russi, non ha più ragione di essere. Il quesito ormai deve essere posto diversamente. O la Monarchia austro-ungarica o gli Stati balcanici autonomi.

438 1 Vedi D. 380.

439

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. CONFIDENZIALE 202. Roma, 23 gennaio 1906, ore 19,30.

Al mio telegramma di ieri sera 1 aggiungo, per notizia c norma di lei, che delle trattative in corso con la Francia e l'Inghilterra circa l'Abissinia l'on. Tittoni fece cenno nel colloquio che ebbe a Baden-Baden con Biilow nello scorso ottobre. Biilow lasciò cadere il discorso e non parve a Tittoni che egli desse alla cosa molta importanza2•

440

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 232/20. Asmara, 23 gennaio 1906, ore 17,45.

In conformità delle istruzioni contenute nel dispaccio di V.E. in data 30 dicembre n. 8521 , riterrei opportuno, anche in vista prossimo convegno Borumieda, stabilire seguente linea di condotta circa questione Dancalia. Mantenere impregiudicata questione confine, esigere dal Ncgus, oltre la soddisfazione per gli atti compiuti a

danno dei nostri dipendenti, assicurazioni e garanzie che non saranno più eseguite razzie presso i nostri territori, le quali, in ogni migliore ipotesi, perturbano sempre interessi nostre popolazioni. Ove nuove razzie potessero avvenire, dovendosi ritenerle compiute di iniziativa capi locali contro gli ordini del Negus, riservarsi facoltà di prendere direttamente, dove e come del caso, tutte le misure necessarie a proteggere integrità del nostro territorio e la vita e gli averi delle nostre popolazioni e ciò senza pregiudizio delle altre responsabilità che potessero incombere Governo Etiopia.

Ove VE. approvi tale linea di condotta, la prego di darmene conferma telegrafica2 .

439 1 Vedi D. 433, nota 2. 2 Con T. riservato 250/26 del 24 gennaio, Lanza rispose che nessuno aveva affrontato con lui l'argomento. 440 1 Vedi D. 397.

441

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. RISERVATO 213. Roma, 24 gennaio 1906, ore 24.

Approvo in massima linea condotta proposta da VE. telegramma 20 1 per convegno Borumieda. Quanto lasciare impregiudicata questione confine, siamo d'accordo. Quanto al modo di ottenere questo scopo lascio a VE. giudicare se il migliore sia di non parlame in quanto che il dire espressamente che questione confine si mantiene impregiudicato potrebbe forse riaprirla e dar luogo a pericoli. Quanto a riservarsi facoltà agire direttamente in caso nuove razzie verso Dancalia, trovo ciò prudente e leale, ma sarà bene accennare alle razzie come di eventualità disapprovate da Menelik. Non occorre poi spiegare alla E.V, che così bene conosce condizioni locali e ambiente italiano, come nel valersi eventualmente di questa facoltà, bisognerà usare grande prudenza. È noto a VE. come Menelik sappia agire per mezzo dei suoi capi c come spesso nasconda o scopra la sua responsabilità al momento opportuno dopo che i suoi capi hanno agito. Desidero in tempo conoscere data sua partenza, e, se, prima 31 corrente, si possa pubblicare lettera invito Menelik2 .

2 Per la risposta vedi D. 447.

440 2 Per la risposta vedi D. 44!.

441 1 Vedi D. 440.

442

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 249/25. Berlino, 24 gennaio 1906, ore 17,35.

Mi riferisco telegramma di V. E. n. 145 1•

Miilhberg, per ordine del Cancelliere dell'Impero, mi ha detto ieri sera essere stato codesto ministro di Prussia presso la Santa Sede istruito nel senso di dichiarare che il Governo imperiale non può appoggiare desiderio della Curia Romana di partecipare alla Conferenza internazionale dell' Aja.

V.E. vorrà considerare in questa decisione del Gabinetto di Berlino il desiderio di fare a noi cosa gradita, poiché ragioni di politica interna lo avrebbero indotto invece ad adottare attitudine diversa.

443

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 256/6. Algeciras, 24 gennaio 1906, ore 17 (perv. ore 21,40).

Seduta odierna terminato esame regolamento contrabbando armi che determina un sistema di penalità basato su di una ordinanza inglese in materia di contrabbando armi, e per il quale ritengo occorrerà approvazione Parlamento. Tale riserva del resto è già stata fatta dai delegati.

Per l'ultimo articolo, che stabiliva il principio che nella regione frontiera fra l'Algeria ed il Marocco applicazione regolamento era esclusivamente affidato a Francia, proposi alla Conferenza, che l'ha accettata senza alcuna obiezione, una modificazione per mettere in chiaro che lo stesso principio è riconosciuto anche per le regioni frontiera dei possedimenti spagnuoli al Marocco. Ho creduto così assecondare un desiderio della delegazione spagnola, dopo di avere consultato il delegato germanico 1•

443 1 Per la risposta vedi D. 445.

442 1 Vedi D. 427.

444

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO A CETTIGNE, CUSANI CONFALONIERI

DISP. RISERVATO 3880/7. Roma, 24 gennaio 1906.

Ho ricevuto il rapporto di VE. in data 6 gennaio, n. 13/3 1 , avente per oggetto: «Concorrenza commerciale fra l 'Italia e l'Austria al Montenegro».

Nel ringraziarla per i ragguagli fornitemi, mi è grato assicurarla che approvo i concetti da lei espressi e che mi propongo di assecondare, nel miglior modo, le iniziative di V.S.

Quanto al cav. Rezzani, mi riservo di rispondere a VE. con separato dispaccio.

445

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 226. Roma, 25 gennaio 1906, ore 23,15.

Ringrazio per notizie comunicatemi con telegramma n. 61 , circa regolamento contrabbando armi, e segnatamente circa emendamento opportunamente suggerito da VE. per frontiera possedimenti spagnoli. Confido sempre ottima preziosa sua salute.

446

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 278/7. Algeciras, 26 gennaio 1906, ore 12,16 (perv. ore 18,50).

Dopo contrabbando armi, discutiamo questione imposte. Seguiremo così programma saviamente adottato dal presidente della Conferenza, il quale si propone lasciar tempo perché, frattanto, possano prepararsi le soluzioni delle due questioni difficili della Banca e della polizia. Ma sino jeri questa preparazione non aveva fatto

445 1 Vedi D. 443.

cammino. I delegati germanici credevano che i delegati francesi avrebbero portato le loro proposte sulle due questioni. Ma questi si erano finora chiusi nella più assoluta riserva; questa situazione non poteva prolungarsi senza inconvenienti. Dopo un'intesa con l'ambasciatore di Germania, ho, dunque, creduto opportuno insistere presso il delegato francese, perché i delegati germanici e francesi avessero tra loro una trattativa diretta ed una franca spiegazione sulle basi seguenti: l) le questioni della Banca e quella della polizia sarebbero considerate inseparabili per poter offrire campo più grande a reciproci compensi; 2) sarebbe scambievole intesa, almeno sottintesa, la disposizione del delegato francese a dipartirsi nella questione polizia dal programma francese e ad esaminare una transazione. Dopo qualche esitazione, tra il Révoil ed il Radowitz, vi fu oggi un primo colloquio. Non se ne poteva aspettare un risultato positivo, ma nulla vi fu compromesso. Le difficoltà non sono piccole: spero che si potranno superare. Ambasciatore di Germania mi ha vivamente ringraziato uffici prestati. In questi uffici ho proceduto d'accordo con [ ... ] 1 colla efficace collaborazione del mio collega degli Stati Uniti2 .

444 1 Vedi D. 409.

447

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTIN!, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 280/23 1 . Asmara, 26 gennaio 1906, ore 18.

Non fu mai mio intendimento di proporre a Menelik che questione confini rimanesse impregiudicata: pensai che per mantenerla impregiudicata dovesse non sollevarsi secondo le stesse istruzioni di V.E., alle quali mi riferii nel mio telegramma del 23 corrente2 . Così circa questioni, metodi, scopi accennati nel telegramma n. 213, il mio pensiero è interamente conforme al pensiero dell'E.V. È poi da tener conto che una delle ragioni che inducono Menelik al suo viaggio nel nord è appunto di dare assetto alle province limitrofe alla nostra colonia, in modo che i fatti lamentati non si rinnovino. Segue rapporto3 .

446 1 Nota del documento: «Manca la parola». 2 Per la risposta vedi D. 450

447 1 Risponde al D. 441. 2 Vedi D. 440. 3 Vedi D. 451.

448

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 287/8. Algeciras, 26 gennaio 1906, ore 20,25 (perv. ore 7 del 27).

L'ambasciatore degli Stati Uniti ha confidenzialmente portato a mia notizia una comunicazione fatta a Washington dal Gabinetto di Berlino intorno alla Conferenza di Algeciras e, particolarmente, intorno polizia al Marocco. Ho avuto dubbio che si trattasse della stessa fatta a VE. dall'ambasciatore di Germania nel giorno precedente alla mia partenza da Roma, perché simile ne era il tenore. Ad ogni modo, prego VE. accertarmi, se dopo di allora, ella ha ricevuto una nuova e recente comunicazione dal Governo germanico sull'argomento 1•

449

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 57/23. Pietroburgo, 26 gennaio 1906 (perv. il r febbraio).

Come già ho avuto a constatare nel mio carteggio con codesto R. Ministero, si sta da qualche tempo manifestando n eli' opinione pubblica di questo paese una sempre crescente tendenza, di cui si resero ripetutamente eco i principali organi di questa stampa, verso lo scioglimento dei vincoli presentemente esistenti tra la Russia e l'Austria rispetto alle cose balcaniche. Queste disposizioni si sono ancora particolarmente accentuate in questi ultimi giorni davanti alla politica aggressiva, e così manifestamente contraria agli interessi dei popoli slavi nei Balcani, seguita dal Gabinetto di Vienna nell'incidente relativo alla progettata unione doganale serbo-bulgara.

La politica di riavvicinamento ali' Austria nelle questioni balcaniche, iniziata di già sotto i Ministeri di Lobanov e di Muraviev, ma che raggiunse il suo punto culminante sotto il conte Lamsdorf, il quale giunse fino a tramutarla in una vera comunanza di azione delle due potenze, per quanto ha tratto specialmente la Macedonia, non fu mai accetta alla grande maggioranza del pubblico russo, sempre un po' imbevuto di idee slavofile, e che nelle recenti ambizioni e tendenze preponderanti dimostrate dali' Austria in Oriente, scorgeva in questa, anziché un'alleata, una rivale della Russia. Il conte Lamsdorf non parve finora far molto caso di queste disposizioni dello spirito pubblico, orientando sempre più la sua politica nelle acque austriache.

Ora però che l'indebolimento derivante alla Russia da una guerra disastrosa e dalle critiche sue condizioni interne, rende sempre più manifesti i pericoli derivanti per essa dalla continuazione di questo stato di cose e le voci condannanti l'intesa austrorussa si fanno qui sempre più vivaci e insistenti.

L'instaurazione di un nuovo regime liberale in Russia, ammesso ben inteso che le promesse contenute nel manifesto imperiale dell' 11 ottobre abbiano ad avere intera esecuzione, è pure destinato ad avere da quel lato una notevole influenza. Alla nuova Duma del! 'Impero, come è risaputo, è riservato pure un certo controllo su tutta la politica governativa, non essendo esclusa quella estera, né potrà quindi il conte Lamsdorf, nel caso in cui-cosa di cui molti dubitano-egli dovesse ancora rimanere al potere, continuare, in una questione di tanto interesse per il paese, ad andare impunemente contro alle correnti nazionali, che troveranno senza dubbio ne li'Assemblea elettiva validi ed efficaci difensori.

448 1 Per la risposta vedi D. 450.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 233. Roma, 27 gennaio 1906, ore 12,45.

Ho ricevuto i telegrammi nn. 71 e 82 .

Ne ringrazio V.E. compiacendomi vivamente del risultato già ottenuto nell'opportuna sua opera di conciliazione tra i delegati di Francia e di Germania per le questioni della Banca e della polizia. Circa questa seconda questione io non ebbi dall'ambasciatore di Germania altra comunicazione dopo quella che comunicai a V.E. la vigilia della sua partenza.

450 1 Vedi D. 446. 2 Vedi D. 448.

451

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO URGENTE 606/60. Asmara, 27 gennaio !906 (perv. il 18 febbraio).

Facendo seguito al mio telegramma del 26 corrente 1 , ho l'onore di rispondere più diffusamente al telegramma di V.E. n. 213 relativo alla questione dancala2 .

Col mio telegramma n. 20, del 23 corrente3 , esprimendo il concetto di lasciare impregiudicata la questione del confine, pensavo anch'io che il modo a ciò più opportuno era quello di non sollevarla da parte nostra, secondo appunto era detto nel dispaccio di V.E. n. 852 del 30 dicembre4 , alle cui conformi istruzioni espressamente mi riferivo nel principio del mio telegramma.

Occorre però contemplare anche il caso in cui la questione possa essere sollevata da Menelik: pure in questo caso, sempre secondo le istruzioni di V.E., dovrebbe cercarsi di mantenerla, per quanto è possibile, impregiudicata: e all'uopo il miglior mezzo sarà quello di evitare ogni formale discussione, eludendo la necessità di fare esplicite dichiarazioni. Ma, qualora Menelik tali esplicite dichiarazioni richiegga, e ad esse subordini il suo ulteriore atteggiamento nella sistemazione dell'intera questione dancala, e nell'ipotesi che non riesca a noi possibile o conveniente sfuggirvi; devesi o no da parte nostra fare adesione alle pretese del Ncgus, circa la linea dei 60 chilometri, come limite dei nostri possedimenti, riconoscendo la sovranità etiopica su tutti i territori posti al di là? Prego l 'E.V. di voi ermi impartire per telegrafo esplicite istruzioni in proposito.

Lasciata, per quanto è possibile, impregiudicata la questione del confine, sia che, non venendo in nessun caso sollevata da noi, non sia neppure sollevata dal Negus, sia, in quest'ultimo caso, che si riesca ad eluderla; oppure anche nella dannata ipotesi, che venendo sollevata dal Negus, sia mestieri risolverla conforme agli intendimenti di lui; in ogni caso sarà necessario ottenere una sistemazione che garantisca i territori e le popolazioni, di fatto o di diritto, da noi dipendenti.

Queste e quelli principalmente minacciano le razzie che possano compiersi dai capi etiopici, sia vengan esse compiute di esclusiva iniziativa di questi, che per ordini dissimulati o con la tolleranza del Negus. E ciò non solo nel caso, meno probabile, che le razzie avvengano nei territori o contro le popolazioni, di diritto o di fatto, da noi dipendenti, ma anche nel caso che siano dirette nei territori o contro le popolazioni, di diritto o di fatto, dipendenti dall'Etiopia, ma adiacenti alle nostre.

E infatti anche in quest'ultimo caso noi veniamo a risentimc grave pregiudizio: sia perché nei territori etiopici vengono spesso per ragioni di pascolo a trovarsi frammiste ai bestiami delle popolazioni locali quelli di tribù vicine da noi dipendenti; sia

451 1 Vedi D. 447. 2 Vedi D. 441. 3 Vedi D. 440. 4 Vedi D. 397.

inoltre perché dinanzi all'avanzare delle razzie le popolazioni atterrite fuggono a cercar scampo nei nostri territori: il che, oltre al perturbamento che reca alla tranquillità della regione, oltre al disagio che ne risentono le nostre popolazioni, oltre agli oneri che, per sentimento di umanità, deve sopportare il Governo per soccorrere i fuggiaschi rimasti privi di ogni avere, costituisce una grave minaccia all'integrità dei nostri territori e alla sicurezza delle nostre popolazioni, poiché, nella foga dell'inseguimento, è naturale avvengano violazioni dei nostri diritti, anche se non preordinate e volute.

Perciò appunto è necessario che le garanzie che noi vogliamo ottenere dal Negus si estendano non solo al caso di razzie dirette espressamente contro di noi, ma anche alle altre ora accennate; e a queste seconde specialmente mi riferivo nel mio telegramma del 25 corrente5 . E se certo non è facile far comprendere al Negus sottili distinzioni di diritto internazionale, quali pure per convenienza di trattazione ebbi a svolgere in miei precedenti rapporti, e se non si potrà, in base ad astratti principi umanitari, contestargli quello che egli ritiene suo indiscutibile diritto di razziare le popolazioni da lui dipendenti, parmi non impossibile, per le valide ragioni suaccennate, e anche a lui facilmente accessibili, fargli convenire che, in base ai meri sentimenti di amicizia e ai rapporti di buon vicinato, è necessario egli limiti l'esercizio di tale suo presunto diritto nei casi testé accennati, in cui noi siamo interessati direttamente e materialmente.

Quanto alle garanzie che da noi dovrebbero richiedersi parmi possano essere le seguenti: l) l'assicurazione e la proclamazione da parte del Negus che egli disapprova e proibisce, oltre che, naturalmente, le razzie nei nostri territori ed a danno delle nostre popolazioni, anche quelle presso i nostri territori, com'era detto nel mio citato telegramma; 2) con la sconfessione e l'eventuale punizione dei capi che si siano già resi colpevoli di tali atti, possibilmente insediare, nelle regioni da cui ordinariamente muovono le razzie, capi a noi non sgraditi e che diano affidamento di rispettare gli ordini imperiali nel senso suespresso salvo al Negus di adottare le altre misure necessarie per assicurarsene l'adempimento; 3) all'occorrenza, vale a dire quando, ciò non pertanto, razzie potessero compiersi contro gli ordini del Negus e ferma in ogni caso la responsabilità di quest'ultimo, riservarci la facoltà di prendere direttamente, dove e come del caso, tutte le misure necessarie a proteggere l'integrità del nostro territorio, la vita e gli averi delle nostre popolazioni: intendendo con questo alludere non soltanto al caso di un'azione repressiva, ma anche e specialmente a quello di un'azione semplicemente difensiva, la quale, per condizioni di luoghi (posti [sic] d'acqua, nodi stradali, ecc.), non può in alcuni casi efficacemente esplicarsi se non uscendo dai limiti dei nostri territori.

Su quest'ultimo punto l'E.V. nel suo telegramma, mi muove alcune osservazioni. Anzi tutto, che a tal proposito sia bene accennare alle razzie come di eventualità disapprovate dal Negus. Ma a ciò si provvede col primo punto che era già accennato nel mio precedente telegramma; e nel mio telegramma stesso già premettevo che la facoltà da noi richiesta aveva il suo presupposto nella disapprovazione del Negus alle razzie «dovendosi ritenerle compiute di iniziativa dei capi locali, contro gli ordini del Negus». L'E.V. osserva poi come Menelik sappia agire per mezzo dei suoi capi e come spesso nasconda o scopra responsabilità al momento opportuno, dopo che i suoi capi hanno agito. Ma appunto ad evitare tale giuoco, che potrebbe sempre sussi

stere con le semplici garanzie di cui è oggetto il punto primo, si provvede col riservarci la facoltà di cui è parola al punto terzo. L'E.V. raccomanda infine che di tale facoltà debba usarsi con grande prudenza. Su ciò sono pienamente d'accordo con VE., da cui in ogni caso, salvo di urgenza assoluta, attenderei formale autorizzazione, volta per volta; esprimendo fin d'ora il proposito che non converrebbe far ricorso a quell'estremo, specialmente in via di repressione, se non in qualche caso eccezionale, in cui le circostanze si presentassero a noi particolarmente favorevoli.

Spero che con tali delucidazioni l'E.V. vorrà approvare, anche nei suoi particolari, la linea di condotta già propostale col mio telegramma citato e da lei già in massima approvata con quello cui mi onoro rispondere; la quale mi appare l'unica possibile e pratica allo stato attuale delle cose. Le sarò particolarmente grato se si compiacerà comunicarmi le sue determinazioni per telegrafo6 .

451 5 In realtà si tratta del T. del 23 di cui alla nota 3.

452

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

L. PERSONALE. Vienna, 2 7 gennaio 1906.

La questione della quale si occupa lo scritto che l'E.V. si compiacque farmi rimettere per mezzo del comm. Luciolli venne già da me trattata nei vari rapporti diretti in proposito al suo predecessore ed a lei stesso.

Gli argomenti addotti dall'autore di quello scritto per provare che i nuovi trattati di commercio stipulati dal Governo imperiale e reale cogli Stati esteri non potrebbero, giusta la costituzione ungherese, esser messi in vigore nella Transleitania senza l'approvazione del Parlamento ungherese sono del tutto fondati in diritto. E su tali argomenti appunto si basa la coalizione per negare qualsiasi valore ai trattati se la loro esecuzione dovesse aver luogo senza l'adempimento di quella formalità.

Però la questione di cui si tratta è in sostanza una questione più tosto di diritto interno della Monarchia che di diritto pubblico internazionale.

Infatti all'Italia ed alla Germania, siccome questa già dichiarò per ciò che la riguarda, poco importa se i nuovi trattati siano o no approvati dal Parlamento ungherese. Quello a cui entrambi i Governi debbono tenere si è che siano messi in vigore nella Monarchia alla data prestabilita. E ciò avverrà in Austria dopo l'approvazione che a quei trattati sarà data dal Rcichsrat alla sua riapertura indetta per il 30 corrente ed in Ungheria mediante la semplice ratifica sovrana, che terrà luogo di quell'approvazione, a quanto mi fece conoscere personalmente il conte Goluchowski e venne reso noto da un recente comunicato ufficioso (rapporto n. 68 del 16 corrente) 1•

452 1 Non pubblicato.

Certamente la coalizione non tralascierà in Ungheria di rivolgere al Governo le più vive proteste, per quest'atto che reputa illegale, ma essa non sarà malcontenta di vedere attuare quei patti senza impegnare la propria responsabilità e colla facoltà che le rimarrà di servirsi di ciò per la sua polemica politica, mentre sarebbe impicciata ad agire altrimenti se si trovasse in condizione di intervenire. Essa non ignora infatti i gravi danni che potrebbe subire l'Ungheria se dovesse interrompere le sue relazioni commerciali coll'Italia e la Germania e come di questi danni si siano resi interpreti a più riprese i vari circoli economici del Regno nel fare vive istanze presso il Governo al fine di assicurare l'esecuzione dei nuovi trattati di commercio. Del resto ove la riconciliazione fra la Corona e la coalizione avvenisse, il Parlamento ungherese, pur protestando contro il modo illegale di procedere del Governo e facendo le debite riserve, non esiterebbe ad approvare i nuovi trattati.

Non credo quindi che tale questione possa formare oggetto di preoccupazioni da parte del R. Governo almeno se devesi tener conto delle dichiarazioni suddette del conte Goluchowski.

Gli attacchi rivolti dalla stampa austriaca ed ungherese contro la persona del ministro imperiale e reale degli affari esteri e contro la sua politica orientale sono stati oltremodo vivaci; essi non hanno scosso, per ora almeno, la sua situazione, ma questa potrebbe divenire incerta se si riuscisse a trovare una via per addivenire ad una riconciliazione fra il Sovrano ed il partito della coalizione. Sarebbe da desiderare nel nostro interesse che anche in tal caso il conte Goluchowski possa rimanere al Ballplatz, giacché egli si è sempre dimostrato disposto ad eliminare ogni difficoltà e ad intrattenere con noi i più amichevoli rapporti.

Ove tale speranza si realizzasse l'E.V. giudicherà forse opportuno di esaminare se non le convenga d'incontrarsi col conte Goluchowski per procedere con esso ad uno scambio d'idee circa le varie questioni politiche che più ci stanno a cuore. Tale incontro, oltre ad essere utile ai nostri reciproci rapporti, produrrebbe un'eccellente impressione sull'opinione pubblica di entrambi i paesi ed avrebbe poi la salutare influenza di dissipare quelle erronee voci che di quando in quando vengono divulgate dalle rispettive stampe circa la poca stabilità di quei rapporti stessi.

Nel restituirle, qui unito, lo scritto suddetto ... 2 .

451 6 Per la risposta vedi D. 531.

452 2 Annotazione del di San Giuliano: «Per Mal vano. Prego modificare come crede la bozza di risposta in calce». La lettera venne inviata senza modifiche e con una sola aggiunta di mano dello stesso di San Giuliano: vedi D. 461.

453

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 28 gennaio 1906, ore 21,30.

Da Mogadiscio viene segnalata notizia nuova discesa Amhara lungo Scebeli. Credo notizia non fondata ma sono preoccupatissimo di questa minaccia al Benadir e la prego di parlare subito con Menelik affinché dia immediati ordini capi confini di astenersi da qualunque avanzata verso quelle regioni, rappresentandogli il pericolo e l'effetto morale disastroso prodotto dall'ultimo movimento Amhara che doveva limitarsi alle regioni verso Lugh e nell'alto Uebi Scebeli ed entrò invece in contatto con le popolazioni del Benadir. Non è concepibile nelle attuali relazioni tra Italia ed Etiopia mentre Menelik sta per incontrarsi con Governatore Eritrea che popolazioni hinterland Benadir siano razziate da soldati Amhara comandati da capi del Negus3 .

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 256. Roma, 29 gennaio 1906, ore 14,40.

L'ambasciatore di Francia mi ha chiesto se avevo letto la notizia apparsa in parecchi giornali, che l 'Italia avrebbe assunto la direzione della polizia nel Marocco. Mi limitai a dirgli la notizia non essere vera. Non ho creduto di accennare a nostro eventuale proposito nel caso che l'offerta ce ne fosse fatta da entrambe le parti, né di fargli sapere che l'offerta ci era stata fatta dalla Germania.

L'ambasciatore Barrère mi ha pur fatto sapere che a suo tempo ci chiederà di rinunciare alla fabbrica d'armi di Fez, affermando essergli ciò stato quasi promesso da Prinetti.

Di questa quasi promessa non si ha traccia negli atti. Essendo indi venuto da me il consigliere dell'ambasciata di Germania, questi mi lesse un telegramma confidenziale di Biilow a Monts in cui il Governo tedesco dice che accetterebbe la proposta svolta dal sig. Lanessan nel Siècle del 24 corrente, secondo la quale l'organizzazione della polizia si affiderebbe al Sultano fornendogli i mezzi pecuniari sotto controllo internazionale.

2 Trasmesso via Asmara.

3 Per la risposta vedi D. 458.

453 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 184.

455

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 321-322/9-10. Algeciras, 29 gennaio 1906, ore 19,30 (perv. ore 22,30).

[9] Le prime conversazioni dirette fra i delegati germanico e francese sulla questione Banca di Stato al Marocco condotte con reciproca franchezza cominciano inspirarmi la fiducia che, superate alcune difficoltà, la delicata posizione potrà essere composta.

[10] Oggi seduta di Comitati si sono ancora discusse le questioni di riforme di imposte e le proposte dei delegati marocchini che in parte sono inaccettabili in parte si riferiscono argomenti di poca importanza. Ho proposto alla Conferenza, che ha accettato, di non occuparsi che di quelle imposte le quali possono dare un risultato apprezzabile e di cui si può con qualche sicurezza riscontrare la percezione rimandando eventualmente alle riunioni Corpo diplomatico Tangeri, finita Conferenza, l'esame delle minute questioni puramente tecniche e non suscettibili di alcuna questione di principio.

456

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. CONFIDENZIALE 1 . Vienna, 30 gennaio 1906.

In una conversazione familiare ch'ebbi ieri col conte Goluchowski, dopo il pranzo al quale avevami invitato, egli accennò al conflitto sorto fra l'Austria-Ungheria e la Serbia in seguito all'accordo doganale stipulato colla Bulgaria e, nel premettere che non era sua intenzione di fame oggetto di alcuna osservazione, mi disse, in via confidenziale, che, dalle informazione pervenutegli dal ministro imperiale e reale in Belgrado, risultava come il marchese Guiccioli si fosse comportato durante le varie fasi che avevano preceduto quel conflitto in modo «strano» e piuttosto ambiguo, facendo quasi nascere il dubbio, col linguaggio da lui tenuto poco favorevole alla linea di condotta seguita nel medesimo dal Governo imperiale e reale, che il R. Governo avesse avuto mano, in certa guisa, al riavvicinamento avvenuto fra la Serbia e la Bulgaria ed alla stipulazione dell'accordo doganale. Il conte Goluchowski aggiunse che era però più che persuaso che il marchese Guiccioli, nell'agire così, non si fosse conformato

alle proprie istruzioni, giacché sapeva come il R. Governo avesse tenuto nella questione l'atteggiamento più corretto; credeva piuttosto che a ciò fosse provenuto in seguito al criterio poco esatto ch'egli si era forse fatto del vero stato di cose in Serbia.

Replicai al conte Goluchowski ch'io ero sorpreso di quanto mi aveva detto, perché conoscendo intimamente da lunga data il marchese Guiccioli come persona coscienziosa ed animata dai migliori sentimenti, mi sembrava quasi improbabile che si fosse comportato contrariamente alle istruzioni del R. Governo e supponevo che, nel riferire le conversazioni da lui avute, si fosse incorso in qualche esagerazione, o che queste fossero state riprodotte erroneamente. Però io non potevo che confortarlo nella persuasione che aveva, essendo intenzione de li' E. V. di non ingerirsi in questioni siffatte, ma di tener di fronte al Governo imperiale e reale la condotta più leale ed amichevole, aliena dal sollevare equivoci ed improntata agli intimi rapporti che era suo fermo proposito di intrattenere con esso.

Il conte Goluchowski mi fece quindi conoscere che un uguale contegno era stato tenuto pure dal ministro di Russia, noto per le sue disposizioni poco favorevoli verso l'Austria-Ungheria, il quale si era inoltre adoperato ad eccitare, nella questione suddetta, il Governo serbo contro il Governo imperiale e reale.

In una conversazione che il sig. Gubastov aveva avuto col ministro di AustriaUngheria a Belgrado egli aveva evitato, di fronte alle osservazioni da questo fattegli, a sconfessare il contegno statogli generalmente attribuito, che era in completa opposizione alle dichiarazioni franche ed amichevoli fattegli pervenire dal conte Lamsdorf, il quale si era comportato nella questione con la massima correttezza.

Per quanto sia per me increscioso di dover riferire ali'E.V. le cose dettemi dal conte Goluchowski, non credo tuttavia di potermi esimere dal farlo, avendomi egli fatto intendere ch'ella ne fosse informata in via privata.

456 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto e privo dell'indicazione della data di arrivo.

457

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 75/22. Belgrado, 30 gennaio 1906 (perv. ill6febbraio).

A meglio spiegare la genesi del conflitto doganale austro-serbo, è necessario indicare le cause per le quali, malgrado le previsioni dell'universale, malgrado lepretese dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio e dal ministro degli esteri (vedi mio rapporto 14 corrente, n. 8)1 al corrispondente della Neue Freie Presse e che accennavano ad una completa dedizione, questo Ministero, sorto sette mesi fa sotto gli auspici della legazione austro-ungarica per disfare la politica bulgarofila del Pasié, abbia trovato in sé la volontà e l'energia per fronteggiare il potente vicino.

Queste cause, almeno le principali, furono tre.

La rivolta negli animi di un popolo interamente avverso, meno rare eccezioni non disinteressate, a subire indefinitamente la soggezione austriaca e offeso dal torrente di minacce e di ingiurie della stampa officiosa austro-ungarica.

L'azione abile ed energica di questo agente bulgaro, sig. Rizov, uomo di meravigliosa attività pel trionfo dei suoi ideali, e di non comune ingegno.

Finalmente, in speciale modo, la mancanza di tatto del Gabinetto di Vienna, il quale avrebbe ottenuto una facile e completa vittoria se avesse accettate le proposte che il Governo serbo gli aveva fatto sia direttamente che per mezzo dei suoi delegati a Vienna. Esse, come scrissi più volte, consistevano nell'impegno solenne di modificare nella convenzione serbo-bulgara, dopo opportuno esame, qualsiasi disposizione poteva ledere gli interessi austro-ungarici e creare ostacoli al trattato commerciale che si stava negoziando. Il Governo imperiale e reale rispose a ciò con un reciso rifiuto, pretendendo che il Governo serbo promettesse fin d'ora, per iscritto, di accettare incondizionatamente qualsiasi modificazione piacesse ali' Austria chiedere, senza nemmeno una indicazione sommaria della loro natura ed importanza.

Nel mio rapporto del 21 corrente, n. 152 , io scrivevo tutto ora ridursi a quistione di modalità facile a risolvere se a Vienna si fosse usata un poco di moderazione e non si volesse stravincere. Invece si volle stravincere perché, più che ad una vittoria commerciale praticamente utile, si mirava ad un trionfo politico clamoroso, cioè la sottomissione completa della Serbia senza nemmeno gli onori della resa.

Ma il Governo di Vienna è andato troppo oltre, perché male informato delle condizioni degli animi, perché dimentico che dieci anni sono trascorsi e che né la Serbia né l'Austria sono più quelle di prima.

Se il Ministero Stojanovié avesse ceduto su tutta la linea sarebbe stato sicuro di cadere ignominiosamente alla riapertura della Skupchtina. La lotta per la vita gli ha infuso nelle vene quel coraggio di cui forse mancava. Ciò non toglie che a Vienna si crede non aver ancora perduta la partita, perché si crede poter contare sulla piccola camarilla di Corte e sopra alcuni dei vecchi arnesi, di cui si servivano i re Milan ed Alessandro per imporsi colla violenza alla volontà del popolo serbo. Insomma si spera in una specie di colpo di Stato con relativo scioglimento della Skupchtina e formazione di un Ministero di uomini pronti a tutto, i Vladan Georgevié, i Vukascin Petrovié, gli Avakumovié ecc., tutta gente rimasta ora completamente nell'ombra.

Non credo che un piano di tal genere potrebbe riuscire o, riuscito, durare. I tempi sono cambiati e il Re attuale non sembra disposto a mettersi audacemente per una via di tal fatta, che condurrebbe in breve alla rivoluzione e al sangue.

457 1 Non pubblicato.

457 2 Vedi D. 434.

458

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 343112. Addis Abeba, 31 gennaio 19062.

Rispondo al telegramma n. 251 3 .

Degiac Lugh Seghet è qui da oltre venti giorni, reduce da regioni confinanti col Benadir, sicché suppongo che razzie segnalate devono riferirsi ad almeno due mesi fa, e per esse già mossi lagnanze a Menelik, che sostenne essere avvenute in territorio Etiopia, perché non oltre confine da noi accettato. Ed a prova suo mantenimento promessa, fecemi rimarcare che Lugh è sempre rispettato dalla sua gente. Ora mi reco a Ghenet, ove è Menelik, per parlargli nel senso ordinatomi.

459

L'AMBASCIATOREA VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 227/128. Vienna, 31 gennaio 1906 (perv. il 6 febbraio).

Siccome l'E.V. ne sarà stata informata dal r. consolato generale in Trieste, l'inaugurazione del monumento a Giuseppe Verdi, colà avvenuta di questi giorni, ha dato luogo a manifestazioni irredentiste ed a conflitti fra la polizia e la popolazione, che a quanto si afferma, non hanno mancato di impressionare il Governo centrale, inducendolo a prendere misure atte a garantire la pubblica tranquillità.

Prima e principale fra queste fu l'avocazione al Governo, e per esso ad un suo funzionario, denominato imperiale e reale consigliere di luogotenenza, degli affari dcii'autorità politica di prima istanza finora trattati dal magistrato civico di Trieste, come pure le aziende affidate al Comune, inerenti alla sorveglianza scolastica distrettuale, e ciò in base al paragrafo 128 della costituzione di Trieste, ove il caso di una simile avocazione è appunto contemplato.

A consigliere luogotenenziale fu nominato il cav. L. Fabiani e a suo supplente il dott. de Fabrizi.

Lo Statthalter, principe Hohenlohe, si recò personalmente dal podestà a comunicargli la misura presa ed il podestà ne diede informazione al Consiglio comunale, ove un vivace dibattito ebbe luogo in proposito. In seguito il podestà ordinò l'affis

2 Trasmesso via Asmara il l o febbraio.

3 Vedi D. 453.

sione di un manifesto in cui nel partecipare alla cittadinanza la disposizione presa dal Governo, se ne fa una severa critica e si formula contro di essa una protesta.

La Zeit osserva, a questo riguardo, che la misura governativa è giustificata dalle preoccupazioni che le condizioni politiche della città di Trieste destavano da qualche tempo sul Governo centrale, tra cui quella che in caso di mobilitazione si sarebbero incontrate a Trieste delle difficoltà. Il predetto giornale aggiunge che altre misure si starebbero preparando e specialmente in riguardo al Lloyd e allo Stabilimento tecnico. Per quanto concerne il Lloyd, il Piccolo di Trieste fa correre la voce che il Governo intenda trasferirne la sede da Trieste a Vienna.

458 1 Ed. in MARTIN I, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 187-188.

460

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO PERSONALE. Asmara, 31 gennaio 1906.

Facendo seguito al mio rapporto riservato-personale n .... del 26 volgente2 mi è d'uopo di richiamare l'attenzione dell'E.V. sulla singolarità delle condizioni nelle quali cominciano a trovarsi e a svolgersi i nostri rapporti politici con l'Impero etiopico. Potrà sembrare strano che questo impulso a far notare a VE. le anormalità della situazione politica nostra in Etiopia e di fronte all'Imperatore e di fronte alle altre potenze che sono ad Addis Abeba rappresentate, sorga in me proprio nel momento nel quale un convegno col Negus, convegno però del quale la data e le modalità di attuazione mi sono ancora ignote, dovrebbe coronare la lunga opera di pace e di amicizia cui, con la piena approvazione del Governo reale, attendo da ben otto anni. Per quanto salde però siano state finora le nostre buone ed amichevoli relazioni con l 'Imperatore, e per quanto sia da sperarsi che il convegno, dato che avvenga, e il fissarsi di interessi nostri in Etiopia siano per rafforzarle sempre più, è innegabile che il momento attuale comincia a caratterizzarsi come assai grave per la situazione internazionale europea in Etiopia e tale che avvisare ai modi di riprendere e condurre sollecitamente a termine quegli accordi internazionali che valgano a garantir l'avvenire mi sembra opera di elementare prudenza. Vero è che questi accordi, già cominciati da un anno, sono proseguiti sempre fiaccamente perché l'essere essi stati affidati ai ministri residenti ad Addis Abeba li ha pregiudicati anziché renderli più spediti e perché da mille sintomatici segni è lecito arguire che l'Inghilterra, cui ogni vasto sogno in Etiopia è ormai possibile e per la preponderanza acquistata con l'istituzione della Banca etiopica, da noi primi ideata e caldeggiata e dagli altri attuata, e per i successi della sua politica imperiale, è restia ad ogni accordo che le renda la mano meno libera in un avvenire non molto lontano in questo meraviglioso paese. Ho sufficienti ele

2 Non pubblicato.

menti di fatto però per ritenere che la linea di condotta politica che il sig. Harrington segue ad Addis Abeba è in buona parte sua personale o inspirata dal Governo del Sudan, dal quale egli dipende direttamente, anziché dal Foreign Office dove certo si ha una concezione più larga dell'importanza che per la politica generale inglese ha l'elemento dell'amicizia italiana.

Occorre premettere che la situazione generale d'Etiopia quale ebbi per incidenza l'onore di esporla a V.E. nel citato rapporto n .... relativo alle tribù dei Biru e dei Teru, non solo non sembra suscettibile di cessare o di mutarsi ma tende ogni giorno più ad aggravarsi e a divenire pericolosa per i possedimenti europei dei quali precipua c più minacciata parte sono quelli italiani. Torna opportuna, a dimostrazione del mio assunto, la menzione delle razzie amhara che si minacciano in questi giorni dal territorio dello Scebeli verso i nostri possedimenti dell'Oceano Indiano.

E a chi ben consideri l'andamento delle cose etiopiche tanto prima che dopo la battaglia di Adua non può non apparire logico e naturale il fenomeno di espansione abissina che nel citato rapporto n .... ho segnalato. Troppe ambizioni personali di grandi capi, troppa debolezza del Governo imperiale di fronte ai ras e ai degiazmacc di frontiera, troppi intrighi della Corte etiopica e infine troppe cause economiche ed imperiosamente esigenti concorrono a far sì che quell'era di razzie che per un momento sembrò chiusa dopo la battaglia di Adua perché il prestigio della vittoria soccorreva agli atteggiamenti sinceramente e lealmente umili di Menelik, si riapra ora e tenda a turbare profondamente la pace e la tranquillità dei possedimenti europei sul mare e di quelli italiani in special modo. E quando io considero, né temo in ciò d'ingannarmi, che non è improbabile che la tendenza etiopica a riaprire l'era delle incursioni e delle razzie nell'hinterland del Benadir e di Assab non può avere la sola spiegazione nei fattori economici che la determinano ma fondatamente è da ritenersi che si appoggi anche sulle simpatie o sulle tolleranze brittanniche che forse una troppo personale politica del ministro inglese di Addis Abeba ha lasciato intravedere o indovinare, traggo argomento a sconfortanti conclusioni sull'avvenire di quei nostri possedimenti dell'Oceano Indiano o fors'anco di quelli dancalici qualora la nostra azione politica non entri per ciò che riguarda le nostre colonie, in un periodo di opera più rigorosa e fattiva. Non mi dissimulo che quanto io accenno sopra la possibilità di celati incoraggiamenti inglesi alle violazioni amariche del nostro territorio dell'Oceano Indiano è assai grave e potrebbe in stretta via diplomatica trovar molte inoppugnabili smentite. Quando constato però che tutta l'opera dei nostri agenti amministrativi e consolari non fa che ripetutamente e insistentemente segnalare gli intrighi inglesi a nostro danno e in Eritrea e nella Somalia: e rifletto che gli agenti inglesi hanno la chiara visione delle difficoltà di politica interna, derivanti dalla impreparazione dell'opinione pubblica italiana, che si opporrebbero ad una energica riscossa italiana contro aspirazioni abissine ad aprirsi una via alla costa: quando penso che di queste confuse aspirazioni abissine al mare non solo vi è l'attestazione chiara e specifica e altamente espressa nella protesta di Menelik nel 1891 ma se ne ha la dimostrazione evidente nelle ormai numerose incursioni e minacce che da tre anni a questa parte si verificano sia in direzione del litorale dancalo come di quello somalo in tutta la sua estensione; quando, dico, volgo la mente a tutto ciò, parmi che per il bene nostro e del nostro patrimonio coloniale sia tempo di cercare ad appoggio di quel potente fattore di pace che è l'amicizia di Menelik altri e più potenti fattori di sicurezza per l'avvenire e garanzie che la sola amicizia del Governo etiopico non ci può dare. Io non posso non riflettere che già troppo fu vulnerata l'integrità del nostro possesso costiero dalla creazione, tollerata e accettata poiché forse sembrò inevitabile, dello stato del Mullah che è, a ben riguardarlo, una porta aperta agli abissini e a qualsiasi potenza che voglia insediarsi con noi sul nostro litorale somalico: non posso non riflettere che la personale politica del sig. Harrington a Addis Abeba non può vedere di malocchio che la debolezza della nostra occupazione nel litorale somalo sia posta a dura prova dalle incursioni etiopiche e che i nostri diritti acquistati con le esplorazioni, col sangue e coi trattati sul Daua, sullo Scebeli e sul Nogal si riducano a diritti puramente teorici e nominali sinché la stessa menomazione di diritto e di effettivo possesso propagandosi fino alla costa con una corsa abissina che noi non sapremmo né forse vorremmo arrestare, inceppati come siamo dall'anticolonialismo italiano, dia modo all'Inghilterra d'intervenire nelle nostre colonie. Io non posso credere però che queste ultime conseguenze cui certo arriva la concezione politica del sig. Harrington possano essere quelle vagheggiate dal Governo brittannico se una nostra azione politica sarà volta a questo scopo: né posso ammettere che se energica ed oculata e cosciente delle finalità coloniali italiane sarà l'azione nostra a Londra e a Parigi, potrà continuare ad Addis Abeba quell'andamento di cose che da tre anni a questa parte si risolve in un continuo giuoco di affettuose dimostrazioni da parte di Menelik e di sua resistenza o impotenza a impedire le moleste iniziative dei suoi dipendenti, di dichiarazioni d'amicizia da parte delle legazioni di Francia e d'Inghilterra e di sordo lavorio per escludere l'Italia da ogni proficua compartecipazione alle cose etiopiche.

Che il Regno Unito abbia ben chiaramente fissato un ampio programma di predominio in Etiopia lo dimostrò un fatto che per se stesso non sembrò avere grande importanza ma che l'ebbe invece grandissima. È il fatto recente, noto anche a codesto R. Ministero, del suddito francese che ricoveratosi al ghebì imperiale di Addis Abeba perché perseguitato in seguito a involontario omicidio, vi fu dall'Imperatore trattenuto prigioniero e negato ostinatamente alle richieste del sig. Lagarde che, non in forza di trattati, ma in nome delle consuetudini iniziate e seguite costantemente dallo stesso Menelik fin da quando era solo Re dello Scioa, chiedeva per lui il solito tribunale speciale composto di europei. V.E. apprenderà dagli atti di carteggio che chi si oppose a che in quell'occasione l'azione collettiva dei ministri residenti appoggiasse la domanda del sig. Lagarde e che si traesse partito della circostanza per iniziare una campagna diplomatica a fine di ottenere l'instaurazione in Etiopia di un regime capitolare o di speciali sanzioni giuridiche per gli europei in Etiopia fu proprio il ministro inglese, quasi che l 'Inghilterra voglia serbarsi libera la strada da eccezionali giurisdizioni per il giorno di un esercizio di diretto o indiretto dominio in Etiopia, fatta conscia dagli avvenimenti d'Egitto del! 'ostacolo che a questo dominio è costituito dalla preesistenza di un regime capitolare.

Può darsi che questa non sia in tutto la politica del Foreign Office; certo però è quella del sig. Harrington ed è stata finora quella del sig. Cromer ed è attualmente quella del sig. Wingate, giacché l'attività politica inglese in Etiopia è sapientemente guidata da quel Governo sudanese che integra ogni grandioso programma dell'imperialismo britannico in Africa e che mira a fare dell'Etiopia un'appendice dell'Egitto. Il Governo sudanese, che lavora di conserva col Governo indiano a far sì che la supremazia inglese in Etiopia, l'unione del confine egiziano a quello indiano attraverso l'Arabia e la testata nordica del Golfo Persico e l'intimidazione e l'indebolimento della Turchia a mezzo della minaccia di trasferimento del califfato al Gran Sceriffo della Mecca, siano i capisaldi di un nuovo vastissimo programma coloniale inglese, ha in Addis Abeba un agente appassionato, attivissimo e intelligente nella persona del sig. Harrington.

Io non so se e quanto il periodo di intensa unione ed amicizia che è da due anni ad oggi cominciato pei due Governi di Francia e d'Inghilterra abbia influito a rendere meno aspri i loro rapporti nella questione etiopica che era solo tre anni or sono un campo di acerrima lotta fra quei due Governi e le rispettive legazioni in Etiopia. Quello che io so e son portato a deplorare amarissimamente si è che, dalle competizioni d'allora nelle quali sempre e costantemente il ministro inglese ebbe l'appoggio della legazione italiana, è scaturito questo inatteso e triste effetto: quello cioè di una cordialità di rapporti e di una unione di propositi delle due legazioni di Francia e d'Inghilterra che per naturale andamento delle cose deve tendere a collocare l'Italia all'ultimo e men favorito posto. Non era certo questo il frutto che si riprometteva la legazione italiana dalle sue iniziative quando nel 1903 cercava di persuadere il R. Governo della necessità e convenienza di accordi fra le tre potenze contermini dell'Etiopia per regolare gli avvenimenti della successione di Menelik e preparare la sistemazione del regime etiopico in conformità degli interessi europei. Forse si potrebbe a questa malinconica constatazione opporre che per l'unione, minacciosa all'Etiopia, dell'Inghilterra e della Francia, più tenace e più sincera diverrà l'amicizia di Menelik o del suo successore per l'Italia. Certo l'amicizia di Menelik è un bene prezioso per la potenza che ha l'Eritrea e cui necessita in modo vitale il predominio commerciale sul Tigré e sulle provincie centrali d'Etiopia. Ma non è chi non veda come la compartecipazione dell'Italia agli accordi che non mancheranno di fermarsi fra i due Governi di Francia e d'Inghilterra su tutto il complesso delle questioni etiopiche sarebbe assai più vantaggiosa ed io mi permetto d'insistere su ciò perché non ho fiducia che accordi fra le tre potenze maturati e convenuti ad Addis Abeba riescano giovevoli all'Italia più di quello che lo sarebbero se presi in Europa e all'infuori dell'ingerenza dei tre plenipotenziari in Etiopia.

Quanto alla buona amicizia dell'Imperatore io osserverò che quantunque essa sia, come sopra ho detto, un bene prezioso, per noi, e come potrebbe non esserlo? Essa però non è già ormai più sufficiente compenso a tutte le nostre rinunce e, ciò che più importa, non è sufficiente garanzia contro la bellicosità dei grandi e piccoli capi entrati ora più che mai e risolutamente nella via delle razzie. Ho già spiegato a

V.E. nel mio precedente rapporto n .... a che sia dovuto questo fenomeno delle razzie che tendono a spogliare completamente ogni regione contermine dell'Impero etiopico. Ogni capo grande o piccolo ha una corte con una infinità di armati che per quanto miseramente devono pur vivere ed essere tratto tratto gratificati di doni e condotti a sfogare l'irrequieta e atavica smania avventuriera in spedizioni che si riducono a simulacri di guerra e sono realmente il sistematico assassinio di inermi e pacifiche popolazioni. Nei primi anni che susseguirono alla battaglia di Adua, il prestigio dell 'Imperatore, i doni in armi, vesti e denaro che egli dava in Addis Abeba ai suoi capi e che si riversavano sui soldati, il personale ascendente di Menelik derivante dalla vigoria del suo intelletto che ora la senilità comincia a indebolire furono elementi sufficienti a contenere le improntitudini dei capi etiopici e le loro irrequietezze. Ma ora le cose accennano a mutare. Quella mutevolezza che è la caratteristica secolare degli etiopi comincia già a volger gli animi contro l'Imperatore e ne rende meno gradito il dominio accentratore come ne rende più invise le tendenze europee. Le vecchie provincie abituate a vita autonoma mal si adattano ad essere patrimonio personale del Negus: i vecchi capi abituati ad essere re nei loro territori accettano di mal animo lo stato di cose che Menelik col favore della sua vittoria su noi cercò di instaurare: il Tigré di nome è imperiale ma di fatto è autonomo e non manda né un tallero né un soldato all'Imperatore né tollera o comporta che questi vi faccia atto di autorità

o vi mandi capi o soldati.

La situazione adunque si presenterà fra non molto pressapoco quale era all'inizio della nostra politica etiopica. Mentre cioè cercheremo come ora di coltivare l'amicizia dell'Imperatore può darsi che siamo obbligati di fare una politica speciale con ogni piccolo capo di frontiera alternando magari con questi eterni fanciulli le blandizie alle minaccie e tenendo presente che essi dipendono dall'Imperatore solo per pavoneggiarsi di questa sudditanza come di un bell'abito di guerra senza però accettarne gli obblighi e i doveri. Avremo di più, a complicare la situazione, quella probabile unione di interessi anglo-francesi che è suscettibile di per sé sola di annullare e rendere meno utile per noi la intrinseca bontà dei nostri possessi tanto dell'Oceano Indiano che del Mar Rosso e il magnifico elemento di preponderanza politica in Etiopia che essi costituiscono.

Segnalato questo probabile delinearsi della nostra situazione politica in Etiopia, io non mi permetterò qui di indicare al R. Governo la via da seguire. Il R. Governo ha nell'esperienza passata una buona guida alla sua linea di condotta. Ciò che è, a mio avviso, urgente di ricordare per ora si è che sarà un gran bene per l 'Italia se saranno sottratte ai ministri di Addis Abeba le trattative internazionali relative all'Etiopia e saranno avocate ai rispettivi Governi; che il periodo cui accenna ora ad avviarsi la questione etiopica esige non solo la massima freddezza, attività ed energia ma anche un'alta e dignitosa coscienza degli obblighi e dei diritti dell'Italia sia di fronte allo Stato etiopico come di fronte alle potenze tutte che sono in Etiopia rappresentate.

460 1 ACS, Carte Martini.

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. Roma, JO febbraio l 906.

Ringrazio V.E. della sua lettera particolare' che mi ha consegnata il comm. Lucio Ili.

*Se contro ogni probabilità, dopo il voto di ieri, riandrò alla Consultà* 2 , sarò ben lieto di incontrarmi con il conte Goluchowski, ma la decisione in proposito non può dipendere da me solo, dovendo prendere accordi preventivi col presidente del Consiglio, al quale ne parlerò appena ella giudicherà venuto il momento e prima che

V.E. -abbia preso impegni in proposito col conte Goluchowski. Nella stessa occasione ella avrà la gentilezza di consigliare anche il tempo, il luogo e le modalità. V.E. -aveva proposto che io scrivessi una lettera autografa al conte Goluchowski, ma non avendolo fatto con gli altri ministri degli affari esteri, non avrei potuto, né potrei farlo senza una speciale occasione, essendo sfuggita queiJa della presentazione dei delegati commerciali per non aver io avuto a tempo la risposta di V. E.

Intanto, sono lieto di constatare che i rapporti tra l 'Italia e l'Austria-Ungheria sono ecceiJenti, e il trattato di commercio, nonché l'adesione austro-ungarica aiJ'Istituto internazionale d'Agricoltura ne sono, in pari tempo, prova e cemento.

462

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 297. Roma, 2febbraio 1906, ore 23,10.

Marchese Theodoli informa che anche Banca germanica, in concorrenza francese, ha domandato concessione ferrovia Hodeida-Sana'a. Riferendomi rapporto 16 gennaio n. 371 , mi rivolgo direttore Banca d'Italia per eventuale cooperazione capitali italiani.

Viene a Costantinopoli Perrone chiamato dicesi dal Sultano. Veda V.E. se SI possa in questa occasione giovarsi influenza personale di lui2 .

461 1 Vedi D. 452. 2 La frase fra asterischi fu apposta dal di San Giuliano, di sua mano, sulla versione definitiva dattiloscritta. 462 1 Vedi D. 424. 2 Per il seguito vedi D. 488.

463

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. CONFIDENZIALE 350-351-352/11-12-13. Algeciras, 2febbraio 1906, ore 14,55 (perv. ore 17,17).

[11] Avendomi Révoil parlato di un dispaccio ricevuto dall'ambasciatore di Francia a Roma, gli feci cenno della conversazione sulla fabbrica d'armi di Fez, aggiungendogli che l'occasione mi pareva male scelta. Delegato francese mi disse apertamente che egli credeva del tutto inopportuno qualunque cambiamento portato ora nelle missioni militari a Fez e che, eventualmente, avrebbe fatto conoscere questa sua opinione al sig. Barrère. Nel corso della conversazione mi ha parlato egli pure di dichiarazioni fatte dal ministro Prinetti.

[12] Domani sarà fatta alla Conferenza la proposta di consentire, a titolo temporaneo, aumento di qualche decimo addizionale all'imposta attuale dei diritti doganali di importazione al Marocco. Proventi sarebbero versati in una cassa speciale e destinati al miglioramento dei porti, sotto controllo da stabilirsi. Domando a V.E. di essere autorizzato aderire a tale proposta, quando sia accettata tanto dalla Francia, quanto dalla Germania 1•

[13] Confermo a V.E. che le trattative dirette sulla questione Banca tra i delegati francesi e germanici, di cui gli uni e gli altri mi tengono confidenzialmente informato, lasciano presagire risultato favorevole. Ma nulla può dirsi di sicuro, perché i delegati non hanno affrontato la questione della polizia, la quale si presenta ancora con tutte le difficoltà, e le due questioni sono connesse per poter giungere ad un accordo reciproco. Le trattative si mantengono strettamente segrete. Credo nella formazione del capitale della Banca sarebbe riservata all'Italia una parte conveniente. Questa partecipazione sarebbe assunta non dai Governi ma da un gruppo di banchieri appartenenti alla Francia, Inghilterra, e Germania, Spagna e Italia, forse, col minor concorso di qualche Stato. Capitale della Banca non essendo che di dieci milioni, la partecipazione non potrebbe superare i due milioni e, verificatosi qualche altro concorso, il milione e mezzo. Tutto ciò non è definitivo, e fa ancora parte dello scambio di idee in corso. Chiedo però a V.E. di essere, fin d'ora, autorizzato eventualmente aderire a tale partecipazione, che ci è consigliata, se non dallo stato attuale del nostro commercio col Marocco, certamente, però, dalla nostra posizione politica2 .

463 1 Per la risposta vedi D. 465. 2 Di San Giuliano rispose il 3 febbraio, ore 12,35 (T. 302): «Circa partecipazione del capitale italiano alla Banca, concordo pienamente con V. E.».

464

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 355/14. Algeciras, 2.febbraio 1906, part. ore 1,25 del 31 .

Vedo con dispiacere interrotta l'opera che il paese aspettava da lei. Rimarrà sempre nell'animo mio il ricordo riconoscente della fiducia dimostratami da VE. e con esso un nuovo vincolo di devota amicizia2 .

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 299. Roma, 3 febbraio 1906, ore 11.

Rispondo ai due telegrammi nn. 11 e 121 .

Anch'io dissi a Barrère parermi il momento inopportuno per esaminare se sia il caso di ritirare la nostra missione alla fabbrica d'armi di Fez ed egli mi rispose che me ne aveva parlato per l'avvenire, non per ora. Prinetti mi confermò quanto mi aveva detto Barrère. La questione rimane impregiudicata per l'avvenire. Circa il decimo addizionale mi rimetto interamente a VE. come è naturale. Sembra che il mandato di comporre il nuovo Ministero sarà affidato a Sonnino.

466

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 307. Roma, 3 febbraio 1906, ore 18,45.

Sono profondamente commosso delle sue parole' che venendo da lei sono di un valore inestimabile. Le rinnovo i sensi di devota e rispettosa amicizia e quelli della più viva gratitudine per la benevolenza sempre dimostratami e per l'immenso servizio che VE. rende al paese in questo momento.

2 Per la risposta vedi D. 466.

464 1 Manca l'indicazione del!' ora d'arrivo.

465 1 Vedi D. 463.

466 1 Vedi D. 464.

467

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. SEGRETO 310. Roma, 3 febbraio 1906, ore 20.

Ricevuto suo telegramma 2 corrente 1 .

Ricordo a V.E. che in colloquio con Barrère io non presi impegni definitivi circa accordo Etiopia, riservandomi conferirne con presidente Consiglio, cui consenso fu riconosciuto necessario anche da Barrère. Presidente Consiglio fece alcune osservazioni tra cui quella relativa alla opportunità sostituire clausola «linee parallele» con limite di distanza a clausola «linee concorrenti» e alla necessità che ci siano prima comunicate convenzioni ferroviarie indicate art. 5. Riferite osservazioni Fortis a Barrère questi fece sue controsservazioni che si convenne dovessero essere comunicate a Fortis che, per la sopravvenuta crisi, non ha preso nessuna determinazione; ambasciatore di Francia mi ha dichiarato: l) che suo Governo insiste per ristabilire elenco convenzioni ali' art. l, e per mantenere inciso relativo ali' hinterland francese all'art. 4, non opponendosi a che noi si faccia lo stesso; 2) che, con la locuzione usata all'art. 5, Governo francese crede aver risposto alla nostra obiezione che noi non conosciamo le convenzioni ferroviarie; 3) che non accetta l'idea delle linee parallele tanto meno con l'indicazione limite distanza.

Venendo poi ai nostri rapporti coll'Inghilterra, Barrère informa che Governo britannico aderisce ad associarsi alla dichiarazione esplicativa dell'art. 4 con che sarebbe forse eliminato il dubbio manifestato da Fortis e da me che nostra sfera d'interessi in gran parte del territorio fra due sfere di interessi francese e inglese si riduca a poco o nulla non essendo abbastanza chiaro che formula inglese art. 4 non implichi eventualmente interessi territoriali.

Barrère aggiunge che Governi francese e britannico domandano che comunicazione nota esplicativa sia fatta su domanda del Governo italiano che dovrebbe accusarne ricevuta.

Visto che formula adottata non implica necessariamente sovranità territoriale, e deve rimanere segreta, parmi possano accettarsi condizioni chieste. La convenzione dovrebbe, per ora, esse parafata e firmata solo dopo averla comunicata a Menelik.

Barrère mi ha domandato di autorizzare V.E. a parafare nonostante la crisi.

Naturalmente, ho risposto di non poterlo fare. Ciò non toglie, però, che io la autorizzi a continuare trattative ad referendum cercando di giovarsi delle premure francesi allo scopo di ottenere, se possibile, accoglimento nostre domande e specialmente quelle delle linee parallele. Interesso pertanto V.E. adoperarsi nel miglior modo e poi comunicare schema definitivo accordo e dichiarazione esplicativa, affinché, risoluta la crisi, il Governo del Re possa senza indugio dare o negare consenso definitivo e impegnativo.

467 1 Con T. riservato 346 del l o febbraio, Pansa riferiva che la Francia accettava il progetto d'accordo italiano per l 'Abissinia e che anche la Gran Bretagna sembrava favorevolmente disposta.

468

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 371. Addis Abeba, 4febbraio 19062.

Non facile era compito assuntomi fornirle positiva assicurazione relativa partenza Menelik, né potevo troppo lusingarmi indurlo a partire, qualora avesse già presa altra determinazione, e ciò pel fatto che contro viaggio tutti, per motivi diversi ma gravi, si adoperano, a cominciare dalla regina Taitu e non esclusi i rappresentanti esteri, che, mentre vedono allontanare possibilità risolvere questioni che premono, vedono con gelosia risultati nostra azione. Per accrescere possibilità successo mie pratiche, ho raggiunto Menelik al campo di Ghenet, lontano, cioè, dalle influenze che più agiscono su lui, e mentre la regina Taitu è ad Entotto. Dopo non breve discussione ed efficaci argomentazioni, credo avere ottenute promesse meritevoli di fede. Dico credo, perché sarebbe vero ardimento mio farmi garante della mutabilità degli eventi e del pensiero di Menelik. Questi mi ha assicurato partire a metà del prossimo grande digiuno, richiamerà ras Makonnen, e ridurrà sua gente, perché forti epidemie infieriscono nel Jeggiù. Il ritardo dunque della partenza, calcolato il principio e la durata del digiuno, si riduce a circa un mese da oggi. Per le epidemie accennate, Menelik non vuole esporre le sue truppe a sicuro danno con una immediata partenza, e tale prudente provvedimento è anche sufficiente per allontanare da parte del Governo del Re ogni preoccupazione per Corpo diplomatico e seguito. Dopo quanto ho riferito, spero aver rassicurata l'E V. sul mio massimo impegno per soddisfarla, e di aver giustificate le mie preoccupazioni, che, purtroppo, perdureranno finché non avrò visto effettuato il convegno. Pel tramite di V.E. riferisco con telegramma al Ministero degli affari esteri circa le cose di Dankalia e Benadir, affinché siano ridotte le preoccupazioni della opinione pubblica in Italia.

468 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 189. 2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martini con T. 31 del 5 febbraio.

469

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 377113. Addis Abeba, 4 febbraio 19062.

Mi riferisco mio telegramma n. 123 . Ho conferito a lungo con Menelik relativamente torbidi e razzie alle nostre frontiere dancale e Benadir.

Menelik mi ha incaricato di assicurare all'E.V. che azione suoi dipendenti, o si è effettuata contro i suoi voleri, perché già a lui ribelli, o ha avuto luogo per giustificabile equivoco. Egli ha già inviato truppe contro Tedla Aba Guben per catturarlo, e, qualora queste non riescano, spera in una nostra cooperazione per raggiungere intento. Per degiacc Ornar, ha dato istruzioni tassative a ras Michael non solo, ma ripromettesi assicurare tranquillità frontiere con provvedimenti che saranno presi recandosi Borumieda. Per razzie verso Benadir, sostiene che sue truppe furono spinte su quella frontiera per nostro espresso desiderio agire contro eventuale obiettivo offensivo del Mullah e che appena nostro residente Lugh protestò contro loro azione, notificando nostro accordo con Mullah, sue truppe si ritirarono. Egli promette esser pronto a darci soddisfazione, qualora potremo fornirgli dati comprovanti che razzie vennero effettuate in nostro territorio e contro nostra gente.

Si valse delle mie proteste per richiedere una immediata determinazione territoriale della nostra frontiera per evitare nuovi incidenti. Su quest'ultima richiesta Menelik non mi sono impegnato, perché parebbemi prematuro sollevare una questione che presenta non poche difficoltà ad essere definita.

Credo invece un tal argomento potrà definirsi a Borumieda mercé intervento di

S.E. il governatore, e perciò vivamente desidero che fortuna agisca sugli eventi per effettuare convegno4 .

469 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 201. 2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martini il 6 febbraio. 3 Vedi D. 458. 4 Per la risposta vedi D. 476.

470

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 154/43. Sofia, 4 jèbbraio 1906 (perv. il 15).

Nel ringraziare l'E.V. di avermi comunicato il rapporto del r. ambasciatore a Costantinopoli in data 16 gennaio u.s., n. 401 , mi onoro di restituir qui acchiuso il detto documento di cui ho preso conoscenza con vivo interesse.

Coi miei rapporti delli 25 e 30 gennaio (nn. 35 e 38)2, ho riferito a V.E. l'attitudine posteriormente assunta dalla Porta riguardo al Trattato d'unione doganale serbobulgaro, attitudine che mi risulta sia stata effettivamente suggerita (come se ne aveva qui il sospetto) dali' ambasciata austro-ungarica a Costantinopoli.

Le preoccupazioni del gran visir sul significato politico del predetto trattato di commercio sono certo giustificate se si pon mente al fatto che la Turchia (come del resto per altri fini l'Austria-Ungheria) non ha mai tralasciato occasione di rinfocolare le rivalità degli Stati balcanici, tanto nei rispettivi territori quanto in Macedonia, allo scopo interessato di ostacolare la conclusione di qualsiasi intesa fra di loro.

Ma il gioco sembra ormai scoperto e, come ho riferito nel mio carteggio, in questi ultimi tempi si è sempre più rafforzata nel!'opinione pubblica la corrente che la Bulgaria e la Serbia hanno interesse reciproco di procedere d'accordo. Non mancano anche qui coloro i quali ritengono che seguendo tale politica la Bulgaria compromette in certo qual modo la sua posizione in Macedonia, poiché, ove la questione macedone venisse aperta, il Governo principesco dovrebbe, per la forza delle cose, ammettere quelle pretese della Serbia sul vilayet di Kossovo che esso finora aveva dichiarato non poter prendere in considerazione. Ma se la Serbia, come qui si spera, non abbandonerà, chinando il capo alla volontà del Gabinetto di Vi enna, il Trattato del\ 'unione doganale, si può dire che tutta la Bulgaria, come lo provano le recenti dimostrazioni pubbliche, è concorde col suo Principe c col suo Governo nel desiderare il consolidamento dei legami d'amicizia stretti col vicino Regno iugoslavo.

I timori del gran visir sulle intenzioni della Bulgaria verso la Turchia concordano con quelli espressi da questo commissario imperiale, come ho avuto l'onore di riferir a V.E. nei miei rapporti n. 415 del 21 dicembre2 e n. l del 3 gennaio scorso2 . Ma nulla lascia supporre che la Bulgaria pensi per ora ad attaccare l'Impero. Posso anzi riferire a V.E. che lo stesso ministro della guerra nutre fiducia che l'anno corrente trascorrerà tranquillo. Il Principe ed il suo Governo sono fermamente decisi di evitare complicazioni né trascureranno di agire sulle organizzazioni perché esse non abbiano ad iniziare inconsulti movimenti prima almeno di veder i risultati del controllo finanziario delle grandi potenze in Macedonia.

2 Non pubblicati.

Tale linea di condotta è imposta alla Bulgaria anche da ragioni militari, poiché, come il maggiore Rubin de Cervin ha diffusamente scritto al Comando dello Stato Maggior Generale, l'esercito principesco, per quanti progressi abbia compiuto, non è pronto ad entrare in campagna non avendo ricevuto ancora la sua nuova artiglieria ed essendo deficienti i quadri ed imperfetta la loro preparazione.

470 1 Vedi D. 425.

471

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. RISERVATO 367/166. Parigi, 5 jèbbraio 1906 (perv. il 9).

Con dispaccio del 19 gennaio ultimo 1 , V.E. ritornando sulla questione della proroga delle nostre convenzioni con la Francia per la Tunisia, mi fa osservare che l'interesse che attualmente può avere questo paese di assicurarsi il nostro benevolo atteggiamento nella Conferenza di Algeciras, avrebbe potuto influire favorevolmente sovra le disposizioni del sig. Rouvier a fare buon viso ad una proposta nostra circa la proroga stessa. In realtà la ragione di ritardare una formale proposizione in questo senso, non nasce dalle intime disposizioni di questo ministro degli affari esteri, ma piuttosto dalla opportunità di aspettare che, anche quest'anno, le questioni della Tunisia, esposte nella relazione presentata in nome della Commissione del bilancio, siano passate davanti alla Camera dei deputati. Il bilancio della Tunisia non è sottoposto all'approvazione del Parlamento francese; ma la Commissione del bilancio della Camera e quella di finanze del Senato esaminano le condizioni politiche, finanziarie ed economiche del protettorato e presentano una relazione che conchiude con l'espressione di alcuni voti. Seguendo la consuetudine ormai invalsa, l'on. Carlo Chaumet, ha deposto quest'anno un grosso volume davanti alla Camera il quale contiene la relazione sovra la situazione della Tunisia. Il protettorato essendo amministrato dal Ministero degli affari esteri, la discussione sovra la relazione dell'on. Chaumet si aprirà insieme a quella del bilancio speciale del Ministero stesso. N eli 'interesse di ritardare il più possibile un dibattimento di politica estera, il Ministero, nella formazione dell'ordine del giorno della Camera, ha fatto inserire il bilancio degli affari esteri dopo tutti gli altri bilanci. La necessità che questi siano tutti votati per la metà di aprile, epoca in cui si dovrà costituzionalmente indire le elezioni generali politiche, fa ritenere che la brevità del tempo disponibile costringerà la Camera a restringere in misura insolita il dibattimento e si può prevedere che, per questo motivo, essa non avrà agio di discutere delle cose di Tunisia. Conviene però, a parer mio, lasciare che sia trascorso il periodo nel quale una discussione sovra questo tema potrebbe prodursi e questa probabilmente si verificherebbe se traspirasse l'intenzione del Ministero di prorogare puramente e semplicemente le convenzioni con l'Italia2•

471 1 Vedi D. 429. 2 Vedi D. 503.

472

IL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. 374/32. Asmara, 6febbraio 1906, ore 18, 15.

Riservato n. 31 2 .

Tralascio considerazioni che non sia urgente lo esporre. Date le pressioni di Harrington e di Lagarde che possono, durante un mese, farsi più insistenti e frequenti per impedire viaggio, data la grave epidemia colerosa che può farsi durante un mese più grave nei Wollo Galla dove sarebbe certamente pericoloso lo adunarsi gran numero di persone, nulla ci assicura che Menelik, nonostante le promesse, possa venire a Borumieda; io penso che non verrà: due partiti si presentano, o rinunciare al convegno, o andare Addis Abeba ottenendo bensì prima da Menelik nuova lettera che, adducendo forza maggiore, proponga rimandare convegno pur confermando desiderio trattare sollecitamente questioni e per ciò invitandomi Addis Abeba. Ciò che, data urgenza questioni, ci permetterebbe scegliere con decoro questo partito. Fra un mese la deliberazione può essere più difficile, la scelta impossibile. Attendo istruzioni da

V.E.3 . Necessario risolvere anche perché volendo evitare paesi infetti via è lunga. Temo abbandono progetto male interpretato in Italia, peggio in Etiopia.

Avverto finalmente che sino dal 30 dicembre telegrafai a Ciccodicola queste testuali parole: «se la riuscita delle trattative non dovesse essere sicura e facile, meglio sarebbe non iniziarla».

473

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 379/16. Londra, 7febbraio 1906, ore 12,50.

Telegramma di V.E. n. 3101 . Dalle mie preliminari conversazioni col Foreign Office e con Cambon è risultato quanto segue:

l) Cambon approva personalmente la soppressione dell'elenco delle convenzioni nell'articolo l, e si riserva raccomandarlo al suo Governo. Se Italia e Francia si mettessero d'accordo per la soppressione, questa sarebbe accettata anche dall'Inghilterra;

2 Vedi D. 468, nota 2.

1 Per il seguito vedi D. 645.

2) quanto all'hinterland di cui tratta l'articolo 4, Cambon osserva che una analoga dicitura fu già adoperata in una delle precedenti convenzioni con Menelik, cosicché non sarebbe a temersi che questi vi faccia obbiezioni;

3) è confermato che il Governo britannico consente ad associarsi all'intesa dichiarazione esplicativa, il che certamente migliora la posizione, a nostro favore, assicurando la nostra eventuale sfera d'interessi anche all'Inghilterra;

4) quanto alle tre convenzioni menzionate nell'articolo 5, ho ricevuto dall'ambasciatore di Francia comunicazione dei rispettivi testi che trasmetto all'E.V. per la posta;

5) tanto Foreign Office quanto Cambon significano non poter modificare nell'articolo 9 la locuzione «linea concorrente», che fu adottata dopo lunga discussione, allo scopo di riferire quell'articolo alla linea inglese Berbera-Harrar, la quale è concorrente, ma non parallela. Noto inoltre che, per quanto ci concerne, la locuzione «parallela» si applicherebbe anche più esplicitamente dell'altra ad una eventuale ferrovia Assab-Borumieda, a meno di fissare un limite di distanza brevissimo, quale non sarebbe certamente ammesso dalla Francia. E considerando infine che l'articolo non esclude assolutamente alcuna costruzione futura ma si limita a subordinare l' esecuzione ad un ulteriore scambio d'idee fra i tre Governi interessati, parmi non convenga, per questo solo punto, ritardare indefinitivamente la conclusione dell'accordo.

Per guadagnare tempo preparerò di concerto col Foreign Office e Cambon un testo completo della convenzione, con riserva di parafarla se e quando essa sarà approvata dal R. Governo. Rimane inteso che essa verrà allora comunicata a Menelik prima di procedere alla firma definitiva2•

472 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 200.

473 1 Vedi D. 467.

474

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

T. RISERVATO 387/15. Algeciras, 7febbraio 1906, ore 21,15 (perv. ore 7,15 dell'B).

Nelle trattative dirette tra i delegati germanici e francese, l'esame del progetto intorno Banca di Stato continuò lasciando prevedere possibilità di un accordo. Frattanto il rappresentante francese domandò che questo esame rimanesse sospeso per procedere ad uno scambio di idee sulla più difficile questione dell'ordinamento polizia porti marocchini. Le due questioni non sono connesse per se medesime, ma lo sono perché il loro complesso offre un campo di reciproci compensi, e perché sarebbe inutile concludere sull'una, se apparisse impossibile intendersi sull'altra. La Francia dunque richiede trattarle congiuntamente. Nel primo colloquio avvenuto in proposito, il rap

presentante germanico scartò recisamente la proposta francese del mandato unico conferito alla Francia, ed il francese rifiutò parimenti di accogliere le varie combinazioni di polizia internazionale escogitate dal Gabinetto di Berlino e che V.E. conosce. Alla fine Révoil si dichiarò, come ultima concessione, disposto ad accettare che l'incarico di istruttori della polizia porti marocchini fosse diviso fra francesi e spagnuoli. I delegati germanici si riservarono di chiedere istruzioni al loro Governo. Credo che, se la suddetta proposta fosse presa in considerazione, almeno in principio, il delegato francese sarebbe disposto ad esaminare ed anche accettare le condizioni che ai delegati germanici spetterebbe di formulare, sia per metterle in armonia col principio della sovranità del Sultano, sia per circondarla di tutte le precauzioni richieste per assicurare che esse non potranno avere di fatto delle conseguenze sfavorevoli alla politica della porta aperta ed alla libertà commerciale per tutti. I delegati germanici fecero ora sapere che saranno tra due o tre giorni in grado di riprendere la conversazione.

Tale è oggi la situazione. Non nascondo, però, che se la risposta di Berlino fosse un rifiuto perentorio, ne deriverebbe uno stato di cose che potrebbe mettere in pericolo il risultato della Conferenza. Durante queste trattative ho cercato di esercitare un'azione imparziale e conciliante che non solo fu accettata, ma fu chiesta tanto dal delegato germanico, che dal francese.

473 2 Per la risposta vedi D. 475.

475

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. SEGRETO 3401 . Roma, 8fehhraio 1906, ore 20.

l) Governo italiano ha proposto soppressione elenco convenzioni, ma, secondo Barrère, Governo francese non l'accetterebbe. È necessario quindi che Cambon agisca presso suo Governo per ottenere accordo con Italia su questo punto. 2) Quanto alla menzione dell'hinterland francese, ammesso pure che Mcnelik non se ne adombri, rimane inconveniente che in una unica convenzione da comunicarsi a Menclik le tre parti contraenti siano, in un punto così vitale, trattate diversamente, facendosi solo accenno alla questione territoriale solo nei riguardi della Francia. 3) Circa clausola «linee parallele», che trovò difficoltà, parmi si potrebbe tentare avere una spiegazione scritta che consacri una interpretazione che salvi l 'avvenire della clausola generica e pericolosa «linee concorrenti». Del resto mio successore le darà istruzioni definitive.

475 1 Risponde al D. 473.

476

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 8febbraio 1906, ore 19,50.

Rispondo telegramma 132•

Questione confine verso Dancalia e verso Lugh deve rimanere impregiudicata. Nostra richiesta ottobre 1904 si limitava ottenere che presidii abissini frontiera fossero avvertiti e impedissero, eventualmente, movimento offensivo Mullisti e Ogaden che si temeva contro Lugh. Non fu richiesta nessuna avanzata verso Benadir, ma sibbene dagli Arussi verso Lugh. Sta in fatto che Amara giunsero a Balad una giornata e mezzo da Mogadiscio, in pieno territorio benadiriano, e non può ammettersi che per fronteggiare un attacco da Lugh dovesse farsi quel largo giro. Ad ogni modo, anche ammesso punto di vista Menelik per confine, vi fu grave violazione del medesimo.

477

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 10. Algeciras, 8 febbraio 1906 (perv. i/14).

Facendo seguito al rapporto n. 9 del 4 corrente 1 , ho l'onore di informare V.E. che nella seduta plenaria di ieri avrebbe dovuto discutersi la proposta di consentire a titolo temporaneo l'aumento di qualche decimo addizionale all'importo attuale dei diritti doganali d'importazione al Marocco.

Il comitato di redazione da noi nominato per riferire sulle riforme relative alle dogane e alle imposte, ci propose la mozione seguente: «A titolo temporaneo, le merci d'origine straniera saranno colpite alla loro entrata al Marocco da una sopratassa elevatesi al quarto del diritto di importazione (cioè al due e mezzo per cento). Il prodotto di questa sopratassa formerà un fondo speciale che sarà destinato alle spese ed esecuzioni di lavori pubblici per il miglioramento dei porti e la sicurezza della navigazione».

A proposta del delegato britannico decidemmo di non discutere ora la questione, ma rimandarla al giorno in cui, ultimati gli studi e presi gli accordi necessari, la Conferenza potrà statuire anche sul modo di organizzazione e amministrazione del fondo stesso.

2 Vedi D. 469. 477 1 Non pubblicato.

476 1 Trasmesso via Asmara.

478

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI SAN GIULIANO

R. 305/165. Vienna, 8febbraio 1906 (perv. i/12).

Riferendomi al mio rapporto in data del31 gennaio p.p. n. 227/128 1 , ho l'onore di informare l'E.V. che il ministro imperiale e reale dell'Interno ha risposto, nell'odierna seduta della Camera, all'interpellanza mossagli dall'on. Mauroner e colleghi circa la misura presa dal Governo di trasferire alcune funzioni del municipio di Trieste ad un magistrato governativo.

Il conte di Bylandt-Rheydt ha incominciato dal dire che quella disposizione non era stata punto adottata per avversione al municipio di Trieste tanto è vero che il Governo, conscio dell'importanza di quella città, per tutta la Monarchia, si è adoperato, specialmente in questi ultimi anni, con gravi sacrifici pecuniari, per lo sviluppo del suo avvenire economico, ciò che del resto continuerà a mettere in pratica anche in futuro. S.E. osservò che tuttavia il Governo, nella coscienza della sua responsabilità, deve attendere a che gli organi destinati a cooperare alla pubblica amministrazione nei riguardi dello Stato, non siano animati contro di questo da ostili disposizioni. Nel corso degli ultimi anni, egli disse, si è dovuto constatare che un non piccolo numero di persone facenti parte del municipio hanno pubblicamente partecipato a manifestazioni ostili allo Stato e che fra gli impiegati municipali domina uno spirito che non può dare sicuro affidamento per la fedele osservanza degli interessi dello Stato. Tale stato di cose è venuto in luce particolarmente in occasione del processo delle bombe nel decorso anno, nel quale furono coinvolti parecchi impiegati municipali. Il conte di Bylandt-Rheydt rammenta a questo proposito il noto incidente del tricolore italiano issato sul campanile della cattedrale con intervento di un impiegato municipale, la partecipazione di venticinque altri impiegati al telegramma di saluto agli arrestati del processo suddetto, la presenza in Udine di funzionari della città di Trieste colà recatisi per le note dimostrazioni irredentiste ed il loro intervento ad altre antipatriottiche manifestazioni. Il Governo, ha proseguito il ministro, non poteva lasciare la parte politica del\ 'amministrazione comunale in mani non sicure e tanto meno in una città della importanza di Trieste e si è perciò deciso valersi d'una facoltà per legge prestabilita per sottrarre al comune determinate mansioni. In tutto ciò non devesi ravvisare alcun segno di sfiducia verso il podestà dottor Sandrine\li e d'altra parte il Governo non può lasciarsi guidare da riguardi verso le persone allorché si tratta degli interessi dello Stato. Il conte Bylandt-Rheydt ha poi concluso dicendo che furono impartite speciali istruzioni al consigliere luogotenenziale perché nel disimpegno delle mansioni affidategli in sostituzione dell'autorità municipale, si adoperi nel modo più oggettivo e in pari tempo più zelante per il bene della città.

Queste dichiarazioni del ministro dell'Interno spesso interrotte dalle proteste dei deputati italiani si chiusero fra rumorosi segni di disapprovazione da parte loro. Il deputato Hortis chiese che fosse aperta la discussione sulle dichiarazioni stesse, ma la proposta non venne accettata dalla Camera.

478 1 Vedi D. 459.

479

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 354. Roma, 9 febbraio 1906, ore 21,55.

Il nuovo Consiglio dei ministri oggi, per la prima volta adunatosi, mentre deliberava con grato animo, di confermarle il presente suo mandato, mi affidava altresì espresso incarico manifestare a VE. piena fiducia e vivo compiacimento per la autorevole ed efficace sua opera 1•

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, COSTANTINOPOLI, LONDRA, MADRID, PARIGI, PIETROBURGO E VIENNA

T.355 1• Roma, 9 jèbbraio 1906, ore 22.

Acciocché ella possa averne opportuna norma di linguaggio, desidero manifestarle il mio proposito di nulla mutare all'indirizzo che, nell'assumere il presente mio ufficio, trovo impresso alla nostra politica estera.

480 1 Telegrammi di analogo tenore furono inviati alle altre rappresentanze diplomatiche e consolari.

479 1 Per la risposta vedi D. 481.

481

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 406/16. Algeciras, l Ofebbraio 1906, ore 14,20 1•

Ringrazio l'E.V. del suo telegramma2 e mi è grato continuare nell'adempimento del mio mandato mentre la direzione della nostra politica estera è affidata a V.E.

482

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 411129. Vienna, JOjèbbraio 1906, ore 19,50 (perv. ore 21,50).

Avendo avuto occasione di vedere oggi il conte Goluchowski mi sono espresso seco lui nel senso del telegramma di V.E. n. 355 1• Il conte Goluchowski mi ha detto che era lieto di poter lavorare con l'E.V. nell'interesse del consolidamento interessi reCiproci.

Principali giornali viennesi si pronunciano in modo favorevole verso il nuovo Gabinetto e scorgono nella presenza in esso dell'an. Sonnino e dell'E.V. che riconoscono come fautori della Triplice Alleanza una garanzia che nulla verrà mutato indirizzo della nostra politica estera.

483

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. CONFIDENZIALE 365. Roma, II jèbbraio 1906, ore 17.

Nella prima visita che ieri feci agli ambasciatori di Francia e di Germania, entrambi mi parlarono del Marocco, l'uno per dirmi che il riparto della polizia dei porti tra francesi c spagnoli segnava la massima concessione francese, l'altro per

2 Vedi D. 479. 482 1 Vedi D. 480.

dirmi che, a suo avviso, tale proposta era assolutamente inammissibile, non potendosi gli spagnoli considerare come politicamente ed economicamente indipendenti.

Oggi l'ambasciatore di Germania è venuto a leggermi un telegramma nel quale il principe di Biilow, dopo aver precisamente dichiarato l'inammissibilità del riparto tra francesi e spagnoli, manifesta vivo dispiacere dell'aver appreso da Algeciras che la proposta è appoggiata dal delegato italiano. Ho osservato all'ambasciatore che circa il presente argomento non ci era giunto altro dopo il telegramma del 7 corrente1 , di cui egli Monts e, per mezzo del r. ambasciatore a Berlino anche il principe Biilow, avevano avuto conoscenza, e che da quel telegramma nulla poteva trarsi che autorizzasse la supposizione di appoggio prestato dal nostro delegato alla proposta francese. Mi affretto ad informare di quanto precede VE. per sua norma e perché ella possa opportunamente chiarire la cosa2 .

481 1 Manca l'indicazione dell'ora d'arrivo.

484

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 415/4. Pechino, Il jèbbraio 1906, ore 18,24.

Mi riferisco a rapporto n. 1481•

Ritiro truppe dovrebbe effettuarsi entro tre mesi. Francia, Germania, Giappone accettano proposte inglesi tenere provvisoriamente contingenti ridotti a Tientsin. Rimarrebbero pochissimi uomini francesi, tedeschi a Tonku, inglesi, Cihuang-tao e Scian-hai-Kuan custodia stabilimenti. Prego telegrafarmi se interpreterei intenzione del R. Governo annunziando ritiro totale nostri contingenti, meno guardia legazione. Ministri d'Inghilterra e di Francia cederanno gratuitamente Governo cinese caserme evacuate, costruite denaro indennità e su terreno appartenente Governo cinese. Trovandoci stesso caso, prego telegrafarmi istruzioni2 .

2 Per la risposta vedi D. 4R7. 4R4 1 Vedi D. 369. 2 Vedi D. 522.

483 1 Vedi D. 474.

485

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 420/17. Algeciras, Jlfebbraio 1906, ore 19,40 (perv. ore 6 de/12).

Non vi fu ancora tra i delegati germanici e francesi alcun nuovo colloquio sulla questione della polizia. Confermo a V.E. anche a rettifica delle versioni apparse ultimamente nei giornali che la proposta del delegato francese fu la seguente: egli si mostrò disposto a chiedere parere del suo Governo su una combinazione per la quale gli istruttori della polizia da istituirsi non già in tutto il Marocco, ma solo in alcuni porti da determinarsi, sarebbero stati scelti tra ufficiali delle due nazioni che avevano già nel Marocco gli elementi utilizzabili, cioè Francia e Spagna. Espongo per esattezza, ma coi rappresentanti delle due parti mi astenni dall'entrare nel merito. Dissi soltanto che, se il principio avesse potuto essere accettato, si dovevano negoziare le condizioni necessarie per armonizzare la proposta col principio dell'autorità del Sultano per determinare la formazione, la sfera d'azione, le attribuzioni della polizia e degli istruttori, la durata del mandato di questi e la loro distribuzione nei varii porti, leprecauzioni a tutela della libertà commerciale.

I delegati germanici avevano chiuso conversazione con Révoil, riservandosi riferire alloro Governo. Alcuni giorni dopo ambasciatore di Germania mi fece conoscere la risposta di Berlino non ancora comunicata al delegato francese. La sostanza ne era che la politica doveva essere riservata all'autorità del Sultano col concorso europeo, e che Germania proponeva si chiedesse questo concorso esclusivamente alle piccole potenze neutrali. Prima di fare questa comunicazione, pare che l'ambasciatore abbia chiesto nuove istruzioni. Ora alla detta proposta si tratterebbe di aggiungerne un'altra, secondo la quale il Sultano sarebbe libero di rivolgersi, per gli ufficiali, alle varie potenze a suo beneplacito. Queste due proposte non sarebbero accettate dal delegato francese. In tale stato di cose sorge il fondato timore che la Conferenza non possa esaurire il suo programma. Spero però, sempre, che all'ultimo, dinanzi alla responsabilità di rompere, qualche concessione sia possibile tra gli opposti punti di vista. Per ogni eventuale azione conciliatrice possibile, quando sia accettata dalle due parti, mi tengo in comunicazione con i delegati degli Stati Uniti e di Austria-Ungheria.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 366. Roma, 12febbraio 1906, ore 11,30.

Faccio seguito al mio telegramma di ieri 1 premendomi di manifestarle che rispetto al nostro atteggiamento nella Conferenza di Algeciras, sta fermo, anche nel presente Gabinetto, il concetto dichiarato da V.E. stessa quando assumeva l'arduo mandato, e cioè che l'Italia debba spiegare la sua azione nel senso di una mediazione attivamente conciliativa, con lo scopo di agevolare il reciproco accordo, astenendosi dall'appoggiare piuttosto l'una che l'altra parte 2•

487

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 426/18. Algeciras, 12 febbraio 1906, ore 20 (perv. ore 6 de/13).

Il mio ultimo telegramma 1 fu spedito ieri prima di ricevere il telegramma di V.E.

n. 3652 che mi arrivò questa mattina. Esso conteneva una anticipata rettifica delle inesatte informazioni ricevute da Biilow. Ho creduto, però, necessario di avere subito una franca spiegazione con Radowitz. Gli ho ricordato che, quando egli mi comunicò il risultato del colloquio avuto col delegato francese sulla questione della polizia e la proposta da questi fatta come disinteressata concessione del riparto tra la Francia e la Spagna, io aveva cominciato per dichiaragli che, come rappresentante di un Governo alleato alla Germania, non avrei mai né combattuto una proposta germanica, né sostenuto una proposta contraria, pur desiderando la conciliazione. E poiché allora la risposta del Governo germanico non era ancora arrivata, gli avevo aggiunto in modo affatto impersonale che, nel caso in cui una combinazione fosse stata, in principio, accettata, allora sarebbe spettato ai delegati germanici di porre loro condizioni e di circondarle delle precauzioni volute. Radowitz riconobbe che le mie parole erano esattamente confonni alla verità, e mi promise avrebbe telegrafato a Berlino per rettificare un'infondata notizia. Non mi sono in alcuna occasione scostato da questa attitudine, né so in qual modo e presso chi sarei stato in misura di appoggiare la proposta di cui si tratta.

2 Per la risposta vedi D. 487, nota 3.

2 Vedi D. 483.

Non credo superfluo aggiungere a V.E. che quando pervennero ai delegati germanici le prime istruzioni relative alla proposta degli Stati neutri, Radowitz mi parlò in termini generali buoni uffici che i delegati d'Italia, Stati Uniti e di Austria-Ungheria avrebbero potuto esercitare in proposito presso la delegazione francese. Ma i miei colleghi ed io abbiamo riconosciuto che, per[ché] i buoni uffici o le proposte concilianti fossero possibili, era necessario che fossero almeno, in principio, accettate dalle due parti, altrimenti i buoni uffici sarebbero apparsi delle pressioni che avrebbero ottenuto l'effetto precisamente contrario.

Il delegato d'Italia si trova a questa Conferenza in una situazione delicata per le regioni che V.E. conosce. Ho creduto poter superare queste difficoltà con una perfetta lealtà e correttezza di condotta e di linguaggio e respingo da me ogni sospetto contrario3 .

486 1 Vedi D. 483.

487 1 Vedi D. 485.

488

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO URGENTE 429/23. Pera, 12fèbbraio 1906, ore 23,50.

In seguito accordo verbale con San Giuliano, comm. Perrone, venuto qui per favorire affari Ansaldo, ha tastato terreno per eventuali concessioni costruzione esercizio porti Tripoli e Bengasi, nonché ferrovia collcgantili. Prima di avviare ulteriori trattative, Perrone desidera sapere se è nello stesso ordine d'idee del suo predecessore V.E., e, in caso affermativo, conoscere in modo sicuro concretati desiderati del R. Governo. Perrone gradirebbe urgente risposta: egli si tratterrà qui fino al 21 al più tardi 1 .

487 3 Il 12 febbraio alle 22,50 Visconti Venosta telegrafò ancora (T. confidenziale 427/19): «Ricevo il telegramma di V.E. n. 366, ed assicuro V.E. che il concetto in esso espresso è appunto quello cui ho informato ed informerò rigorosamente la mia condotta come appare dai miei telegrammi nn. l 7 c l R di oggi». Per la risposta a questo telegramma e a quello nel testo. vedi D. 489.

488 1 Per la risposta vedi D. 513.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 376. Roma, 13febbraio 1906, ore 14.

Non appena ebbi ricevuto il telegramma di V.E. 1 incrociatosi col mio2 me ne valsi opportunamente presso l'ambasciatore Monts il quale rimase soddisfatto. Non dubito che identica impressione avrà fatto a Berlino, avendo del resto incaricato Lanza3 di dame comunicazione a Monts ed a Biilow. Ricevo ora i due telegrammi di

V.-E. nn. 184 e 195• Anche di questi do comunicazione a Monts ed a Biilow quantunque la cosa sia ormai superflua. A me, poi, preme di confermare ancora una volta a V.-E. quanto il R. Governo apprezzi l 'abile ed illuminata opera da lei prestata in mezzo a difficoltà non lievi né facilmente superabili.
490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. CONFIDENZIALE 378. Roma, 13 febbraio 1906, ore 20.

D'ordine del suo Governo, l'ambasciatore di Germania mi ha comunicato il seguente progetto per la questione della polizia: la polizia di frontiera, francese; per la polizia dei porti o istruttori ed ufficiali forniti dai piccoli Stati, escludendo le grandi potenze, oppure che il Sultano scelga egli stesso gli istruttori eccetera di quella nazionalità che gli piaccia. L'ambasciatore aggiungeva che l'Austria-Ungheria interporrà in questo senso la sua mediazione ed il Governo germanico spera che l'Italia farà altrettanto.

Ho risposto all'ambasciatore aderendo alla richiesta. V.E. potrà quindi mettersi tosto in comunicazione col collega germanico e col collega austro-ungarico per farsi, al pari di quest'ultimo, intermediario presso il collega francese, del progetto qui sopra enunciato. Non ho d'uopo di far rilevare a V.E. come la mediazione di cui la Germania ci richiede e che noi accettiamo ben volentieri di esercitare, abbia precisamente quel carattere di azione conciliativa al quale si ispira il nostro atteggiamento nella Conferenza di Algeciras 1•

2 Vedi D. 483.

3 Con il T. 371 del 12 febbraio che ritrasmetteva a Lanza il T. 420/17 con le istruzioni di «giovarsene opportunamente presso Biilow, il quale si convincerà così della erronea versione pervenutagli da Algeciras».

4 Vedi D. 487.

5 Vedi D. 487, nota 3.

489 1 Vedi D. 485.

490 1 Per la risposta vedi D. 496.

491

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 433/41. Berlino, 13 febbraio 1906, ore 16.

Non sono in questi circoli governativi sfuggite le notizie pubblicate dai nostri giornali, secondo le quali il nuovo Ministero sarebbe stato male accolto in Germania, specialmente nella stampa, di una accoglienza sfavorevole. La Norddeutsche Allgemeine Zeitung di ieri sera pone in rilievo insussistenza delle notizie pubblicate dai nostri giornali, che essa qualifica di tendenziose e contro le quali essa mette in guardia gli amici italiani. Vero è che qui non si sono pronunziati particolareggiati giudizi sulla composizione del Ministero; e ciò perché qui non si conoscono esattamente le esigenze della nostra politica parlamentare. Il nuovo Ministero è stato giudicato qui per la sua fisionomia di fronte all'estero, e il giudizio che si fa nella persona di V.E. c del presidente del Consiglio è, senza restrizione, favorevole.

492

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 434/20. Algeciras, 13fehbraio 1906, ore 15,30 (perv. ore 22,10).

Questa mattina Radowitz venne da me per farmi conoscere la comunicazione che, per incarico del suo Governo, si proponeva di fare in giornata al delegato francese. Questo ne è il tenore: «Sarebbe da proporre che la Conferenza domandasse al Sultano di incaricarsi dell'organizzazione della polizia, con l'obbligo a questi di mantenere in luoghi determinati una truppa di polizia formata e comandata da ufficiali stranieri scelti liberamente dal Sultano. I fondi necessari sarebbero fomiti dalla nuova Banca di Stato. Il Corpo diplomatico in Tangeri controllerà l'esecuzione di questa organizzazione. Un ufficiale superiore straniero, appartenente ad una delle potenze minori, potrebbe essere incaricato dell'ispezione e rendeme conto al Corpo diplomatico in Tangeri. Tutta questa istituzione sarebbe fatta a titolo di prova per una durata da tre a cinque anni».

Avendomi Radowitz domandato che cosa mi proponevo di dire in proposito a Révoil, gli risposi che gli avrei vivamente raccomandato di riconoscere per l'organizzazione della polizia marocchina il principio dell'autorità del Sultano, e che, quanto al progetto in particolare, gli avrei espresso il vivo desiderio che esso fosse l'oggetto di trattative condotte, da parte sua, con spirito di conciliazione e col desiderio di giungere ad un accordo.

493

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 435/21. Algericas, 13 febbraio 1906, ore 21, l O (perv. ore 7, l O del 14).

Il sig. Révoil venne a parlarmi della comunicazione ricevuta. Mi disse che il sig. di Radowitz gli aveva tenuto un linguaggio improntato ad un desiderio di intesa, che la sua impressione personale riguardo alla proposta non era favorevole ma che il suo Governo ne avrebbe fatto oggetto di un attento esame con la speranza di poter continuare la conversazione. Io gli tenni il linguaggio che avevo in prevenzione fatto conoscere al sig. di Radowitz come dal mio telegramma d'oggi n. 201 . Gli ripetei l'espressione del convincimento che la proposta del riparto tra francesi e spagnuoli non sarebbe stata ammessa a Berlino.

494

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 388. Roma, 14 febbraio 1906, ore 14.

L'ambasciatore di Turchia mi ha interrogato circa la Conferenza di Algeciras, negli stessi termini del messaggio che il Sultano le fece pervenire per mezzo di Romei1• Io gli ho risposto analogamente alla risposta di lei constatando che l'integrità del! 'Impero Ottomano era una delle direttive della nostra politica, e che non era affatto animo nostro sollevare, nella Conferenza di Algeciras, una questione qualsiasi attinente alla Turchia.

494 1 T. riservatissimo 425/22 del 12 febbraio, non pubblicato.

493 1 Vedi D. 492.

495

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 440/30. Vienna, 14febbraio 1906, ore 15,20 (perv. ore 18,30).

Al pranzo dato iersera al Burg in onore del Corpo diplomatico, S.M. l'Imperatore, alla cui sinistra sedevo, mi manifestò soddisfazione per firma trattato di commercio la quale avrebbe rassodato vieppiù i legami che univano i due paesi. Sua Maestà mi parlò quindi costituzione nuovo Gabinetto e della persona di VE. Avendo io affermato come ella fosse sincero e fiducioso amicizia coli' Austria-Ungheria ed essere fermo suo proposito nulla mutare indirizzo impresso nostra politica estera, Sua Maestà dimostrò suo compiacimento rilevando come questa fosse affidata a buone mani. Ed alla mia osservazione essere convinzione generale uomini politici italiani coltivare, nell'interesse comune, più cordiali rapporti coll'Austria-Ungheria, Sua Maestà si compiacque replicare che sarebbe stato lieto se questi fossero per divenire più intimi ancora, ciò che non avrebbe potuto non essere che di vantaggio per entrambi i paesi nella situazione attuale dell'Europa.

496

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 443/22. Algeciras, 14 febbraio 1906, ore 18,30 (perv. ore 0,55 del 15).

Ricevuto stamane telegramma n. 3781•

Ho avuto una conversazione subito dopo la Conferenza col delegato austroungarico. Abbiamo di reciproco accordo convenuto di tenerci in costante scambio di idee per esaminare il momento in cui i buoni uffici avrebbero potuto utilmente esercitarsi. Il delegato austro-ungarico mi disse che non si proponeva di fare, per il momento, una comunicazione al delegato francese. Ho informato di questo colloquio Radowitz, il quale mi disse che era tutto ciò che situazione presente poteva comportare e mi ringraziò del linguaggio tenuto da me ieri col delegato francese.

Confermo che la sola proposta fatta dalla Germania è quella da me telegrafata con telegramma n. 202 .

2 Vedi D. 492.

496 1 Vedi D. 490.

497

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 445/26. Pera, 14febbraio 1906, ore 14.

Avant'ieri, dopo che Romei gli ebbe riferita mia risposta 1 , Sultano menzionò apertamente Tripolitania. Giusta istruzioni mie, Romei dichiarò, quale sua opinione personale, aspirazioni italiane Tripolitania non politiche ma semplicemente economiche; replicò Sultano sorridendo: «Si comincia con l'economia e si finisce con la politica».

Linguaggio del Sultano conferma mia impressione circa vera portata suo messaggio. Evidentemente S.M. Imperiale sospetta ancora. Non è nemmeno improbabile che sue impressioni siano attualmente alimentate da chi ha interesse di raffreddare cordialissime relazioni italo-turche nella speranza di tirame profitto in questioni attinenti Macedonia ed Albania. Importa quindi dissipare, ad ogni costo, i sospetti Sultano, altrimenti riuscirebbe vano lavorìo segreto intrapreso da Perrone nell'ambiente di Palazzo ed aumenterebbe ancora di più difficoltà già serie per ottenere note concessioni. A mio subordinato parere sarebbe venuto il momento di ripetere direttamente al Sultano categoriche dichiarazioni già fatte alla Sublime Porta per ordini di Tittoni e, cioè, Italia fermamente decisa mantenimento status qua, integrità Impero ottomano, non intende occupare Tripolitania. Essa desidera però, siccome ha fatto Germania in Anatolia, avviare in Tripolitania intraprese economiche delle quali la Turchia stessa trarrebbe positivi vantaggi. È quindi precipuo interesse del Sultano non opporci sistematicamente ostacoli. Questa leale dichiarazione acquisterebbe maggiore efficacia se da me fatta a nome e per ordine di Sua Maestà, sia a cagione nota deferente simpatia del Sultano per Sua Maestà, sia perché messaggi sovrani sono i soli che producono veramente impressione sull'animo di S.M. Imperiale.

Sarò probabilmente ricevuto venerdì prossimo [il 16]. Urge quindi che VE. mi telegrafi in tempo i suoi ordini per norma del mio linguaggio2 .

497 1 A proposito della posizione dell'Italia nella Conferenza di Algeciras: vedi D. 494. 2 Per la risposta vedi D. 501.

498

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 476/20. Addis Abeba, 14 febbraio 190rJ2.

In obbedienza agli ordini fornitemi col telegramma di V.E. n. 3423 mantenere impregiudicata questione frontiera dancala e Benadir, ho procurato ottenere soltanto per ora da Menelik assicurazione avrebbe prescritto capi di non molestare i nostri protetti e sudditi. Menelik ha però osservato che poco valore potranno avere i suoi ordini se dati in termini vaghi e senza potere nettamente indicare ai suoi dipendenti responsabili la linea oltre la quale non devono avere azione. Ho dovuto non rispondcrgli perché con questa osservazione egli abilmente mi riconduceva sulla questione che I'E.V. non vuole pregiudicata.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

D!SP. RISERVATO 7714/79. Roma, 14febhraio 1906.

Mi pregio di accusare ricevuta e ringraziare del rapporto del 4 febbraio corrente

n. 159, col quale I'E.V. mi riferisce una conversazione avuta col sig. Rouvier sul lavoro della Conferenza d'Algeciras1 .

Per quanto riguarda la questione della polizia c le premure che sarebbero state fatte presso il R. Governo nel senso accennatole dal sig. Rouvier credo opportuno di far conoscere all'E.V. per sua informazione strettamente personale, che nel fatto la proposta è stata rivolta al mio predecessore da parte della Germania ma che il R. Governo si limitò a dichiarare che la avrebbe presa eventualmente in considerazione se l'offerta fosse stata fatta così dalla Germania come dalla Francia.

Allorché apparve in parecchi giornali la notizia che l'Italia avrebbe assunto la direzione della polizia al Marocco, questo ambasciatore di Francia ne chiese al marchese di San Giuliano, il quale si limitò a rispondergli che la notizia non era vera.

498 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 218. 2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martin i il 18 febbraio. 3 Vedi D. 476.

499 1 R. 3571159, non pubblicato.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 394. Roma, 15febbraio 1906, ore 19.

Per notizia di V.E. qui riproduco telegrammi ora giuntimi da Berlino e da Parigi.

l) da Berlino 1: «Il Governo imperiale non dubita punto degli intenti conciliativi del nostro primo delegato ad Algeciras: da quanto ha fatto dire costà a V. E. e da quanto io stesso ho sentito qui appare, però, evidente il sospetto che gli sforzi conciliativi si svolgano, per naturale disposizione del marchese Visconti Venosta, con una inclinazione in senso francese. Naturalmente io non mancherò di procurare di togliere ogni fondamento alle prevenzioni che fossero ancora rimaste in questo Governo in tale ordine di idee. Il Governo imperiale non ha perduto affatto la speranza che, malgrado le difficoltà manifestatesi, la Conferenza finirà per riuscire a comporre le antitesi di interessi e raggiunga, in definitiva, un risultato soddisfacente per le parti in causa. Ma anche di fronte all'eventualità del tutto [rompersi], il Governo imperiale non ha preoccupazioni: cioè lo sciogliersi della Conferenza a programma non esaurito non significa affatto, secondo il parere di questi uomini di Governo, inizio di complicazioni gravi. Gabinetto di Berlino desidera però evitare siffatta eventualità, la quale influirebbe certamente sui rapporti franco-germanici, e di riflesso, sulla politica generale internazionale».

2) da Parigi2: «Ho veduto oggi questo ministro degli affari esteri al quale il mio collega di Germania ha fatto ieri delle comunicazioni. Riassumo brevemente, servendomi di qualche espressioni testuale, le cose dettemi da questo ministro degli affari esteri.

Ad Algeciras siamo, egli mi disse, sempre allo stesso punto; aspetto sempre di essere meravigliato dell'arrendevolezza dalla Gennania promessami quando si trattava di decidere la Francia ad andare alla Conferenza. La Germania vorrebbe la polizia affidata a neutri. Né il Belgio, né la Svizzera se ne vorrebbero incaricare; restano l'Olanda e qualche altro piccolo Stato che gravitano nell'orbita germanica, paesi senza forza e che non possono esercitare influenza sopra musulmani. Non si è mai trattato di mandare un intero corpo di polizia ma bensì dei capi per corpo reclutati in Marocco, che saranno marocchini e anche i capi stranieri diventeranno funzionari marocchini.

La Francia, oltre alla polizia della sua frontiera, ha limitato la sua domanda a fornire, insieme alla Spagna, gli organizzatori della polizia di poche città marittime. Essa non accampa la pretesa di ricevere un mandato generale di organizzare la polizia di tutto l'Impero. Salvo l'Austria-Ungheria che, però, cammina con un solo piede, nessuna altra potenza appoggia la Germania. Le informazioni qui pervenute da Algeciras ed anche da altra parte sono in questo senso. Poiché la Germania ha voluto la Conferenza, ora che si conoscono le disposizioni dei paesi che vi sono rappresentati, quali ragioni ha essa di opporsi alla domanda nostra? Non solo la Germania, ma

2 T. riservato 444/2 9, pari data.

anche la Francia ha un'opinione pubblica con la quale bisogna contare. Ci associamo la Spagna perché l'organizzazione sia internazionale. D'altronde, il negoziato è ad Algeciras e, naturalmente, io rifiuto di averne qui uno separato e parallelo.

A questo punto domandai al sig. Rouvier se egli aveva fatto tenere al corrente il mio Governo di ciò che mi diceva, e ne ebbi risposta affermativa sia per mezzo del sig. Barrère, egli mi disse, sia per mezzo del Révoil, il Governo del Re è perfettamente informato.

Non ho creduto di dovermi incaricare di far conoscere io per primo a Rouvier le istruzioni impartite al plenipotenziario italiano ad Algeciras, ma mi preme che V.E. sia subito informata di quanto mi ha detto oggi questo ministro degli affari esteri perché ne risulti che egli non aspetta affatto che l'azione nostra si associ a quella dell'Austria-Ungheria nel senso desiderato dalla Germania e certamente l'opinione pubblica francese sarà impressionata dall'entrare in scena della Triplice Alleanza».

500 1 T. confidenziale 441/ ... , del 14 febbraio.

501

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 399. Roma, 15febbraio 1906, ore 20.

Il suggerimento di lei è accolto da Sua Maestà1• V.E. avendo opportunità di vedere il Sultano, vorrà dichiarargli in nome di Sua Maestà, Italia fermamente decisa mantenere status quo integrità Impero ottomano, non intende occupare Tripolitania però desidera, come Germania in Anatolia, avviare in Tripolitania intraprese economiche dalle quali la Turchia stessa trarrebbe positivi vantaggi; onde è interesse della stessa Sublime Porta non opporci sistematicamente ostacoli.

502

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 446/23. Algeciras, 15 febbraio 1906, ore 15 (perv. ore 17,20).

Radowitz è venuto oggi a leggermi una comunicazione di Biilow, di cui ripeto i termini: «Il principe Biilow è stato informato dal Gabinetto di Roma che le antiche istruzioni per il marchese Visconti Venosta sono state confermate, secondo le quali il

primo delegato di Italia si asterrebbe dal voto nel caso in cui Germania e Francia fossero in disaccordo, ma presterebbe sempre la sua influenza per una mediazione conciliante. Nella sua alta [considerazione] per le eminenti qualità di uomo di Stato che distinguono il marchese Visconti Venosta, il principe Blilow spera che la cooperazione di S.E. contribuirà essenzialmente a trovare un punto di [incontro] nella questione del Marocco. Il principe Blilow prega il marchese Visconti Venosta di essere persuaso che nessuno più di lui desidera evitare un conflitto». Il principe Blilow, mi dà, in seguito, notizia della circolare che V. E. conosce.

Ho pregato Radowitz di ringraziare Biilow e ho constatato con lui che, nei limiti di quella che poteva esserne l'efficacia, un'opera di buoni uffici l'avevo esercitata dal giorno in cui ero arrivato ad Algeciras.

501 1 Vedi D. 497.

503

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

DISP. RISERVATO 7959/186. Roma, 15 febbraio 1906.

Mi è regolarmente pervenuto il rapporto in data del 5 corrente n. 1661 , con il quale l'E.V. conferma le considerazioni che, a suo avviso, consigliano di soprassedere per quanto riguarda gli uffici intesi a procurarci, da parte di codesto ministro degli affari esteri, la assicurazione che le convenzioni del settembre 1896 riguardanti la Tunisia, non faranno, per un tale periodo di tempo, oggetto di denunzia.

Poiché nel fatto, non si tratta di chiedere che si proceda ad una formale proroga di quelle convenzioni, e poiché al nostro scopo sarebbe sufficiente una dichiarazione nel senso sovra ricordato, anche se redatta, in forma confidenziale e privata, non sembra doversi escludere che a siffatte trattative possa essere conservato un carattere strettamente riservato, sicché esse non abbiano a fornire occasione di quei dibattiti parlamentari che, giustamente, ella crede desiderabile, nell'interesse nostro, evitare.

Quando, ad ogni modo, ella non scorga qualche pericolo-precisamente nell'eventualità che, in occasione della discussione parlamentare (per quanto sommaria essa abbia ad essere), codesto ministro degli esteri possa essere indotto ad assumere qualche impegno, sia pure generico, che renda, poi, più difficile il buon esito di ulteriori nostri uffici -io non ho difficoltà a consentire nel concetto da lei esposto e le confermo che, per l'attuazione delle istruzioni impartitele, rimane interamente affidata alla esperimentata sua prudenza la scelta del [momento].

503 1 Vedi D. 471.

504

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 461/24. Algeciras, 16febbraio 1906, ore 21,40 (perv. ore 6,40 del 17). Ho ricevuto il telegramma n. 3941•

Non insisto sulla mia supposta parzialità perché, nel modo con cui si svolgono praticamente le trattative, non avrei potuto manifestarla che appoggiando presso i delegati germanici le proposte francesi ed a questo non ho nemmeno pensato consigliando i francesi a persistere senza fare nuove concessioni ed è il contrario che io ho fatto. Dovendo esercitare un ufficio conciliativo, mi tengo con i francesi come con i germanici in relazioni amichevoli. Grazie a questo ho potuto consigliare, non senza risultato, al delegato francese di riprendere le trattative sulla Banca, mentre quella sulla polizia rimaneva in sospeso, e lo feci dietro il desiderio che mi fu espresso dai delegati germanici. Quanto alla conclusione del telegramma del r. ambasciatore a Parigi, devo notare che ho seguito le istruzioni che V.E. mi ha dato in quella parte che, per il momento, era possibile. Nel mio colloquio col delegato di Austria-Ungheria questi fu il primo ad osservare, ed io sono del suo avviso, che, ad ogni modo, sarebbe stato necessario procedere con i più prudenti riguardi, perché tutto ciò che avesse l'apparenza di un'azione ufficiale collettiva della Triplice Alleanza produrrebbe effetti contrari a quelli che sono nel nostro desiderio. D'altronde la domanda dell'ambasciatore di Germania a Roma non importava questa mediazione collettiva ma solo che, essendosi l'Austria-Ungheria mostrata disposta ad esercitare i suoi buoni uffici, si sperava che l'Italia facesse altrettanto, desiderio al quale potevo benissimo aderire mantenendomi in comunicazione col delegato austro-ungarico, senza forme che sarebbero nocive ad una azione conciliante. Essendo io sul posto, credo utile di avere un'opportuna libertà di apprezzamenti e di modi nell'adempimento delle mie istruzioni. Devo ritenere che la regola della mia condotta è quella esattamente formulata nel telegramma n. 366 del 12 corrente2 .

2 Vedi D. 486. Per la risposta vedi D. 507.

504 1 Vedi D. 500.

505

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 113/49. Pietroburgo, 16febbraio 1906 (perv. il 23).

Più di sei mesi sono già passati dalla conclusione del Trattato di Portsmouth che pose termine alle ostilità fra la Russia e il Giappone, ma non appare che la profonda ferita qui arrecata all'amor proprio nazionale da quella serie non interrotta di insuccessi militari che caratterizzò la campagna dell'esercito russo in Manciuria sia prossima a rimarginarsi. Se presso le grandi masse del popolo, che furono in ogni tempo sommamente avverse alla guerra col Giappone, il ricordo delle patite sconfitte più che altro serve come efficace mezzo di combattimento contro l'odiato regime burocratico, nelle sfere militari e di Corte ed, a quanto mi viene assicurato, nell'animo del Sovrano stesso, prevalgono tuttora i sentimenti amarissimi per la patita umiliazione. Ogni giorno di fatto havvi qui maggiormente occasione di constatare quanto siano disastrose per la Russia, tanto moralmente che materialmente, le conseguenze della guerra, quanto scemata nel consesso dei grandi Stati europei la posizione di questo, un tempo potentissimo Impero, quanto scosso nel paese stesso il prestigio dell'esercito, a qual punto compromessa ogni ripresa di una politica efficace nell'Asia. E sempre più appare manifesto il rincrescimento di non avere, malgrado le complicazioni politiche interne, malgrado le difficoltà finanziarie, protratta la guerra per qualche mese ancora, il che avrebbe inevitabilmente condotto il Giappone, come fu constatato di poi dallo stesso Governo di Tokio, al completo esaurimento e contribuito al definitivo trionfo delle armi russe. Nelle sfere suindicate la pace conclusa col Giappone viene qui qualificata come un disastro nazionale, e, nel mentre l'iniziativa del presidente Roosevelt viene considerata con animo tutt'altro che riconoscente, non ha del pari il Trattato di Portsmouth certamente contribuito ad aumentare le già così scarse simpatie che qui si nutrono pel conte Witte che ne fu il principale artefice. In questi circoli di Corte ho inteso dichiarare apertamente non potere la Russia rimanere a lungo sotto il peso di una siffatta vergogna e già contemplarsi l'eventualità di una nuova guerra a breve scadenza.

In tali disposizioni di animo non è da stupirsi che la ripresa delle relazioni diplomatiche col paese vincitore incontri qui uno scarso entusiasmo. Svanita definitivamente, dopo la conclusione del nuovo trattato di alleanza anglo-giapponese, ogni speranza di giungere con l'Impero del Sole Levante ad un riavvicinamento politico, un tempo qui vagheggiato, lo Zar ed il suo Governo non sentono più, a quanto pare, il bisogno di ingraziarsi il Giappone e sembrano voler mantenere verso di esso un'attitudine di gelida correttezza. A queste disposizioni è probabilmente dovuto il fatto che un'intesa non fu finora potuta raggiungere riguardo all'innalzamento al rango di ambasciata delle rispettive sedi diplomatiche a Pietroburgo e a Tokio, e più ancora la circostanza de li'essersi qui scelto per rappresentare la Russia nella capitale giapponese un agente del carattere e dei precedenti del sig. Bakhmetiev. Senza disconoscere i meriti di questo funzionario è d'uopo tuttavia riconoscere che per il suo carattere angoloso per il suo spirito mordace egli è certamente l'uomo il meno atto per rappresentare in questi momenti difficili e delicati la Russia a Tokio. L'inadattabilità del sig. Bakhmetiev alla missione affidatagli è talmente qui riconosciuta da ognuno che la sua nomina ha dato luogo ad una violentissima campagna di stampa, che non accenna a cessare ed a cui si associano indistintamente gli organi di tutte le gradazioni e di tutti i partiti.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 406. Roma, 17febbraio 1906, ore 13,15.

Avevo comunicato a Lanza, anche per notizia di Biilow, il telegramma che circa il nostro atteggiamento nella Conferenza diressi a V.E. il 12 di questo mese 1 . Come

V.E. ha ora veduto, Biilow ne trae la conseguenza che, dovendosi votare in caso di disaccordo per la questione di polizia, l'Italia si asterrà dal voto. A questo proposito prego V.E. di voler considerare se non sarebbe possibile di condurre il procedimento in guisa che l'impossibilità dell'accordo risulti puramente dal fatto senza che si addivenga a formale votazione che mettesse in luce l'atteggiamento ed il vario raggruppamento delle singole potenze2 .

507

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 408. Roma, 17febbraio 1906, ore 20.

Col telegramma confidenziale di ieri V.E. 1 mi espone molto chiaramente la linea di condotta da lei seguita di fronte alla delegazione germanica ed alla francese. Mi preme di manifestarle, in proposito, la piena approvazione del R. Governo e di assicurarla che in un'opportuna libertà di apprezzamento e di modi nell'adempimento delle istruzioni noi ravvisiamo una indispensabile condizione per il buon esito della missione a lei affidata.

2 Per la risposta vedi D. 512.

506 1 Vedi D. 486.

507 1 Vedi D. 504.

508

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 467/25. Algeciras, 17 febbraio 1906, ore Il (perv. ore 15,10).

Il delegato francese ha jersera comunicato, per ordine del suo Governo, al primo delegato germanico la seguente risposta all'ultima proposta germanica: «Non v'è opposizione all'organizzazione della polizia da parte del Sultano nei porti né al pagamento delle truppe e degli ufficiali da parte della Banca di Stato, né alla breve durata di questa istituzione, ma a condizione che gli ufficiali stranieri, scelti da S.M. Sceriffiana, siano ufficiali francesi e spagnoli. Il punto della proposta germanica relativo ad una sorveglianza dell'esecuzione di questa organizzazione, potrebbe essere esaminato se la questione della nazionalità degli ufficiali fosse stata risoluta come è sopra indicato».

509

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 470/30. Parigi, 17febbraio 1906, ore 16,50 (perv. ore 19,25).

Avendo incontrato iersera Rouvier, gli feci sentire che sarebbe stato opportuno che, per promuovere e favorire l'azione conciliativa di S.E. Visconti Venosta, il sig. Révoil fosse incaricato di esprimergli il desiderio del Governo francese di vedergli spiegare tale azione. Mi parve convenisse dare questi suggerimenti nell'interesse di attribuire all'opera del sig. plenipotenziario nostro lo spiccato carattere di mediazione, ugualmente ricercata dalle due parti, anziché di appoggio dato a quella sola di esse che ne fece richiesta. Il sig. Rouvier sembrò un poco sorpreso del mio suggerimento, osservò che forse non era strettamente corretto far parlare a Visconti Venosta piuttosto che a Roma, ma crede che seguirà il mio suggerimento.

510

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 473/26. Algeciras, 17 febbraio 1906, ore 21 (perv. ore 7,50 de/18).

Riferendomi rapporto 10 dell'8 corrente1 nella seduta odierna il delegato britannico propose che, invece di dire che fissasi la sovratassa al quarto del diritto di importazione, dicasi sovrattassa sarà due e mezzo per cento ad valorem. Siccome con ciò colpirebbesi in modo proporzionalmente maggiore le poche voci tassate al cinque in confronto di quelle tassate al dieci per cento, e fra le prime essendo: vino, seterie che noi importiamo, ho tosto formulato riserva riferime a Roma. Analoga riserva fecesi da altri delegati. Prego V.E. mandarmi istruzioni2 .

511

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 474/27. Algeciras, 17 febbraio 1906, part. ore 0,25 del 18 (perv. ore 6,30).

Radowitz mi disse di avere mandato a Berlino la proposta francese da mc telegrafata questa mattina 1 , che aspettava istruzioni, ma che credeva non sarebbe stata accettata. Ho avuto un colloquio in proposito, secondo le istruzioni mie2 , col delegato austro-ungarico. La proposta francese ravvicinasi alla proposta germanica su alcuni punti che sono i seguenti: il Sultano sarebbe incaricato dell'organizzazione della polizia; la polizia limitata ad alcuni porti da determinarsi; i fondi necessari fomiti dalla nuova Banca di Stato; l'incarico degli ufficiali stranieri sarebbe di una certa durata; infine è ammessa la discussione intorno al controllo ed alla sorveglianza sull'organizzazione e l'azione di detta polizia, controllo che il progetto germanico voleva affidato al Corpo diplomatico a Tangeri e ad un ispettore appartenente ad una potenza minore. Questo ultimo punto è il più importante perché la discussione potrebbe, mercé ulteriori negoziati, aprire la via ad un applicazione del principio sostenuto dalla Germania dell'uguaglianza delle nazioni agli Stati neutrali. Ma la differenza tra le due pro

2 Con T. 422 del 19 febbraio Guicciardini rispose: «Nell'interesse delle nostre particolari esportazioni sarebbe certo desiderabile che la sopratassa doganale fosse mantenuta al quarto del dazio principale. Però circa la possibilità e la opportunità di una insistenza a tale riguardo mi rimetto al giudizio di V. E.».

2 Vedi DD. 489 e 490.

ste consiste in questo che la Francia domanda che la scelta degli ufficiali avvenga tra francesi e spagnoli e la Germania che la scelta sia lasciata al beneplacito del Sultano. Questa differenza appare sinora ostacolo non superabile. Il delegato austro-ungarico ed io, esaminando obiettivamente lo stato delle cose, abbiamo riconosciuto che nel momento attuale i soli buoni uffici possibili sono quelli che potrebbero esercitarsi sulla questione del controllo e dell'ispettorato, se questa questione potesse essere trattata. Il modo con cui qui si svolgono i negoziati per la polizia consistendo nel rimettere ogni decisione ai relativi Governi lascia poco campo alle cosiddette mediazioni. V.E. potrà, se lo crede a proposito, scandagliare il terreno presso il Gabinetto di Berlino3 .

510 1 Vedi D. 477.

511 1 Vedi D. 508.

512

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 485/28. Algeciras, 18febbraio 1906, ore 21,30 (perv. ore 7 de/19).

Ringrazio l'E.V. per il telegramma n. 408 1•

Nell'eventualità preveduta nel telegramma n. 4062 , credo che il modo migliore di procedere sarebbe quello di pregare il presidente perché constati la mancanza dell'unanimità necessaria, escludendo un'inutile votazione. In tale previsione ho potuto, nei giorni scorsi, accertarmi che tale sarebbe l'opinione prevalente tra i colleghi. Mi adopero, frattanto, perché la questione della Banca sia posta all'ordine del giorno della Conferenza in una prossima seduta.

513

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. 419. Roma, 19 febbraio 1906, ore 17,3 O.

Mi riferisco al telegramma del 12 febbraio, n. 23 1• Il R. Governo vede con favore tutte quelle imprese che giovino alla espansione

512 1 VediD.507. 2 Vedi D. 506. 513 1 Vedi D. 488.

economica del paese, soprattutto nelle regioni ove è più naturale e legittima l'esplicazione della nostra influenza. Per quanto concerne i modi e le cautele con cui debba opportunamente spiegarsi l'intervento del R. Governo e dell'ambasciata, ho presenti ed approvo i criteri da V. E. chiaramente esposti in un recente rapporto al mio predecessore.

511 3 Vedi D. 514.

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, E AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 425. Roma, 19 febbraio 1906, ore 20.

L'ambasciatore di Germania mi comunica che il suo Governo, presa conoscenza dell'ultima proposta francese, ha dichiarato di non poter accettare il punto che restringerebbe ad ufficiali francesi e spagnoli la scelta del Sultano. Il Governo germanico non fa, a questo riguardo, proposta alcuna, ed attende invece ulteriori proposte del Governo francese.

515

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 492/29. Algeciras, 19 febbraio 1906, ore 22,30 (perv. ore 6,30 del 20).

Radowitz e Révoil mi hanno fatto conoscere la risposta del Gabinetto di Berlino comunicata questa sera al delegato francese. Essa è negativa. Ne telegraferò domattina testo 1• Al tempo stesso mi dissero che sulla questione della Banca sono sorte le più gravi difficoltà di cui si rimandano reciprocamente le responsabilità. Telegraferò domani le mie previsioni sulle probabili conseguenze della situazione2 .

515 1 Vedi D. 518. 2 Vedi D. 519.

516

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 304/104. Costantinopoli, [19] febbraio 1906 (perv. il 28).

Ho l'onore di riferirmi ai dispacci ministeriali nn. 83 e 96 in data 5 e 8 corrente (Ufficio diplomatico) 1 aventi per oggetto relazioni austro-russe.

Col primo di essi I'E.V. si compiace comunicarmi notizie pervenutele dalla r. ambasciata in Pietroburgo circa i sintomi che nell'opinione pubblica russa si vanno manifestando in senso contrario all'intesa russo-austriaca specialmente in occasione del conflitto sorto per l'unione doganale serbo-bulgara2 •

Col secondo dei dispacci summenzionati I'E.V. mi ha dato comunicazione di un rapporto del duca A varna relativo agli articoli che sul medesimo argomento sono stati pubblicati dalla stampa austriaca in risposta ai giornali russi i quali si mostrano avversi all'intesa austro-russa per gli affari balcanicP.

Ringrazio l'E.V. per le interessanti notizie e mi affretto a qui unito restituire il rapporto del duca A varna, coi suoi allegati. Le pubblicazioni della stampa austriaca e della russa non m'erano sfuggite. Si comprende facilmente che nell'opinione pubblica russa si manifesti una tendenza di simpatia pei popoli slavi della Penisola balcanica che mostrano di volere cementare fra loro, mediante accordi formali, i vincoli di razza. Ma debbo dire che, per quanto è dato di osservare qui, tale tendenza non sembra aver prodotto alcun mutamento nella politica balcanica della Russia, in quanto gli ambasciatori delle due potenze dell'Intesa procedono sempre d'accordo, con grande intimità in tutto quanto si riferisce agli affari di Macedonia.

Ho cercato più di una volta di indagare il pensiero del sig. Zinoviev a tale riguardo, intrattenendolo del conflitto austro-serbo, ma egli si è sempre mantenuto nella più stretta riserva e non si è lasciato sfuggire neppure una frase da cui mi fosse dato di trarre qualche elemento di giudizio.

2 Vedi D. 449.

3 R. 218/125 del 29 gennaio, non pubblicato.

516 1 Non pubblicati.

517

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 432. Roma, 20 febbraio 1906, ore 22.

Per opportuna notizia di VE. qui trascrivo un telegramma dal r. ambasciatore a Berlino1 che meglio chiarisce l'atteggiamento del Governo tedesco di fronte all'ultima proposta francese.

«Come VE. già saprà, il Governo imperiale [ha fatto comunicare] da Radowitz a delegati francesi ed altri delegati in Algeciras, che la proposta francese, di cui nel telegramma di V.E. n. 4182 al quale rispondo, non può, nei termini in cui è redatta, essere accettata coli' obbligo che vorrebbe imporsi al Sultano di scegliere ufficiali stranieri solo fra francesi e spagnuoli. La Francia ritorna indirettamente su proposta già respinta dalla Germania, essendo, come mi osservava or ora questo segretario di Stato al Dipartimento affari esteri, tutte le altre, questioni di dettaglio sulle quali è facile intendersi quando sia decisa questione nazionalità ufficiali incaricati della polizia. Ora il Gabinetto di Berlino aspetta che la Francia od altra potenza faccia altre proposte, ma non accetterà, è bene il ripeterlo, alcuna combinazione che, direttamente od indirettamente, sotto controllo o senza, metta la Francia in una posizione privilegiata di cui potrà in avvenire valersi per i suoi fini».

518

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 497/30. Algeciras, 20 febbraio 1906, ore 13 (perv. ore 7 de/21).

Ecco il testo della risposta del Gabinetto di Berlino sulla polizia: «La condizione che gli ufficiali stranieri scelti da S.M. Sceriffiana siano ufficiali francesi e spagnoli non ci sembra compatibile con il carattere internazionale dell'organizzazione della polizia. Noi desideriamo, quindi, mantenere le nostre proposte dichiarandoci pronti ad esaminare ogni altra che avesse, come punto di partenza, il principio dell'uguaglianza dei diritti per tutti accettato dalla Conferenza».

Il delegato francese si limitò a rispondere che l'avrebbe mandata al suo Governo. Oggi nella Conferenza in comitato, cioè nella seduta non ufficiale, si comin

2 Con il T. 418 del 18 febbraio il sottosegretario Scalea aveva trasmesso a Lanza i DD. 508 e 511 con queste istruzioni: «Il desiderio del marchese Visconti Venosta ha manifestamente scopo pratico ed utile per i nostri intenti di conciliazione. Vedrà V.E. come meglio ella abbia modo di soddisfar!O».

cerà a discutere la questione della Banca. Conte Tattenbach ha presentato ieri ai delegati francesi un suo progetto completo di organizzazione e di statuto Banca, contro cui questi sollevano gravi opposizioni. Ho avuto una conversazione iersera con conte Tattenbach. La mia impressione è che, se egli non desidera rottura, vi è perfettamente disposto.

517 1 T. 490/46 del 19 febbraio.

519

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 500/31. Algeciras, 20 febbraio 1906, ore 18,35 (perv. ore 7 de/21).

Nel colloquio odierno si sono letti i due progetti sulla costituzione Banca presentati dalle delegazioni germanica e francese. Si è adottato, dietro mia proposta, un metodo di discussione nella speranza di diminuirne attriti immediati. Si rinviò con tale intento seduta a giovedì [il 22]. Malgrado questi palliativi situazione rimane sostanzialmente la stessa.

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA E ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 441. Roma, 21 febbraio 1906, ore 14,30.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi comunica che nell'opinione del suo Governo l'atteggiamento del Governo francese circa la Banca di Stato e la polizia dei porti del Marocco è stato così moderato e pratico che il Governo britannico deve continuare ad appoggiarlo.

521

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 442. Roma, 21febbraio 1906, ore 15.

Per informazione e norma di VE. qui trascrivo un telegramma del r. ambasciatore a Berlino1:

«Questa sera [il 20], nel suo primo ricevimento ebdomadario, nuovo segretario di Stato affari esteri mi ha, quasi esclusivamente, intrattenuto della Conferenza Algeciras. Egli si è mostrato molto sfiduciato sull'esito di quella Conferenza. Francia, reclamando, senza lasciare via aperta ad ulteriori discussioni, che polizia sia esclusivamente affidata ad ufficiali francesi e spagnuoli, sembra aver voluto provocare fine della Conferenza e mettere Francia e Germania nel caso che Rouvier aveva dichiarato desiderare evitare, di mettere, cioè, Francia e Germania in «flagrante disaccordo» nella Conferenza. Rouvier non poteva, infatti, ignorare che domanda francese non sarebbe accettata da Germania, che quella domanda è in aperta contraddizione con internazionalizzazione Marocco, che essa darebbe in balìa della Francia coste del Marocco, come già le si accordò il confine terrestre algerino. Segretario di Stato non si dimostrò irrequieto per le conseguenze immediate dell'insuccesso della Conferenza, ma seriamente preoccupato per l'avvenire delle relazioni tra Francia e Germania e per solidità della Triplice Alleanza, se apparisse che Italia e Austria-Ungheria non abbiano esercitato loro influenza verso la Francia per evitare questa crisi. Oramai, concludeva segretario di Stato, Germania ha solo speranza in una qualche proposta, accettabile da ambo le parti, fatta da terze potenze e spera, essenzialmente perciò, nei suoi alleati. Germania è disposta ad accettare qualsiasi proposta che salvi principio, da Imperatore stesso solennemente proclamato, nelle questioni del Marocco.

Io esposi, di nuovo, al segretario di Stato la speciale posizione nostra, le disposizioni conciliatrici con le quali siamo andati alla Conferenza e le speciali considerazioni esposte nel telegramma di S.E. Visconti Venosta, di cui si tratta nel telegramma di VE., n. 4182 , circa ultima risposta francese, che sì poco margine lascia all'azione di mediatore, e aggiunsi, che, ad ogni modo, avremmo fatto tutto ciò che ci era possibile di fare».

521 1 T. 501/47 de120 febbraio. 2 Vedi D. 517, nota 2.

522

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO A PECHINO, BAROLI

T. 450. Roma, 2lfebbraio 1906, ore 22.

D'accordo col Ministero della Marina, rispondo a rapporto n. 1481:

l) mantenere carabinieri Tiensin e guardia legazione. A questa fa ritorno distaccamento Hangtzung, che si sopprime, al pari di Shan-hai-Kuan;

2) mantenere caserma Savoja;

3) cedere gratuitamente alla Cina il posto di Tong-Ku, le caserme di UangTsun e quelle di Shan-hai-Kuan, riservandosi una di queste ultime per stazione bagni nostro contingente.

523

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 410/220. Vienna, 21 febbraio 1906 (perv. il 27).

Nella seduta del Reichsrat del 15 corrente, l'on. Kramarz ed altri presentarono una interpellanza sopra la politica estera della Monarchia in generale, nella quale chiedevano di conoscere il pensiero del Governo sopra i seguenti tre punti:

l) se il Governo vuole rassicurare gli interpellanti, mediante un'interpretazione autoritaria de li'articolo secondo del Trattato di alleanza austro-tedesco circa i timori manifestatisi relativamente alla questione marocchina, e se chi dirige la politica estera sia disposto ad adoperarsi nell'intento di preservare la Monarchia, mediante la denuncia del Trattato di alleanza, dai pericoli a cui potrebbe essere esposta dalla politica mondiale adottata dall'alleata;

2) di qual natura siano le istruzioni impartite ai delegati austro-ungarici ad Algeciras; 3) se il Governo intende usare della sua influenza affinché venga posto termine, nel modo più conveniente ed onorevole per le due parti, al conflitto serbo-austriaco.

Nella seduta di ieri il presidente del Consiglio rispose ali 'interpellanza sopra esposta dichiarando, relativamente al primo punto, non esistere, presentemente, alcun motivo per procedere all'interpretazione del Trattato di alleanza noto pubblicamente,

stipulato fra la Monarchia e la Germania. Una discussione sopra gli eventuali obblighi derivanti dal trattato stesso sarebbe poi tanto meno opportuna, in quantoché non vi è nessun motivo per temere che dall'attuale situazione politica europea possano sorgere complicazioni tali da mettere in pericolo la pace, il cui mantenimento sta egualmente a cuore a tutte le potenze.

Sopra il secondo punto, il barone di Gautsch dichiarò che, relativamente al Marocco, la Monarchia, che ha in quell'Impero interessi esclusivamente commerciali, si attiene al principio della «parità di diritti» e della «porta aperta» e che essa è decisa di cooperare con altri Stati a far sì che tali princìpi vengano circondati da tutte le garanzie necessarie, per impedire, nell'avvenire, un eventuale danno per gli interessi dell'esportazione austro-ungarica, che andavano aumentandosi ogni anno. In tal senso vennero impartite istruzioni ai delegati austro-ungarici ad Algeciras.

Rispetto, infine, al terzo punto, il presidente del Consiglio si disse in grado di assicurare gli interpellanti che il Governo desiderava regolare le relazioni commerciali con la Serbia, ma che esso non poteva non insistere al fine di ottenere la modificazione di quei patti contenuti nella convenzione serbo-bulgara che, trovandosi in opposizione coi princìpi generali dei diritti contrattuali, danneggerebbero gli interessi commerciali austro-ungarici; onde esso doveva far dipendere dall'accettazione di tali modificazioni, per parte del Governo serbo, la ripresa delle trattative commerciali.

522 1 Vedi D. 369.

524

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 453. Roma, 22fèbbraio 1906, ore 11,30.

Lanza telegrafa 1 da alcune parole del suo collega austro-ungarico essere indotto a credere che il conte Goluchowski di sua iniziativa pensa a proporre qualche combinazione diretta a conciliare le opposte tendenze francesi e germaniche.

V.E. ha veduto, dal linguaggio tenuto a Lanza dal segretario di Stato, come il Governo germanico si aspetti che alcuna proposta venga messa innanzi da terza potenza e particolarmente «dai suoi alleati»2 . D'altra parte la stampa francese non cessa dal preconizzare un'opportuna iniziativa dell'Italia. In tale situazione V. E. è meglio di chicchessia in grado di considerare se da noi si possa nel presente momento fare qualche cosa, bene inteso senza deviare da quella precisa linea di condotta in cui ci siamo finora tenuti. Sarò grato a V.E. di volermi tosto comunicare a tale riguardo il suo pensiero3 .

2 Vedi D. 521.

3 Per la risposta vedi D. 528.

524 1 Con T. 504/49 del21 febbraio, non pubblicato.

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 454. Roma, 22febbraio 1906, ore 14,45.

Verificandosi eventualità di un'iniziativa austriaca per mediazione alla quale noi potessimo associarci, prego V.E. di voler considerare se sarebbe opportuno che alla detta iniziativa si potesse associare anche l'America per togliere ali' eventuale azione austro-ungarica-italiana il carattere di una entrata in scena della Triplice, la quale renderebbe più difficile l'ottenimento dello scopo cui si mira.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 457. Roma, 22febbraio 1906, ore 20.

Qui riproduco, per informazione di V.E., due telegrammi, giuntimi, l'uno da Parigi e l'altro da Berlino:

l) telegramma da Parigi 1: «Ebbi or ora un colloquio con Rouvier, il quale si dimostra seriamente impressionato del contegno della Germania la quale, a suo avviso, sembra spingere ad un clamoroso insuccesso la Conferenza che essa ha voluto. Non ne capisco più niente, mi ha detto ripetutamente Rouvier, mentre ad Algeciras la Germania accentua la sua intransigenza, la sua stampa diviene più blanda. Si vuole forse preparare così un finale colpo di scena? Gli ho domandato se fosse vero che l 'Imperatore aveva invitato il barone Courcel a passare per Berlino. Rouvier mi rispose che Courcel aveva il progetto di passare per Berlino dove doveva incontrarsi a pranzo con Biilow ali 'ambasciata di Francia. L'Imperatore congedandolo a Copenaghen gli disse semplicemente. "A rivederci a Berlino". Il pranzo doveva aver luogo ieri; Courcel, naturalmente, deve presentarsi ali 'Imperatore ma Rouvier, fino a poco fa, nulla aveva ricevuto né dell'incontro di Courcel-Biilow, né dell'udienza imperiale. Entrando a parlare, a titolo privato, della situazione odierna Rouvier convenne che nella questione della polizia al Marocco gli interessi in verità erano di assai poco conto, ma egli si dimostra impensierito dell'atteggiamento dell'opinione pubblica francese e dell'accusa mossagli da più parti, di essere già andato oltre il limite delle concessioni possibili. Ebbi l 'impressione che fra il tentare qualche altro passo per arrivare ad una transazione nell'affare della polizia ed il rinunziare a regolare questa

questione, egli preferiva questo secondo partito purché trovi una formula che garantisca che lo status qua per alcuni anni, cioè l'indipendenza assoluta del Sultano e la rinunzia dell'introduzione di elementi stranieri, sarà rispettato da tutti in buona fede. Una formula di aggiornamento per la polizia ed il regolamento di tutto il programma economico della Conferenza, mi parve essere il termine dell'accomodamento che qui si preferirebbe in presenza dell'intransigenza della Germania. Importa che, se la Conferenza non può risolvere questione della polizia, nessuno se ne vada sbattendo le porte. Le difficoltà che l'insuccesso della Conferenza lascerebbe sussistere, sarebbero d'ordine economico e politico. Se almeno il programma delle questioni economiche fosse compiuto si eviterebbero i conflitti che oggi nascono. Poi Rouvier mi disse che oggi si incominciavano le trattative per la Banca. Egli trova impossibile, anche dal lato tecnico, il progetto tedesco; mi ha detto che Révoil ne ha uno egli pure e che la Spagna presenta essa pure qualche cosa. Non mi sembra che Rouvier trovi il progetto francese inappuntabile. Nel corso della conversazione che ebbe sempre, per comune preaccordo, carattere privato, trovai opportuno di far sentire a Rouvier che egli si illudeva se, spingendo la Conferenza a pronunziarsi sulla questione della polizia, credeva di mettersi di fronte all'opinione pubblica generale europea, la Germania in particolare. Bisogna aspettare, gli dissi, piuttosto a vedere che tutti gli altri riconoscano l'inammissibilità dell'intesa, senza pronunziarsi né per l'una né per l'altra delle due parti intransigenti».

2) telegramma da Berlino2: «Il mio collega austro-ungarico ha tentato qui di vedere se non fosse possibile indurre Governo imperiale a far riprendere dal suo delegato ad Algeciras conversazione con Révoil sulla base dei punti che sono comuni al programma francese e germanico per l'organizzazione della polizia. Le pratiche del mio collega sono però restate nella sostanza senza il risultato sperato. Mi risulta che il Cancelliere dell'Impero ha esposto lo stato delle cose al mio collega di Russia pregandolo di rendersi interprete a Pietroburgo delle ragioni che inducono Germania a resistere alle richieste francesi. Cancelliere dell'Impero ha pregato il mio collega russo di riferire al suo Governo che Gabinetto di Berlino vedrà con piacere una nuova proposta sia che questa parta dalla Francia sia che parta da altra potenza. Da accenno fatto dal Cancelliere dell'Impero risulterebbe che Governo imperiale sarebbe disposto accettare una soluzione, la quale conduca, per la polizia porti, all'aggiunta di istruttori appartenenti a qualche altra potenza, oltre la Francia e la Spagna».

526 1 508/33 del 21 febbraio.

526 1 T. 512/50 del 22 febbraio.

527

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 513/32. Algeciras, 22jèbbraio 1906, ore 12,30 (perv. ore 16,50).

Ecco le principali disposizioni del progetto germanico sulla Banca: l) capitale è fissato in pesetas non indicando per ora cifra; 2) ogni potenza rappresentata alla Conferenza potrà reclamare una parte uguale sia che la tenga per sé che per Banca del suo paese; 3) i rapporti giudiziari della Banca saranno retti dai codici egiziani per i processi misti e tribunale competente e senza appello sarà una corte mista composta dei consoli e di un delegato marocchino; 4) Banca dipenderà da un consiglio di sorveglianza composto del Corpo diplomatico a Tangeri e sarà amministrata da un consiglio di amministrazione composto di due delegati per ogni paese rappresentato.

Ecco le principali disposizioni del progetto francese: l) capitale quindici milioni di franchi; 2) capitale diviso in quindici parti, di cui undici una per potenza rappresentata alla Conferenza e quattro agli stabilimenti francesi che cederebbero alla Banca i diritti loro acquisiti dal contratto del prestito marocchino 1904; 3) Banca costituita sotto il regime legge francese e «posta nelle condizioni di giurisdizione competenze fissate al Marocco dalle capitolazioni»; 4) Banca dipenderà da un consiglio di amministrazione di quindici, ognuno della nazionalità di ogni gruppo sottoscrittore eletti dall'assemblea degli azionisti, ma dopo dieci anni questi membri saranno scelti senza distinzione di nazionalità.

Mi sono adoperato jeri confidenzialmente a ravvicinare i punti di vista dei delegati francese e germanico sulla questione principale, cioè, della formazione del capitale.

Seduta odierna Comitato non porterà a risoluzione definitiva.

528

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 517-518/33-34. Algeciras, 22febbraio 1906, ore 22 (perv. ore 7 del 23).

[33] Oggi seduta del Comitato sulla questione della Banca fu assai calma, anche mercé metodo d'esame adottato. La questione grave fu quella del diritto di preferenza per i futuri prestiti del Marocco acquisito dai contraenti del prestito marocchino 1904 e del suo riscatto a favore della nuova Banca mediante un dato numero di parti nella formazione del capitale della Banca stessa. I delegati francesi ne propongono

quattro su quindici; i germanici propongono di rimandare ad una transazione particolare della Banca dopo costituita senza occuparsene ora. Credo che le due parti si ravvicineranno nel concetto del riscatto fatto contemporaneamente alla costituzione della Banca nel quale senso ho esercitato jcri buoni uffici. Ma sono ancora lontane per quanto si riferisce numero parti da attribuirsi. Nel Comitato di oggi le due delegazioni si mantennero sul loro terreno, ma non mi parve si possa escludere possibilità transazione. Se l'accordo non fosse ottenuto sulla questione della Banca che è ora all'ordine del giorno della Conferenza, vano sarebbe pensare a quella della polizia e tutto sarebbe finito. Tanto più sarebbe necessario che i delegati avessero delle istruzioni concilianti su questo terreno meno pregiudicato dalle dichiarazioni anteriori.

[34] Risponderò telegramma di VE., n. 453 1 , appena avrò potuto avere colloquio con il delegato austro-ungarico. Se frattanto qualche passo formale fosse fatto presso VE. pregola precisare linea di condotta prescritta dalle mie istruzioni oppure riservarsi di prima interrogarmi per la conoscenza che posso avere sul luogo della situazione.

529

IL SENATORE DI SAN GIULIANO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, SONNINO

L. CONFIDENZIALE. Catania, 22febbraio 1906.

Ti ringrazio di tutto cuore della tua del 20, che mi trova in migliore stato d'animo, perché mia madre mi sembra sensibilmente migliorata, sebbene tale non sia l'opinione del medico.

Gli schiarimenti, che ti ha dato Tittoni, non potevano estendersi all'ultima fase, svoltasi durante la mia gestione, dci tre più importanti affari pendenti, e perciò reputo utile, nell'interesse del paese e tuo, di aggiungerne altri. Vero è che di questi ed altri argomenti intrattenni a lungo Guicciardini, ma mi parve che l'eccesso di spiegazioni, condensate in poche ore, su molti, e gravi affari, lo abbia piuttosto intontito che illuminato.

l. Marocco. Premetto che è necessario che tu legga il trattato della Triplice alleanza e gli accordi tra Francia ed Italia, e specialmente gli ultimi, di novembre 1902, tra Prinetti c Barrère. Appena assunta la direzione del Ministero esteri, io fui subito stretto tra due fuochi, Egerton e Monts, mentre Barrèrc, dopo un primo tentativo, tenne un contegno corretto e riservato. Visconti Venosta, Lanza ed io ci trovammo concordi nell'interpretare gli accordi del 1902 nel senso che non ci obblighino a

sostenere la Francia, ma ci obblighino a non combatterne le aspirazioni sul Marocco, cioè, che in caso di votazione ad Algeciras, ci obblighino a non votare contro la Francia, ma non ci obblighino a votare contro la Germania, onde in caso estremo astensione dal voto. Si convenne però che Visconti Venosta avrebbe cercato di evitare questa situazione, spiegando un'azione conciliativa, perché chi si astiene non fa mai una bella figura. Visconti Venosta poi accettò d'andare ad Algeciras previa promessa che non avrebbe ricevuto, in seguito ad eventuali pressioni tedesche, istruzioni contrarie all'accordo italo-francese del 1902 interpretato in questo senso. A Monts io non rivelai, benché egli in parte lo conoscesse, il tenore dell'accordo predetto, ma gli dissi che io gli avrei dato l'interpretazione la più germanofila che fosse compatibile colla lealtà, poiché, aggiunsi, la Germania stessa non avrebbe più fiducia in noi se noi ci mostrassimo sleali con altri. Queste ed altre idee, che scambiammo, produssero nell'animo di lui un'ottima impressione, ed io ho lasciato le nostre relazioni colla Germania e colla Francia migliori di come le trovai. La nomina di Visconti Venosta, che io avevo deciso dal primo minuto secondo del mio avvento alla Consulta, fu ritardata di qualche giorno per accertarmi che anche alla Germania sarebbe riuscita gradita. Egli poi sino al 7 febbraio, ultimo telegramma pervenuto a me, aveva raccolto ad Algesiras la gratitudine di ambo le parti. Il primo telegramma di Biilow, che Monts mi lesse, era una larvata minaccia (Tripoli); l 'ultimo un tentativo di seduzione (polizia). Riassumendo, io credo che tu, nonostante questi schiarimenti, debba leggere cogli occhi tuoi i documenti summentovati. Siccome, nell'interesse del paese, è sempre meno male che un Governo straniero abbia risentimento verso un ministro uscito di carica che verso quello in carica, io ho informato Lanza degli accordi Prinetti, e gli ho lasciato libertà di giudizio e d'azione intorno ai limiti, al modo ed al tempo di eventuali comunicazioni confidenziali alla Germania. Debbo anche aggiungere che Monts, nel primo colloquio, mi fece intendere che anche l'astensione dal voto sarebbe stata interpretata dalla Germania come un atto poco amichevole, ma in seguito il suo atteggiamento si è molto modificato. Dovere e sentimento patriottico, affettuosa amicizia personale per te, mi hanno spinto, come era naturale, a mettere il mio successore in grado di evitare qualche errore nocivo al paese; fatto ciò, per debito di lealtà aggiungo che, sempre nei limiti imposti dall'interesse del paese, mi riservo piena libertà di voto, di parola e d'azione.

2. Abissinia. A questa piena libertà (ma non so se Guicciardini abbia ben capito) ho volontariamente aggiunto una speciale restrizione nell'interesse del paese, cioè gli ho detto che, se sarà attaccato per aver firmato la convenzione colla Francia e l'Inghilterra per l'Abissinia, io lo difenderò, perché, nonostante gli inconvenienti e i difetti di quella convenzione i quali la espongono a facile critica, credo che sia minor male firmarla che non firmarla. E credo anche che sia necessario firmarla il più presto possibile. Io l 'ho migliorata nel punto più essenziale, ottenendo la delimitazione d eli' hinterland francese e l'adesione inglese alla nota esplicativa, ma reputo necessario che tu personalmente, il più presto possibile, chiami Agnesa c ti faccia dare da lui il testo del progetto di convenzione, la carta geografica segnata e le necessarie spiegazioni verbali. A questa convenzione si connette una delicata questione, cioè la comunicazione alla Germania: vi sono scogli da evitare, nell'interesse del paese, in qualunque via si tenga per siffatta comunicazione: Agnesa e Malvano ti potranno dare schiarimenti in proposito, ed è bene che tu li ascolti presto, e che tu legga i miei telegrammi a Lanza. Credo d'averti messo in guardia, con queste spiegazioni, contro i pericoli e le insidie della situazione internazionale, nelle più spinose questioni pendenti, ed ora aggiungo una parola sopra un'altra, che non è ancora pendente, ma spunta ali' orizzonte.

3. Yemen. Alludo alla questione dello Yemen, e non già a quella speciale della ferrovia Hodeida-Sana. Conviene o no aprire trattative coll'Inghilterra sulla questione dello Yemen? Da quanto ti dirà Agnesa, vedrai che è impossibile trattare questo, o qualsiasi altro affare coloniale coli 'Inghilterra, finché il nostro ambasciatore colà è Pansa. Perciò Fortis ed io avevamo pensato di sostituirlo con Tittoni, che accetterebbe; è persona grata a Londra e porterebbe opera utile al paese. Credo che, proponendo ciò al Re come idea tua, faresti cosa gradita anche al nostro Sovrano, che vedrà quale uomo meritevole di ammirazione e devozione sia, ora che avrà occasione di vederlo spesso. Puoi benissimo anche, se lo credi utile, dire al Re ed a Tittoni che io avevo già fatto quest'offerta al Tittoni, che Tittoni l'aveva accettata, salvo, ben intesa, l'approvazione da chiedere al Re. Ma, sia che questa nomina si faccia o non si faccia, deve rimanere segreta, nel primo caso, finché sia fatta, e nel secondo caso sempre. Il gradimento del Governo inglese è già venuto, e l 'ho consegnato a Guicciardini. In ogni caso, poi, come sentirai meglio da Agnesa, è impossibile affidare affari coloniali a Pansa: sentirai che cosa egli abbia risposto ad Agnesa quando gli parlò dello Yemen, e sentirai da Agnesa pure che per migliorare la convenzione sull' Abissinia, io ho dovuto lottare più con P ansa che con Barrère!!!

Un'ultima notizia confidenzialissima. In Russia si crede o si credeva che tu sii anti-russo. Ho spiegato a Muraviev che ciò non è. Siccome l'Italia ha interesse all'amicizia russa è bene che, senza fargli capire che io te ne ho informato, tu cerchi di cancellare, se rimane, questa impressione.

PS. Ad evitare equivoci, siccome temo che Rossetti abbia male interpretato alcune mie espressioni, dettate dali' affetto che porto alla colonia Eritrea, ti dichiaro che credo che, indipendentemente da altre considerazioni, la mia salute s'opponga ad un'eventuale successione di Martini, non potendo a lungo sopportare l'altezza di

2.350 metri e la scarsità d'ossigeno. Solo per non perdere la proprietà letteraria di alcune mie idee, onde non ne abbia il merito altri, le ho esposte in un'intervista nella Tribuna2 . La cosa più urgente è la via di penetrazione sino a Gondar a costo di sacrificare, se il sacrifizio sarà necessario, il proseguimento, almeno per ora, della ferrovia.

528 1 Vedi D. 524.

529 1 CASTELLO SONNINO DI MoNTESPERTOLI (Firenze), Archivio Sidncy Sonnino. Ed in S. SONNINO, Carteggio !R9!-1913, a cura di B.F. Brown e P. Pastorelli, Roma-Bari, Laterza, 1981, doc. 381, pp. 427-431.

529 2 Si veda «Beta», Eritrea, Suda n e Benadir. Un colloquio con l 'on. Di San Giuliano, La Tribuna, 12 febbraio 1906.

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANZA, E A PARIGI, TORNIELLI

T. 460. Roma, 23 febbraio 1906, ore 11,55.

Dali' insieme delle notizie che ci giungono da V.E. e dal collega, nonché dai discorsi che qui mi tengono alcuni ambasciatori, è lecito argomentare che potrebbe forse essere accettata tanto a Berlino quanto a Parigi una combinazione basata sulla aggiunta di una terza nazionalità alle due tra cui la Francia propone che sia ristretta la scelta del Sultano per la polizia dei porti. Ciò essendo, desidererei, per norma opportuna dell'azione conciliativa da noi esercitata ad Algeciras, avere in proposito una nozione sicura che V.E. può, in quanto concerne codesto Governo, agevolmente procurarsi, io penso, e tosto telegrafarmi 1•

531

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. RISERVATO 468. Roma, 23febbraio 1906, ore 20,40.

Ricevuto rapporto 27 gennaio scorso n. 602 . Approvo linea condotta che si propone Y.E. per questione dancala. Se Menelik mettesse questione confine, in modo categorico, c V.E. potesse sfuggirla, desidererei che ella si limitasse a dichiarare a Menelik che comunicherà proposte al Governo del Re.

530 1 La risposta di Lanza fu trasmessa a Visconti Venosta con D. 538; con T. 547/36 del 25 febbraio, Tomielli rispose che Rouvier non era ancora in grado di fornirgli una risposta. 531 1 Ed. in MARTIN!. Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 226. 2 Vedi D. 451.

532

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 521/313. Pera, 23 febbraio 1906, ore 11,40.

Rispondo al telegramma n. 4461• Per ora nessun iradé imperiale. Situazione tuttora conforme al mio rapporto

n. 372 • Data però preoccupazione del Sultano per le cose dell'Yemen ed influenza preponderante di Munir pascià interessato affare è probabile che non tardi iradé imperiale, concessione ferrovia Leon ed al gruppo francese cointeressato. Ho conferito con P erro ne giusta telegramma n. 2973•

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IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 527-530/35-36. A lgeciras, 2 3 febbraio 1906, ore 15, l O (perv. ore 23).

[35] Ho avuto una conversazione con delegato austro-ungarico. Egli non ha ancora ricevuta alcuna istruzione da Vienna. Ci siamo trovati pienamente d'accordo nel considerare che per qualunque iniziativa nella questione della polizia, per non compromettere le più [si c] scarse speranze di un risultato soddisfacente, bisognava procedere con la più grande cautela e delicatezza. Siamo stati d'accordo nell'escludere qualunque forma di proposta formale e collettiva, nel !imitarci a scandagliare prima personalmente e amichevolmente terreno in quei modi che le circostanze ci avrebbero consigliato. Io, poi, devo aggiungere a VE. che, nel mio convincimento, ogni altra forma di procedere andrebbe incontro ad un sicuro insuccesso. Nel mio colloquio col delegato austro-ungarico aveva già detto che, nell'interesse della conciliazione, avrei cercato di avere il concorso del delegato degli Stati Uniti.

[36] Assicuro VE. che nessun tentativo escogitabile per comporre la questione della polizia sarà da me trascurato. Per questo ho avuto in questi giorni qualche intervista confidenziale col conte di Tattenbach. Egli mi lasciò intravedere un embrione di transazione che forse potrebbe aprire una via, ma questo in modo strettamente riservato e personale e senza, mi disse, averne ancora fatto parola al suo Governo. Ma

concessione della ferrovia Hodeida-Sana'a sia stata fatta ad un gruppo francese con iradé imperiale». 2 Vedi D. 424. 3 Vedi D. 462. Per la risposta vedi D. 544.

anche questa transazione sarà di problematica riuscita perché l'atteggiamento dell'opinione pubblica francese [preme] su quel Governo. Però qualche cosa si potrebbe tentare. Sopraggiunse ora l'azione spiegata dall'Austria-Ungheria. Riconosco che noi non potevamo ricusare: ma, per verità, mi è più di impaccio che di aiuto. E, quindi, ho cercato di assecondarla in modo da non dare appiglio ad alcun lamento, ma con prudenza. Non vorrei che, invece del risultato pacifico della Conferenza tanto da noi desiderato, si avesse piuttosto in vista una dimostrazione della Triplice Alleanza in seno alla Conferenza. Inutile tale risultato. Tale dimostrazione ci toglierebbe dal terreno dell'imparzialità conciliatrice sul quale ci troviamo, per farci prendere parte per gli uni contro gli altri. Sino dal suo annunzio è apparso che la Conferenza di Algeciras potesse mettere in una difficile situazione l 'Italia, posta tra la sua alleanza con la Germania ed il suo riavvicinamento con la Francia il quale riflette appunto le questioni mediterranee.

Il mio intento, che ritengo comune con VE., sarebbe che l'Italia potesse uscire dalla Conferenza in quel medesimo stato di relazioni internazionali che aveva prima di entrarvi, senza che gli alleati avessero verso di noi alcuna legittima ragione di scontento, senza che, dall'altro lato, ci si potesse accusare di aver mancato ad impegni che avevano forse il loro corrispettivo, il quale cadrebbe coll'inadempimento degli impegni stessi.

532 1 Con T. 446 del21 febbraio Guicciardini aveva chiesto: «Prego telegrafarmi se sia vero che la

534

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 529/34. Pera, 23.febbraio 1906, ore 19,10.

Comunicazione circa Tripolitania, fatta oggi da me per ordini di Sua Maestà 1 ha cagionato visibile soddisfazione al Sultano, il quale mi ha incaricato di ringraziare vivamente S.M. il Re. Sultano invia saluti a VE., di cui conserva simpatico ricordo ed è lieto di sapere che anche ella seguirà politica amica alla Turchia. Per mezzo di Romei Sultano mi farà prossimamente comunicare un rapporto interessante le relazioni italo-turche.

S.M. Imperiale, soddisfattissima di Romei, desidererebbe conservarlo ancora suo servizio e prega S.M. il Re di voler consentire. Su questo punto telegrafarmi ordini reali 2 . Maggiori particolari prossimo corriere3 .

2 Risposta non rinvenuta nel registro dei telegrammi.

3 Vedi D. 540.

534 1 Vedi D. 501.

535

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANZA, E A PARIGI, TORNIELLI

T. 473. Roma, 24febbraio 1906, ore 21.

Per rimuovere fin da ora ogni equivoco e per norma del suo linguaggio desidero mettere in sodo che qualora per risolvere la questione della polizia dei porti nel Marocco si proponesse l'aggiunta di una terza nazionalità alla francese ed alla spagnuola, questa terza nazionalità, non potrebbe essere l'Italia, né occorre che a V. E. io né dica le ragioni 1•

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IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 543-544/37-38. Algeciras, 24.fèhhraio 1906, ore 21,30 (perv. ore 7,35 del 25).

[37] Rappresentante austro-ungarico è venuto a leggermi un lungo telegramma di Goluchowski. Nella prima parte si diceva che il tentativo da lui tàtto per ottenere che il Gabinetto di Berlino desistesse dalla sua opposizione assoluta alla proposta francese sulla polizia non era riuscito. Di più si riferiva una conversazione dell'ambasciatore d'Austria-Ungheria a Berlino con il Biilow, il quale sull'esito della Conferenza, anche per la Banca, si era mostrato di un pessimismo che mi parve eccessivo, mentre la discussione finora avvenuta su tale questione nelle nostre sedute di Comitato mostra piuttosto che, con un poco di buon volere da ambedue le parti, non riuscirebbe esclusa possibilità di un'intesa. Nella seconda parte Goluchowski aggiungeva di aver proposto che i delegati austro-ungarico italiano, germanico c, eventualmente, degli Stati Uniti associassero i loro sforzi perché questione polizia non fosse messa ai voti nel plenum della Conferenza e perché chiusura di essa, in caso di insuccesso, avesse forma di una conciliazione. Risposi che convenivo nella saggezza delle due proposte, ma che frattanto credevo che i Governi amici dovessero esercitare tutta opera loro perché questione Banca potesse essere risoluta. Se nella Conferenza un accordo avesse potuto attenersi sulla Banca, forse sarebbe stato possibile fare, in migliori condizioni, un qualche tentativo sull'ultima questione rimasta insoluta, quella della polizia. Ma quando anche, come temevo, questo tentativo non fosse apparso possibile, la Conferenza avrebbe pur sempre esaurito il suo programma economico e

avrebbe stabilito al Marocco uno stato di cose definito per quanto concerne interessi economici internazionali. Dopo questo risultato un aggiornamento della Conferenza avrebbe avuto, per la situazione politica generale, un carattere assai più rassicurante, che non avrebbe un aggiornamento senza avere nulla concluso, né firmato, forma questa preferibile nel [peggiore] dei casi, ma che sarebbe forma appena velata della rottura. Delegato austro-ungarico convenne meco sulla importanza capitale di un accordo sulla Banca e, in generale, su ciò che gli avevo esposto.

[38] Oggi nella seduta di Comitato si continuò a discutere intorno Banca. Per la questione sorveglianza, delegato britannico fece una proposta che può aprire via alla conciliazione. Per la questione della giurisdizione, si convenne che le contestazioni tra la Banca ed il Governo marocchino sarebbero deferite alla Corte di Losanna, quelle della Banca contro i privati alla giurisdizione di questi ultimi. Ma per le contestazioni dei privati contro la Banca e per il codice da applicarsi, la questione rimane insoluta per mancanza d'accordo tra le due delegazioni. La francese propone codice francese, la Germania i codici comparati. Egualmente avvenne per la questione della sede sociale: la prima delegazione proponendo Tangeri e l'altra Parigi. Le divergenze sembrano tali da non essere impossibile comporle. La più difficile è sempre quella discussa ieri l'altro intorno parti da assegnarsi nel capitale della Banca ai banchieri francesi contraenti prestito 1904 come prezzo del riscatto per i prestiti. Per lasciare alla due delegazioni il tempo necessario a nuove trattative di conciliazione nella questioni rimaste in sospeso, si lasciò presidente arbitro di convocare Conferenza nel giorno che egli crede opportuno.

535 1 Con T. 551/56 del 25 febbraio, Lanza, nel eonfennare di attenersi alle istruzioni, rispose che, a titolo di opinione personale, si era già espresso in questi stessi termini.

537

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 432/235. Vienna, 24febbraio 1906 (perv. il JO marzo).

Nel colloquio che ebbi ieri col conte Goluchowski il discorso essendo caduto sull'andamento della Conferenza d'Algeciras, mi disse che le informazioni pervenutegli dal rappresentante austro-ungarico non davano a sperare almeno per ora che le divergenze sorte tra la Francia e la Germania in ordine alla questione dell'organizzazione della polizia nel Marocco fossero per essere appianate.

Nell'accennare alle modificazioni che la Francia aveva chiesto d'introdurre nella proposta formulata dalla Germania, la quale era quasi identica a quella che, nell 'intento di agevolare la soluzione di tali divergenze, aveva creduto di suggerire a Berlino, il conte Goluchowski osservò che non gli sembrava che tali modificazioni colle quali si veniva a riconoscere la sovranità del Sultano fossero tali da costituire per il Governo della Repubblica una posizione privilegiata nell'Impero di fronte alle altre potenze, dato il numero ristretto degli ufficiali istruttori da scegliersi, che calcolava a circa trenta, i quali per disimpegnare l'ufficio che sarebbe stato loro affidato dovendo parlare la lingua del paese non potevano non essere fomiti da altra potenza che dalla Francia o dalla Spagna. La Germania però non aveva giudicato opportuno di prendere in considerazione quelle modificazioni né si dimostrava disposta a recedere dalla sua domanda o a presentare altra proposta, la quale attendeva fosse formulata dalla Francia, ciò che aveva prodotto nel Governo della Repubblica una spiacevole impressione.

Né minori difficoltà prevedeva sarebbero per sorgere per l'istituzione di una Banca di Stato nel Marocco per le pretese cha venivano accampate dalla Francia, intese a farsi assegnare nella medesima una parte maggiore di quella che sarebbe stata attribuita agli altri Stati, alle quali non credeva avrebbe acconsentito la Germania. Tale quistione aveva, a suo parere, un'importanza superiore a quella della polizia perché la potenza che fosse stata in grado di disporre delle risorse economiche del Marocco avrebbe avuto naturalmente una posizione privilegiata c sarebbe stata in grado di stabilire la sua influenza nell'Impero in modo definitivo. Non credeva, d'altra parte, che la soluzione di queste questioni fosse agevolata dalla presenza alla Conferenza del sig. Révoil e del conte di Tattenbach, che, per l'indole loro c per gli attriti anteriori avvenuti fra essi, non potevano esser animati da sentimenti molto concilianti.

Date quindi le disposizioni presenti della Francia e della Germania che dichiaravano di esser giunte al limite estremo delle concessioni che la tutela dei rispettivi interessi permetteva loro di fare, il conte Goluchowski manifestò il timore che la Conferenza non potesse condurre ad alcun risultato pratico e finisse per andare a monte, risolvendosi, secondo l'espressione da lui usata «en queue de poissom>. Qualora ciò avvenisse non era da supporre che tale eventualità fosse per provocare un conflitto fra la Francia e la Gennania entrambe queste potenze non avendo certamente l'intenzione di assumere una sì grave responsabilità. Ma essa avrebbe avuto per conseguenza di accrescere l'antagonismo esistente fra loro ed originare un certo malessere nelle relazioni reciproche che avrebbe potuto condurre in un dato momento ad un reale conflitto se incidenti atti a ledere i loro interessi si fossero prodotti in avvenire nel Marocco e li avessero costretti a chiedere la dovuta soddisfazione e ad esigerla, all'evenienza, mediante una dimostrazione o un'occupazione armata di una parte del suo territorio.

A questo proposito il conte Goluchowski rilevò che, se la Conferenza non avesse dovuto rispondere all'aspettazione generale c se le speranze che aveva fatto concepire fossero per andare fallite, il Sultano non avrebbe potuto non «trionfare» di fronte alla disunione delle potenze c gravi danni sarebbero per ridondare ai loro interessi per l'impossibilità in cui si troverebbero di far cessare l'anarchia nell'Impero col provvedere al ristabilimento dell'ordine.

Nell'intento di trovare una via di uscita alle difficoltà presenti egli aveva impartito l'istruzione al conte di Wclsersheimb di mettersi in rapporto col marchese Visconti Venosta e col sig. White, per escogitare il modo più acconcio di eliminarle e addivenire possibilmente ad un accordo fra la Francia e la Germania. E concluse col dirmi che ali' Austria-Ungheria premeva innanzi tutto che, nelle decisioni che la Conferenza starebbe per prendere, il principio della «porta aperta» stabilito dalla Convenzione di Madrid fosse mantenuto nella sua integrità e che uguali diritti venissero garantiti a tutte le potenze indistintamente per ciò che riguardava l'esercizio dei loro commerci.

L'ambasciatore di Germania, col quale ho avuto oggi occasione di intrattenermi dell'argomento, mi ha fatto conoscere come non fosse esatto quanto era stato affermato, avere, cioè, il Governo della Repubblica già consentito a sottoporre la polizia al controllo internazionale del Corpo diplomatico in Tangeri, sul merito del quale non erasi ancora pronunciato riservandosi di esaminare tale questione dopo che per parte del Governo germanico sarebbe stata accettata la domanda che aveva formulata, intesa a far cadere la scelta degli istruttori sugli ufficiali francesi e spagnoli. Il conte di Wedel aggiunse che ignorava tuttora quale decisione sarebbe per prendere il Governo imperiale, ma che dubitava ch'esso fosse disposto, per il momento, a modificare il contenuto della sua proposta.

Egli non attribuiva, del resto, importanza alla presenza in Berlino del sig. de Courcel, il quale supponeva non sarebbe stato nel caso, nei colloqui che avrebbe avuto con S.M. l'Imperatore e con il principe di BUlov, di trattare detta questione.

Da quanto mi è stato riferito, in via confidenziale, dall'ambasciatore di Francia, il principe di Radolin avrebbe manifestato di recente al sig. Rouvier il desiderio di intrattenersi con lui delle divergenze sorte fra i due Governi in ordine all'organizzazione della polizia, ma il sig. Rouvier avrebbegli fatto intendere che, siccome queste formavano ora oggetto di esame per parte della Conferenza di Algeciras, credeva che ad essa spettasse di risolverle ed avrebbe aggiunto che, nell'agire in tal modo, egli non faceva che conformarsi ali' opinione espressa dallo stesso Governo imperiale allorché erasi concordato il programma della Conferenza, secondo il quale la soluzione delle varie questioni ivi contenute doveva essere riservata alle decisioni di quel consesso.

In questi circoli politici si partecipa al timore manifestatomi dal conte Goluchowski circa il probabile insuccesso della Conferenza e di tale parere sarebbe del pari il Governo della Repubblica, siccome mi fece conoscere il marchese di Reverseaux.

538

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 480. Roma, 25febbraio 1906, ore 18,30.

Ringrazio V.E. per i suoi telegrammi e le confermo che sono pienamente consenziente nei concetti e nei procedimenti di lei per l'opera conciliativa alla quale intendiamo.

Qui riproduco un telegramma ora giuntomi dalla r. ambasciata in Berlino 1:

«Nei giorni scorsi questo Governo sembrava inclinato a qualche concessione nella questione polizia, ma ora dopo attitudine assunta dalla Francia nella questione della Banca, si mostra meno arrendevole. Segretario di Stato affari esteri, dopo di

avere conferito con Cancelliere del! 'Impero e Imperatore, mi risponde stamani, a domanda fattagli jeri, che l'aggiunta di una sola terza nazionalità non potrebbe essere accettata dal Governo imperiale non essendo questa soluzione conforme al principio riconosciuto di internazionalizzare Marocco, principio dal quale Germania non può recedere. Quando questo principio venga praticato, Governo imperiale è disposto dare alla Francia, bensì una posizione privilegiata, ma non di prevalenza, come avverrebbe se polizia fosse ripartita tra la Francia la Spagna e solo una terza potenza. Segretario di Stato non aveva intenzione di pronunciarsi sulle intenzioni del Governo; come idea del tutto sua personale mi accennò alla concessione della polizia, per esempio, di Tangeri alla Francia con la ripartizione degli altri porti tra le altre potenze tutte. A questa soluzione Gabinetto di Berlino darebbe forse suo assenso se venisse proposta da qualche altra potenza. Germania per parte sua si astiene dal fare ulteriori proposte vedendo che Regnault nella questione della Banca, e Révoil, nella questione della polizia, hanno preso attitudine di intransigenza. Qui si crede che questa attitudine vada al di là delle istruzioni di Rouvier e mira impedire discussione simultanea delle due questioni, a togliere cioè quel terreno di compenso utile, come osservava già Visconti Venosta, a concessioni reciproche»2 .

538 1 T. 535/52 del 24 febbraio. Rispondeva al D. 530.

539

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 25 febbraio 1906, ore 22,35.

Da Aden si annunzia possibile intervento abissini Harrar per conflitti sorti tra Ogaden e Bagheri. Siccome è sempre da temersi che abissini si inoltrino verso territorio italiano, rinnovo V.E. istruzione di rappresentare a Menelik necessità impartire ordini anche a ras Makonnen, affinché sia scongiurato pericolo a danno nuove incursioni Amhara. Da parte nostra si è fatto interessare il Mullah affinché i Bagheri non diano occasione a rappresaglie.

538 2 Per la risposta vedi D. 542. 539 1 Trasmesso via Asmara.

540

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 347/120. Pera, 25 febbraio 1906 (perv. il 6 marzo). Mi riferisco al telegramma n. 34 1•

Ricevuto venerdì scorso [il 23] in udienza, dissi al Sultano che, obbedendo agli ordini del mio Sovrano e del mio Governo, io mi sono adoperato, dacché ho l'onore di essere capo dell'ambasciata di Sua Maestà, col massimo zelo, con la miglior buona volontà a rendere sempre più intime e cordiali le relazioni tra i due paesi. In complesso, grazie all'alta benevolenza di S.M. Imperiale, io avrei avuto ogni motivo di essere soddisfatto del risultato della modesta opera mia se, in varie circostanze, non mi fosse stato dato di intravvedere l'esistenza nell'animo di Sua Maestà di una certa tal quale diffidente apprensione circa i propositi e le intenzioni dell'Italia a riguardo della Tripolitania, apprensione che in questi ultimi tempi avevo l'impressione fosse venuta prendendo maggior consistenza.

Sembrandomi di precipua importanza che sulla nostra amicizia sincera e leale risplenda sempre un cielo perfettamente sereno, io avevo creduto mio dovere di dissipare anche la piccola nuvola da me scorta sull'orizzonte, col mettere senza indugio l'E.V. a parte delle mie impressioni.

Della iniziativa presa io non potevo che compiacermi, in quanto la medesima aveva avuto la conseguenza di mettermi ora in grado di dichiarare a S.M. Imperiale a nome e per ordine del mio Augusto Sovrano, che l'Italia, fermamente decisa a mantenere lo statu qua e l'integrità dell'Impero Ottomano, non intende occupare la Tripolitania. In presenza di tale esauriente dichiarazione, io non potevo, conclusi, che esortare S.M. Imperiale ed il suo Governo a confidare sempre più nella rettitudine e nella lealtà nostra, ed a non prestare benevolo orecchio ad insinuazioni malevole ed artificiose tendenti, col seminare diffidenze e sospetti, a turbare la intimità delle buone relazioni itala-turche.

La dichiarazione produsse viva e piacevole impressione sul Sultano. Egli mi era stato ad ascoltare con grande attenzione, ed a misura che le mie parole venivano tradotte, il suo viso si andava rischiarando.

Quando ebbi finito, replicò con grande enfasi (riproduco quasi testualmente le sue parole): «Vi ringrazio sinceramente di quanto avete fatto. Il compito di un buon ambasciatore è appunto quello di adoperarsi ad eliminare ogni malinteso. La dichiarazione che mi avete fatta ora costituisce per me una novella preziosa testimonianza della vera amicizia che il Re ha per me, e che io con tutto il cuore divido. Ringraziate vivamente Sua Maestà da parte mia e fategli sapere che io ho piena fiducia in lui, considerandolo come uno tra i miei più cari c più fedeli amici. L'Italia e la Turchia hanno interessi comuni politici e commerciali in Rumelia, in Africa, in Asia, e persino nella stessa mia capitale. L'intima amicizia fra i due paesi è quindi ben naturale perché

risponde appunto a tale comunanza di interessi. Per mezzo di Romei vi farò dare prossimamente comunicazione di una lettera pervenutami. Di essa è bene che siate informato, perché ha tratto alle relazioni fra i nostri due paesi. Ringrazio pure il vostro nuovo ministro per il messaggio che, a nome suo, voi mi faceste pervenire. Dite al conte Guicciardini che io mi rammento benissimo di lui, e che sono ben lieto di conoscere personalmente il ministro degli affari esteri del Re d'Italia e di sapere che egli, al pari dei suoi predecessori, intende seguire una politica di amicizia verso il mio Impero».

Il Sultano prese poscia a parlarmi con la solita affettuosa sollecitudine delle Loro Maestà. Mi disse che avendo visto nei giornali illustrati la riproduzione di un gruppo fotografico rappresentante la famiglia reale a cavallo, gli era venuto in mente di offrire alle principesse due cavallini con le selle e bardature alla turca.

Il Sultano aggiunse che, soddisfattissimo, siccome è, del modo in cui il capitano Romei ha compiuta la missione affidatagli dal Re, desidererebbe molto conservare ancora al suo servizio questo distinto nostro ufficiale, c sarebbe ben lieto se Sua Maestà si degnasse accogliere con favore la preghiera che a tale intento, per mio mezzo, egli le rinnova.

Esaurito questo tema, feci cadere il discorso sulla presenza a Costantinopoli del comm. Perrone che il Sultano ha voluto considerare come suo ospite, ed a cui ha conferito l'alta onorificenza del Gran Cordone del Medjidié in diamanti. Nel rendermi pertanto presso Sua Maestà l'interprete della profonda riconoscenza del mio concittadino, espressi la speranza che, regolate in modo soddisfacente tutte le questioni pendenti con la CasaAnsaldo, S.M. Imperiale avrebbe profittato dell'occasione per arricchire la sua flotta di qualche nuova e potente unità, ricorrendo perciò all'industria navale italiana, la quale ormai ha acquistato nel mondo intero fama indiscussa.

Replicò il Sultano che tale era il suo vivo desiderio, ma che, prima di dare qualsiasi ordinativo, conveniva esaminare la questione importante dei fondi necessari ed a ciò attendeva in questo momento Izzet Pacha. Intanto è inteso già che la Casa Ansaldo inizierà la refezione di alcune navi, il che le permetterà di conservare a Costantinopoli il cantiere stabilitovi da qualche anno.

Dissi, a mia volta, che, senza volere menomamente arrischiarmi a dare consigli a Sua Maestà, io credeva di ben fare attirando l'attenzione sua sul fatto che il comm. Perrone, sia per l'ingente sua fortuna personale, sia per le relazioni intime con l'alta banca italiana, sarebbe eventualmente in grado di fornire senza difficoltà il denaro occorrente all'acquisto delle navi mediante un qualche prestito stipulato a condizioni vantaggiose per la Turchia.

Pur dichiarando che io non intendevo per nulla mischiarmi direttamente in un affare interno de li'Impero, non dissimulai che io sarei stato molto compiaciuto se il capitale italiano potesse anch'esso cominciare a rendersi utile al tesoro imperiale, col trovare in pari tempo proficuo impiego in questo paese. Osservai al riguardo che lo sviluppo sempre maggiore delle relazioni economiche tra i due paesi contribuirebbe efficacemente a rinsaldare sempre più quelle politiche. E di quanto affermavo la miglior prova, dissi, è fornita dalla Germania, nazione amicissima della Turchia, la cui attività economica nell'Impero si va sempre più intensificando con vantaggio reciproco dei due paesi.

Il Sultano rispose che io avevo ben ragione, e che, considerando egli il comm. Pcrrone come un suo buon amico, confidava che potranno essere presto condotti a buon termine i negoziati in corso con lzzet Pacha.

S. M. Imperiale concluse che egli contava concedere il giorno stesso udienza al commendatore per intendersi personalmente con lui sulle basi dell'affare. L'udienza ebbe luogo effettivamente ed il comm. Perrone mi disse che aveva ragione di essere soddisfatto.

Voglio anch'io augurarmi che le intenzioni del Sultano abbiano a tradursi presto in atto. In Turchia però gli affari procedono molto adagio, e prima di cantare vittoria, conviene attendere il fatto compiuto. Comunque è certo che il momento non potrebbe essere migliore, il vento spirando decisamente in direzione a noi favorevole.

Come V.E. avrà rilevato nella dichiarazione da me fatta al Sultano, io ho omesso quella parte che riguardava il desiderio de li'Italia di avviare in Tripolitania imprese economiche. L'omissione è stata la conseguenza di matura riflessione. Conoscendo il carattere estremamente sospettoso del Sultano, non ho voluto rischiare di compromettere l'ottimo effetto della solenne dichiarazione politica, col fare in pari tempo allusione alle nostre aspirazioni economiche.

Quello che non ho detto al Sultano, ho però avuto cura di far bene intendere ai suoi ministri. Difatti, recatomi oggi alla Sublime Porta, ho ripetuto, per debito di correttezza, al gran vizir ed al ministro degli affari esteri, quanto avevo dichiarato venerdì [il 23] a

S.M. Imperiale. Ho aggiunto tuttavolta che oramai, dopo le spiegazioni franche e leali spontaneamente date, in obbedienza ad ordini tanto autorevoli, io avrei considerato come un'offesa il perdurare in avvenire del contegno poco amichevole delle autorità imperiali in Tripolitania, nonché della sistematica opposizione finora manifestata dalla Sublime Porta a qualsiasi nostra azione economica in quella regione.

Al riguardo ho ricordato a S.A. ed a S.E. quello che avevo detto al Sultano c cioè, che oggimai l'incremento delle relazioni economiche cammina di pari passo con l'intimità delle relazioni politiche.

Il gran vizir che era stamane di un umore di rosa mi ha narrato in replica che

S.M. Imperiale, fattolo chiamare sabato [il 24], gli aveva manifestato tutto il suo compiacimento per quello che aveva udito da me la vigilia, ordinandogli in pari tempo di fare tutto il possibile per stringere sempre più in ogni circostanza l'intimità dei rapporti con l'Italia, intimità che risponde agli interessi comuni dci due paesi.

Per ordine del Sultano codesto ambasciatore ottomano riceverà istruzione di rendersi presso V.E. l'interprete della soddisfazione e della vivissima riconoscenza del suo Sovrano.

Il contegno del Sultano verso di mc, il linguaggio dci ministri, nonché informazioni attinte in via confidenziale da sicura sorgente, mi danno buon motivo di informare che la rassicurante comunicazione fatta venerdì era proprio indicata cd ha ottenuto l'effetto che noi c'impromcttevamo. Tutto difatti lascia ritenere che, per il momento, i sospetti e le apprensioni siensi dileguati.

Ciò non esclude però -e sarà bene tencrlo a mente -che i medesimi sospetti e le medesime diffidenze abbiano, malgrado tutto, fatalmente a rinascere, al primo accenno imprudente fatto, o nel Parlamento o nella stampa, alla Tripolitania ed alle aspirazioni del nostro paese in quella regionc2 .

540 1 Vedi D. 534.

540 2 Per la risposta vedi D. 593.

541

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 491. Roma, 26febbraio 1906, ore 14,30.

Riproduco due telegrammi:

l) telegramma da Parigi 1: «Rouvier al quale ho domandato se era in grado di rispondere circa l'affare della polizia, mi disse che vi pensava, ma non gli era ancora possibile di deliberare. Circa concorso formazione capitale Banca, ritengo che qui sarebbero assai remissivi, se Germania si arrendesse nella questione della polizia. Courcel avrebbe portato qui da Berlino l'impressione che le trattative possono continuare».

2) telegramma da Berlino2 : «Questo mio collega d'Austria-Ungheria, per istruzione del suo Governo, ha presentito il Dipartimento di Stato affari esteri circa sue disposizioni in caso di insuccesso della Conferenza di Algeciras. Governo austro-ungarico sarebbe di parere convenga evitare un voto della Conferenza, il quale divida apertamente le Potenze, e aggiornamento sine die delle sedute. Gabinetto di Vienna ha domandato se Governo imperiale sarebbe disposto dare, nell'intento di un'attitudine concorde, istruzioni in questo senso ai suoi delegati. Qui fu risposto che Gabinetto di Berlino non ha ancora perduta speranza che la Conferenza riesca, e, quindi, preferisce non dare, fino da ora, istruzioni proposte, perché ciò sarebbe di natura da favorire insuccesso. Governo imperiale continua, secondo quanto a me risulta, ritenere che l'aggiunta di una sola potenza alla Francia e Spagna nella ripartizione polizia non sia soluzione accettabile. Esso teme che questa terza potenza possa essere soggetta all'influenza francese. Governo germanico propende tuttora per ripartizione fra tutte le potenze, e spera che Rouvier, all'ultimo momento, intervenga personalmente per frenare ardore dei delegati francesi».

542

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 561-562/39-40. Algeciras, 26febbraio 1906, ore 20 (perv. ore 6,20 del 27).

[39] Ringrazio VE. per telegramma ieri 1 .

Giudicando affatto obiettivamente lo stato attuale delle cose, ho il convincimento che la combinazione accennata nel telegramma dell'ambasciatore di Sua Maestà a

2 T. 552/53, pari data. 542 1 Vedi D. 538.

Berlino consistente nel lasciare la polizia di Tangeri alla Francia ripartendo tutti gli altri porti tra le altre potenze, non ha alcuna probabilità di essere accettata dal Governo francese. Nello stesso tempo l'idea sino ad ora vagamente formulata di aggiungere alla Francia ed alla Spagna una potenza neutrale è considerata dal Gabinetto di Berlino come insufficiente. Si sarebbe forse potuto [pensare] a qualche progetto basato sul rafforzare c garantire le funzioni dell'ispettore osservazioni [ ... F dalla Germania e non respinte, almeno in principio, dalla Francia, lasciando la polizia a francesi e spagnoli. Confrontando le proposte e risposte delle due parti, appariva questa la sola via tenibile. Ma il telegramma del generale Lanza, nel cui giudizio e nella cui conoscenza del terreno a Berlino ho piena fiducia, dimostra che simile progetto di assai problematica accettazione da parte della Francia, avrebbe tutte le probabilità di non essere accettato dalla Germania.

Bisogna dunque riconoscere che un componimento sulla polizia non è prevedibile che si possa ottenere. A mio avviso la situazione politica della Conferenza si pone ormai nel modo seguente. È nell'interesse dell'Europa e anche particolarmente della Germania e della Francia, che la Conferenza si sciolga senza aver nulla concluso con una discussione irritante e con una rottura oppure che aggiorni o finisca i suoi lavori con risultato anche se incompleto ma ammissibile ed onorevole? Se si preferisce la seconda ipotesi, allora bisogna riunire le buone volontà per risolvere la questione della Banca che è presentemente all'ordine del giorno della Conferenza. Non vi è nell'affare della Banca alcuna questione che non si possa con qualche spirito di reciproca transazione appianare. La Conferenza avrebbe così esaurito tutta la parte economica del suo programma che potrebbe tradurre in un atto internazionale. Sarebbero così di molto diminuite le difficoltà di ordine politico generale, e, per quanto concerne il Marocco, anche di ordine economico che seguirebbero alla rottura della Conferenza. La questione della polizia potrebbe allora essere aggiornata con qualche formula, come, per esempio quella di una esperienza lasciata all'autorità del Sultano di organizzare una polizia con gli elementi indigeni. Dovrebbe naturalmente intendersi la rinunzia da parte di tutti di introdurvi degli elementi stranieri, e la continuazione degli accordi riconosciuti per la regione frontaliera. Non ho ancora, perché intempestivo, parlato di quanto precede ai delegati francesi. Non conosco affatto la loro opinione.

V.E. potrebbe, se lo crede, comunicare questo telegramma e quello n. 373 al r. ambasciatore a Berlino4 per quell'uso assai riservato che giudicherà nella sua prudenza di farne, poiché, se l'ordine di idee sopraccennato assumesse innanzi tempo aspetto ufficiale, sarebbe probabilmente compromesso.

[40] Trasmetto all'E.V. risposta francese sulla polizia, quale mi fu comunicata da Révoil e da Radowitz. «Principio della eguaglianza per tutti in materia economica, cui si riferisce proposta germanica, è stato da noi accettato senza riserva alcuna. Siamo convinti che niente lo lederebbe nella proposta che abbiamo formulata per l'organizzazione della polizia. Ma se Conferenza riconosce, dal punto di vista di una

Vedi D. 536. 4 Cosa che Guicciardini fece con il T. 502 del 27 febbraio.

eguaglianza di trattamento economico, l'utilità di nuove garanzie, noi non ci rifiuteremo di esaminarle. È alla Conferenza che spetta, giusta l'accordo dell'8 luglio, di determinare la soluzione».

Risposta è moderata, e lascia adito a continuare le trattative, ma il fondo delle cose rimane eguale.

541 1 T. 547/36 del25 febbraio.

542 2 Nota del documento: «manca la parola».

543

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. CONFIDENZIALE 498. Roma, 27febhraio 1906, ore 14,20.

Mi preme di conoscere il pensiero di lei circa l 'impressione che farebbe su codesto Governo se da noi si concludesse l'accordo con l'Inghilterra e la Francia per l'Abissinia senza dargli preventiva notizia quanto meno del suo contenuto. Non trovo a questo riguardo, negli atti del Ministero, una indicazione precisa e sicura che mi è essenziale di possedere per mia norma. Le sarò grato di una sollecita risposta1 .

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. RISERVATO 511. Roma, 28fèhbraio 1906, ore 13,30.

Ricevuto telegramma 33 dcl23 febbraio 1•

Si sta cercando cooperazione gruppo finanziario italiano per ferrovia HodeidaSana'a per mezzo direttore generale Banca d'Italia. Dal Cairo sappiamo che ditta Almagià sarebbe disposta interessarsi mettendosi anche d'accordo con gruppo francese; e mandare costà suo rappresentante per trattare. Sarebbe desiderabile ritardo iradé; e in questo senso prego VE. adoperarsi, facendomi conoscere per telegrafo se venuta Almagià Costantinopoli sarebbe utile2 .

544 1 Vedi D. 532. 2 Per la risposta vedi D. 556.

543 1 Vedi D. 547.

545

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA

T. CONFIDENZIALE 513. Roma, 28febbraio 1906, ore 13,55.

L'accordo segreto per Abissinia è ora, da parte del nuovo Ministero, oggetto di attento studio. Desidero intanto essere assicurato che, come non possiamo dubitarne, anche costì si terrà sospeso il relativo negoziato colla Francia. Prego conferirne tosto sir E. Grey confermandogli il nostro proposito di procedere, anche a questo riguardo, con quella cordialità di amichevoli sentimenti a cui si ispira la nostra politica nei rapporti con codesto Governo 1•

546

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 514. Roma, 28febbraio 1906, ore 19,15.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi esprimeva negli scorsi giorni la speranza che per la questione della Banca, l'Italia potesse uscire dal suo contegno di rigida imparzialità e favorire il progetto francese. Lo stesso concetto mi manifesta con maggiore insistenza l'ambasciatore di Francia quasi come un corollario dei reciproci accordi a

V.E. noti. Queste enunciazioni confermano la bontà della nostra linea di condotta, dalla quale non dobbiamo deviare.

Esse inoltre mostrano vieppiù quanto siano savie ed opportune le considerazioni di V.E. circa la necessità di evitare che la Conferenza finisca con una rottura, e di evitare altresì una formale votazione. Di queste considerazioni ho reso conscio il r. ambasciatore in Berlino secondo il suggerimento di lei e per lo scopo da lei indicato 1•

546 1 Vedi D. 542. nota 4. Per la risposta vedi D. 553.

545 1 Per la risposta vedi D. 554.

547

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 571/58. Berlino, 28fèbbraio 1906, ore 17,45.

Rispondo al telegramma di VE. n. 4981 .

In linea generale ritengo che di un accordo concluso da noi con la Francia e con l'Inghilterra, le potenze con le quali oggi più si trova in contrasto la Germania, senza dare alcuna preventiva notizia a Berlino, la nostra alleata, non potrebbe avere buona impressione. Nel caso speciale osservo però che il Governo del Re ha dato almeno un primo cenno come risulta dal telegramma 168 a me diretto il21 gcnnaio2 . Al predecessore di lei io dissi che una partecipazione alla Gennania prima della firma dell'accordo non era necessaria c questo ripeto anche a VE. precisandone il significato: la omissione della partecipazione preventiva cioè non è contraria alle stipulazioni del trattato di alleanza.

Resta però a vedersi se tale omissione sia opportuna nel momento presente: l'accordo recente tra Germania e Abissinia ha fatto qui nascere speranza di attività commerciale germanica anche in Abissinia e le trattative di Algeciras stanno svolgendosi in circostanze per noi delicate appunto perché abbiamo tenuto segreto un accordo da noi concluso con la Francia. L'omissione della partecipazione preventiva della nostra intesa con la Francia e l'Inghilterra può presentare certo per noi difficoltà, ed io per mio conto vi sono contrario a meno che alti interessi di Stato a mc ignoti non consiglino diversamente. A me non sono conosciuti i termini dell'intesa con quelle due potenze, né i motivi per i quali esse vogliono che dell'intesa stessa non venga data partecipazione preventiva alla Germania.

548

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 572/37. Parigi, 2 8fèbbraio 1906, ore 17,15 (perv. ore 20.05).

A causa dei lavori parlamentari Rouvier ha sospeso oggi ricevimento diplomatico. Sono perciò impossibilitato di insistere per avere da lui una spiegazione circa l'aggiunta di una terza nazionalità nell'ordinamento della polizia pei porti marocchini. Intanto l'ultima nota francese ad Algcciras che, richiamando l'accordo 8 luglio 1905 c alla Conferenza la proposta di nuova garanzia, sembra inspirata al pensiero espresso

2 Vedi D. 431.

da Rouvier alla Camera nella tornata del 23 corrente interrompendo Vaillant. La Francia, egli disse, sicura del suo buon diritto, aspetta le decisioni della Conferenza con la fiducia stessa con cui essa aspetterebbe ragione da un tribunale internazionale.

Persiste, come V.E. vede, l'idea di provocare il voto della Conferenza per mettere la Germania in minorità. Certamente se Francia e Germania si accordassero per accettare il progetto che gli altri Stati rappresentati Algeciras fossero in grato di formulare, questa specie di giudizio arbitrale degli Stati stessi varrebbe quanto un altro. Ma io stimo che ciò che la Francia cerca è un voto che, dandole la maggioranza, rinforzi la sua posizione morale in Europa ed un tale voto, incorrctto in massima, sarebbe, a parer mio, molto incauto. Se alla Conferenza non può venire sottoposta una proposta che tutti accetteranno, l'astensione dal voto s'impone più che mai nella situazione presente.

Vedrò prossimamente Rouvier al quale già ho espresso a titolo personale questo modo di vedere mio. Desidererei sapere se VE. mi autorizza a dirgli che questo è pensiero di lei 1•

547 1 Vedi D. 543.

549

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 574/41. Algeciras, 28febbraio 1906, ore 21,25 (perv. ore 6 dell 0 marzo).

Ho avuto una conversazione confidenziale con Révoil intorno ordine dei lavori della Conferenza per quanto si riferisce alla due questioni della Banca e della polizia. Egli mi ha esposto le ragioni per le quali credeva non potere interamente disgiungere le due questioni, e, pur proseguendo con spirito di conciliazione le trattative sulla Banca, riteneva di dover lasciare qualche punto in sospeso, mantenendole in relazione con i negoziati per la polizia, in vista di qualche reciproco compenso. In tale stato di cose credo che, per non dipartirei dalla nostra attitudine di conciliazione, non ci conviene contrastare, con propo'-Le che potrebbero essere o parere premature, il procedimento che le parti credono necessario alla tutela dci loro interessi.

Conviene oramai che nella Conferenza le trattative seguano il loro corso normale; l 'introdurvi un concetto di soluzione prematuro vi getterebbe confusione e non gioverebbe al risultato. Ritengo per conseguenza che l 'ordine di idee da me svolto nei miei telegrammi nn. 37 1 e 392 non debba essere messo innanzi neppure presso gli altri Governi se non quando sarà riconosciuta, sulla questione della polizia, l'impossibilità di un accordo e la necessità di ricorrere a questa ultima soluzione.

Prego comunicare confidenzialmente al r. ambasciatore in Berlino3 .

2 Vedi D. 542.

1 La comunicazione fu effettuata con il T. 519 del l o marzo.

548 1 Per la risposta vedi D. 551.

549 1 Vedi D. 536.

550

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 105/23. Pechino, 28febbraio 1906 (perv. i/18 aprile).

In questi giorni giungono qui dall'Europa e, con maggiore insistenza, dall' America telegrammi allarmanti predicenti un massacro generale degli stranieri in Cina, per il quale crasi persino fissata la data del 26 corr.

Comprendo che le brutali violenze commesse in breve spazio di tempo dalla popolazione cinese contro le persone e gli istituti di missionari americani a Lienchow, inglesi nel Fokien, ed attualmente in maniera più grave contro i missionari francesi ed inglesi a Nanchang nel Kiangsi debbano produrre all'estero l'impressione che la situazione degli stranieri in Cina sia piena di pericoli. Infatti, quantunque io divida l'opinione generale dei rappresentanti esteri qui che, cioè, simili deplorevolissime violenze entrano nell'ordine di quei fatti locali che, disgraziatamente, sono sempre accaduti in Cina ed accadranno certo per parecchio tempo ancora, pure credo non sia a disconoscere che il ripetersi di essi debba destare preoccupazioni.

Per quanto si possano far previsioni in un paese ove la potente organizzazione delle sette segrete e la difficoltà della lingua rende quasi impossibile di avere precise informazioni sul vero stato delle cose, un movimento generale contro gli stranieri non sembra, per ora, a temersi. Le faccende però potrebbero complicarsi data la poca efficacia dell'azione governativa nelle lontane provincie del vastissimo Impero non collegate da comunicazioni ferroviarie, ove non esistono e non esisteranno ancora per molto tempo forze militari organizzate e per opera del partito antidinastico, il quale profitterà della prima occasione per far sorgere tumulti. Al Governo non mancano uomini energici, uno fra questi è il viceré del Petchili, il quale vorrà, forse, e saprà guarentire l'ordine nella provincia da lui governata e potrà anche contare su qualche altro viceré per tenere in freno la popolazione, ma, ripeto, la sua azione mal saprebbe giungere in ogni provincia dell'Impero.

Nel momento attuale pertanto in cui un certo fermento contro gli stranieri esiste ovunque in Cina, sia in conseguenza del boycott americano, sia per imprudenze commesse da alcuno dei missionari, sia infine per la prepotenza colla quale gli stranieri stessi hanno sempre trattato gli indigeni, la preoccupazione che, secondo me, deve aversi è che non accada in una località qualsiasi un fatto il quale assuma tale gravità da provocare l'intervento di qualche potenza.

E tale preoccupazione, credo, possa essere stata presente al Governo del Mikado nel dare, in questi giorni, istruzioni al suo ministro a Pechino di insistere presso il Governo imperiale per rammentargli la convenienza di prendere serie misure al fine di impedire manifestazioni ostili agli stranieri, poiché evidentemente al Giappone non potrebbe convenire che la situazione avesse a richiedere l'intervento di altri nelle cose di Cina. Simile potrebbe essere stato il movente che spinse il Governo americano a dichiarare l'intenzione di mandare rinforzi di truppe alle Filippine, premendogli, nel caso, di essere pronto a partecipare efficacemente nell'eventuale intervento in un paese ove cerca di dare una parte preponderante ai suoi interessi. Il ministro d'America, però, affermandomi di non avere mai riferito al suo Governo che la situazione in Cina avesse un tal carattere di gravità da richiedere l'invio di truppe alle Filippine, mi soggiunse di ritenere piuttosto che questa fosse una manovra intesa ad intimorire il Governo cinese nel caso che il boycott avesse ad inasprirsi qualora il Congresso di Washington non modificasse l'«Exclusion Treaty» nel modo desiderato dai cinesi.

551

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 523. Roma, 1° marzo 1906, ore 16.30.

Rispondo al telegramma n. 3 71 .

Mi consta che a Berlino non sarebbe accettata la soluzione consistente nell'aggiunta di una terza potenza; è meglio, quindi non più parlarne. Quanto al concetto espresso in fine del suo telegramma, esso è di tale evidenza che mi sembra sufficiente l'averlo V.E. espresso a titolo suo personale. Una diretta manifestazione del R. Governo in tal senso, coincidendo con analoghe manifestazioni della stampa germanica, potrebbe produrre una sgradevole impressione su li'animo del sig. Rouvier ed accreditare supposizioni contrarie ai nostri leali intendimenti.

552

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 527. Roma. 1° marzo 1906, ore 18,55.

VE. conosce ed in ogni modo può avere agevolmente conoscenza del preciso testo del progetto redatto, per la polizia, dal delegato austro-ungarico.

L'ambasciatore di Germania mi comunica che il suo Governo potrebbe accettare questo progetto qualora fosse emendato nell'uno c nell'altro dei due seguenti modi, e cioè: l) per tener conto del carattere internazionale della polizia, la Germania crede sarebbe utile di scegliere istruttori non solo di nazionalità francese c spagnuola ma anche di nazionalità italiana, austro-ungarica c tedesca, salvo a concordare in quali porti e sotto quali modalità; 2) oppure il Sultano darebbe, in Tangeri od in altro

porto scelto dalla Francia, la polizia unicamente a francesi, mentre in altri porti agirebbero insieme ufficiali di differenti nazionalità, compresi tedeschi. L'ambasciatore mi richiedeva, in nome del suo Governo, di recare quanto precede a notizia di V.E. con preghiera a lei di volere, quando ne stimi venuto il momento opportuno, farne oggetto della sua azione conciliativa, sentito però prima, in ogni caso, il parere del primo delegato germanico. Comunicandole quanto sopra mi affido pienamente a lei per il quando c il come possa meglio, nel nostro intento di imparziale conciliazione, assecondarsi il desiderio del Governo germanico. Quanto all'eventuale partecipazione di ufficiali italiani ho fatto le opportune riservc 1 .

551 1 Vedi D. 548.

553

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZlALE 580/42. Algeciras, JO marzo 1906, ore 13,50 (perv. ore 16,55).

Rispondo suo telegramma n. 5141•

Nella questione della Banca ho sempre esercitato attivamente i miei buoni uffici presso la delegazione germanica nel senso di un riavvicinamento conciliativo alle proposte francesi. Credo che questi buoni uffici non siano stati inutili, specialmente per far ammettere in principio il diritto di preferenza stipulato contrattare prestito marocchino 1904 e la convenzione di operarne riscatto nell'atto stesso della costituzione della nuova Banca. Rimane insoluta la questione numero di partecipazione da darsi come prezzo di tale riscatto per la quale i miei buoni uffici rimasero senza risultato. Potrò esprimere, presentandosi occasione, le stesse idee conciliative su questo od altri punti nella Conferenza di sabato [il 3], in cui si tratterà progetto della Banca.

V.E. vedrà se convenga fare a Berlino qualche passo per esprimere desiderio che mediante qualche concessione si possa risolvere questione Banca e così esaurire parte economica della Conferenza creando per tale modo una condizione migliore per tentare se sia possibile risolvere le difficoltà per la polizia2 .

552 1 Per la risposta vedi D. 557. 553 1 Vedi D. 546. 2 Guicciardini telegrafò a Berlino: vedi D. 555.

554

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 588119. Londra, 1° marzo 1906, ore 18,44 (perv. ore 22,05). Risposta al telegramma di VE. n. 513 1 .

Questo ministro degli affari esteri, ringraziando VE. per le sue espressioni di sentimenti cordiali ed amichevoli verso l'Inghilterra, mi assicura che convenzione per l'Abissinia non dà luogo in questo momento a nessuna trattativa fra la Francia e l'Inghilterra. A tali trattative mancherebbe, del resto, ogni argomento, giacché da molto tempo l'accordo è completo fra Francia ed Inghilterra, ed esse attendono solo definitiva risoluzione del Governo italiano per firmare convenzione.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 531. Roma, 2 marzo 1906, ore 14,20.

Fin da ieri ho telegrafato al marchese Visconti Venosta le proposte da Monts comunicatemi 1 , acciocché voglia assecondarle, affidandomi naturalmente al suo giudizio per il quando e il come, ed avvertendolo essere desiderio di codesto Governo che non spieghi la sua azione conciliativa senza essersi prima inteso col primo delegato germanico. Un telegramma del marchese Visconti Venosta lascia comprendere che, qualora la Germania facesse una qualche concessione per la questione della Banca, questa potrebbe risolversi e rimarrebbe solo quella della polizia2 . Ne informo, ad ogni buon fine, VE. !asciandole considerare se di questa impressione convenga, o non, fare cenno a codesto Governo.

554 1 Vedi D. 545. 555 1 Vedi D. 552. 2 Vedi D. 553.

556

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 593/35. Pera, 2 marzo 1906, ore 12,34 (perv. ore 12,50).

Rispondo al telegramma di V.E. n. 511 1•

In seguito a passi fatti da me giusta istruzioni telegramma ministeriale n. 2972 Perrone dopo essersi assicurato l'appoggio di Izzet pascià ha incaricato persona di sua fiducia recarsi Parigi per conferire con quell'ambasciatore di Turchia e col sig. Leon per esaminare possibilità sua partecipazione concessione ferrovia HodeidaSana'a. Perrone si riserva prendere una deliberazione al suo prossimo ritorno in Italia dopo di aver avuto conoscenza del risultato conferenza Parigi. In questo stato di cose venuta di Almagià a Costantinopoli mi parrebbe inutile, trattative eventuali dovendo esse aver luogo non qui ma a Parigi visto che in mancanza di Munir pascià anima dcii 'affare nulla si potrebbe concludere. Perrone non crede tanto imminente iradé imperiale concessione definitiva in quanto conviene agli stessi interessati attendere risultato studi iniziati sopra luogo. A quel che sembra una parte tracciato futura ferrovia presentando ingenti difficoltà tecniche richiederebbe lavoro molto costoso.

557

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 599/43. Algeciras, 2 marzo 1906, ore 20,45 (perv. ore 22,40).

Ho ricevuto il telegramma n. 527 1•

Credo di dover portare a notizia personale di V.E. che alcuni giorni sono il delegato austro-ungarico mi lesse confidenzialmente il progetto di cui nel telegramma di V.E., assicurandomi che esso non è che l'espressione di una sua idea personale. Io sapevo, però, che esso perveniva sottomano dal conte Tattenbach, che me ne aveva qualche giorno prima parlato in termini generali ed in modo segreto e privato dicendomi che sperava vederlo accettato a Berlino. Ebbi poi occasione di far cenno della conversazione surriferita al conte Tattenbach, il quale mi disse che credeva, però, e, innanzi tutto, interrogare il suo Governo. La risposta è quella che l'ambasciatore di Germania ha par

2 Vedi D. 462. 557 1 Vedi D. 552.

tecipato a V.E. Non posso a meno di notare a V.E. che le cose esposte dall'ambasciatore di Germania aggravano quelle della proposta fatta dalla Germania alla Francia e da questa non accettata. Prego V.E. confrontare i miei telegrammi nn. 202 e 253•

Sono persuaso che le condizioni attuali non sarebbero accolte e quindi non vedo come possano essere oggetto di una azione conciliativa. Mi riservo, del resto, telegrafare ulteriormente ed al momento opportuno4 .

556 1 Vedi D. 544.

558

IL MINISTRO A BUCAREST, BECCARIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 403/43. Bucarest, 2 marzo 1906 (perv. il 9).

Da Vienna, ove trovavasi per negoziare un nuovo trattato di commercio coll' Austria, cotesto ministro di Serbi a, sig. Milovanovié, venne a passare a Bucarest alcuni giorni nella prima metà del mese scorso per affari di famiglia (sua consorte è rumena). Essendo stato mio collega qui parecchi anni or sono, egli mi fece visita e discorse meco a lungo della situazione nei Balcani. Tra le altre cose, egli mi confermò le informazioni riportate nel mio rapporto 4 febbraio ultimo ai nn. 213/23 1 , secondo le quali la grande irritazione prodotta a Vienna dalla notizia dell'unione doganale serbo-bulgara sarebbe stata motivata principalmente dal sospetto che siffatta unione nascondesse accordi d'indole politica o servisse a preparare il terreno per accordi della specie, e che la Serbia fosse incoraggiata segretamente dall'Italia o dalla Germania nella sua resistenza ali' Austria. Egli aggiunse che coloro i quali desiderano il mantenimento della pace nei Balcani non dovrebbero vedere di mal occhio quella unione, che permetterebbe alla Serbia di esercitare una azione moderatrice sulla Bulgaria la impazienza delle cui aspirazioni d'ingrandimento è ben nota. Avendo io accennato alla difficoltà di conciliare le pretese dei bulgari, che comprendono la maggiore parte della Macedonia, con quelle degli altri aspiranti alla successione del turco, egli ne convenne meco e, chiestogli quali sarebbero i desiderati della Serbia, rispose che, in caso di spartizione della Macedonia, essa non potrebbe assolutamente rinunziare ad esigere la Vecchia Serbia e la parte settentrionale del vilayet di Kossovo, come pure delle guarentigie perché la ferrovia ed il porto di Salonicco rimangano sempre liberamente aperti al suo commercio. Il sig. Milovanovié espresse poi il parere che un'intesa tra la Serbia, la Bulgaria e la Rumania sarebbe utilissima, ponendole in grado di far sentire con maggior forza la

3 Vedi D. 508.

4 Per la risposta vedi D. 560.

propria voce nelle quistioni balcaniche e d'opporsi, se di bisogno, acché esse vengano regolate in modo contrario ai loro interessi. Secondo lui la Rumania dovrebbe servire d'intermediario, di tratto d'unione, tra la Scrbia c la Bulgaria per siffatta intesa. Senza confessarmi d'averne avuto preciso incarico dal suo Governo, come sospetto fortemente, egli non mi nascose però d'aver approfittato della sua presenza qui per cercare di rendersi conto delle disposizioni del Governo e di alcuni personaggi politici rumeni importanti, scgnatamcnte del ministro degli affari esteri e di quello delle finanze, sig. Take Ionescu, l 'uno dci membri più influenti del Gabinetto e del partito conservatore. Conversando con essi, egli, per scandagliarli, parlò dell'utilità d'una intesa tra gli Stati della Penisola Balcanica, della parte importante che la Rumania è chiamata a fare in quella regione. E quantunque i suoi intcrlocutori siansi mantenuti sulla riserva e sul terreno delle generalità, avrebbe tuttavia potuto accorgersi che -mentre allorquando era accreditato presso questo Sovrano le sfere dirigenti di qui erano assolutamente scettiche relativamente alla possibilità di una intesa tra gli Stati balcanici c aliene dali' entrare in uno scambio di vedute qualsiasi circa la partecipazione alla medesima della Rumania, che non volevano nemmeno ammettere fosse una potenza balcanica -oggidì invece le disposizioni sono molto più favorevoli, tanto da permettere di sperare che verrà il giorno in cui il Gabinetto di Bucarest non chiuderà l'orecchio ad aperture che gli venissero fatte ali 'uopo. Presentemente però il terreno non è ancora maturo.

Siccome il sig. Milovanovié intratterrà probabilmente l'E.V. dell'argomento, credo bene di porla in guardia contro ciò che vi può essere di troppo ottimista nelle impressioni di quel diplomatico.

Che qualcuno dci membri dell'attuale Gabinetto conservatore, particolarmente il generale Lahovary cd il sig. Take Ioncscu, siano più propensi ad una intesa politica colla Bulgaria che non il sig. Sturdza c gli altri magnati del partito liberale, non fa dubbio, e, come risulta dal mio carteggio con cotesto Ministero, si può indurre dalla minaccia d'un cambiamento in tal senso della politica rumena fatta balenare agli occhi del Sultano pel caso in cui restasse lettera morta l'iradé in favore dei cutzovalacchi e questi continuassero a non essere efficacemente tutelati contro le violenze greche. TI generale Lahovary alluse inoltre meco a più riprese all'inevitabile sfacelo deli'Impero ottomano, da lui ritenuto prossimo, cd ai vantaggi per la Rumania d'una intesa colla Bulgaria. Ma dal manifestare una tendenza della specie ali 'essere pronti a entrare in trattative colla Serbia c la Bulgaria per una lega balcanica o qualcosa d'analogo, ci corre. Infatti, essendomi offerta giorni sono l'occasione di toccare l'argomento col generale Lahovary, egli dissemi che l'azione della Rumania in pro dei cutzo-valacchi porta certamente come conseguenza un interessamento più attivo da parte sua alle quistioni balcaniche ed una modificazione della sua politica. TI generale accennò in pari tempo con compiacimento alla forza imponente che costituirebbero gli eserciti uniti delle tre potenze suddette, ma s'affrettò a soggiungere che, indipendentemente dalle altre considerazioni per le quali la Rumania non potrebbe attualmente partecipare ad intese della specie, egli era personalmente recisamentc contrario ad accordi politici a lunga scadenza, senza scopi precisi c ben determinati in vista di prossime eventualità. La misera sorte dell'unione doganale serbo-bulgara non è d'altronde di natura a incoraggiare a imbarcarsi in simili avventure. S.E. non mi tacque d'aver visto il sig. Milovanovié, col quale però, secondo m 'aveva riferito quel mio antico collega, si sarebbe tenuto sulla riserva e sul terreno delle generalità. Il sig. Milovanovié avrebbe desiderato avere una udienza dal Re, ma questo Sovrano, non potendolo ricevere allora a causa del suo stato di salute, gli fece dire che lo avrebbe visto volentieri se fosse ritornato più tardi a Bucarest.

Non credo che il mio collega d'Austria-Ungheria abbia avuto sentore delle mosse fatte qui dal sig. Milovanovié. Per contro egli sospetta che la surrogazione a Bucarest nell'autunno scorso dell'agente bulgaro sig. Dimitrov ~diplomatico intelligente, ben visto da questo Governo, ed il cui richiamo improvviso destò qualche meraviglia ~col colonnello Hessaptchieff, sino allora accreditato a Belgrado dove firmò il trattato per l 'unione doganale, sia stato in connessione coli 'intenzione del Governo principesco di far scandagliare quello rumeno per un'intesa. Il generale Lahovary affermò tuttavia a me come al marchese Pallavicini che il colonnello non gli ha sinora aperto bocca al riguardo. D'altra parte, secondo mi narrò lo stesso marchese Pallavicini, conversando coll'addetto militare presso questa legazione imperiale e reale, Hessaptchieff assicurò non esistervi accordi politici tra la Bulgaria e la Serbia, aggiungendo anzi che il Gabinetto di Sofia aveva fatto sentire a Belgrado che non era il caso di vendere la pelle dell'orso, ossia del turco, prima d'averlo ucciso. A proposito poi dell'unione doganale, egli, invertendo però i tennini, sarebbesi espresso in modo analogo al linguaggio tenutomi dal sig. Milovanovié, vale a dire che l'unione in parola avrebbe reso più facile alla Bulgaria di tener in freno le impazienze serbe d'espansione. Da quanto precede il marchese Pallavicini inferisce che in questa faccenda i serbi furono giuocati dai bulgari che cercano di far loro tirare le castagne dal fuoco. E siffatta opinione è divisa qui da parecchi.

Terminando, reputo mio dovere di non nascondere ad ogni buon fine ali'E.V. che una persona autorevole e degna della massima fiducia m'avvisò per mia nonna d'essersi accorta della convenienza di essere molto prudente nel parlare col sig. Milovanovié, non potendosi fare grande assegnamento sulla di lui discretezza.

557 2 Vedi D. 492.

558 1 Non pubblicato.

559

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 538. Roma, 3 marzo 1906, ore 12.

L'ambasciatore di Germania mi comunica in base a notizia telegrafata da Radowitz al suo Governo che i delegati francesi non diranno circa la Banca l'ultima parola fintanto che non sia regolata almeno in massima la questione della polizia circa la quale, ignorando essi il progetto Welsersheimb, stanno elaborando un nuovo progetto. Il Governo germanico desidererebbe quindi che l'azione mediatrice di lei in confonnità del mio telegramma di jeri l'altro 1 si spiegasse al più presto per prevenire il

progetto francese. Lo stesso desiderio è espresso a Vienna. Ricevo ora il telegramma

n. 432 al quale rispondo separatamente3 . Intanto V.E. giudicherà se come meglio possa adoperarsi nel senso desiderato dal Governo germanico. Le confermo che in ogni caso sarebbe assai opportuno ed utile che all'azione mediatrice si associasse anche il delegato di America e ciò per le ragioni a lei ben note.

559 1 Vedi D. 552.

560

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 540. Roma, 3 marzo 1906, ore 13,55.

Il telegramma n. 43 1 V.E. mi fa temere la possibilità di un malinteso. La proposta tedesca riferita nel suo telegramma n. 202 , lasciava al Sultano piena libertà di scelta esponendo la Francia al pericolo di vedersi esclusa o quanto meno di vedere scelti in prevalenza elementi a lei non favorevoli. Invece secondo il progetto Welsersheimb, ancorché emendato da Berlino, la Francia avrebbe o l'uno o l'altro dei seguenti vantaggi, c cioè o la certezza di vedere assegnati ufficiali francesi e spagnoli in detenninati porti (primo emendamento), oppure il privilegio della esclusività per Tangeri od altro porto di sua scelta, concorrendo per tutti gli altri porti con le altre nazionalità (secondo emendamento). Desiderando rimettermi all'apprezzamento ed all'azione di

V.E. le sarei grato di volermi chiarire le ragioni che la inducono a ravvisare nelle attuali proposte della Germania un aggravamento in confronto della primitiva3 .

561

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 614-615-616/44-45-46. Algeciras, 3 marzo 1906, ore 23,10 (perv. ore 7,40 de/4).

[44] La Conferenza nella seduta ufficiale di oggi ha discusso il progetto di costituzione della Banca. Si sono riservati sei articoli sui quali accordo non si è ancora stabilito tra i germanici ed i francesi e si sono approvati altri diciannove articoli. I

3 Vedi D. 560.

2 Vedi D. 492.

3 Per la risposta vedi D. 563.

tre argomenti di reale divergenza sono:

l) la giurisdizione nel solo caso che i particolari siano attori contro la Banca. I francesi propongono giurisdizione francese, i germanici una commissione speciale a Tangeri, e oltre diecimila franchi, appello alla Corte di Londra.

2) Sorveglianza esercitata da tre censori. I francesi propongono che questi siano nominati dalla commissione incaricata di redigere statuto; i germanici che siano nominati dal Corpo diplomatico a Tangeri e tra i membri del Corpo diplomatico stesso.

3) Partecipazione di quattro parti ai banchieri contraenti prestito 1904 come prezzo del riscatto del diritto di preferenza pattuito in quel contratto. I germanici contestano anche il valore di quel diritto, ma in ogni modo, faranno alle quattro parti un'opposizione irreducibile.

Sui primi due punti, accordo non mi sembra impossibile. Era necessario lasciare alle delegazioni francese e germanica qualche tempo per preparare delle soluzioni conciliatrici, almeno ad un certo numero delle questioni rinviate, ed al tempo stesso molti delegati erano contrari a nuove e indefinite proroghe della Conferenza. Si stabilì quindi di discutere nelle sedute ufficiali la sola questione della Banca senza intralciarla con le altre e di cominciare lunedì [il 5] seduta confidenziale di Comitato, quella della polizia.

Questo voto non ha avuto che una portata procedurale e non pregiudica la questione. Credo che la prossima discussione avrà un carattere generale e poco compromettente.

[45] Oggi il conte Radowitz alluse con me alle comunicazione contenute nel telegramma n. 5381, di cui egli non conosceva il tenore. Gli lessi i due progetti suggeriti in quel telegramma. Egli convenne con me, raccomandandomi però di non fare uso delle sue parole, che quei progetti non avevano alcuna probabilità di essere accettati dalla Francia e disscmi che si proponeva di fare qualche nuovo passo perché si ritornasse verso la cosiddetta proposta Welsersheimb. Dal telegramma di VE. mi sembra che risulti che questa proposta non sia accolta favorevolmente a Berlino. Welsersheimb è venuto a dirmi di avere avuto notizia dei progetti suggeriti da Berlino c di avere telegrafato al suo Governo l'opinione che essi non offrivano la base di buoni uffici che avessero qualche probabilità di riuscita.

[46] Delegati degli Stati Uniti mi hanno detto che il presidente Roosevelt aveva fatto uffici a Berlino in favore di una conciliazione specialmente suiia questione della polizia, ma che essi erano rimasti senza risultato.

559 2 Vedi D. 557.

560 1 Vedi D. 557.

561 1 Si fa riferimento, in realtà, al D. 552.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 552. Roma, 4 marzo 1906, ore 17.

Per informazione e norma di lei qui riproduco un telegramma del r. ambasciatore in Parigi 1:

«Rouvier non mi ha più parlato del progetto di aggiungere la terza nazionalità nell'ordinamento della polizia nei porti marocchini. Egli mi disse invece aver egli stesso dettato l'ultima nota del sig. Révoil allo scopo di mettere in sodo che la Francia è sempre in attesa della proposta conciliativa, non sembrandogli ammissibile che le potenze andate alla Conferenza non vogliano esprimere, almeno a titolo consultativa, la propria opinione. Rouvier sembra fiducioso di giungere accordo per il programma economico. Confida conclusione sufficiente perché l'opera di essa possa considerarsi come abbastanza utile c soddisfacente. Per la polizia, se la proposta conciliativa non si produce, egli pare rassegnato ali 'aggiornamento, per il quale si troverà una formula conveniente».

563

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 621-622-623-624/4 7-48-49-50. Algeciras, 4 marzo 1906, ore 19,50 (perv. ore 6,45 del 5).

[47] Ho fatto conoscere, a norma del telegramma n. 538 1 , in termini generali e con le dovute cautele, gli emendamenti di cui nel telegramma di V.E., n. 5272 , al delegato degli Stati Uniti, domandandogli se era disposto, nel caso vi trovasse la base di una mediazione conciliatrice, ad associarsi con mc. Egli mi rispose che, non trovando un carattere di praticità ai buoni uffici da esercitarsi su tale base, egli non avrebbe potuto prestmmi alcun concorso.

[48] Oggi ho avuto una conversazione con Révoilnella quale abbiamo a lungo parlato della questione della polizia. Gli esposi il vivo desiderio del mio Governo di potere contribuire perché essa pure possa essere risoluta dopo essere giunti ad un accordo su quella della Banca. Nel corso della conversazione ho creduto opportuno di esplorare il terreno nel senso dei progetti di cui telegramma di V.E. n. 527, spin

2 Vedi D. 552.

gendomi più !ungi che mi era possibile senza fare una proposta formale. Ho dovuto, come temevo, convincermi, che tra i punti di vista, da cui partono i due Governi di Francia c di Germania e tra le loro attuali disposizioni, vi è uno che non ammette, sino ad ora, l'esercizio di uffici conciliativi, i quali non siano destinati all'insuccesso nell'atto stesso in cui cominciano a svolgersi. Il delegato mi disse apertamente che delle guarentigie cercate in una intemazionalizzazione locale non offrirebbero un terreno d'intesa. VE. farà di queste infonnazioni quell'uso che crederà opportuno per non accrescere l'irritazione degli spiriti.

Ho domandato a Révoil cd ho avuto assicurazione che nella seduta di domani, in cui si scambieranno le idee preliminari sulla polizia, egli non porrà un legame tra le questioni della Banca e della polizia e che non avrebbe fatto alcuna proposta né presentato alcun progetto. Questo in relazione al telegramma di VE. n. 538. Credo che sarà calma e non uscirà dalle generalità. Cercherò che, da ora innanzi, la discussione della Banca continui senza essere interpolatc altre.

[49] Révoil venne a dirmi che il conte Tattenbach era stato da lui dimostrandogli per la Banca qualche disposizione sino un certo punto conciliante c che egli pregava delegato degli Stati Uniti e me di prestare dei buoni uffici per evitare gli attriti delle discussioni dirette. Gli risposi io credevo non si potesse trattare di buoni uffici formali e che per parte mia non avrei fatto proposte se non gradite alle due parti.

Sarei stato soltanto un intennediario tra le idee degli uni c degli altri, quando però questo fosse stato accetto al delegato germanico. Ne parlai a Radowitz, il quale mi disse di esserne soddisfatto. Ci troveremo domani o posdomani c telegraferò a VE.3 . Si potrebbe sperare di fare un passo forse decisivo ma Tattenbach, che io vidi dopo, mi si mostrò in prevenzione, assolutamente irremovibile su alcuni punti cui non so se i francesi potranno cedere.

[50] II mio giudizio di cui nel telegramma n. 5404 fu la prima impressione destata dal primo progetto visto i ben noti sentimenti francesi e a questa impressione manifestata solo a VE. non pongo importanza nel caso pratico. Confesso di non comprendere perché Gabinetto di Berlino insista perché Italia si incarichi di una mediazione su progetti che dagli stessi suoi rappresentati alla Conferenza può sapere che non hanno probabilità di essere accettati dall'altra parte. Non vorrei che più tardi ci domandasse di prcsentarli alla Conferenza come una nostra proposta. Noi siamo sempre stati imparziali e promotori soltanto della conciliazione. Ci siamo astenuti, a mio avviso opportunamente, da quei passi che fecero a Berlino la Russia, gli Stati Uniti e persino I' Austria-Ungheria. Se facessimo nostre queste proposte ci porremmo decisamente da una parte contro I' altra. Se tali domande ci fossero fatte, pregherei VE. di chiarire Io spirito cd i limiti delle istruzioni che ella può darmi e che furono, in prevenzione, fatte conoscere a Berlino con le relative spiegazioni dal predecessore di VE. Credo che noi dobbiamo adoperarci per una soluzione favorevole sulla Banca, la quale eviterà la rottura completa con le sue conseguenze. E se anche la questione della Banca fallisse, credo che dovremmo chiuderci nell'astensione ed evitare un voto.

4 Vedi D. 560.

562 1 T. 611/41 del3 marzo.

563 1 Vedi D. 559.

563 3 Vedi D. 570.

564

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 629/51. Algeciras, 5 marzo 1906, ore 21,45 (perv. ore 7 del 6).

Oggi ebbe luogo seduta in Comitato per discutere la questione della polizia. Seduta calma. Secondo delegato russo, ministro residente a Tangeri, lesse una memoria per provare che è indispensabile ristabilire la sicurezza nel Marocco col mezzo di una polizia che non sarebbe pratico di organizzarla con ufficiali impreparati di tutte le nazioni e che essi devono essere dati dalla Francia e dalla Spagna, che sole possono fornire gli elementi utili ed adatti. Radowitz lesse breve dichiarazione nella quale concluse che le Potenze interessate avevano un diritto uguale alla partecipazione alla polizia nel Marocco. Secondo delegato spagnuolo fece un discorso in favore combinazione franco-spagnuola. Delegato francese fece delle dichiarazioni colle quali, con molta moderazione di linguaggio, espose le note proposte del suo Governo, determinando quale sarebbe stato carattere della polizia così costituita, la sua sfera d'azione, la sua distribuzione nei diversi porti, la facoltà dei Governi di reclutare contro ogni abuso. Delegato britannico fece piena adesione parole delegato francese. Nessun altro chiese la parola. Su mia proposta, si decise di continuare la discussione sulla Banca in una seduta ufficiale giovedì [1'8].

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, PANSA, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 560. Roma, 6 marzo 1906, ore 14,45.

Circa il telegramma identico dei componenti la Commissione internazionale in Creta ebbi ieri comunicazione dagli ambasciatori delle tre potenze protettrici. L'ambasciatore d'Inghilterra !imitavasi a chiedermi il pensiero del R. Governo. L'ambasciatore di Francia faceva conoscere che il suo Governo sarebbe disposto ad associarsi agli altri tre per dare effetto al suggerimento della Commissione internazionale. Invece l 'ambasciatore di Russia mi significava le obiezioni del suo Governo. Questi osserva che il principe Giorgio resisterebbe e la pressione delle potenze non contribuirebbe alla pacificazione; che sarebbe malagevole trovare altri consiglieri capaci c vi sarebbe pericolo di vcdervi figurare attuali oppositori, il che creerebbe maggiori difficoltà e complicazioni. Ciò stante il Governo imperiale esita ad approvare la proposta della Commissione e proporrebbe invece che, per assicurare la regolarità delle elezioni, si abbrevi il periodo elettorale e si proceda gradualmente per distretti acciocché le operazioni possano farsi sotto la sorveglianza di una sufficiente forza militare. Per quanto ci concerne il mio pensiero si riassume essenzialmente in questi punti: è assolutamente indispensabile che si provveda efficacemente ad impedire che le prossime elezioni determinino torbidi eguali e forse più gravi di quelli dello scorso anno; per essere efficaci i provvedimenti debbono essere presi ed attuati di pieno accordo fra le quattro potenze; non essendo dubbio di fronte a !l'unanime parere dei componenti la Commissione internazionale, che l'indirizzo ed i modi di Governo del principe Giorgio hanno contribuito a creare la presente situazione; una conveniente azione delle potenze presso il principe stesso si impone come condizione indispensabile per il mantenimento della quiete e dell'ordine. Qualora la proposta della Commissione non sembri integralmente accettabile noi siamo disposti ad accettare quegli emendamenti che raccolgano il concorde voto delle quattro potenze purché il provvedimento sia di sicuro immediato effetto ed escluda la necessità dell'invio di nuovi rinforzi. Intanto l'allontanamento immediato di Papadiamantopulo e di Bucas gioverebbe certo alla pacificazione degli animi. Quanto all'affrettare le operazioni elettorali come proporrebbe il Governo russo, il provvedimento nelle circostanze attuali avrebbe l'effetto di affrettare lo scoppio di disordini. Prego esprimersi in questo senso con codesto ministro degli affari esteri insistendo sulla urgenza di una conclusione 1•

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. CONFIDENZIALE 570. Roma, 6 marzo 1906, ore 22.

Barrère è stato oggi da Luzzatti comunicandogli alcune domande di Révoil sulla Banca, fatte, secondo dice Révoil, anche per incarico di V.E. Luzzatti rispose che avrebbe affidato tutto alla Banca d'Italia e che un funzionario superiore sarebbe il rappresentante nella Banca marocchina con istruzioni conciliative. Barrère voleva una risposta più decisa e cioè che noi avremmo date istruzioni al rappresentante della Banca, di fare ciò che vorrà la Francia. Questo non possiamo dirlo parendoci comunque pericoloso impegnarci a priori. Prego V.E. esaminare se convenga all'Italia di entrare nella Banca fornendoci anche maggiori notizie sulla comunicazione di Barrère a Luzzatti 1•

566 1 Per la risposta vedi D. 571.

565 1 Vedi D. 583.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 573. Roma, 7 marzo 1906, ore 14, 15.

L'ambasciatore di Germania mi ha comunicato, per la questione della polizia, il progetto che qui sotto riproduco, esprimendomi il desiderio del suo Govemo che V.E. ne facesse la proposta alla Contèrenza. Gli ho risposto che, per le considerazioni ben note al suo Govcmo, il delegato italiano non era in condizione di prendere egli stesso iniziativa di una proposta, ma che avrei tosto telegrafato il progetto comunicatomi a

V.E. acciocché, ove lo credesse opportuno, ne facesse il tema di quella mediazione tra l'una e l'altra parte a cui noi siamo sempre disposti. Ecco il testo del progetto:

«l) Per la polizia in tutti i porti marocchini -eccetto Casablanca -saranno scelti dal Sultano ufficiali francesi e spagnoli cioè francesi nei porti di Tangeri, Tetuan, Rabat c Saffi; spagnoli in Larache, Mazagan e Mogador. 2) Il Corpo diplomatico a Tangeri vaglierà sull'esecuzione del regolamento generale di polizia da elaborarsi dalla Conferenza. 3) Un ispettore superiore, che deve appartenere ad una delle piccole potenze (Svizzera o Paesi Bassi), avrà l'ispezione cd il controllo sul corpo di polizia, c ne riferirà al Corpo diplomatico rispettivamente al Sultano. Egli avrà, nello stesso tempo il comando sulla truppa di polizia a Casablanca. Spetterà a lui la scelta dei suoi ufficiali, la quale, nel caso estremo, potrebbe essere limitata a ufficiali di sua propria nazionalità». Osservo, per conto mio, che l'attuale, progetto che la Germania è disposta ad accettare, mi sembra segnare un notevole passo nella via delle concessioni da parte sua 1•

568

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 575. Roma, 7 marzo 1906, ore 15,25.

Facendo seguito al precedente telegramma 1 , qui trascrivo un telegramma ora giuntomi dal r. ambasciatore in Berlino2:

«Jeri sera [il 6] Bi.ilow mi ha detto che, se Francia farà qualche concessione su questione Banca, egli ha ottenuto dall'Imperatore di accettare polizia affidata a Fran

2 T. 636/65 del 7 marzo.

eia e Spagna purché con ispettore nazione neutra c un qualche contrailo internazionale. Conte Monts è stato incaricato di fare in proposito dettagliata comunicazione a VE. Biilow è persuaso che su tale base sia possibile venire ad un'intesa se Visconti Venosta con l'alta sua autorità vorrà appoggiare e esercitare sua influenza su delegati francesi affinché accettino queste che sono le ultime possibili concessioni germaniche. Biilow vorrebbe assolutamente evitare che la Conferenza si sciolga senza risultato con le conseguenze fatali che ne risulterebbero per relazioni fra Francia e Germania. Io credo che, se Visconti Venosta raggiunge scopo, egli renderà un servizio apprezzato nonché al nostro paese ed alla Germania, aii'Europa intera che oramai soffre dal protrarsi dei negoziati in Algeciras. E forse non a torto, Canceiliere dell' Impero ritiene che giunto a questo le sorti della Conferenza risiedano in massima parte nelle mani del nostro eminente rappresentante»3•

567 1 Per la risposta vedi D. 572.

568 1 Vedi D. 567.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 580. Roma, 7 marzo 1906, ore 20.

Comunicai poco dianzi a VE. il telegramma con cui il generale Lanza riferiva il colloquio da lui avuto con Biilow circa la nuova proposta germanica per la polizia 1• Ricevo ora dal generale Lanza sullo stesso argomento il seguente commento che mi affretto a comunicarle acciocché VE. conosca quanta importanza a Berlino si annetta alla azione mediatrice di lei e possa quindi trame utile norma. Ecco ciò che Lanza mi telegrafa2: «Per la Germania è ora questione di salvare, almeno, le apparenze del principio da essa sostenuto daila internazionalizzazione del Marocco. Io credo che noi dobbiamo darle tutto il nostro appoggio. Se la Conferenza definitivamente fallisce, la Francia non mancherà di inneggiare al preteso nostro contegno in suo favore e danno risentirebbero le nostre relazioni con gli alleati».

2 T. 638/66, pari data.

568 1 Per la risposta vedi D. 572. 569 1 Vedi D. 568.

570

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 637/52. Algeciras, 7 marzo 1906, ore 9.45 (perv. ore 14,25).

Abbiamo in questi giorni il delegato degli Stati Uniti ed io prestato i più attivi uffici tra le delegazioni germanica e francese per risolvere la questione della Banca. Tutti i punti rimasti in sospeso si potevano dire risoluti, meno uno, quello della partecipazione alla formazione del capitale della Banca. Delegato francese domandava due parti per il consorzio dei banchieri francesi contraenti prestito 1904, come riscatto del loro diritto di preferenza a favore della Banca, di più chiedeva che un'altra parte fosse in seguito riservata allo stesso consorzio quando questo si fosse posto in grado di rinunziare, a favore della Banca, al suo attuale diritto di sorveglianza sulle dogane; queste tre parti, senza pregiudizio di quella assegnata alla francese come alle altre potenze. I delegati germanici concedevano soltanto due parti di consorzio per i due diritti di preferenza e di sorveglianza, oltre la parte della Francia, dichiarandosi irremovibili, e nemmeno disposti a discutere su di ulteriore concessione. Su questo punto i delegati germanici non faranno alcuna concessione, vedendo con queste quattro parti assicurato a priori il predominio della Francia sulla Banca. Révoil si mostrò, alla sua volta, estremamente irritato di questo rifiuto, dichiarando che le sue istruzioni non gli permettevano di cedere. Benché mi si mostrasse personalmente contrario transigere, egli mi disse che riferirà al suo Governo chiedendo istruzioni. Dalla risposta di Parigi dipenderà se la questione della Banca sarà risoluta e se potrà, in tal modo, compiersi programma economico della Conferenza, o se avverrà la rottura.

571

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 645/53. A lgeciras, 7 marzo 1906, ore 17,5 O (perv. ore 24).

Révoil mi parlò tre o quattro giorni fa di quanto forma oggetto del telegramma confidenziale di V.E. 1• Egli mi disse che, nel domandare a se stesso se gli sarebbe stato possibile per giungere ad un accordo sulla Banca di fare sacrificio di qualcuna delle parti destinate per i gruppi francesi nella formazione del capitale, doveva preoc

cuparsi di quello che sarebbe stata l'attitudine del gruppo italiano nel Comitato per la elaborazione dello statuto della nuova Banca. Gli dissi che non ero in grado di rispondergli. Gli osservai che avrei preferito di non rivolgere direttamente la domanda a VE. e che valeva meglio che egli cercasse le informazioni che credeva necessarie a Roma, conservando alla questione il suo speciale carattere finanziario. Révoil mi disse infatti che avrebbe telegrafato a Barrère. Credo che sarebbe opportuno che questo scambio segreto di domande e di risposte rimanga tra Barrère e Luzzatti, il quale potrà fare ciò che né VE. né io potremmo dire né più né altro di quello che egli crederà di poter dire o fare, [ ...]2 entro oggi ci renderà un servizio.

Capitale della Banca sarà tra i quindici ed i venti milioni di franchi. Oltre le parti in contestazione per i banchieri francesi ed una parte data al Marocco, il capitale sarà diviso in tante parti uguali quante sono le dodici potenze rappresentate alla Conferenza. Gli Stati che vorranno prevalersi di questo diritto di partecipazione comunicheranno tale intenzione al Governo spagnolo nel termine di quattro settimane dopo la firma dell'atto internazionale che ora discutesi. Il Governo del Re avrà dunque tutto il tempo per esaminare se gli convenga entrare nella Banca. Con rapporto n. 263 ho ieri inviato progetto della Banca, quale è ora discusso dalla Conferenza.

571 1 Vedi D. 566.

572

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 646/54. Algeciras, 7 marzo 1906,part. ore l dell'8 (perv. ore 6,35).

Ho ricevuto stasera telegrammi nn. 573 e 575 1•

È certo che il progetto di cui si tratta è una notevole concessione da parte della Germania. Vedrò domattina Révoil e farò quanto sarà in potere mio, conservando tuttavia al mio colloquio carattere confidenziale ed ufficioso. Devo però dire francamente a VE. che la Conferenza offre un campo assai poco favorevole per trattative pratiche ed utili per giungere ad un risultato sui punti decisivi. La personalità di Révoil, aggiunta al suo attuale stato d'animo, rende assai più grave queste difficoltà. Tutto ciò che potrò ottenere da lui sarà che egli consenta a riferire al Governo francese. Secondo il telegramma n. 5522 , Rouvier avrebbe detto al conte Tornielli che egli attende sempre le proposte conciliative, e che credeva che nella Conferenza esse dovessero essere espresse almeno a titolo consultativo. Ma queste proposte non possono esserlo con effetto utile e senza inconvenienti se non quando si sa che esse

57 I 2 Gruppo indecifrato. 3 Non pubblicato: trasmetteva il testo del progetto di statuto della Banca. 572 1 Vedi DD. 567 e 568. 2 Vedi D. 562.

hanno probabilità di essere accolte, almeno in principio, da un lato e dall'altro. Per questo parmi che V.E. potrebbe telegrafare a Tomielli per metterlo al corrente dello stato attuale delle cose e per domandargli se potrebbe indagare intenzioni di Rouvier in merito al progetto, e il tenore delle istruzioni che sarebbe disposto a dare, come pure se la proposta messa innanzi nel Comitato della Conferenza nel senso indicato e destinata a servire di base ad un accordo, non sarebbe considerata dal Governo francese come atto ad esso contrario3 . Telegraferò dopo visto il Révoil4 .

573

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUlCCIARDINI

T. 653/55. Algeciras, 8 marzo 1906, ore 17,40 (perv. ore 21,50).

Questa mattina, quindici minuti prima della Conferenza, con mia meraviglia, il delegato austro-ungarico venne leggermi un progetto 1 alquanto diverso nella redazione, ma simile nella sostanza, a quello di cui V.E. mi ha comunicato testo con suo telegramma n. 5732 . Mi disse che egli aveva ricevuto ordine dal Governo di presentarlo nella seduta stessa di Comitato che stava per aprirsi, domandandosi se poteva presentare proposte e parlare anche in nome del delegato italiano. Non mancai di fargli notare quello che aveva di poco consueto procedimento così improvviso, ma ciò dissi a lui c mi recai immediatamente presso i delegati germanici per dire loro che avrei fatto tutta la opera mia per appoggiare presso il delegato francese la proposta c per raccomandame accettazione. Credo di essermi così confonnato dichiarazioni fatte da

V.E. come risultano dal telegramma suddetto. Infatti delegato austro-ungarico presentò Comitato la sua proposta aggiungendovi le sue spiegazioni.

Delegato francese espose di nuovo il punto di vista del suo Governo, aggiungendo che per quanto riguardava concetto delle guarentigie non si sarebbe rifiutato

4 Vedi D. 579.

è Vedi D. 567.

esaminare proposte che potessero essere fatte. Comitato si limitò prendere atto della proposta austro-ungarica per un ulteriore esame. Vedrò oggi Révoil e telegraferò3 . Frattanto mi sono adoperato perché a Révoil giungessero, nel senso di un accordo, i consigli che potevano essere più autorevoli per lui. Se l'E.V. ha fatto a Tornielli la comunicazione, di cui nel mio telegramma n. 544, converrà ora avvertirlo della nuova situazione creatasi qui 5 .

572 3 Guicciardini, con T. 587 dell'8 marzo, trasmise a Tomielli questo telegramma con le seguenti istruzioni: «Vedrà V.E. come meglio, nelle circostanze presenti di codesto Ministero, si possa assecondare l'opportuno suggerimento del marchese Visconti Venosta».

573 1 Con successivo T. 673/59 del IO marzo Visconti Venosta comunicava: «Riferendomi telegramma n. 55, trasmetto testo progetto austriaco: l) Sultano avrà comando supremo polizia; 2) incaricherà ufficiali francesi organizzare polizia Tangeri, Saffi, Rabat, Tetuan; 3) incaricherà utliciali spagnuoli organizzare polizia Mogador, Larache e Mazagan; 4) nominerà inoltre un utliciale superiore che sarà incaricato organizzare polizia Casablanca e che contemporaneamente farà funzioni ispettore geuerale delle truppe di polizia. Sultano lo sceglierà liberamente fra tema ufficiali che, collo assenso potenze firmatarie, presenterannogli Svizzera od Olanda; 5) i quadri truppa saranno marocchini; 6) amministrazione e, specialmente paghe truppe, farassi dagli impiegati europei mediante fondi posti a loro disposizione dalla Banca di Stato; 7) ispettore generale renderà conto delle sue funzioni al Corpo diplomatico in Tangeri che controllerà esecuzione dell'organizzazione: 8) questa organizzazione sarà istituita titolo saggio triennim>.

574

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 654/56. Algeciras, 8 marzo 1906, part. ore 0,30 de/9 (perv. ore 6,30).

Nella seduta ufficiale della Conferenza si trattò articoli riservati progetto Banca. Questione della giurisdizione fu risoluta dietro una mia proposta. Della questione intorno sorveglianza apparve possibile una soluzione. Rimane, dunque, solo a decidersi quella delle parti nella formazione del capitale.

575

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 659/46. Parigi, 8 marzo 1906, ore 22,45.

Giornali della sera danno notizia che Austria-Ungheria presentò oggi alla Conferenza, come sua, la proposta comunicata al R. Governo dalla Germania. Potrei dunque, parlandone con Rouvier, chiedergli soltanto se Francia è disposta ad accettare la proposta austriaca come un termine di conciliazione, senza, ben inteso, parlare dell'origine germanica della proposta stessa.

Molto probabilmente Rouvier che, secondo taluni, si sarebbe fatto battere volontariamente ieri alla Camera, non vorrà pronunziarsi ora che è dimissionario. Cercherò veder! o domani e telegraferò sul tardi 1•

4 Vedi D. 572, nota 3.

5 Vedi D. 578.

573 3 Vedi D. 579.

575 1 Vedi D. 581.

576

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 660/49. Vienna, 8 marzo 1906, ore 19, 15 (perv. ore 21,10).

Conte Goluchowski mi ha detto avere incaricato Welsersheimb di comunicare seduta odierna Conferenza Algeciras proposta che aveva formulato circa organizzazione polizia Marocco già accettata dal Governo germanico e di concertarsi con Visconti Venosta per ottenere che fosse da lui appoggiata'. Secondo tale proposta organizzazione polizia negli otto porti del! 'Impero sarebbe affidata in quattro alla Francia, in tre alla Spagna, e nell'ottavo, cioè a Casablanca, a una piccola potenza che verrebbe incaricata riferire circa organizzazione stessa al Corpo diplomatico in Tangeri sotto cui controllo essa sarebbe posta. Conte Goluchowski spera che tale proposta, colla quale aveva procurato conciliare vedute Germania con quelle Francia, sarebbe stata accettata dal Governo della Repubblica. Ha aggiunto che Governo germanico aveva interessato direttamente R. Governo farla appoggiare da proprio rappresentante in Algeciras2 . Quanto alla istituzione della Banca di Stato, conte Goluchowski mi ha detto questione non essere ancora matura, ma Governo imperiale e reale non potere ammettere che essa fosse sottoposta giurisdizione francese. Una identica comunicazione è stata oggi fatta dal conte Goluchowski ai miei colleghi di Francia e Russia.

577

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

Roma, 9 marzo 1906, ore 13,50.

Il telegramma che qui sotto riproduco del marchese Visconti Venosta spiega come la proposta germanica sia divenuta una proposta conciliativa dell'AustriaUngheria. Dopo questa trasformazione che permette al marchese Visconti Venosta di appoggiare tale proposta presso il suo collega francese, ritengo che V.E., interrogando in proposito il sig. Rouvier, possa raccomandarne l'accettazione, beninteso cogli speciali riguardi che ci sono imposti dalla particolare nostra situazione. Ecco il telegramma del marchese Visconti Venosta: «Questa mattina ... »2 .

576 1 Vedi D. 573. 2 Vedi D. 567. 577 1 Ritrasmesso, insieme al T. 664 (vedi D. 579) a Lanza con T. 597, pari data, affinché «ella possa meglio apprezzare e fare costì apprezzare il nostro atteggiamento nella fase presente della questione». 2 Vedi D. 573.

578

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 592. Roma, 9 marzo 1906, ore 14.

Ricevo il telegramma n. 55 1•

Secondo il suggerimento di V.E. ho tosto avvertito Tomielli della nuova situazione, ed ho osservato che, trattandosi ora, non più di una proposta germanica, ma di una proposta conciliativa austro-ungarica, mi sembrava potersi questa da noi appoggiare, beninteso coi debiti riguardi, anche direttamente presso il sig. Rouvier.

579

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 664/57. Algeciras, 9 marzo 1906, ore 10,10 (perv. ore 12,50).

Jeri sera ho avuta una conversazione con Révoil. Gli ho detto che il progetto di cui si tratta 1 è notevole concessione da parte della Germania; il mio assoluto convincimento che egli non poteva aspettare alcuna concessione ulteriore. Ho esaurito tutti gli argomenti che raccomandavano la proposta dall'una e dall'altra parte interesse del suo Governo. E gli feci presente la grande responsabilità rottura Conferenza, situazione che ne sarebbe derivata e dei suoi pericoli.

Delegato francese mi svolse tutte le sue obiezioni che sarebbe troppo lungo riferire. Lo pregai di esporre situazione c riferire al suo Governo senza pregiudicarne le decisioni. Mi disse che lo avrebbe fatto e avrebbe riferito la nostra conversazione. Ho cercato che da tutti gli ambasciatori giungessero a Révoil consigli simili ai miei.

Del mio ho informato Radowitz. Ora questione è [a] Parigi ed è complicata da una crisi ministeriale.

578 1 Vedi D. 573. 579 1 Vedi D. 573, nota l.

580

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 669/58. A lgeciras, 9 marzo 1906, ore 2 3, 15 (perv. ore 6.20 del IO).

Révoil, col quale oggi pure ho avuto una conversazione, mi si mostrò, malgrado quanto potei dirgli, in una disposizione d'animo poco favorevole al progetto, allarmato dalle difficoltà di farlo accettare all'opinione pubblica francese, assai preoccupata dali 'influsso che la crisi ministeriale poteva esercitare sulle deliberazioni del suo Governo. Egli insistette molto nell'espormi le ragioni per le quali credeva che se fosse stato possibile di istituire un ispettore di uno stato neutrale, come la Svizzera, residente a Tangeri circondato da tutte le guarantige per un serio ed efficace esercizio della sua missione, abbandonando idea di dare a qualche ufficiale svizzero la polizia di un porto, l'accordo nella Conferenza sarebbe stato facile c pronto. Ho creduto mio dovere fargli ancora presente che il progetto nel suo complesso c, segnatamente, nella condizione relativa Casablanca segnava un limite che io ero convinto non sarebbe stato dalla Germania oltrepassato e che il linguaggio esplicito tenutomi dai delegati germanici mi impediva farmi un altro concetto della situazione.

581

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 670/47. Parigi, 9 marzo 1906, part. ore l del l O (perv. ore 7,20).

Fui ricevuto oggi da Rouvier prima che mi pervenisse il telegramma n. 591 1 . Il presidente della Repubblica e Rouvicr avendo deciso di continuare trattative di Algeciras per non perdere l'occasione di un componimento che ora sembra possibile, questo ministro riconobbe volentieri che proposta austro-ungarica costituiva la proposta conciliativa da lui attesa e che la trattativa aveva fatto un notevole passo verso risoluzione soddisfacente. Mi disse di aver dato a Révoil istruzioni molto concilianti per la questione della Banca. Per la polizia, osservò che la proposta dell'Austria-Ungheria non gli pareva accettabile integralmente. Non voleva però precisare il punto di divergenza nel timore che, mentre si tratta ad Algeciras, non nascesse qualche contraddizione fra quanto colà diranno i delegati francesi, e ciò che egli potrebbe dirmi qui. Ringraziò vivamente per l'opera conciliatrice di Visconti Venosta, e pregò di far

sapere a quest'ultimo che lo pregava di mantenersi in contatto con Révoil. Sostanzialmente la proposta alla quale a me pare utile sia conservato il carattere di austroungarica è accettata qui come base di accordo, e stimo che gli emendamenti desiderati dalla Francia porteranno: l) sopra la designazione dei porti da assegnarsi alla Francia ed alla Spagna che si vorranno che siano riservati ad una intesa fra i due paesi; 2) sopra l'ispettore e gli ufficiali di uno Stato secondario per uno dei porti, cosa che si considera ostica per l'opinione pubblica francese. Rouvier ha però insistito che io non indichi a V.E. le sue viste sopra i punti speciali e finì coll'esprimere il desiderio di giungere in tempo a risolvere questo grave incidente della politica estera della Francia prima di lasciare il Governo. Si parla di combinazione quasi riuscita con Sarrien Bourgeois ed altri di colore relativamente moderato.

Siccome domani Conferenza si riunisce, trasmetto io stesso a Visconti Venosta parte sostanziale di questo telegramma.

581 1 Vedi D. 577.

582

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 678-679/60-61. Algeciras, l O marzo 1906, ore 17,15 (perv. ore 23,30).

[60] Seduta di oggi, nella quale si trattò prima della Banca e poi in Comitato della polizia, mi ispira fiducia nel buon esito della Conferenza. Per la Banca, benché le due difficoltà rimaste insolute, sorveglianza e partecipazione, non siano state esplicitamente approvate, pure si può confidare che lo saranno tra non molto. Con esse saranno risolute altre questioni che erano state riservate, perché dipendevano dalla costituzione della Banca, di modo che programma economico della Conferenza sarebbe esaurito. Quanto alla polizia, Radowitz dichiarò che il suo Governo aderiva, in principio, alla proposta austro-ungarica e domandò che questa e la proposta francese fossero mandate alla Commissione dei redattori. In appoggio a questa domanda, intorno alla quale delegato francese esitava e che fu adottata, delegato britannico prese la parola per sostenere che l'ispettore di uno Stato neutrale residente a Tangeri, in tutte quelle condizioni che potrebbero rafforzare la sua autorità, avrebbe molto meglio esercitato le sue funzioni che non rimanendo al comando polizia di Casablanca. Delegato francese appoggiò questa considerazione. Discussione fu assai calma e conciliante. Prossima seduta fu fissata a martedì [il 13]. Le obiezioni della Francia, per quanto si riferisce accordo dei porti tra la Francia e la Spagna, non credo daranno luogo a troppo grandi difficoltà perché Radowitz, a cui tenni oggi parola, mi disse che considerava questa come questione di dettaglio. Ispettore circondato da serie garanzie può considerarsi accettato dalla Francia. La sola difficoltà è quella della polizia affidata ad ufficiali di Stato neutrale in un porto come Casablanca che il Governo francese vorrebbe posto nelle condizioni degli altri Stati.

[61] Nel progetto di costituzione della Banca, la questione controversa della sorveglianza sarebbe risoluta con l 'affidare a quattro censori nominati da quattro banche di Stato, di quattro diversi paesi. Tre sarebbero: Banca di Francia, Banco Imperiale Germanico, Banca di Spagna. Quarto potrebbe essere Banca d'Italia. Ma avendosi V.E., in un telegramma confidenziale fatto conoscere che il ministro del Tesoro avrebbe intenzione di affidare aJia Banca d'Italia formazione gruppo italiano che eserciterà diritto di sottoscrizione al capitale della Banca, nonché quello di designazione degli amministratori, temo vi sia incompatibilità. Prego V.E. parlarne al ministro del Tesoro e rispondermi di urgenza1•

583

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 680/24. Londra, 10 marzo 1906 ore 17,21 (perv. ore 24). Telegramma 560 1 e 602 2 .

Sir E. Grey conviene con V.E. nel ritenere inopportuno l'affrettare le elezioni ed anzi suggerisce che, prima esse, abbia luogo un almeno parziale disarmo. Anche egli è informato che principe Giorgio accetterebbe la nomina nel suo consiglio di membri moderati dell'opposizione, non involti nell'insurrezione. Sono suggerite da sir E. Law per la nomina primo consigliere il sig. Sphakianakis ed il sig. Logiadis; intorno ad ambi i quali si hanno favorevoli informazioni. Frattanto, incaricato d'affari britannico a Pietroburgo ha avuto istruzioni di esprimere al Governo russo la speranza che esso accetterà le proposte sulle quali è unanime l 'opinione dei delegati. Quanto, però, all'aJiontanamento dei due noti segretari, Governo inglese ritiene che sarebbe inopportuno discuterne, mentre sono tuttavia pendenti quelle proposte. In attesa del loro esito, mi riservo riferire pensiero di questo Governo circa azione finale della Commissione e data deJia sua partenza.

2 Del 9 marzo, non pubblicato.

582 1 Per la risposta vedi D. 584.

583 1 Vedi D. 565.

584

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 608. Roma, 11 marzo 1906, ore 11,45.

Rispondo al telegramma n. 61 1•

Per il prestigio dell'Italia sarebbe necessario che uno dei censori fosse nominato dalla Banca d'Italia, il che non implica incompatibilità perché la Banca d'Italia non può entrare direttamente a costituire il capitale, ma entrerebbe invece un suo gruppo distinto da essa, cd il rappresentante di questo gruppo presso la Banca marocchina non sarebbe un funzionario della Banca, ma sarà un funzionario di fiducia del Governo. Questo le telegrafo di pieno accordo col ministro del Tesoro che mi incarica di presentare a V.E. i suoi saluti.

585

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 691/62. Algeciras, 11 marzo 1906, part. ore l del 12 (perv. ore 6,35).

Nelle due riunioni d'oggi della Commissione dei redattori per condurre a termine il progetto della Banca non si mantenne quello spirito di conciliazione che era apparso nella Conferenza di ieri. I delegati francesi si mantennero irremovibili nel reclamare tre parti per i banchieri contraenti prestito 1904 ed i tedeschi nel non ammetterne che due parti. Comitato sciolsesi senza avere nulla concluso. Suppongo che il sig. Révoil resista con l'intento di cedere più tardi contro una concessione per Casablanca. Non ho mancato di avvertirlo che io ritenevo questo calcolo illusorio. Frattanto animi si inacerbiscono. Convincomi sempre più, che non è fra i delegati ad Algeciras, ma direttamente tra i Gabinetti, che si potrà rendere ancora possibile una soluzione.

584 1 Vedi D. 582.

586

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANZA, E A PARIGI, TORNIELLI

T. 622. Roma, 12 marzo 1906, ore 15.

Ricevo da Algeciras il seguente telegramma: «Nelle due riunioni di ieri della Commissione dei redattori ...» (vedi telegramma n. 691 da Algeciras) 1•

Per Parigi. Vedrà V. E. se, malgrado la crisi, ella possa avere modo di tenere con Rouvier, in termini essenzialmente cordiali ed amichevoli, un linguaggio analogo a quello tenuto dal marchese Visconti Venosta al sig. RévoiF.

Per Berlino. Ho telegrafato a Tomielli di veder modo, malgrado la crisi, di tenere al sig. Rouvier linguaggio analogo a quello tenuto dal marchese Visconti Venosta al sig. Révoil.

A questo proposito, riferendomi al telegramma n. 67 di V.E. 3 debbo osservare che noi abbiamo sempre consentito ben volentieri la nostra opera di mediazione quando la Germania ce ne ha fatto richiesta e l'abbiamo senza esitazione prestata anche per l'ultimo suo progetto; ma dalla parte di semplici mediatori saremmo usciti se avessimo presentato noi stessi quel progetto alla Conferenza, ciò che poté farsi dall'Austria-Ungheria avendo questa, come V.E. ben sa, per le cose del Marocco una posizione assai diversa dalla nostra4 .

587

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL CONSOLE GENERALE A LA CANEA, FASCIOTTI

T. 623. Roma, 12 marzo 1906, ore 15.

l quattro Governi sono in massima consenzienti alla proposta della Commissione d'inchiesta; solo il Governo russo desidera prima accertarsi buona disposizione del principe ad accettarla. Per guadagnar tempo la autorizzo fin d'ora a concordarsi coi colleghi per i particolari di esecuzione, rispetto ai quali ci rimettiamo a quanto sarà costì convenuto, !imitandoci manifestare avviso che la proposta dovrebbe essere presentata al principe dalla Commissione d'inchiesta anziché dai consoli. Ci pare poi necessario che debba procedersi in modo tale per cui appariscano effetti di spontanea iniziativa del principe tanto il mutamento di Governo quanto quella pubblica manifestazione di nuovo indirizzo politico amministrativo con la quale si stimasse di accompagnare il mutamento.

2 Per la risposta vedi D. 589.

1 T. 684/67 dell' 11 marzo, non pubblicato.

4 Vedi D. 592.

586 1 Vedi D. 585.

588

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 697/63. Algeciras, 12 marzo 1906, ore 22,50 (perv. ore 7 del 13).

Contegno molto riservato dci delegati francesi nella Commissione di redazione che ho ieri segnalato alla E.V. 1 non si è oggi modificato nella stessa Commissione. Tutto è rimasto sospeso. Credo che parte sia in causa della crisi ministeriale a Parigi, ma anche nella fiducia di potere ottenere concessione che V.E. conosce relativa a Casablanca, pur ammettendo a Tangeri un ispettorato di potenza neutrale circondato da serie garanzie. Può darsi che un ispettore di Stato neutrale stabilito a Tangeri, con due o tre ufficiali della sua nazionalità accanto al Corpo diplomatico, rappresenti un mandato internazionale, e sia in grado di esercitare la sua missione, meglio che con la proposta combinazione di Casablanca. Ma non trattasi di questo. Trattasi di sapere se la Germania è disposta ad ammettere qualunque modificazione su qualunque dei punti importanti della proposta. Ora, senza entrare, per parte mia, nel merito della suddetta questione, ho fatto sempre e faccio conoscere a Révoil che il linguaggio dei delegati germanici e le mie informazioni non lasciano alcun adito a credere che il Gabinetto di Berlino sia disposto ad oltrepassare o modificare i limiti delle sue ultime concessioni. Malgrado ciò, io non dispero punto che si giunga ad una conclusione. Radowitz venne oggi a ringraziarmi da parte del Governo germanico per l'opera da me prestata in questi giorni.

589

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 698/50. Parigi, 12 marzo 1906, ore 23,55 (perv. ore 7 dell3).

Rispondo al telegramma n. 6221•

Sembra prossima formazione del Gabinetto Sarrien e probabilmente non avrò più occasione di intrattenermi con Rouvier sulle questioni insolute ad Algeciras. È naturale che, essendo la formazione di un nuovo Ministero divenuta probabile, c l'idea di scioglimento della Camera essendo ormai abbandonata, Rouvier, pur lasciando proseguire il negoziato, rifiuti di assumere la responsabilità di altre maggiori conces

5RR 1 Vedi D. 585. 589 1 Vedi D. 5S6.

sioni, contro le quali protesta l'opinione pubblica francese. Converrà pertanto aspettare una decisione dei nuovi ministri e se tutti i nomi che si fanno oggi entrano nel Gabinetto, temo che non bisogna aspettarsi da questi maggiore arrendevolezza di quella di cui Rouvier diede prova. Salvo ordini contrari di V.E., mi propongo di tenere, appena sarà possibile, con i futuri ministri, il linguaggio stesso che ella mi incarica di tenere a Rouvier.

590

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 170/80. Pietroburgo, 12 marzo 1906 (perv. i/17).

Il corso favorevole che pare stiano prendendo le cose ad Algeciras ha prodotto in queste sfere ufficiali vivissima soddisfazione ed il conte Lamsdorf, nel colloquio che ebbi ieri con lui, mi esprimeva tutto il suo compiacimento nel vedere dissiparsi le nubi che parvero un momento seriamente oscurare l'orizzonte politico.

Ed invero nessuna nazione, se si eccettuano ben inteso le due potenze contendenti, era più della Russia interessata a che la vertenza marocchina fosse per avere al più presto una pacifica soluzione. Anzitutto ad un siffatto risultato rimaneva subordinato l'appoggio finanziario che la Francia era disposta a prestare alla sua alleata nelle presenti gravissime difficoltà, appoggio grazie a cui riuscirà ora alla Russia di trovarsi i seicento o settecento milioni di rubli che le abbisognano per colmare le lacune del suo bilancio. D'altra parte l'esito sfavorevole che avrebbe potuto avere la Conferenza di Algeciras e la susseguente grave tensione tra la Francia e Germania, che ne sarebbe stata l'inevitabile conseguenza, avrebbe posto indubbiamente il Governo russo in una ben difficile e complicata situazione, e ciò anche senza tener conto della possibilità d'una guerra, a cui qui non si è mai creduto sul serio. La Russia si rende conto che gli imbarazzi suscitati alla Francia dall'intervento germanico nella questione marocchina siano da ascriversi anzitutto a sua colpa, poiché, senza le sue clamorose sconfitte in Manciuria e la diminuzione della sua potenza militare che contribuì a scuotere l'equilibrio europeo a tutto danno della Francia, l'imperatore Guglielmo non sarebbesi azzardato ad un sì pericoloso giuoco. La coscienza quindi di un siffatto stato di cose, i riguardi dovuti ad una nazione che sempre lealmente adempì ai suoi obblighi di alleata, al di cui appoggio essa deve presentemente ancora ricorrere, avrebbero obbligata la Russia a schierarsi risolutamente ed energicamente accanto alla Francia, specie in una questione come la marocchina, ove quest'Impero non ha interessi propri da guarentire: ma se doveri d'alleanza e di riconoscenza avrebbero spinto a far causa comune colla Francia, altri gravi motivi di opportunità politica l'avrebbero d'altra parte costretta a non troppo alienarsi l'animo dell'imperatore Guglielmo. Nella presente gravissima crisi che attraversa la Russia, ove l'agitazione delle sue provincie tedesche e polacche potrebbe a momento dato suscitare l'eventualità di un intervento forestiero, ove davanti alla bufera rivoluzionaria, gli stessi pericolanti interessi dinastici potrebbero aver bisogno di cercare al di fuori un valido punto d'appoggio, è di somma necessità per questo Governo il mantenersi le simpatie del sovrano del potente Impero limitrofo. Non è quindi da stupirsi se in tali condizioni il Governo imperiale accolga con gioia e sollievo una sistemazione della vertenza marocchina che gli permette di uscire da sì delicata situazione senza essersi troppo compromesso né da un lato né dall'altro e senza essersi alienato le buone grazie delle due potenze contendenti.

591

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 626. Roma, 13 marzo 1906, ore 13,45.

Ricevo il suo telegramma n. 501•

Il marchese Visconti Venosta telegrafa che egli non tralascia di insistere presso Révoil2 . Approvo il proposito di V.E. di fare altrettanto presso il nuovo ministro degli affari esteri. Le cose sono ormai giunte a tal punto che la nostra insistenza anche agli occhi di codesto Governo deve apparire come l'effetto del naturale desiderio che si giunga ad una soddisfacente conclusione. Sarebbe rincrescevole che per questioni come quelle che rimangono in sospeso la Conferenza finisca con una rottura.

592

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 703/69. Berlino, 13 marzo 1906, ore 20,45 (perv. ore 22,20).

Ho conferito con segretario di Stato ed anche ho avuto occasione di parlare con Cancelliere dell'Impero circa ultimo telegramma di Visconti Venosta, comunicatomi dall'E.V. jersera 1• Entrambi m'incaricano anzitutto di esprimere loro vivi ringraziamenti per l'azione spiegata dal nostro delegato ad Algeciras verso Révoil. Biilow se

2 Vedi D. 588.

ne dimostra sommamente riconoscente. Egli è pur d'avviso che tutto oramai dipende dalle istruzioni che Révoil riceverà da Parigi. Non crede poter egli stesso fare nuovi passi verso il Gabinetto francese ed è perciò tanto più grato all'E.V. delle istruzioni spontaneamente date a Tornielli, il linguaggio del quale, anche durante la crisi ministeriale, nel senso di quello tenuto da Visconti Venosta a Révoil, può esercitare grande influenza sulle definitive risoluzioni del Governo della Repubblica. Esitazione di questo a fare concessioni su questioni Banca è qui esclusivamente attribuita a maneggi di speculazione finanziaria. Biilow non dispera che, in vista allo scopo da raggiungere con un risultato soddisfacente della Conferenza, Governo francese non vorrà assumere responsabilità di negare sua approvazione alle proposte concilianti che aspettano loro soluzione ad Algeciras.

591 1 Vedi D. 589.

592 1 T. 622 col quale si trasmetteva il D. 585.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

DISP. RISERVATO 13784/180. Roma, 13 marzo 1906.

Segno ricevuta e ringrazio del rapporto in data 25 febbraio p.p. n. 1201 col quale l'E.V. mi riferisce l'importante colloquio di lei con S.M. il Sultano in occasione della recente udienza accordatale.

Nell'approvare così il linguaggio tenuto dall'E.V. a S.M. Imperiale, come le cose da lei dette al gran visir e al ministro degli affari esteri, vivamente mi compiaccio della buona impressione prodotta dalle nostre dichiarazioni nella speranza che la leale c corretta nostra linea di condotta sarà costì apprezzata, in guisa da dissipare ogni dubbiezza c di permettere che i nostri legittimi interessi abbiano sollecita soddistàzione.

594

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO 709/41. Pera, 14 marzo 1906, ore 12.30.

Articolo pubblicato ultimo fascicolo Nuova Antologia menziona nostre aspirazioni concessione ferroviaria Sana'a. Credo mio dovere avvertire che condizioni essenziali riuscita sono: l) mantenere segreto assoluto; 2) lasciare all'affare carattere

puramente economico. Data natura eccessivamente sospettosa del Sultano, intempestiva insistenza su nostri interessi politici conclusione affare basta per fare andare tutto a monte. Sarebbe inoltre assai desiderabile di non mai menzionare opera Romei.

Egli, col suo tatto, ha realmente acquistato fiducia del Sultano, accennarvi però, nella stampa, servirà solo a facilitare soliti intrighi per fargliela perdere, privando così ambasciata prezioso organo comunicazione col Palazzo.

593 1 Vedi D. 540.

595

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 712/64. Algeciras, 14 marzo 1906, ore 19,50 (perv. ore 21).

Prossima seduta della Conferenza avrà probabilmente luogo sabato [il 17]. Révoil ha riferito al nuovo ministro stato attuale delle cose quale esso ponesi alla Conferenza e le opinioni che gli furono manifestate nel senso di un accordo. Egli ora attende istruzioni. I delegati germanici mi hanno assicurato testé che nulla è mutato nelle istruzioni ricevute da Berlino intorno ai punti noti a V. E. del! 'ispettore c di Casablanca, che essi anzi furono loro recentemente riconfcrmati. Credo che i Gabinetti cerchino ora di agire a Parigi presso il nuovo ministro degli affari esteri. Credo anche che il Governo inglese, pur mantenendo alla Francia il suo appoggio, consigli accordarsi sulle ultime proposte. Dalle decisioni di Parigi dipenderà sorte della Conferenza. Mi sarebbe utile se Tornielli fosse autorizzato infonnarmi direttamente intorno a queste dccisioni 1•

595 1 Guicciardini, con T. 646 del 15 marzo trasmise a Tornielli questo telegramma preceduto dalla seguente raccomandazione: «Comunico confidenzialmente a V.E., acciocché ella possa opportunamente giovarsene, il seguente telegramma ora giuntomi da Algeciras e la prego di soddisfare il desiderio in esso espresso dal marchese Visconti Venosta».

596

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 718/51. Parigi, 14 marzo 1906, part. ore 12, 15 del 15 (perv. ore 14,30).

Ad ogni buon fine avverto V.E. che il mio collega di Germania si aspetta una mia azione in appoggio della proposta ultima del suo Governo alla Conferenza. Dopo gli scrupolosi riguardi coi quali furono guidati finora i nostri passi, sarebbe dispiacevole che in ultimo qui nascesse l'impressione di una pressione concertata dalla Triplice Alleanza sulla Francia 1•

597

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 647. Roma, 15 marzo 1906, ore 14,30.

Ho confidenzialmente comunicato al conte Tornielli il telegramma n. 64 di

V.E. 1 e l 'ho pregato di soddisfare, telegrafando le direttamente, il desiderio da lei espresso. Intanto le comunico a mia volta il seguente telegramma del r. ambasciatore in Berlino2:

«Mi sono procurato una conversazione al Dipartimento di Stato. Mio scopo era di accertare se questo Gabinetto fosse in qualche modo disposto a giungere a concessioni, specialmente riguardo a ciò che concerne le attribuzioni dell'ispettore della polizia. Debbo dire che non mi è riuscito di conoscere il fondo del pensiero di questi uomini di Governo, e quelli stessi probabilmente, non lo hanno concretato, in attesa come sono di conoscere l'atteggiamento che la costituzione del nuovo Ministero francese determinerà a Parigi. Sono quindi indotto a fare assegnamento sulle mie sole impressioni. E queste, dopo di aver conferito con persona dell'alta finanza berlinese, si concretano nella persuasione che il Governo imperiale cederà meno difficilmente sulla questione della Banca, che su quella della polizia».

2 T. 711/70 dell4 marzo.

596 1 Per la risposta vedi D. 598.

597 1 Vedi D. 595.

598

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

T. 653. Roma, 15 marzo 1906, ore 20.

Rispondo senza indugio al telegramma n. 51 1•

Deve certamente evitarsi ogni apparenza di pressione concertata dalla Triplice Alleanza. Ma non mi sembra che possa avere tale apparenza il linguaggio che VE. mi annunciava col telegramma n. 50 del 12 marzo2 di voler tenere al successore di Rouvier e che io non esitai ad approvare col mio telegramma del dì successivo3 . Avendo io infonnato confidenzialmente il Gabinetto di Berlino della nostra intenzione conciliativa a tale riguardo, si spiega che codesto ambasciatore tedesco abbia notizia pur rimanendo esclusa ogni idea di previo concerto.

599

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 740/54. Parigi, 16 marzo 1906 ore 19,21 (perv. ore 23,10).

Dai coiioqui avuti col presidente del Consiglio e col ministro degli affari esteri risulta in primo luogo che qui si fa gran conto deila nostra azione conciliativa e si avrebbe quindi una spiacevole delusione se questa si arrestasse appunto nel momento decisivo. Oggi il nuovo ministro degli affari esteri ha lungamente esposto le considerazioni che, sia dal punto di vista intrinseco della questione di Casablanca, sia dal punto di vista della situazione parlamentare, gli impediscono di accettare, per la parte riguardante tale questione, la proposta austriaca. Egli si rende conto, però, dell'interesse maggiore di uscire dalla Conferenza con un accordo che non contenga germe di altri dissidi e produca I' effetto tranquiiiante di cui sentono il bisogno tutti i paesi. Dal punto di vista francese, egli stima che, se per la polizia non si arrivasse ad una intesa e si rimanesse conseguentemente neiio statu qua, la Francia avrebbe nuiia da perdere. Ma al punto dove sono le cose, un tal esito lascerebbe sussistere l'inquietudine generale che importa di dissipare: se il progetto austriaco non fosse suscettibile di variazioni, la Conferenza non lo avrebbe rinviato allo studio del Comitato insieme alle proposte francesi. Ho potuto comprendere che il ministro non è convinto che la Germania abbia detto l'ultima parola. Non mi disse però d'onde egli traesse sua fiducia

2 Vedi D. 589.

3 Vedi D. 591.

senza precisare una proposta, anzi escludendo che la Francia [ ...]1 a fame una nuova, si è espresso chiaramente nel senso che egli ammette il controllo rappresentato da un ispettore appartenente a potenza secondaria, il quale abbia a riferire al Sultano. Ciò che non ammette, è che un terzo Stato tenga in mano la polizia di uno dei porti. La conversazione della quale darò conto più estesamente con rapporto scritto 2 , ebbe carattere di molta intimità ed amicizia.

Comunico quanto precede ad Algeciras3 .

598 1 Vedi D. 596.

600

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 746/65. Algeciras. 17 marzo 1906, ore 14,45 (perv. ore 20, 10).

Radowitz venne oggi chiedermi i miei buoni ufficii per alcune trattative che si riferiscono alle questioni insolute Banca. Durante la conversazione ho notato che il suo linguaggio circa Casablanca era molto meno categorico che per il passato. V.E. può riscontrare stato delle cose Berlino 1•

601

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 773/25. Addis Abeba, JR marzo 19062 .

Malattia ras Makonnen e suo stato quasi disperato rende in questo momento inefficace qualsiasi ordine Menelik per evitare conflitti Ogaden Hcri. In ogni modo ho esposto la cosa a Menelik, che ha promesso provvedere, ma esige conoscere se quelle tribù sono soggette a noi. Per mio conto temo che, avvenendo morte ras Makonnen, per qualche tempo regnerà completa anarchia nei territori confinanti Somalia settentrionale e Mcnelik è troppo lontano per esercitare sua autorità.

2 R. riservato 739/341 del20 marzo, non pubblicato.

3 Poche ore dopo Tomielli telegrafava ancora (T. 741/55 dell6 marzo): <<Circa la convinzione di questo ministro degli affari esteri che la Germania non abbia ancora detto l'ultima sua parola, avverto

V.E. che nel pomeriggio d'oggi corsero nel mondo degli affari notizie da Berlino che fecero rinascere fiducia nella probabilità di un accordo ad Algeciras». 600 1 Guicciardini con T. 676 del 18 marzo, trasmise a Londra questo telegramma, facendolo precedere da questa indicazione: «per quelle caute indagini che V. E. stimi di potere fare».

2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martini il 20 marzo.

599 1 Gruppo mancante.

601 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 259.

602

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 780/26. Addis Abeba, 18 marzo 19062.

Menelik ha testé rimesso lettera alle legazioni Francia, Inghilterra, Italia concepita nei seguenti termini: «Anno passato rimisi ai vostri Governi soluzione proseguimento ferrovia Gibuti. Finora nulla si è concluso. Desidero conoscere vostri intendimenti, e se, fine aprile, nulla avrete deciso, sarò costretto provvedere per mio conto, perché necessità sviluppo Etiopia impone immediata costruzione ferrovia». Harrington ha telegraficamente trasmesso sua lettera al suo Governo. Io suppongo che tale lettera sia stata suggerita dallo stesso Harrington per spingere a conclusione, che molto interessa Banca Etiopia inglese, che aspira impossessarsi di nuovo diritti, moltiplicare interessi inglesi, avviluppare Menelik con altre obbligazioni e prestiti. Attendo istruzioni dalla E.V. per rispondere a Menelik3 .

603

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 238/73. Belgrado, 19 marzo 1906 (perv. l'Il aprile).

In Serbia più che altrove corre alla mente l'aforismo del principe di Bismark: la meraviglia e l'indignazione non sono stati d'animo che convengono ad un diplomatico.

Il 14 corrente, dunque, come telegrafai all'E.V 1 , tornò alla luce l'antico Ministero sotto la nuova denominazione di Ministero Gruié. L'etichetta era cambiata, ma identico il contenuto. Il perché di questo travestimento si vedrà di poi. L'indomani 15 i ministri si presentarono alla Skupchtina e il generai Gruié dichiarò il programma del nuovo Gabinetto essere identico a quello del passato, molti punti del quale erano già stati risolti (?), altri restavano a risolvere, cioè, i trattati di commercio, l'armamento dell'esercito, lo sviluppo delle reti ferroviarie, ecc. J capi delle diverse opposizioni presero in seguito la parola per dichiarare che cessavano l'ostruzionismo. Quindi il generale Gruié chiese alla Camera di aggiornarsi fino al 22 del prossimo aprile, e così avvenne.

2 Trasmesso da Asmara dal governatore Martin i il 21 marzo.

3 Vedi D. 612.

Il 16 i delegati serbi a Vienna ricevevano ordine di riprendere i negoziati pel trattato di commercio e l'Odjek, organo del Ministero, scriveva: «l nostri delegati sono stati incaricati di dichiarare che da parte serba, fino a nuovo ordine, l'importazione austro-ungarica sarà trattata in base al principio della nazione più favorita, qualora vi sia reciprocità da parte dell'Austria-Ungheria, e se si permetterà l'esportazione ed il transito del nostro bestiame, delle materie prime animali e dei pennuti a seconda de li'avviso dato di volta in volta dal nostro consolato a Budapest. In tal senso saranno date istruzioni alle nostre autorità doganali dopo che da parte dell'Austria-Ungheria sarà accettato tale sistema il quale entrerà in vigore dal mattino del 19 marzo».

L'Austria, bene inteso, ha accettato subito e il provvisorio funziona di fatto da questa mane. È una completa capitolazione, senza nemmeno gli onori della guerra da parte della Serbia, contraria a tutte le dichiarazioni fatte finora e al voto della Skupchtina del l o corrente, che imponeva al Governo di non addivenire ad un provvisorio se non fosse stata assicurata prima la Convenzione veterinaria.

Fu per evitare questi ostacoli che si cambiò nome al Ministero e si ricorse ad un sotterfugio molto curioso, per non dire altro. Si evitò cioè, stabilire per iscritto le suaccennate condizioni provvisorie e si preferì uno scambio di dichiarazioni verbali. Manca così un documento incriminabile. «lo non credeva che tu loico fossi!».

Ma la famosa convenzione serbo-bulgara, causa prima di tanta guerra? Chiederà qualcuno. E bene, anche a ciò si è provvisto. Il termine utile per la sua approvazione era il l o corrente, che trascorse senza che essa sia stata presentata alla Skupchtina. Ora non se ne parla più.

Ma allora, perché tanta guerra durante quasi tre mesi, tanto sciupìo di parole e di carta, così fiere dichiarazioni; perché i comizi provocati dal Governo, e i voti della Skupchtina? Sarebbe difficile rispondere senza uno studio dell'anima e del pensiero dai tempi più remoti della storia fino ad oggi; anima e pensiero così diversi da quelli degli occidentali.

Chi visita un bazar orientale è colpito da un curioso spettacolo. Qualsiasi acquisto, anche di minima importanza, qualunque transazione commerciale anche la più fiacca, sono sempre preceduti da lunghe ore di dibattiti, giuramenti, minacce e preghiere, ingiurie e lacrime, rifiuti, promesse, e tazze di caffè. Questa procedura somiglia molto a quella seguita qui nella trattazione degli affari pubblici.

Tutto dovrebbe far ritenere che questo infelice Ministero, nato male, vissuto peggio, inetto a qualsiasi opera utile finirà miserevolmente la sua vita alla riapertura della Camera. Ma il contrario è anche possibile. Intanto sì è riusciti a mettersi male colla Bulgaria senza conciliarsi la benevolenza dell'Austria, a peggiorare le condizioni politiche cd economiche del paese c a darsi la fama di attaccabrighe pigliando da tutti le busse.

602 1 Ed. in MARTIN!. Il Diario Eritreo, vol. lV, cit., p. 260.

603 1 T. 710/8, non pubblicato.

604

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 688. Roma, 20 marzo 1906, ore 18,50.

Dal r. ambasciatore a Berlino mi sono successivamente giunti stamane i due telegrammi che qui sotto riproduco, confidando che V.E. potrà opportunamente valersi delle indicazioni in essi contenute nella sua opera di mediazione conciliativa:

Primo telegramma 1: «Questo ambasciatore d'Austria-Ungheria ha, di ordine del suo Governo, comunicato oggi qui risposta francese ai passi fatti dal Gabinetto di Vienna a Parigi circa polizia Marocco. Suppongo risposta identica a quella data a Tornielli. Bourgeois dichiara che Francia non accetterà mai che terza potenza, oltre Francia e Spagna, intervenga polizia Marocco; ammette, però, controllo ed ispezione con modalità da stabilirsi. In seguito a tale risposta, conte Goluchowski si dimostra pronto a sottoporre alla Conferenza di Algeciras quelle altre proposte che possano tornare gradite alla Germania ed accettabili a Parigi. Questo segretario di Stato al Dipartimento esteri si è riservato di prendere ordini dal Cancelliere dell'Impero e Imperatore».

Secondo telegramma2: «Norddeutsche Allgemeine Zeitung, di cui jeri sera fu ritardata pubblicazione, contiene, circa Marocco, importante dichiarazione di cui V.E. avrà già testo dalla Agenzia Stefani. Rispondendo attacchi del Temps, il giornale ufficioso della Cancelleria federale dice, in sostanza, che il Governo imperiale è così lontano dal nutrire secondi fini nella questione Casablanca, che esso non insiste per avere in quel porto ufficiali svizzeri o di altra nazione neutra, e non vorrà certamente per questa questione provocare insuccesso della Conferenza, quante volte ispezione nei porti sia assicurata dalle dovute garanzie per tutti. In tale senso devono essere stanotte state spedite istruzioni a Radowitz. Governo germanico si è messo in tal modo, diremo così, di sua iniziativa n eli' ordine di idee espresso dal Governo francese, di cui è cenno nel mio telegramma precedente e dimostra di avere intenzione porre termine questione del Marocco del cui prolungarsi il pubblico tedesco non vede la ragwne».

604 1 T. confidenziale 765/73 del 19 marzo. 2 T. 768/74 del 20 marzo.

605

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 776/66. A lgeciras, 20 marzo 1906, ore 18 (perv. ore 6 del 21).

Probabilmente giovedì [il 22] potrà esservi seduta di comitato della Conferenza, nella quale è probabile sia presentata nuova proposta austro-ungarica, che si va elaborando dal Gabinetto di Berlino e che non è ancora oggi definitivamente formulata. Con questa proposta sarebbe abbandonata combinazione degli istruttori svizzeri a Casablanca e l'ispettore sarebbe trasportato a Tangeri. Acquista importanza maggiore di quella che si credeva questione ripartizione tassativa dei porti da inscrivcre nell'atto della Conferenza. Nel nuovo progetto austriaco in elaborazione proponcvasi quattro porti fossero assegnati ad una polizia organizzata col concorso di ufficiali francesi o spagnoli, e quattro ad una polizia composta esclusivamente di elementi marocchini. Questa proposta, che presentava fianco a più di una obiezione, incontrò decisa opposizione del delegato francese e fu abbandonata. Ora Gabinetto di Berlino appoggia progetto affidare polizia in ciascun porto ad un comando misto di ufficiali francesi e spagnoli insieme uniti. É un concetto che offre anch'esso difficoltà pratiche e che sarà probabilmente osteggiato dagli spagnoli. Ad ogni modo non pare che il Governo germanico sia disposto ad ammettere che la ripartizione sia [ ... ] 1 semplicemente ad un intesa ulteriore tra i Governi di Francia, di Spagna c del Sultano.

606

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. PERSONALE 1 . Londra, 20 marzo 1906 (perv. il 30).

Ho ricevuto i dispacci che V.E. mi fece l'onore di indirizzarmi (nn. 95 e 96) il 16 corrente2 , per parteciparmi la nomina dell'on. scn. Tittoni alla carica di ambasciatore di S.M. il Re in Londra e il mio passaggio a disposizione del R. Ministero. Ringrazio l'E.V. dei termini nei quali le piacque confermarmi quanto ella mi aveva recentemente esposto in Roma circa i motivi di codesta misura, consigliata al Governo del Re da considerazioni speciali, estranee al servizio della r. ambasciata.

1 Autografo.

Al momento di abbandonare questo ufficio, mi è grato constatare le favorevoli condizioni nelle quali posso rimetterlo al mio successore, riguardo alle nostre relazioni coll'Inghilterra, che non furono mai più cordiali. Le amichevoli disposizioni del Governo britannico verso l'Italia non sono rimaste senza pratico effetto, come lo dimostra il cenno sommario che stimo non inutile di fare di alcuni fra i risultati ottenuti durante gli ora scorsi cinque anni della mia missione in Londra. Citerò fra i più notevoli:

il ritiro dell'ordinanza relativa ali 'uso della lingua italiana in Malta, consentita da lord Salisbury nel 190 l; l 'appoggio prestato dali 'Inghilterra alla desiderata partecipazione dell'Italia alla coercizione del Venezuela nel 1902; l'attivo concorso del marchese di Lansdowne alla nostra azione tendente a far restituire carattere europeo all'opera delle riforme in Macedonia; l'iniziativa della prima visita fatta dal re Edoardo al Nostro Augusto Sovrano in Roma.

E in materia speciale di politica africana:

la sistemazione della frontiera eritreo-sudanese verso il Setit;

gli accordi per la spedizione contro il Mullah e la pacificazione della Somalia;

il riscatto dei porti del Benadir alle condizioni proposte dal R. Governo;

la cessione all'Italia a titolo gratuito dell'uso di Kisimaio per 99 anni;

la rettificazione della frontiera sullo hinterland del Benadir seguendo la linea del Daua sostituita a quella del Giuba; la rinuncia dell'Inghilterra a far valere i propri diritti sul possesso di Ben der Cassem;

e sovra tutto ciò, la dichiarazione qui ottenuta relativamente alla Tripolitania, che da parecchi anni aveva formato oggetto di ripetuti, infruttuosi tentativi da parte del nostro Governo e dei suoi rappresentanti.

Di affari attualmente insoluti aventi una qualche importanza rimane la partecipazione inglese al progetto di faro al Capo Guardafui, per la quale non sono ancora superate le obbiezioni di certe compagnie di navigazione alle proposte tasse; e rimane l'accordo per l'Abissinia. Quest'ultimo progetto era stato, dopo due anni di negoziati, condotto quasi a compimento secondo le istruzioni del r. ministro degli affari esteri sino alla fine di dicembre 1905 e con qualche emendamento richiesto dal successore durante Io scorso gennaio. Saranno ora a riprendersi le trattative per le ulteriori modificazioni da V.E. ritenute opportune.

Attendo di conoscere la data dell'arrivo del mio successore per procedere prima della mia partenza alla regolare consegna dell'uHicio e per fargli tenere le credenziali inviatemi per lui da V. E.. Quanto alle mie lettere di richiamo, trovandosi ora assente dall'Inghilterra il re Edoardo, mi riservo di ritornare qui alla sua venuta per rimctterle personalmente a Sua Maestà o per prendeme altrimenti commiato.

605 1 Gruppo mancante.

606 2 Non pubblicati.

607

L'AMBASCIATORE A LONDRA, PANSA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. Londra, 20 marzo 1906.

Le mando insieme a questa mia un rapporto finale d'ufficio 1 circa il quale mi occorre darle qualche schiarimento, affinché non creda che io abbia voluto fare con esso una vana apologia delle mie faticacce.

Se entra in tutto ciò un elemento personale, questo può riferirsi soltanto al ricordo di un 'allusione da lei fattami alle mie tendenze antiafricanistc, come atte ad influire sulla mia azione in materia di politica coloniale, ecc. Quel ricordo non fu forse estraneo al mio desiderio di rilevare, passando, che le mie opinioni personali non mi hanno in ogni caso impedito di adoperarmi ad ottenere possibilmente tutte le espansioni presenti e future indicatemi dalle istruzioni del Ministero. Ma questo punto, che è del resto una semplice questione di dovere professionale, non offre ormai importanza di sorta.

Ciò che veramente ho voluto far risultare nel mio rapporto, è che l'amicizia dell 'Inghilterra non è sterile come talvolta si va dicendo in Italia e che abbiamo interesse a riconoscerlo senza mercanteggiare quando ci si offre occasione di farlo. E questo dico sotto l'impressione di un incidente che non mi piace menzionare nella corrispondenza d'ufficio, ma che ritengo sia mio dovere di comunicarle per suo uso personale.

Al mio arrivo qui la settimana scorsa il conte Bosdari mi disse che due o tre giorni prima un A.S. segretario di Stato del F.O. era venuto all'ambasciata per informarlo essere stato qui riferito da Roma che il mio richiamo era stato motivato nelle sfere governative italiane dall'essere io «troppo amico dell'Inghilterra». A ciò rispose naturalmente Bosdari che quella notizia doveva essere inesatta e che senza dubbio il nuovo ambasciatore avrebbe istruzioni di comportarsi con non minore amicizia.

In verità la voce stessa era stata pure a me riferita mentre mi trovavo recentemente in Roma, attribuendo quella osservazione ad uno dci nostri ministri, ed anzi in termini ancora meno lusinghieri al mio indirizzo. Io allora non vi badai, tanto più che in quel momento mi era ancora nascosto il mio richiamo notificato a Londra circa due mesi prima. Ma si vede che quella piccolezza, destinata evidentemente a uso soltanto interno, aveva, come avviene, circolato al di là della intenzione dei suoi autori per giungere finalmente anche al F.O.

Ora io ben conosco le disposizioni sue e dell'o n. Tittoni verso l 'Inghilterra ed essendo, del resto, assurdo il dubitare della loro natura, non credo ci sia luogo ad esagerare l'importanza di codesto incidente.

Mi sembra utile ciononostante il tenerlo presente nell'occasione non tanto del linguaggio quanto dei primi atti del mio successore, non essendo bene che la missione del nuovo ambasciatore si inauguri con prevenzioni sfavorevoli. Non si farà mai abbastanza a parer mio per mantenerci amici coll'Inghilterra che è forse la sola nazione straniera dove esista una naturale e disinteressata simpatia pel nostro paese.

Attendo ora l'arrivo dell'an. Tittoni e dopo pochi giorni di incognita che dedicheremo alla trasmissione dell'ufficio, agli affari della casa, ecc., io partirò per l'Italia ed egli si annuncerà ufficialmente al F.O., suppongo il l o aprile, anche per semplificare la chiusura dei conti mensili e trimestrali. Il Re non tornando che alla fine aprile, sarebbe stato forse più regolare che il nuovo ambasciatore non rimanesse così a lungo senza presentare le sue lettere e che io avessi prima consegnato le mie di richiamo. Ma a quanto rilevo dalle sue ultime comunicazioni, egli sembra desideroso di anticipare; e così io andrò ora a casa per poi tornare qui a compiere quest'ultima formalità, o almeno per un'udienza dal Re, non essendo conveniente che io me ne vada insalutato ospite dopo tutte le cortesie ricevute da questa Corte durante cinque anni. Ciò mi fu anzi già fatto sentire dal F.O. dove ho confidenzialmente interpellato in proposito sir. C. Hardinge.

607 1 Vedi D. 606.

608

L'AMBASCIATORE A VIENNA, A VARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. PERSONALE. Vienna, 20 marzo 1906.

Fin da quando l'E.V., assunse la direzione del Ministero degli affari esteri era mia intenzione d'intrattenerla, in via particolare, dei nostri rapporti coli'AustriaUngheria e delle disposizioni di cui il Governo imperiale e reale e l'opinione pubblica della Monarchia sono animati a nostro riguardo, ma credetti opportuno, prima di scriverle in proposito, di aspettare un'occasione propizia, la quale mi è ora offerta dal telegramma n. 631 ch'ella si compiacque dirigermi il 13 corrente'.

Dalla risposta da me data al medesimo l'E.V.2 avrà potuto rilevare come la voce di una mobilitazione generale dell'esercito austro-ungarico, raccolta dal r. console generale in Budapest non avrebbe, almeno per ora, alcun fondamento.

Risulta però dalle informazioni da me assunte che tra i progetti esaminati dal Governo imperiale e reale, per risolvere il problema della chiamata sotto le armi dell'ultima classe di leva, senza violare la costituzione dello Stato, sarebbe stato ventilato anche quello di una mobilitazione generale dell'esercito, che, fittizia per gli Stati cisleitani, avrebbe avuto valore esecutivo solamente per gli Stati della Corona di Santo Stefano e a coprire le spese della quale si sarebbero utilizzati i risparmi ottenuti in seguito agli effettivi ridotti che trovansi attualmente sotto le armi. Ma tale progetto non venne preso in considerazione per l'eccessivo onere che avrebbe comportato e per considerazioni d'opportunità nei riguardi internazionali.

Le voci di mobilitazione dell'esercito austro-ungarico, d'invii di rinforzi di truppe alla frontiera della Bosnia-Erzegovina, in vista di un'occupazione del San

2 T. 713/51, del 14 marzo, non pubblicato.

giaccato di Novi-Bazar, e di costruzioni di nuove fortificazioni alla nostra frontiera con aumento delle guarnigioni ivi stanziate, si ripetono periodicamente quasi ogni anno coll'avvicinarsi della primavera e provocano in certa stampa, sia vicnnese che italiana, erronee interpretazioni che vengono sfruttate ad arte da coloro a cui non sta a cuore il mantenimento di amichevoli rapporti fra l'Italia e l'Austria-Ungheria.

È vero che i provvedimenti militari presi l'anno scorso dal Governo imperiale e reale, l'aumento avvenuto nel bilancio comune della guerra e l'incremento notevole dato all'assetto generale dell'esercito fecero rilevare nell'amministrazione della Guerra l'intenzione di tenersi apparecchiata ad ogni evento nella misura più alta possibile, come l'invio effettuato nel!' epoca suddetta alla nostra frontiera di sei battaglioni e di alcune batterie di montagna presso i reggimenti di artiglieria di guarnigione a Lubiana, a Klagenfurt e nel Tirolo originarono la supposizione che il Governo imperiale e reale avesse rivolta la sua attenzione alla frontiera italiana per prepararsi più che per l'innanzi all'eventualità di un impiego di forze in quella direzione. Ma in quei provvedimenti sia generali che particolari non si ravvisò allora alcun indizio che potesse autorizzare ad attribuire al Governo imperiale c reale il proposito deliberato d'intraprendere un'operazione militare verso qualsiasi parte della sua frontiera.

Nessun altro indizio mi fu dato di raccogliere dipoi che permetta di affennare che tale sia nel momento attuale l'intenzione del Governo imperiale e reale.

Se si considera la linea di condotta seguita dalla Austria-Ungheria nei Balcani, dopo l'occupazione della Bosnia-Erzegovina, si constata che, nell'intento di tutelare il possesso di quelle provincie ed estendere la sua influenza sulla penisola, il Governo imperiale e reale si è sempre adoperato ad evitare di valersi della forza per non entrare in lotta colla Russia ed ha preferito ricorrere a mezzi pacifici per intendersi con essa, come lo dimostra lo scambio di idee avvenuto tra i due Imperi nel 1897, che, concretato nell'accordo di Murzsteg, forma ora la base della sua politica orientale.

All'ombra di tale accordo esso continua bensì, col lavoro che va svolgendo per mezzo dei proprii agenti, ad accrescere tra le popolazioni della penisola la sua influenza per prepararsi così propizio il terreno per il compimento dci tini che si prefigge verso quella direzione. A questa politica l'Austria-Ungheria è rimasta fedele anche nel momento in cui la Russia, distratta dalle gravi difficoltà estere ed interne in cui si dibatteva, era obbligata di disinteressarsi delle riforme, mentre da taluni si dubitava che avrebbe profittato di quelle difficoltà stesse per realizzare i pretesi suoi piani di espansione nei Balcani.

Né vi ha motivo di supporre che il Governo imperiale e reale mediti ora di venir meno agli obblighi assunti colla Russia per intraprendere nella penisola un 'azione isolata, giacché questa, oltre a mettere a cimento i vantaggi che si ripromctte dall'accordo suddetto che le preme di mantenere saldo per svilupparlo all'evenienza, ovc le circostanze lo permettano, esporrebbe la Monarchia ad una lotta intenninabilc con quella potenza che per le sue conseguenze, potrebbe essere di grave nocumento ai suoi proprii interessi.

D'altra parte non è certamente nel momento presente in cui l'Austria-Ungheria è travagliata da una crisi come quella ungherese, che minaccia la sua compagine, ed è assorta dalla soluzione delle intricate questioni di nazionalità risvegliate dalla recente riforma elettorale nel Parlamento cisleitaneo, che il Governo imperiale e reale possa pensare ad un'azione oltre la sua frontiera orientale, la quale non sarebbe da essa var

cata che nel caso soltanto che ragioni impellenti l'obbligassero di difendere i suoi interessi, se questi fossero minacciati, al fine di evitare che i territori finitimi alla Monarchia divengano un focolare di disordini, o di opporsi allo stabilimento nella penisola di uno stato di cose non conforme alle sue vedute.

Per ciò che riguarda i nostri rapporti ufficiali co !l'Austria-D ngheria essi sono impressi, siccome l'E.V. avrà potuto rilevarlo, ad una amicizia reciproca.

S.M. l'Imperatore cd il Governo imperiale sono animati dalle migliori intenzioni a nostro riguardo e sono fermamente risoluti a mantenere coll'Italia i più amichevoli rapporti, che è loro desiderio di rendere più intimi ancora per quanto da loro dipende.

Non si può negare però che nell'opinione pubblica della Monarchia esista una certa diffidenza verso di noi, che si manifesta talvolta apertamente e di cui si rendono interpreti alcuni giornali viennesi, non esclusi quelli che passano per essere ufficiosi, siccome lo dimostra il recente articolo comparso nella Montags-Revue, da mc segnalato alla E.V. col rapporto n. 609/329 del 20 corrente3 e sul contenuto del quale mi riserbo di intrattenere in via amichevole il conte Goluchowski in propizia occasione.

Questa diffidenza a cui partecipa anche in parte lo stesso Governo imperiale e reale è originata da un Iato, dalle aspirazioni irrcdentiste delle quali si parla di frequente gonfiandole oltre misura e dall'altro dei sospetti che la politica dell'Italia nei Balcani sia intesa ad attraversare ad un dato momento l'azione che vi esercita l'Austria-Ungheria ed a cui eventi imprevisti potrebbero costringerla d'imprimere un maggiore e più positivo sviluppo.

Nei vari colloquii da me avuti con questi uomini politici e coi direttori dei principali giornali vienncsi, ho potuto constatare come sia qui radicata la convinzione che una gran parte della popolazione italiana nutra verso l'Austria-Ungheria sentimenti poco favorevoli, che si lamenta siano alimentati da una certa stampa del Regno, il cui linguaggio poco temperato, mentre intralcia l'azione conciliante di entrambi i Governi, mira a mantenere nell'opinione pubblica un senso di dubbio sulla stabilità delle relazioni reciproche e dà origine alle voci di probabili conflitti coli 'Italia, che di quando in quando si spargono, siccome avvenne l'anno scorso, e delle quali si parla specialmente nei circoli militari, che vedrebbero con piacere una guerra con noi come nei Balcani. A questi sentimenti bellicosi che si constatano nell'ufficialità dell'esercito c che si possono dire più o meno comuni a quella di ogni altro esercito, non devesi però dare sovcrchia importanza, giacché, oltre a non esservi qui, siccome a torto si afferma, un vero partito militare il quale cessò di esistere colla morte dell'arciduca Alberto che ne era il capo riconosciuto, quei sentimenti non potrebbero avere sulle decisioni dell'amministrazione della guerra alcuna influenza non consentendo in essi S.M. l'Imperatore, di cui sono note le disposizioni pacifiche e della lealtà del quale non è dato di dubitare.

Io non tralasciai mai di confutare gli erronei apprezzamenti che qui si fanno circa le disposizioni delle nostre popolazioni facendo rilevare come l'irredentismo non esista in Italia, che se eranvi persone esaltate che professano idee simili, ad esse non partecipava la maggioranza della popolazione c che questa, al pari degli uomini

politici dirigenti, era calda fautrice di una sincera amicizia colla Austria-Ungheria. In tal senso mi espressi non ha guarì col conte Goluchowski, il quale, in occasione delle dimissioni dell'on. Tittoni, ricordava le dimostrazioni irredentiste avvenute sotto il Ministero Zanardelli ed il grave rischio che avevano fatto correre alle relazioni reciproche, manifestando il voto che quelle dimostrazioni, che non eransi dipoi prodotte mercé l'energia spiegata dali' o n. Giolitti, non fossero per ripetersi sotto il successore di lui al Governo.

Ed uguale linguaggio tenni al sig. de Mérey, che, in un colloquio privato avuto con lui giorni fa, aveva accennato ad alcune manifestazioni irredentiste avvenute di recente in Italia, cioè, ad una riunione tenutasi a Venezia alla quale aveva assistito il sindaco conte Grimani, ad una lettera pubblica del generale Ricciotti Garibaldi, e ad un articolo dell'on. Brunialti comparso sul Messaggero, facendomi conoscere che di questi fatti il conte di Liitzow si proponeva di intrattenere VE.

Per quanto tali dichiarazioni, che vengono da me fatte ripetutamentc ove l'occasione si presenti, siano accolte con apparente soddisfazione e riescano a dileguare per il momento i sospetti che circa le nostre disposizioni si nutrono, questi si ridestano ad ogni nuovo accenno a pubblicazioni qualsiasi fatte in Italia riguardanti le provincie di lingua italiana soggette alla Monarchia. Sebbene quelle pubblicazioni rimangano da noi inosservate, esse per contro sono qui commentate in modo arbitrario e viene loro attribuito un'importanza maggiore di quella che hanno in realtà.

A chi conosce questo ambiente e l'indole di questi uomini politici, che non possono dimenticare che l'unità italiana si è costituita a spese dell'Austria-Ungheria, non fa specie l'eccessiva suscettibilità che qui si avverte per tutto ciò che riflette le provincie suddette verso le quali si sospetta siano rivolte le nostre aspirazioni. Ma devesi riconoscere che, dato che queste pretese aspirazioni esistano realmente, ad esse dà facile alimento lo stesso Governo imperiale e reale col contegno poco prudente e conciliante che tiene verso quelle provincie, col negar loro la propria autonomia e le franchigie che accorda alle altre nazionalità della Monarchia, siccome ne fan fede il persistente suo rifiuto all'istituzione di una università italiana a Trieste e di provvedimenti eccezionali che prende per attutirne il sentimento nazionale, mentre una concezione più chiara dci propri interessi dovrebbe consigliarlo a trattarlc al pari delle altre provincie per non alienarsi le loro simpatie e rendere vana ogni manifestazione irredentista, ciò che non potrebbe non cementare vicppiù i legami di alleanza che uniscono i due Governi.

Ma alle diffidenze cui sopra accennai, potrebbesi, mi sembra, in parte ovviare: in primo luogo, se la stampa italiana e l'austro-ungarica si adoperassero a vicenda ad essere più guardinghe nelle loro pubblicazioni o nei giudizi che portano sulla politica interna ed estera dci rispettivi Governi, evitando con tatto, del quale non può dirsi abbiano dato finora prova, di far nascere od alimentare sospetti circa i loro intendimenti; in secondo luogo, se i due Governi si decidessero ad addivenire fra loro ad un vero e positivo accordo, che, mettendo da banda gli equivoci esistenti, avesse per iscopo di meglio tutelare i rispettivi interessi nei Balcani.

Siccome feci conoscere all'on. Tittoni con la mia lettera particolare del 27 dicembre 19044 , tale accordo non potendo essere basato su quello di Miirzsteg per la

recisa opposizione fatta dal conte Goluchowski alle reiterate domande dell'on. Prinetti intese a farci partecipare al medesimo, non potrebbe avere che uno degli scopi seguenti: di determinare, cioè, i mezzi che meglio corrispondano agli obblighi risultanti dal Trattato di Berlino, da quello di alleanza e dali 'intesa sull'Albania per tutelare più efficacemente lo statu qua nei Balcani in previsione di possibili eventi; o di precisare vieppiù l 'azione dei due Governi nelle questioni balcaniche ed eventualmente i rispettivi compensi contemplati dagli obblighi reciproci, qualora lo statu qua non potesse essere mantenuto.

Date però le disposizioni dell'Austria-Ungheria a nostro riguardo non è da supporre che un'azione che fosse da noi esercitata a Vienna per addivenire ad un tale accordo avrebbe, per ora almeno, pratici risultati.

L'Austria-Ungheria non vede di buon occhio l'incremento d'influenza che abbiamo potuto assicurarci in questi ultimi tempi nella Penisola Balcanica e nulla farà certamente perché tale influenza aumenti ancora di più.

Infatti se uno scambio d'idee su quei punti fosse proposto al conte Goluchowski, egli obbietterebbe, circa il primo -che non potrebbe essere da noi considerato che come negativo -ch'esso non avrebbe ragione d'essere, gli obblighi risultanti dai trattati e dali 'intesa suddetta essendo rimasti inalterati e l'Austria-Ungheria essendo, d'altra, parte, per il momento risoluta, al pari dell'Italia, ad adoperarsi perché alcun mutamento non avvenga nell'ordine di cose esistenti.

Rispetto al secondo punto il conte Goluchowski rifiuterebbe d'entrare in discussione con noi, perché, siccome si espresse nel passato col mio predecessore, non crede conveniente, anzi pericoloso, per la tranquillità europea, di contemplare senza necessità impellenti lo sfasciamento dello Impero ottomano. E tale necessità a parer suo, non esisterebbe ora, ma se apparisse in seguito, sarebbe allora c non prima il momento di occuparsene.

Questo sarebbe appunto l'accordo che a noi converrebbe di effettuare, perché avrebbe per conseguenza di chiarire la situazione, mettendoci in grado di garantire i nostri interessi, nel caso di un'eventuale espansione dell'Austria-Ungheria nei Balcani, ciò che ci darebbe agio di spiegare con maggiore libertà e fiducia la nostra azione nella Penisola. E quest'accordo sarebbe tanto più opportuno che, nella situazione creata da quello di Murzsteg, che ha vulnerato in parte il nostro patto di alleanza, noi non troveremmo appoggio per raggiungere lo scopo né nella Francia, ligia ai voleri della Russia, né nell'Inghilterra, assorbita dagli affari dello Estremo Oriente e che ha aspirazioni particolari in altre parti de li 'Impero ottomano, quantunque sia da dubitare ch'essa consentirebbe ad un'alterazione di cose nei Balcani, non solo dal punto di vista territoriale, ma da quello altresì delle rispettive influenze.

Né è da sperare che la Germania sia disposta a servirei da intennediaria verso il conte Goluchowski, giacché l'accoglienza fatta nel passato alle nostre ripetute aperture confidenziali, se cordiale nella forma, fu sempre poco concludente nella sostanza, essendo essa profondamente convinta della lealtà del Governo imperiale e reale nel voler mantenere lo status qua in Macedonia. E lo stesso risultato sarebbe riservato ai nuovi passi che tentassimo di fare nello stesso senso a Berlino, ove, a quanto il conte di Monts mi fece intendere confidenzialmente vari mesi fa, non si sarebbe più propensi ad intromettersi nelle questioni che fossero per sorgere fra l 'Italia e l' Austria-Ungheria.

Ma se l'Austria-Ungheria non sembra disposta ad intendersi con noi sopra uno dei punti suddetti, sarebbe da esaminare se non convenga di procedere col conte Goluchowski ad uno scambio d'idee avente un oggetto più ristretto, al quale le circostanze potrebbero permettere di dare in avvenire un'estensione maggiore e farci raggiungere conseguentemente, in via indiretta, lo scopo cui miriamo.

L'E.V. ricorderà che, secondo la dichiarazione fatta dal conte Goluchowski all'on. Tittoni al Convegno di Venezia del 29 aprile 19055 , il cui testo venne concretato, in seguito, fra me e lo stesso conte Goluchowski, le popolazioni albanesi aggregate ora ai vilayets macedoni, dovrebbero essere riunite all'Albania propriamente detta in occasione della riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative in Macedonia, contemplata dali 'art. 3 del programma di Miirzsteg (mio telegramma riservato

n. 56 del l O maggio 1905)6 .

Siccome tale dichiarazione non fu accompagnata né seguita da alcuna ulteriore spiegazione, sarebbe opportuno di prccisame il senso prima che si proceda all'esecuzione del disposto di quell'articolo. Essa potrebbe quindi servire di base allo scambio d'idee suddetto mediante il quale, pur evitando di sollevare la questione albanese, circa la quale il conte Goluchowski, per le ragioni già esposte, rifiuterebbe in questo momento di entrare in discorso con noi, si veiTebbc a completare in parte l'intesa sull'Albania col determinarne, per quanto possibile, i confini.

Ma su tale argomento mi riservo d'intrattenere l'E.V. con altra mia lettera particolarc7.

Comunque sia, a noi conviene, mi sembra, procedere d'accordo con l'AustriaUngheria su tutte le questioni balcaniche: se le circostanze presenti non ci offrono un tciTeno propizio per concertarci con essa circa gli eventi futuri nella Penisola, a noi preme di coltivare con cura i reciproci rapporti inspirando ed ottenendo la maggiore fiducia per cogliere quelle occasioni favorevoli che ci si presentassero in avvenire per regolare di comune consenso le questioni che ci stanno più a cuore.

Convinto come questa sia la linea di condotta che meglio risponde ai nostri interessi, io procurai, informandomi alle istruzioni impartitemi, di comportanni sempre in guisa tale che la mia azione fosse impressa alla maggiore franchezza c lealtà e non tralascerò di adoperarmi nello stesso senso.

Voglia perdonare se mi sono permesso di abusare del tempo prezioso delrE.V., ma ho creduto mio debito d'intrattenerla, in via particolare, dei nostri rapporti coll'Austria-Ungheria e sottoporle alcune idee suggeritemi dall'esame della situazione presente c dalla conoscenza della politica c degli uomini politici di questo paese, acquistata durante il lungo periodo di anni in cui vi ho risieduto.

608 1 Non pubblicato.

608 3 Non pubblicato.

608 4 Vedi serie terza, vol. VITI, D. 792.

608 5 Vedi D. 72. 6 Vedi D. R3. 7 Vedi D. 639.

609

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 698. Roma, 21 marzo 1906, ore 19,55.

Ricevo il suo telegramma n. 661 e la ringrazio.

A mia volta mi affretto a comunicare un telegramma ora giuntomi da Berlino2:

«Sulle basi accennate nel comunicato Norddeutsche Allgemeine Zeitung riferito mio telegramma 743 , Radowitz ha avuto istruzione intendersi coi delegati italiani e americani, nonché elaborare con il delegato austro-ungarico nuovo progetto polizia, che quest'ultimo presenterebbe alla Conferenza. Segretario di Stato, che mi comunica quanto precede, spera, intanto, si possa risolvere questioni Banca ancora pendenti, per le quali si fa molto assegnamento su buoni ufficii nostro delegato. Se poi Francia si dimostrerà intransigente in queste questioni, tutto il lavoro Conferenza potrebbe, ancora una volta, rimanere incagliato».

610

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 699. Roma, 21 marzo 1906, ore 19,55.

Prego V.E. telegrafarmi se e quale seguito abbia avuto l'idea di assegnare anche alla Banca d'Italia la designazione di un censore della Banca marocchina 1•

609 1 Vedi D. 605. 2 T. confidenziale 775/75 del 20 marzo. 1 Vedi D. 604.

610 1 Per la risposta vedi D. 613.

611

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 784/57. Vienna, 21 marzo 1906, ore 18 (perv. ore 18,35).

Conte Goluchowski mi ha detto che in seguito risposta data dal sig. Bourgeois ali' ambasciatore d'Austria in Parigi, e dopo di essersi concertato col Governo germanico aveva creduto levare sua primitiva proposta relativa organizzazione polizia. In tale proposta, che sarebbe stata sottomessa oggi o domani dal conte Welsersheimb esame Conferenza Algeciras, non si farebbe più cenno della partecipazione di una terza potenza ali' organizzazione polizia, né del porto Casablanca, quale sua sede, ma si proporrebbe di fissare a Tangeri residenza ispettore generale polizia come mandatario di quel Corpo diplomatico, cui verrebbe escluso controllo sopra organizzazione stessa. Goluchowski mi ha informato, inoltre, che in seguito concessioni fatte dal Governo germanico nella questione polizia, Governo francese sembrava ora disposto fare, dal canto suo, concessioni su quella Banca di Stato, accettando che sul capitale di essa le fosse attribuito terzo invece della parte [sic] 1•

612

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

Roma, 22 marzo 1906, ore 22,40.

Rispondo al suo telegramma n. 263•

La S.V. può dichiarare a Menelik che R. Governo ha trattato finora con Francia ed Inghilterra questione ferrovia secondo interessi Etiopia ed intendimenti chiaramente espressi da Menelik, che finora non è intervenuto accordo tra le potenze, ma che si spera interverrà come conseguenza del negoziato che si sta ora conducendo a Londra.

Prego la S.V. farmi conoscere riservatamente quali sarebbero le conseguenze nel caso che non si potesse giungere ad un accordo e se ella crede che, in questa eventualità, Menelik faccia proseguire ferrovia per conto suo e con suoi denari, o con fondi Banco Etiopia fomiti alla Compagnia francese.

2 Trasmesso via Asmara.

3 Vedi D. 602.

611 1 Per il senso della frase si veda il D. 570.

612 1 Ed., con varianti, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 264.

613

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 804-805/67-68. Algeciras, 22 marzo 1906, ore 21,40 (perv. ore 7 de/23).

[67] Ringrazio V.E. del telegramma n. 6981 .

Oggi non vi fu seduta. Non ho potuto vedere Radowitz, leggermente indisposto e obbligato a letto. Non conosco dunque le istruzioni annunziate nel telegramma suddetto. Per quanto si riferisce alle funzioni dell'ispettore della polizia, dal linguaggio del delegato francese parmi poter confidare che la questione, se non sorgono nuovi incidenti, sarà considerata in modo conciliante. La proposta, invece, della ripartizione dei porti, sia secondo il suggerimento americano, sia altrimenti, incontra, non solo le opposizioni spagnuole, ma quelle manifestate da ministro degli affari esteri francese a Tomielli e qui confermate dal delegato francese, nonché quelle del Governo britannico. Di tale questione non è fatta menzione nel telegramma n. 5082 , comunicatomi col telegramma di V.E. n. 698. Sarebbe utile sapere come Gabinetto di Berlino la considera e se la stima essenziale al regolamento definitivo della questione, o se è disposto ad accettare qualche temperamento.

Impiego da qualche tempo miei buoni ufficii per condurre accordo questione Banca. Su di una mia proposta fu appianata nella Conferenza la difficoltà della giurisdizione. Rimane quella delle parti nella formazione del capitale. Tattenbach mi aveva accennato, giorni or sono, alla possibilità di accordare ai banchieri francesi le tre parti domandate, due di esse pel diritto di preferenza ispettorato, una più tardi per la cessione del diritto di controllo, ma questo a patto che un'altra parte fosse assegnata al sindacato germanico del prestito 30 settembre 1905 per la cessione alla Banca dei diritti riconosciuti nell'articolo 7 del suo contratto. Pregavami presentire in questo senso i delegati francesi. Ma mi fu osservato che il sindacato germanico, nel suo contratto con le Banche francesi compartecipanti, erasi formalmente impegnato ricevere rimborso del prestito dalla Banca marocchina, appena questa fosse costituita. Quindi la difficoltà di ordine giuridico di giustificare assegno della suddetta parte come equivalente di diritti che stanno per cessare. Un rimedio si sarebbe potuto trovare nel prorogare di qualche anno il rimborso del prestito germanico, e con esso la durata e il valore dei diritti che si tratterebbe di cedere. Tattenbach dissemi, però, oggi che non crede accettabile questo espediente. Continuerò prestare la mia opera conciliatrice. Ad ogni modo sembrami impossibile che la sorte della Conferenza possa ormai dipendere da questa questione.

[68] Rispondo al suo telegramma n. 6993 .

Quanto i delegati francesi avevano in origine suggerito che i censori della Banca fossero nominati dai Governi di Germania, Italia e Belgio, Tattenbach volle invece fossero nominati dalle Banche di Stato e propose quelle di Germania, Francia,

2 Si tratta in realtà del T. 775/75.

3 Vedi D. 610.

Spagna e Inghilterra. Chiesi allora che vi fosse aggiunta Banca d'Italia, il che fu accettato nel Comitato di redazione. Delegato austro-ungarico credette frattanto conveniente di agire sotto mano in favore Banca austriaca. Ho fatto, a questo proposito, una viva e assai esplicita rimostranza a Tattenbach, il quale mi disse che la Banca d'Italia non sarebbe stata sostituita da un'altra. Se per la vanità dei delegati, di cui ognuno volesse mettere innanzi la propria Banca, il numero dei censori dovesse oltrepassare i limiti ragionevoli, ed essi dovessero essere ridotti a tre, sarebbe difficile opporsi ad una preferenza per le Banche di Francia, Germania e Spagna.

613 1 Vedi D. 609.

614

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. 817. Addis Abeba, 22 marzo 19062.

Imperatore partito stamane alle 5 sotto pioggia dirotta e con strade impraticabili per raggiungere regina Taitù che è a due giornate da qui, diretta Uarra Ailu. Notizie disperate condizioni ras Makonnen e piogge eccezionali possono obbligarlo rientrare Addis Abeba, e perciò mi ha pregato nulla notificare a V.E. prima di ricevere sue notizie dal campo. Come ella vede, e credo anche Ministero degli affari esteri se ne darà ragione, Menelik è ora partito unicamente per incontrarsi con V.E., cosa onnai a tutti nota. Come soddisfazione nostra e atto di premura e somma considerazione verso Governo del Re e V.E. non credo potersi esigere di più: parebbemi che, se anche Menelik dovesse rientrare, non potrebbesi più indiscutibilmente escludere esame di una possibile venuta di V.E. ad Addis Abeba. Finora la volontà e l'opera nostra ha potuto vincere tutte le influenze degli uomini, ma sentesi impotente contro la fatalità delle cose, quale la infermità del rase l'eccezionale inclemenza del tempo che forza e volontà umana non può vincere.

Ritrasmesso da Martini a Guicciardini il 24 marzo.

614 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 265.

615

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, MAYOR DES PLANCHES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 542/131. Washington, 22 marzo 1906 (perv. !'8 aprile).

Nella conversazione che seguì ieri all'offerta ed alla consegna del dono di

S.M. il Re, il presidente Roosevelt m'intrattenne sull'argomento della Conferenza di Algeciras.

A tal proposito egli si espresse all'incirca nei seguenti termini: «Ritengo che l 'Italia non abbia in quella questione interessi diretti. Essa è rappresentata alla Conferenza per ragioni politiche di carattere generale e vi ha, come noi, per scopo precipuo di condurre all'accordo pacifico e soddisfacente le parti contendenti. I lavori procedono lentamente e le notizie in merito al risultato finale sono talvolta dubbie ed allarmanti, io però opino ed ho ragione di credere che tutto volgerà a bene».

Su quest'ultimo punto in particolar modo il presidente insistette sì da lasciarmi pensare che egli sia realmente a conoscenza di dati e circostanze che gli permettano di nutrire più che speranza fondata fiducia in senso ottimistico.

616

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 814/69. Algeciras, 23 marzo 1906, ore 15,50 (perv. ore 21).

Progetto di transazione per la Banca, di cui è questione nel mio telegramma

n. 67 1 , ha dovuto essere abbandonato. Trattasi ora di altre combinazioni, di cui telegraferò più tardi2 .

2 Telegrafò il 26: vedi D. 620.

616 1 Vedi D. 613.

617

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE TITTONI

DISP. RISERVATISSIMO 16092/105. Roma, 23 marzo 1906.

Nell'atto in cui V. E. sta per assumere l'ufficio di ambasciatore di Sua Maestà in Londra, credo necessario indicare per sommi capi, riguardo al progetto di Convenzione per l'Etiopia, le osservazioni c gli intendimenti del R. Governo.

Anzitutto non pare che la Convenzione si potrebbe presentare all'imperatore Menelik senza destare nell'animo suo diffidenze e sospetti che potrebbero essere singolarmente dannosi per gli interessi delle colonie nostre e per la nostra penetrazione economica in Etiopia. Infatti nel proemio si accenna al cambiamento di situazione che potrebbe prodursi in Etiopia; nel testo della Convenzione all'art. 4 si prevede la eventualità della alterazione dello statu qua etiopico e si fissano norme che le tre potenze in quella eventualità dovrebbero seguire; nello stesso art.4, lettera a) si stipula addirittura un hinterland per la colonia di Gibuti, dentro il territorio etiopico. È per noi evidente che tutto questo assieme di considerazioni e di pattuizioni è tale che non potrebbe recarsi senza danno a conoscenza dell'imperatore Menelik.

Passiamo ali' esame del contenuto della Convenzione. Mentre si fissano e si determinano gli interessi francesi e gli interessi inglesi, gli interessi italiani invece restano indeterminati, mal definiti e incerti. A favore dell'Inghilterra si riconosce in tutto il bacino del Nilo, e con ciò anche in tutto il Tigré, l'esistenza di interessi inglesi; i quali, per una parte, sono indicati in modo generico c, per ciò, si potrebbero estendere eventualmente fino a comprendere anche interessi territoriali, per un'altra parte sono indicati in modo concreto e riguardano il regime delle acque, che in quelle regioni rappresenta il valore principale del territorio; inoltre all'Inghilterra si riconosce il diritto della costruzione delle ferrovie tutte ad ovest di Addis Abeba: tutto ciò senza alcuna considerazione dei diritti ormai acquisiti all'Italia nei rispetti d eli 'Inghilterra dai protocolli del 1891. A favore della Francia si riconosce l 'interesse per l'hinterland di Gibuti che, n eli' atto addizionale segreto, si estende a tutta la valle de li'Auasc sino ad ovest di Addis Abeba e il diritto della costruzione della ferrovia fino a questa ultima località. Quanto ali 'Italia, si riconosce l 'interesse su di un territorio che dovrebbe collegare l 'Eritrea alle colonie della Somalia e la facoltà di costruire una ferrovia che metta in comunicazione le due colonie. Ma prescindendo da ogni considerazione sul valore economico di una siffatta ferrovia, mentre valore economico certamente avranno la ferrovia francese da Gibuti ad Addis Abeba e quella inglese da Addis Abeba al N ilo, è evidente che la comunicazione territoriale fra le due colonie sarebbe concessa in modo tale da distruggerne in gran parte la utilità. La detta comunicazione infatti si avrebbe con giro vizioso ad ovest di Addis Abeba dimodochè le due colonie sarebbero per il maggior tratto divise dal cuneo dell'hinterland francese nella valle dell' Auasc, e per di più la detta comunicazione si avrebbe su di un territorio dove la sovranità dell'Italia non sarebbe piena perché sottoposto ai diritti stipulati in favore dell'Inghilterra per la tutela dei suoi

interessi generici e del suo diritto specifico per il regime delle acque. Risulta da tutto questo che, mentre sono precisi e ben determinati e pieni di contenuto i diritti riconosciuti a favore dell'Inghilterra e della Francia, quelli invece riconosciuti a favore dell 'Italia sono di dubbio valore, incerti, quasi evanescenti.

E non solo non c'è equa ripartizione fra gli interessi valutati a favore della Francia e de li'Inghilterra e quelli valutati a favore deli'Italia, ma per di più sono trascurati e lasciati senza difesa gli effettivi interessi eventuali dell'Italia.

Nulla si pattuisce (e avrebbe potuto farsi nell'atto segreto) per !'hinterland della Colonia Eritrea nel Tigré; anzi di questo hinterland si diminuisce il valore in quanto vi si riconoscono interessi generici e specifici deli'Inghilterra. E col patto poi che proibisce, senza reciproci consensi, le ferrovie concorrenti, si rinunzia, per sempre, ad ogni avvenire per Assab che potrebbe acquistare importanza per la ferrovia di Borumieda e forse si preparano difficoltà allo sviluppo della stessa rete ferroviaria dell'Eritrea oltre i confini della Colonia.

Tenendo conto delle suddette considerazioni, credo che la Convenzione dovrebbe subire le seguenti modificazioni:

a) eliminazione di tutte quelle parti che potrebbero destare le diffidenze di Menelik;

b) eliminazione di tutte le disposizioni che concernono la eventualità della modificazione dello statu qua sostituendovi una disposizione generica la quale pattuisca che le tre potenze nella detta eventualità procederanno d'accordo e nulla faranno in Etiopia senza essersi previamente intese e salvi i diritti provenienti dai protocolli del 1891;

c) soppressione di tutte le disposizioni concernenti le ferrovie, intendendosi applicate alle imprese ferroviarie le disposizioni de li'art. 2.

Quanto alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba si dovrebbe stabilire per le tariffe uguaglianza di trattamento per tutte le nazionalità; e ciò in applicazione del principio della «porta aperta» al quale tutta quanta la Convenzione dovrebbe essere informata per le ragioni anche di opportunità note a VE.

618

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL CONSOLE GENERALE AD ADEN, PESTALOZZA

T. URGENTE 738. Roma, 2 6 marzo 1906, ore 15.

Ricevo rapporto 64 1• Convengo essere buona politica nei territori in cui si esercita solo protettorato non immischiarsi nelle lotte intestine, ma, nel caso attuale, a noi conviene evitare

conflitti tra Mullah e Jusuf Alì per minaccia Benadir nel caso che quest'ultimo fosse sopraffatto. La S.V. voglia pertanto, in prossima missione, continuare azione pacificatrice in basi già iniziate. Azione Jusuf Alì contro Bagheri e fortificazioni Mudug senza nostro consenso sono atti scorretti verso Governo protettore.

Quanto a domanda armi, munizioni, bisogna limitarsi fare riparare armi deteriorate, tanto più che Jusuf Alì pensa direttamente rifornirsi contravvenendo disposizioni Bruxelles. Per controversia Uaesle, bisognerà ella si spinga fino Mereg per tentare risolvere pacificamente questione.

Per indennità dovuta a JusufAlì da Governo britannico, ella può regolarsi, presso di lui, in base dichiarazioni inglesi e affermazioni Swayne. Voglia uniformare condotta ai concetti suespressi.

618 1 R. 84/64 del 14 marzo, non pubblicato.

619

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI

T. CONFIDENZIALE PERSONALE 739. Roma, 26 marzo 1906, ore 14.

Ditta italiana di primo ordine, già pratica di lavori portuali in Oriente, proponesi ottenere concessione lavori porto Bengasi. Per guadagnare tempo, prego V.E. telegrafarmi quali primi passi efficaci dovrebbe muovere ditta, persona di fiducia della quale pronta recasi subito giusta parere di lei, iniziare trattative a Costantinopoli o altrove. Voglia pure fornirmi quelle maggiori indicazioni che permettano munire incaricato ditta di istruzioni praticamente utili 1 .

620

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 834/70. Algeciras, 26 marzo 1906, ore 20,30 (perv. ore 6 del 27).

Oggi Conferenza si radunò in seduta plenaria per esaminare il progetto di organizzazione della polizia marocchina elaborato dal Comitato di redazione. In questo progetto non si fa cenno di Casablanca e l'istruzione della polizia è in tutti i porti affidata ad ufficiali francesi e spagnuoli.

Durante la seduta, Welshersheimb dichiarò, con l 'assenso dei delegati germanici, che l'antica proposta relativa a Casablanca era abbandonata, cosa notoria, ma non ancora ufficialmente annunziata nella Conferenza. In seguito presentò due emendamenti contenenti le condizioni poste dal Gabinetto di Berlino, alla concessione come venne fatta per Casablanca. Questi emendamenti riferivansi all'ispettore ed al controllo della polizia. Per il primo non vi era alcuna differenza sostanziale con quanto già era stato proposto dal Comitato di redazione. Il secondo consiste nell'affermazione generale che il controllo sulla polizia appartiene al Corpo diplomatico, al quale l 'ispettore potrà prestare il suo concorso. Articolo corrispondente del Comitato di redazione diceva soltanto che in caso di reclami sul funzionamento della polizia giunti alle legazioni od al Corpo diplomatico, questo avrebbe potuto affidare un'inchiesta all'ispettore che avrebbe fatto il suo rapporto. Radowitz dichiarò che insisteva suli'emendamento austriaco come suli'ultimo limite di quello che poteva essere accettato da lui. Delegato francese formulò delle riserve sugli inconvenienti del sistema. Cercasi ora di trovare una redazione che sia accettata da ambo le parti.

Ho comunicato ieri in modo confidenziale a Tattenbach, da parte del delegato francese, un progetto di articolo sulla ripartizione del capitale della Banca, intorno a cui, se non sorgono nuovi mutamenti, confido che l'accordo di principio si faccia.

619 1 Per la risposta vedi D. 623.

621

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 7 3 7/399. Vienna, 26 marzo 1906 (perv. il 6 aprile).

Ringrazio l'E.V., della comunicazione che si compiacque farmi del dispaccio segnato in margine, direttole in data del 19 febbraio p.p. dal r. ambasciatore in Costantinopoli, avente per oggetto Russia ed Austria-Ungheria 1 .

I sentimenti poco favorevoli verso l'Austria-Ungheria, di cui si fecero eco i giornali russi da me segnalati alla E.V., col rapporto n. 125 del 29 gennaio scorso2 , sono, com'è noto, professati da lunga data da quella parte della opinione pubblica dell'Impero, ligia alle idee slavofile, che ravvisa nella potenza suddetta una rivale della Russia. E la più viva opposizione infatti essa fece all'accordo di Mlirzstcg considerandolo come atto ad alienare alla Russia le simpatie degli Stati slavi balcanici e a favorire, per contro, gli interessi de li'Austria-Ungheria che accusa di sfruttar! o a proprio profitto per intralciare il libero sviluppo e l 'indipendenza di quegli Stati e tentare di attirarli nella sfera della sua influenza.

621 1 Vedi D. 516. 2 Non pubblicato.

Tale opposizione, che si accentuò vieppiù in occasione del recente conflitto serbo-austro-ungarico, e gli incitamenti rivolti al Governo imperiale per indurlo a riprendere la propria libertà d'azione svincolandosi dagli obblighi assunti con quell'accordo, non sembra abbiano prodotto, da quanto mi fu dato di osservare qui, alcuna influenza sulla sua linea di condotta verso l'Austria-Ungheria per ciò che riguarda la Macedonia. E date le precarie condizioni interne in cui si trova tuttora l'Impero non è da supporre che il Governo imperiale possa pensare, finché queste saranno per perdurare, a modificare la sua politica attuale, che è interessata anzi a seguire per ora, per evitare che alcun evento non si produca nel frattempo che possa turbare la tranquillità nella Penisola.

Del resto da un colloquio privato da me avuto col conte Goluchowski il 30 gennaio scorso e che riferii con lettera particolare di pari data all'on. marchese di San Giuliano3 , egli, pur lamentando il contegno poco corretto tenuto durante il conflitto suddetto dal ministro di Russia in Belgrado che in unione ad altro rappresentante estero crasi pronunciato apertamente in favore della Serbia e contro l' Austria-Ungheria, mi fece conoscere che non poteva che lodarsi del modo come crasi comportato in quella circostanza il conte di Lamsdorf, il quale aveva agito colla maggior franchezza e lealtà facendogli fare, a tale riguardo, le più esplicite ed amichevoli dichiarazioni.

622

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A SOFIA, CUCCHI BOASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 496/112. Sofìa, 26 marzo 1906 (perv. il 13 aprile).

Avant'ieri, improvvisamente, ricevevo dal maresciallo di Corte l'invito ad un pranzo che il Principe avrebbe dato in mio onore la sera del 25 marzo. Il pranzo, cui venne pure invitato il marchese Durazzo, ebbe luogo in uniforme e col cerimoniale usato in tali circostanze. Sedevo alla destra di Sua Altezza Reale che aveva alla sua sinistra il presidente del Consiglio. Assistevano tutti i ministri di Stato presenti a Sofia, il primo aiutante di campo generale nonché tutta la Casa civile e militare del Sovrano.

Il principe Ferdinando, che portava le insegne della Santissima Annunziata e quelle di Gran Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro, fu particolarmente gentile verso di me e si trattenne meco quasi esclusivamente durante il tempo che sedemmo a mensa. Dopo, m'invitò a seguirlo in un salotto appartato ed ebbi con lui solo un lungo colloquio di circa un'ora e un quarto.

Ho l'onore di riassumere qui appresso all'E.V. gli argomenti di natura politica toccati da Sua Altezza Reale che parlò dell'Italia con frase sempre entusiasta manifestando ripetutamentc sentimenti di profonda devozione ed ammirazione verso S.M. il Re.

Il Principe accennando alla difficile missione affidatagli dalla provvidenza e dichiarando con insistenza ch'egli è ben !ungi dall'esser quel turbatore della pace come alcuni si immaginano, mi disse che nella Penisola Balcanica egli riteneva per fermo di lavorar anche nell'interesse dell'Italia. Dopo aver con compiacenza rilevato i progressi compiuti dal suo popolo, non celandone tuttavia i difetti, provenienti dall'esuberante vitalità della giovane nazione, Sua Altezza Reale non seppe trattenersi dal manifestar una certa inquietudine di veder, secondo lui, che l'Italia dimostri maggior fiducia e porti maggior interesse alla Serbia sebbene la Bulgaria abbia cercato in ogni occasione di far di tutto per esser degna della simpatia e della confidenza dell'Italia. Nel deplorar sinceramente le difficili condizioni in cui si dibatte il Regno vicino e l'azione debole ed incerta di quegli uomini di Stato, il principe Ferdinando manifestando l'interesse che porta alla Serbia rivendicò a sé tutto il merito di aver tentato a Nis, due anni or sono, di porre su solide basi l'amicizia fra i due paesi, per la quale amicizia la Serbia avrebbe potuto contare, in ogni circostanza, sul valido appoggio della Bulgaria.

Siccome queste espressioni velate di rammarico, esposte però in forma serena, collimavano con quelle manifestate in altra maniera da Sua Altezza Reale al maggior Rubin de Cervin (come ebbi l'onore di riferir a S.E. il senatore Tittoni col mio rapporto delli 4 ottobre u.s., n. 327)1 dopo avergli detto che le simpatie dell'Italia verso la Serbia e la Bulgaria erano le stesse, valendomi delle istruzioni contenute nel pregiato dispaccio de Ili 18 ottobre u.s. (n. 200) 1 , aggiunsi che il Governo del Re formava sempre voti sinceri perché l'amicizia fra i due Stati ne favorisse il normale progresso pel bene della pace generale.

Sua Altezza Reale mi dichiarò che le mie parole gli facevano immenso piacere, che lo confortavano e mi espresse la sua riconoscenza per avergli dissipato un dubbio doloroso.

Continuando a discorrere dell'amicizia colla Serbia, vista con soddisfazione da quasi tutte le grandi potenze, Sua Altezza Reale dichiarò che essa non minacciava alcuno, che le apprensioni sorte in alcuni Gabinetti sono del tutto ingiustificate e che l 'intesa fra i due Stati è una garanzia di più per la tranquillità della Penisola.

Dovendo rispondere al Principe ho insistito pur io sullo scopo eminentemente pacifico e civile del desiderato accordo fra le due nazioni jugoslave e Sua Altezza Reale mi disse di aver sempre presenti i consigli avuti da S.M. il Re allorquando ebbe l'onore di visitarlo a Roma nello scorso aprile, ai quali saggi consigli cerca di attenersi scrupolosamente pel bene generale delle potenze amiche e del popolo bulgaro.

Dopo aver accennato alle difficoltà sorte anche fra la Bulgaria e l'AustriaUngheria pel contegno assunto da questa potenza verso la Serbia, Sua Altezza Reale con quella facilità di parola in lui abituale portò il discorso sulla Conferenza riunita ad Algeciras mostrandosi non poco preoccupato dal linguaggio assunto ultimamente dalla stampa germanica verso l'Italia.

Ho creduto di far noto al Principe che non avevo alcuna informazione al riguardo ma, come risultava dalle recenti dichiarazioni di S.E. il barone Sonnino alla Camera, l'opera di concordia e di pace dell'Italia si ispirava ad Algeciras alla più

grande lealtà verso le potenze alleate come verso le potenze amiche e che nel nostro paese tutti formano voti perché l'azione dell'eminente plenipotenziario italiano alla Conferenza contribuisca a raggiunger l'invocato accordo.

Sua Altezza Reale accennando a quanto sia preziosa, per la pace del mondo, l'amicizia itala-germanica lamentò il contegno della stampa tedesca cd accennando anche alla attitudine del conte di Tattenbach lo qualificò un rappresentante «de la diplomatie des nouvelles couches», ma confida nella saggezza del primo plenipotenziario imperiale il sig. di Radowitz di cui ha apprezzato da anni il tatto e la pazienza. Circa la deplorevole animosità anglo-tedesca Sua Altezza Reale, continuando il suo discorso, constatò che purtroppo essa risiede nelle «alte sfere» ed anche nei circoli commerciali d'Inghilterra i quali vedono sempre più conteso, dalle iniziative tedesche, quell'indiscusso primato che aveva il commercio britannico. Ma è d'avviso che il popolo tedesco ed il popolo inglese non sono animati da sentimenti di ostilità, che anzi desidererebbero intendersi: e spera nel mantenimento della pace in Europa e che l'Italia, scomparse le nuvole minacciose sull'orizzonte politico potrà continuar la sua felice ascensione verso un avvenire sempre più prospero. Si dilungò quindi a parlar dei disegni di legge presentati al nostro Parlamento dall'attuale Gabinetto e soprattutto dei provvedimenti per il riordinamento dei servizi ferroviari, argomento nel quale il principe Ferdinando è specialmente versato.

Accennando poi allo sviluppo delle relazioni commerciali ed economiche fra l'Italia e l'Oriente europeo Sua Altezza Reale formò il voto che le iniziative dei nostri commercianti e dei nostri banchieri non si limitino ad esplicar la loro attività al Montenegro e nel solo porto d'Antivari. L'Italia, disse il Principe, è in grado di osare, e l'opinione pubblica dovrebbe rendersi conto dei grandi benefici che le relazioni commerciali fra l 'Italia e la parte più ricca della Penisola Balcanica risentirebbero dall'attuazione di una linea ferroviaria la quale, partendo dall'ottimo porto di Vallona, si allaccerebbe a Sofia a tutte le linee di comunicazioni già esistenti.

Mi chiese poi con vivissimo interesse notizie dell'Esposizione di Milano che intenderebbe visitare se appena gli sarà possibile. In essa, aggiunse, la Bulgaria cercherà di figurar nel miglior modo ed accennò con compiacenza alle insistenze premurose fatte da me presso i suoi ministri nel senso che venisse modificata la primitiva decisione qui presa di astenersi di concorrere alla mostra. «Ora», disse Sua Altezza Reale, «tutto è dimenticato, ma tale decisione fu motivata dall'impressione incresciosa avuta da me e dai bulgari dall'incidente occorso alla Conferenza d'agricoltura, tanto più che per soddisfar il desiderio benevolmente manifestatomi da S.M. il Re avevo inviato a Roma non già un delegato qualunque ma lo stesso ministro dell'agricoltura e persone competenti e capaci a me carissime».

Sua Altezza Reale, certo dell'esito splendido dell'Esposizione di Milano, dichiarò che in ogni circostanza insiste perché i bulgari visitino e studino l 'Italia che, colle sue molteplici e interessanti manifestazioni, non solo nel! 'arte, ma ora nella scienza, nell'industria e nel lavoro occupa un posto tanto nobile nel mondo civile. Teneva, in quest'occasione, ad esprimermi i suoi sentimenti di riconoscenza per gli ottimi risultati dati dai bulgari i quali hanno frequentato, per istruzione, i nostri istituti civili e militari, non nascondendo che quelli inviati «in un altro paese» in ossequio a sentimenti di fratellanza di stirpe avevano dato dei risultati «qui sont souvent loin d'ètre hereux».

Non ho mancato di ringraziare il principe Ferdinando di queste sue parole compiacendomi delle simpatie nutrite dalla Bulgaria verso l'Italia. Nel congedarmi Sua Altezza Reale mi rivolse frasi oltremodo lusinghiere dicendomi che potevo contare sulla sua particolare benevolenza e sapendo della mia prossima partenza in congedo mi rinnovò calorosa preghiera di farmi personalmente interprete presso le Loro Maestà il Re c la Regina dei suoi sentimenti di incrollabile ed affettuosa devozione.

621 3 Vedi D. 456.

622 1 Non pubblicato.

623

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 836/59. Pera, 27 marzo 1906, ore 12,50.

Rispondo al telegramma n. 739 riservatissimo 1 .

Non credo che trattative per concessione isolata di lavori nel porto di Bengasi avrebbero in questo momento probabilità di approdo. Unica persona con la quale sarebbe precipuamente indispensabile di intendersi, e senza la quale nulla si concluderebbe, cioè, secondo segretario del Sultano, è creatura ligia al Perrone. Giusta quanto mi ha assicurato quest'ultimo, Izzet pascià gli avrebbe dato formale affidamento di adoperarsi con la massima efficacia per riuscita noto gran progetto comprendente anche concessione porti Tripoli c Bengasi, nonché ferrovie in Tripolitania. Stando così le cose non so come potrebbe Izzet pascià favorire, all'infuori di Perrone, altro affare dal quale, per essere di proporzioni assai più modeste, egli non potrebbe trarre lautissimi profitti assicuratigli dalla eventuale riuscita del progetto Perrone. Tengasi inoltre presente che, in caso di domanda di concessione Bengasi non inglobata in vasto progetto attinente ad affare di diversa indole, e che può probabilmente presentare al Sultano vantaggioso [sic] per Impero, ostacoli da superare, data invincibile diffidenza di S.M. Imperiale, sarebbero di gran lunga più seri. Tutto compreso, a me sembrerebbe preferibile di non precipitare la cosa. Se progetto Pcrronc fallisse, si potrà esaminare il modo di avviare trattative porto di Bengasi. In ogni caso importa di mantenere il segreto più assoluto e, possibilmente, fare cessare campagna che mi pare si vada iniziando nella stampa circa la Tripolitania. Su importante delicato argomento nostra azione in Tripolitania, mi riservo di fare prossimamente esauriente rapporto verbale a VE. Intanto sarebbe bene sospendere ogni decisione.

Contavo partire domani, ma incidente di Tripoli mi ha costretto differire. Partirò non appena ottenuta udienza per presentazione Sultano doni reali. Conterei essere a Roma il 4 o 5 di aprile.

623 1 Vedi D. 619.

624

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. CONFIDENZIALE 839/71. Algeciras, 27 marzo 1906, ore 14.40 (perv. ore 20.30).

Una nuova redazione destinata a sostituire l'articolo proposto ieri da Welsersheimb intorno al controllo della polizia esercitata dal Corpo diplomatico fu accettato dai delegati francesi e germanici. Essa fu accolta, dietro proposta delegato degli Stati Uniti, dal Comitato di redazione che la presenterà alla Commissione. Anche per la Banca, una soluzione è prossima. Si può ritenere assicurato esito della Conferenza.

625

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 844-845/72-73. Algeciras, 27 marzo 1906, ore 20,20 (perv. ore 6,30 del 28).

[72] Nella seduta odierna si approvò quasi tutto il regolamento per la polizia, come pure quello per la Banca. Nei punti più importanti dei due regolamenti tanto i delegati germanici che i francesi dichiararono che pur approvando le formale proposteci dal Comitato di redazione riservavano il loro voto, dovendo prima comunicarle ai loro Governi.

[73] Discutendosi oggi istituzione censori della Banca ed avendo delegazione austro-ungarica insistito nella sua pretesa che la Banca austriaca fornisca un censore, il che porterebbe al numero illogico ed eccessivo di sei censori, il delegato britannico ha dichiarato chiederne al suo Governo se sarebbe disposto a ritirare Banca d'Inghilterra. In caso affermativo prego telegrafarmi d'urgenza domani se V.E. non troverebbe opportuno che, per sentimento di dignità e per troncare competizioni e pretese altrui, io stesso proponessi che i censori rimanessero tre soli: francese, germanico, c spagnuolo 1•

625 1 Con T. 756 del 28 marzo Guicciardini rispose: «Approvo che V.E. proponga che censori Banca siano tre: francese, germanico spagnuolo».

626

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 654/205. Berlino, 2 7 marzo 1906 (perv. il 7 aprile).

Non è mia abitudine di riferire, neppure a titolo di cronaca, le notizie di crisi ministeriali che qui circolano quando la situazione politico-parlamentare presenta difficoltà. Qui dove non esiste Governo di Gabinetto, a base di responsabilità parlamentare, le voci di crisi sono il più delle volte incontrollabili e per la quasi totalità poggiate su più o meno ardite supposizioni, anche se poi a queste corrispondono i fatti. Il momento politico-parlamentare presente però comporta che io di tali voci faccia menzione a VE.: esse riguardano in modo speciale il Dipartimento germanico degli affari esteri e giungono fino a comprendere lo stesso Cancelliere.

Ella sa dai miei rapporti che S.M. l'Imperatore aveva approvato il divisamento del Cancelliere di proporre al Reichstag la trasformazione della divisione coloniale in dipartimento di Stato autonomo. Ella sa allo stesso modo che Sua Maestà, contando sull'approvazione della proposta da parte del Parlamento dell'Impero, aveva chiamato a reggere provvisoriamente la divisione coloniale il principe Hohenlohe designandolo così in precedenza per il posto di segretario di Stato per le colonie. Senonché il Reichstag si è mostrato in quest'anno molto severo verso l'amministrazione coloniale. I sacrifizi di vite umane e di denaro sostenuti dalla Germania per la repressione dei moti insurrezionali nelle colonie dell'Ostafrika e del Siidwest-Afrika, l'insufficienza dimostrata da taluni organi dell'amministrazione coloniale, qualche disordine nell'amministrazione stessa come la condotta dei governatori Puttkamer e Horn, qualche contratto di forniture per le colonie ecc. hanno fatto gridare i deputati più competenti in questioni coloniali e le loro grida non hanno mancato di produrre impressione nel pubblico. Il principe Hohenlohe, per forza di cose, si è trovato nella necessità di difendere l'amministrazione coloniale. Non a tutti, gli attacchi rivolti contro di essa son sembrati pienamente giustificati: ma non a tutti, ugualmente, è parsa adeguata la difesa del giovane segretario di Stato per le colonie in pectore. Così non è rimasto senza un qualche fondamento il timore che il cambiamento della persona, di recente verificatosi, del direttore della divisione coloniale non importi -ciò che tutti vogliono -un cambiamento di indirizzo politicoamministrativo. Tra i deputati, che più vivacemente hanno attaccato l'amministrazione coloniale, sono quelli del centro che non sa perdonare, sembra, al principe Hohenlohe il voto contrario alla riammissione dei Gesuiti in Germania emesso già in qualità di reggente del ducato di Sassonia-Coburgo-Gotha e che -il centro avrebbe visto molto volentieri alla testa del nuovo dipartimento di Stato un funzionario di confessione cattolica. In tali condizioni la Commissione speciale del bilancio, della quale fanno parte gli stessi portavoce del malcontento coloniale, in tali condizioni essa ha discusso la richiesta governativa di crediti per il dipartimento delle colonia: con undici voti contro sette essa li ha rifiutati. Non mi dilungo per esporre i commenti e le supposizioni intorno a questo voto ed alle sue conseguenze. Ora la questione attende la decisione del plenum del Reichstag, avanti il quale lo stesso Cancelliere dell'Impero, sembra, si assumerà il compito di difendere la proposta governativa.

Altre voci di crisi riguardano il barone Holstein, il grande artefice della politica estera tra le quinte della Wilhelmstrasse. Della speciale situazione di questo funzionario ho già avuto l'onore di riferire a VE. con il rapporto n. 52 del 23 gennaio u.s. 1• La maggiore o minore solidità della sua posizione attuale è, agli occhi di chi crede di scrutare l' internum della Cancelleria, in diretto rapporto colle sorti della politica germanica alla Conferenza di Algeciras. L'opinione pubblica ha seguito quasi unanime il Governo imperiale nella questione del Marocco fino alla caduta del Delcassé. Quando il ministro anti-germanico abbandonò il potere, la corrente si divise: gli uni si manifestarono per l 'intesa diretta colla Francia e gli altri sostennero che il vantaggio per la Germania sarebbe stato assicurato meglio con la Conferenza. Le opinioni non furono unanimi neppure alla Wilhelmstrasse. Ora che le cose non volgono, ad Algeciras, come qui sperò il barone Holstein il quale allora riuscì a determinarne il corso, ora che il favorevole successo previsto per la politica germanica sembra sfuggito, si chiama in causa il responsabile: e questi dovrebbe liquidare il debito che gli viene addossato, coll'abbandono del servizio. Della parte che questa ninfa Egeria della Cancelleria ha avuto nelle decisioni della politica germanica riguardanti il Marocco ho già avuto l'onore di informare VE. Se ed in quanto siano disposti ad abbandonare il barone Holstein coloro che ne hanno accettato i consigli, ed assunto dinanzi alla pubblica opinione la responsabilità delle decisioni, non posso dire ancora. Nei segreti della Cancelleria non è concesso ad alcuno di penetrare -specialmente dato il mistero che circonda la strana posizione di quell'invisibile personaggio. Certo è che quanto accade ad Algeciras non è di natura da rafforzare la situazione di lui che, carico già di anni, potrebbe desiderare egli stesso di porre fine ad una attività che taluno ritiene non più necessaria.

Le voci di crisi, come ho detto sul principio di questo rapporto, giungono fino a toccare lo stesso Cancelliere dell'Impero. Da quanto ho avuto l'onore di esporre fin qui VE. comprende facilmente come il malcontento contro l'amministrazione coloniale ed il malanimo verso il solitario inspiratore della politica estera si ripercuotono rispetto al Cancelliere. Se è vero, come si afferma, che il principe Biilow si recherà a difendere personalmente al Reichstag la proposta creazione del dipartimento di Stato per le colonie, il voto di quell'Assemblea, oggi imprevedibile, assumerà importanza speciale. Anche l'esito definitivo della Conferenza di Algeciras toccherà certo il prestigio del principe Biilow. Ma né quel voto né quest'esito possono in alcun caso considerarsi come l 'ultima parola sulla sua situazione politica. Il Cancelliere risponde dei suoi atti di Governo di fronte a S.M. l'Imperatore il quale, solo, decide, a tale riguardo, in prima ed ultima istanza. Non manca chi afferma che il principe Biilow non gode più come pel passato del favore imperiale: altri sostiene il contrario. Quanto accade tra Sua Maestà ed il suo primo consigliere sfugge ad ogni sicuro accerta

mento. Se non si può dire che si ripetano ora frequenti i segni della fiducia imperiale, non si può neppure affermare che esistano manifestazioni di favore o considerazione di [ ... ]2. Del resto l'esperienza insegna che riguardo alle decisioni dell'impulsivo Sovrano ogni previsione è da evitare3 .

626 1 R. confidenziale 163/52, non pubblicato.

627

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 859/74. Algeciras, 29 marzo 1906, ore 19 (perv. ore 21,35).

Nella seduta odierna delegato britannico ha dichiarato di dovere, per istruzioni del suo Governo, mantenere alla Banca d'Inghilterra nomina di un censore. Continuando le pretese della delegazione austro-ungarica ed eventualmente di altre a voler aggiunti dei loro censori in caso si ammettesse il nostro, ho creduto conforme alla nostra dignità di proporre io stesso che i censori si fissassero nei quattro: francesigermanici-inglesi-spagnoli.

Conferenza ha approvato.

Sono state quindi risolte varie questioni secondarie che erano rimaste sospese e si confida di finire discussione sabato superando alcune rimanenti difficoltà che saranno certo appianate.

Sperasi firma atto fine della prossima settimana.

628

IL MINISTRO A L'AJA, TUGINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 863 1 . L 'Aja, 30 marzo 1906, ore 12,20.

Questo mio collega di Russia mi ha confidenzialmente informato di quanto segue: l) che egli e gli altri rappresentanti russi ali' estero riceveranno fra giorni da Pietroburgo il programma della Conferenza della pace con l'incarico di comunicarlo ai Governi presso i quali sono rappresentati; 2) che analogo invio sarà pure fatto al rappresentante russo presso il Vaticano con l 'incarico di avvertire che la

Santa Sede non dovrà intervenire, neppure potrà ricevere invito ufficiale; 3) che su ciò Governo russo si intese già col R. Governo; 4) che quando gli sarà noto l'esito de li'esame del programma da parte dei Governi, il Governo russo comunicherà al Governo olandese l'elenco degli Stati a cui dovranno indirizzarsi gli inviti ufficiali.

626 2 Parola illeggibile. 3 Con dispaccio 20082/111 del 12 aprile, Guicciardini ringraziò per gli interessanti apprezzamenti. 628 1 Copia priva del protocollo di partenza.

629

IL MINISTRO A PECHINO, BAROLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 874/7. Pechino, 31 marzo 1906, ore 20,30 (perv. ore 7 del 1° aprile).

Inglesi e francesi non ancora presa deliberazione definitiva circa ritiro truppe. Siccome tedeschi hanno iniziato ritiro presidio ferrovia Pekino Shang-hai-Kuan d'accordo col Comandante superiore, ritenendo ormai senza scopo nostra occupazione Kuang-Tsun Shang-hai-Kuan, in conformità degli ordini ricevuti e, salvo ordini contrari, presìdi di quelle località saranno ritirati entro il prossimo aprile.

630

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 879175. Algeciras, 31 marzo 1906, ore 14 (perv. ore 21,25).

Oggi vi sarà seduta. Posso assicurarla che ormai accordo è completo anche sulle altre questioni che rimanevano da risolversi, e di cui talune, come quella della ripartizione porti, presentò all'ultimo momento qualche difficoltà.

631

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 880/76. Algeciras, 31 marzo 1906, ore 20 (perv. ore 6 dello aprile).

Nella seduta odierna furono approvate tutte le questioni rimaste in sospeso. Lunedì o martedì [il 2 o il 3] seduta per la lettura ed approvazione generale dei protocolli; sabato [il 7] firma.

632

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

T. 802. Roma, 2 aprile 1906, ore 20.

Prima che con la firma degli atti abbia termine la Conferenza desidero confermare all'E.V., in nome del Governo l'espressione del nostro animo grato per l'efficace opera prestata in mezzo a non lievi difficoltà che il senno, l'esperienza e l'autorità personale di lei hanno potuto superare.

Del risultato ottenuto, segnatamente in riguardo alla nostra particolare situazione, cordialmente felicito V.E.

633

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 885/29. Londra, 2 aprile 1906, ore 14,30.

Sul punto di partire, Pansa mi ha riferito che, recatosi dall'ambasciatore di Germania Metternich in visita di congedo, è stato da lui richiesto circa trattative con l'Inghilterra e la Francia per Abissinia ed ha creduto rispondergli che le trattative per una convenzione circa Abissinia, interrotte dalle crisi ministeriali dei tre paesi consistono: l) mantenimento dello status quo; 2) istruzioni ai rispettivi agenti di procedere d'accordo; 3) accordo per la ferrovia francese ed eventuali ferrovie inglesi ed italiane.

Metternich avrebbe preso nota di questi tre punti per telegrafarli a Berlino. Io non so se V.E. e Lanza sono stati con Monts e Bulow così espliciti come Pansa ha creduto di esserlo con Mettemich. Ad ogni modo, ritengo opportuno che VE. per mezzo mio, e Lanza per mezzo di VE., ne siano subito informati per norma di linguaggio uniforme.

634

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 891/77. Algeciras, 2 aprile 1906, ore 17 (perv. ore 7,10del3).

Nella seduta di questo pomeriggio sarà proposto un protocollo addizionale, nel quale sarà detto che avendo i delegati marocchini dichiarato di non essere in grado di firmare, per ora, atto della Conferenza, le potenze firmatarie impegnansi cooperare allo scopo di ottenere la ratifica integrale di S.M. Sceriffiana al detto atto e che esse convengono quindi di incaricare il comm. Malmusi, ministro d'Italia al Marocco, di fare quanto occorra a tale scopo, per chiamare l 'attenzione di S.M. Sceriffiana sui vantaggi che risulteranno per il suo Impero dalle stipulazioni adottate dalla Conferenza, per unanime volere delle potenze firmatarie. Nella riunione privata di tutti i primi delegati che si tenne stamane per preparare questo protocollo addizionale da sottomettersi alla Conferenza, ho dichiarato che avrei chiesto adesione del R. Governo per la missione che si trattava di affidare a Malmusi e che avrà per necessaria conseguenza la sua andata a Fez, alla condizione che nessun rappresentante di altra potenza gli fosse associato e che egli si recasse a Fez colle forme di uso, in nome bensì di tutte le potenze, ma circondato esclusivamente da una missione italiana. Queste condizioni furono unanimemente accolte. Prego una parola di risposta, urgente'.

634 1 Con T. 805 del 3 aprile, ore li, Guicciardini comunicò: «Autorizzo Malmusi accettare incarico affidatogli dalla Conferenza alle condizioni opportunamente enunciate da V.E.».

635

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 892/78. Algeciras, 2 aprile 1906, ore 23,30 (perv. ore 7 del 3).

Conferenza votò oggi protocollo di cui nel mio telegramma n. 77 1 testimoniando calda approvazione nomina Malmusi. White avendo presentato mozione a favore israeliti Marocco, mi ci associai con considerazione cui aderirono altri delegati.

636

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

0JSP.17991/115. Roma, 2 aprile 1906.

Il comm. Pestalozza, con suo rapporto 2 decorso febbraio n. 51 1 , m'annunzia in via riservata che la prossima partenza in congedo del generale Swayne, preludia al suo allontanamento definitivo dal Somaliland, avendo chiesto ed ottenuto un governatorato nel Canada, ove ha anche privati interessi. Gli succede pel momento Mr. Cordeaux. A noi tal fatto desta qualche preoccupazione, sia per le possibili modificazioni, che potrebbero derivarne all'attuale avviamento pacifico dato dal generale Swayne al Somaliland, sia per l'interpretazione che i dervisci vorranno dare al cambiamento nella persona del governatore inglese, potendo essi interpretarlo come cambiamento di politica.

Io confido che il sig. Cordeux continuerà nell'amichevole intesa col nostro r. commissario per la Somalia Settentrionale italiana e che i buoni rapporti ora esistenti tra inglesi e derwisci, in seguito all'accordo di Illig, saranno maggiormente assicurati dalle istruzioni che il Governo britannico sarà per dare o confermare al reggente il Governo del Somaliland.

L'E.V., pertanto, presentandone l'occasione, può esprimere il nostro rammarico per vedere allontanare il generale Swayne e nell'occasione accennare alle nostre preoccupazioni per gli effetti che tale cambiamento può produrre.

Le confermo così il mio telegramma del 22 corrente2•

2 T. 715, non pubblicato.

635 1 Vedi D. 634.

636 1 Non pubblicato.

637

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 373/102. Londra, 2 aprile 1906 (perv. 1'11).

Riterrei indispensabile che V.E. mi tenesse, costantemente e sollecitamente, informato d'ogni fluttuazione che sia per prodursi nei rapporti itala-austriaci ed itala-germanici. La conoscenza esatta della nostra situazione a tal riguardo mi sarà necessaria per l'azione che debbo svolgere qui; azione che peraltro dovrà esplicarsi in modo lento e cauto perché, data l'intimità attuale dei rapporti anglo-francesi, vi è tutta la probabilità che ciò che io dirò al Foreign Office sia fatto conoscere a Parigi.

Pregherei pertanto l 'E.V. di voler compiacersi di darmi notizie circa l'opposizione austriaca alla domanda del marchese Visconti Venosta perché un posto di censore nella Banca marocchina fosse assegnato all'Italia e circa quanto hanno affermato i giornali italiani che tale opposizione sia stata suscitata dalla Germania, come manifestazione del suo malcontento verso l'Italia.

Il discorso eminentemente pacifico del principe di Biilow produce qui buonissi

. .

ma ImpressiOne.

Il principe di Biilow non ha parlato dell'Italia, ma ne hanno parlato, con intonazione giusta e imparziale, i tre oratori del centro, nazionale liberale e socialista che hanno preso parte alla discussione, i quali hanno posto in rilievo e la necessità per l'Italia di non trovarsi in conflitto con l'Inghilterra e la nessuna importanza della campagna contro la Germania condotta da giornali radicali italiani (leggi Secolo e Vita) che non risponde in nessun modo alle idee del Governo italiano.

A me parrebbe opportuno che ciò fosse fatto rilevare da qualche giornale autorevole italiano, aggiungendo che allo stesso modo in Italia non deve darsi alcuna importanza alle polemiche rabbiose di giornali come la Vossische Zeitung e la Zeit ostili non solo all'Italia ma eziandio al Governo del loro paese.

638

L'AMBASCIATORE A COSTANTINOPOLI, IMPERIALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 664/223. Costantinopoli, 3 aprile 1906 (perv. iliO).

Mi riferisco ai rapporti del r. console generale a Tripoli direttamente da lui inviati a codesto Ministero in data 24 marzo scorso relativi, l'uno, alla supposta missione scientifica tedesca, l'altro, al capitano Hans Banks 1• Ho l'onore pure di confermare i miei telegrammi del24 e 26 marzo nn. 54 e 572 .

Ieri poi Sua Altezza il gran vizir mi ha spontaneamente intrattenuto delle notizie che vanno comparendo sui giornali circa una azione germanica in Tripolitania. Tali notizie, diceva Sua Altezza, sono evidentemente il frutto di una campagna sistematica intrapresa nella stampa per gettare la diffidenza sulla politica germanica e turbare i rapporti esistenti tra la Turchia e la Germania da una parte e l'Italia dali' altra.

Sua Altezza mi dichiarò pure che in Tripolitania e Cirenaica non si trova alcun suddito tedesco autorizzato ad effettuare scavi o intraprendere missioni scientifiche.

Davanti a tale spontanea e rassicurante dichiarazione parmi non sia il caso di eseguire altre indagini. Del resto a V.E. non sfuggirà la considerazione che ulteriori interrogazioni che io potessi rivolgere, o far rivolgere, tanto alla Porta come a questa ambasciata di Germania, non potrebbero ottenere risposta diversa da quella datami dal gran vizir, qualunque sia la realtà delle cose. Se poi si trattasse di un lavoro di indagine segreta negli uffici della Sublime Porta, con la connivenza interessata di funzionari ottomani, non ho mestieri di far presente a codesto Ministero che un cotale servizio non si trova qui, per contro nostro, neppure in embrione organizzato.

639

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. CONFIDENZIALE 1• Vienna, 3 aprile 1906.

Vari giorni dopo aver diretto all'E.V. la lettera particolare in data del 20 marzo scorso2 ebbi occasione di incontrarmi con un alto personaggio che occupa in questa Amministrazione di Stato uno dei più importanti uffici politici e col quale sono legato da più anni da antica amicizia.

2 Non pubblicati: entrambi relativi alla presunta missione scientifica tedesca in Tripolitania.

2 Vedi D. 608.

Nel colloquio privato ch'ebbi con esso il discorso essendo caduto sulla Conferenza d' Algeciras, egli mi disse in via confidenziale, che il contegno tenuto vi dali 'Italia era stato qui osservato attentamente. Aveva prodotto un certo senso l'informazione trasmessa dal conte di Welsersheimb secondo la quale il marchese Visconti Venosta non avrebbe creduto corrispondere alla domanda di lui di appoggiare alla Conferenza il progetto della riorganizzazione della polizia formulato dal conte Goluchowski, e che era stato incaricato di sottoporre ali' esame di essa cd crasi poi considerato, come poco benevola per l'Austria-Ungheria la proposta fatta dal rappresentante italiano di ridurre da sei a cinque il numero dei censori della Banca di Stato, la quale se fosse stata accolta avrebbe avuto per conseguenza di farla escludere da quell'ufficio.

Tale condotta, che aveva fatto sorgere il dubbio che l 'Italia non avesse più la dovuta libertà d'azione e fosse legata colla Francia da qualche accordo di cui si ignoravano le disposizioni, non riuscivagli nuova avendosi potuto constatare in altre circostanze come l'azione dell'Austria-Ungheria, specialmente nei Balcani, si urtasse a quella degli agenti italiani che si adoperavano ad attraversarne gli effetti in modo indiretto per le diffidenze che si nutrivano contro la sua politica orientale.

Nel parlarmi quindi dei nostri reciproci rapporti, il mio interlocutore rilevò che i sentimenti poco favorevoli da cui si sembrava essere animati in Italia verso l'AustriaUngheria, le enunciazioni irredentiste che di quando in quando avvenivano colà, nonché il linguaggio di certa stampa che si esprimeva in modo non del tutto benevolo a suo riguardo, non potevano non far nascere qui la supposizione che l'alleanza non avesse più nell'opinione pubblica italiana una base solida né fosse accolta con quella simpatia che ispirava per l'innanzi, onde si dubitava che si fosse disposti a rinnovarla alla sua scadenza.

Le voci poi che circolavano di armamenti da parte della nostra Amministrazione della Guerra e di costruzioni di forti alla frontiera orientale del Regno, provocavano, in questi circoli militari, una certa apprensione. Ma la questione che aveva specialmente recato sgradevole impressione nello Stato Maggiore deJI' Esercito ed innanzi tutto in S.M. l'Imperatore si era quella dell'invio di cannoni dall'Italia al Montenegro, circa il quale, sebbene al conte di Liitzow fosse stato ingiunto di non più occuparsi, crasi riuscito ad avere dati sufficienti da non lasciare più dubbio sulle circostanze che l'avevano preceduto.

Quest'insieme di cose producevano naturalmente nella opinione pubblica della Monarchia e nello stesso Governo imperiale e reale, diffidenze che non si avvertivano nei rapporti ufficiali che erano eccellenti, ma che esistevano nel fatto, nonostante i legami di alleanza che univano i due Governi.

La linea di condotta che il Governo imperiale e reale seguiva verso l 'Italia ed in Oriente era però tale da non giustificare alcun sospetto.

Esso desiderava sinceramente d'intrattenere i più amichevoli rapporti col R. Governo ed era assurdo il supporre che meditasse una guerra contro di noi. Gli annamenti che andava facendo in seguito ai crediti straordinari militari votati dalle Delegazioni dell'Impero, non avevano che uno scopo puramente difensivo, né avevano d'altra parte fondamento i piani d'espansione che gli si attribuivano nei Balcani, l'AustriaUngheria essendo interessata a mantenere e rassodare lo stato presente di cose nella penisola c decisa ad opporsi ad ogni mutamento di cui avrebbe potuto risentire le conseguenze più di qualsiasi altra potenza per la vicinanza dei suoi confini alla Macedonia.

Quanto all'Albania il Governo imperiale e reale era fermamente risoluto ad attenersi agli obblighi assunti colla nota intesa, né era sua intenzione di occupare quella regione, ma non avrebbe mai ammesso che, da parte nostra, si iniziasse una politica in opposizione a quegli obblighi stessi.

Queste disposizioni del Governo imperiale e reale, erano conformi alle dichiarazioni fatte ripetutamente in forma pubblica ed ufficiale dal conte Goluchowski, e chi conosceva la lealtà del suo animo, non poteva dubitare che vi sarebbe venuto meno. Non comprendeva perciò come avessero potuto nascere e prendere radice le supposizioni che in senso contrario si propagavano in Italia, le quali dimostravano come non si fosse da noi istruiti sulle vere intenzioni del Governo imperiale e reale, e sulle condizioni speciali della Monarchia. Ma come volete, egli esclamò, che l'AustriaUngheria possa pensare, nel momento attuale, ad accingersi ad un'operazione militare qualsiasi verso la frontiera italiana o verso quella orientale e a quale scopo poi dovrebbe intraprenderla: non vedete in quale situazione si trova all'interno!

Gli sembrava però necessario che siffatti sospetti si dileguassero; non scorgeva però che il R. Governo si fosse studiato a raggiungere praticamente l'intento. Dichiarazioni esplicite avrebbero dovute essere fatte dal R. Governo al Parlamento, ove l'occasione si presentasse, per eliminare nella opinione pubblica gli erronei apprezzamenti che si facevano in proposito. Riconosceva che l'on. Tittoni si era adoperato più d'ogni altro in tale senso fin da quando aveva assunto il potere; qui però si avrebbe desiderato che le varie dichiarazioni ch'era stato in grado di fare alla Camera fossero state ancor più esaurienti per non lasciare dubbio alcuno sulla politica dell'AustriaUngheria e sulle sue disposizioni a nostro riguardo.

Egli concluse col dirmi che come antico mio amico ed amico sincero d'Italia aveva creduto parlarmi colla maggiore franchezza, manifestandomi alcune sue idee del tutto personali perché era suo vivo desiderio che i rapporti reciproci, che non gli sembrava fossero tali quali erano richiesti dall'alleanza, potessero riposare sopra una schietta amicizia.

Ringraziai il mio interlocutore dei suoi sentimenti amichevoli a nostro riguardo e rilevai innanzi tutto che io non potevo non essere sorpreso di quanto avevami fatto conoscere circa la condotta che avrebbe tenuto l'Italia nella Conferenza di Algeciras.

Lo scopo del R. Governo nel parteciparvi era inteso a servire di intermediario imparziale fra la sua antica alleata e la sua amica la Francia, al fine di risolvere in modo amichevole e soddisfacente per entrambe le divergenze che avrebbero potuto dividerle. E siccome questo scopo rispondeva agli interessi della nostra politica ero convinto che a tal senso fossero impresse le istruzioni impartite al marchese Visconti Venosta, l'abilità, e l'esperienza del quale erano troppo note per supporre che avesse deviato dalla linea di condotta in esse tracciatagli onde doveva supporre che la informazione riferitami al riguardo fosse l'effetto di qualche equivoco.

Non poteva poi convenire con esso rispetto all'azione che in opposizione a quella dell'Austria-Ungheria sarebbe da noi esercitata nei Balcani. L'Italia mirava innanzitutto al mantenimento dello status qua al pari del Governo imperiale e reale, che aveva sempre coadiuvato volonterosa per contribuire con esso all'esito favorevole di tutti quei provvedimenti intesi a tal fine, né mi risultava che i rr. agenti avessero agito contrariamente alla linea di condotta del R. Governo.

Questo del resto aveva piena fede nei propositi del Governo imperiale e reale, affermati nelle dichiarazioni del conte Goluchowski, della cui lealtà non dubitava affatto. Se circa quei propositi si manifestavano sospetti in certa stampa italiana non era da attribuirvi importanza maggiore di quella che da noi si dava agli articoli che contro l'Italia si pubblicavano da alcuni giornali austro-ungarici, giacché essi non avevano alcuna influenza sulle disposizioni del R. Governo che cercava anzi di eliminarli e di chiarire qualsiasi equivoco che potesse sorgere, per procedere d'accordo col Governo imperiale e reale, in tutte le questioni balcaniche, siccome lo attestavano le ripetute ed esplicite dichiarazioni fatte in proposito dali' on. Tittoni al Parlamento.

Quanto all'Albania credevo superfluo rilevare come da noi non si potesse avere intorno a tale questione idee differenti da quelle che si riassumevano ne li 'intesa, alle cui stipulazioni il R. Governo era intenzionato di attenersi ed alle quali non dubitavo si sarebbe parimenti uniformato il Governo imperiale e reale. Se noi non avevamo alcuna velleità di occupare l'Albania avevamo però il diritto di pretendere che questa non fosse occupata dall'Austria-Ungheria.

Non era la prima volta che udivo parlare dei sentimenti poco favorevoli delle nostre popolazioni verso l'Austria-Ungheria, ma ero meravigliato di sentir! o ripetere da una persona così autorevole. Siccome avevo già fatto rilevare a più riprese a coloro che me ne avevano intrattenuto, era un grave errore l'attribuire troppo peso alle rare enunciazioni irredentistc che avvenivano da noi, a cui erano estranei la generalità della popolazione e gli uomini politici dirigenti, caldi fautori di una sincera amicizia coll'Austria-Ungheria e le quali erano ora combattute dallo stesso partito socialista che prima vi partecipava. Esse del resto rimanevano da noi inosservate al pari degli articoli che, contro l'Austria-Ungheria, si pubblicavano da una certa stampa.

Circa gli armamenti militari che si facevano in Italia, essi non erano rivolti contro l'Austria-Ungheria, ma richiesti dalla necessità di provvedere alla riorganizzazione ed al rifornimento del nostro esercito che, trascurato da più anni, non trovavasi più nel caso di rispondere ai bisogni della difesa nazionale. Tali armamenti però non avevano assunto quella dimensione che dal Governo imperiale e reale era stata data ai propri annamenti, i quali, date le eccellenti condizioni dell'esercito austro-ungarico, avrebbero potuto far nascere a buon diritto il sospetto che fossero diretti non già alla difesa della Monarchia, bensì ad operazioni militari al di là dei suoi confini.

Rispetto alle false voci divulgate in occasione dell'invio di cannoni dall'Italia al Montenegro, le esaurienti spiegazioni date in proposito, in via ufficiosa ed amichevole, dal R. Governo al conte di Liitzow non potevano lasciar dubbio alcuno, per ciò che ci riguardava. Ma l'insistere su quell'invio ed il mostrare ingiusti sospetti contro di noi non mi sembrava potesse giovare ai rapporti reciproci.

Ero dolente che le diffidenze che esistevano n eli' opinione pubblica e nello stesso Governo imperiale e reale a nostro riguardo non si fossero ancora dileguate nonostante gli sforzi fatti dal R. Governo da me coadiuvati colla maggiore premura possibile, per attestargli la sincerità dci propri propositi e le amichevole sue disposizioni. Ma mi auguravo però di essere riuscito a convincerlo personalmente come gli erronei apprezzamenti che si facevano sul conto nostro non avessero alcun fondamento e come fosse nostro vivo desiderio di rendere più intimi i reciproci rapporti, facendoli riposare sopra una fiduciosa amicizia.

Le cose dettemi dal personaggio suddetto vengono a confermare pienamente le considerazioni eh'ebbi l'onore di sottoporre ali' E.V. colla mia lettera particolare del 20 marzo scorso.

Nelle varie comunicazioni da me dirette, in via privata (all'on. Tittoni) ed al marchese di San Giuliano non tralasciai mai di accennare alle diffidenze latenti che a nostro riguardo esistono nell'opinione pubblica e nel Governo imperiale e reale, insistendo sulla necessità di dissiparle per ottenere quella fiducia richiesta dai comuni interessi.

Se si pone mente però alle gravi condizioni nelle quali si trovavano le nostre relazioni coll'Austria-Ungheria al momento in cui il Gabinetto Zanardelli lasciò il potere, non si potrà non riconoscere come esse siano andate migliorando mercé l'azione dell'on. Tittoni che si adoperò sempre ad infondere nel Governo imperiale e reale la persuasione delle amichevoli disposizioni del R. Governo.

Tale miglioramento, che si è mantenuto in seguito all'indirizzo identico adottato dall'on. marchese di San Giuliano e dall'E.V. non ha potuto però far dissipare del tutto quelle diffidenze che perdurano tuttora e che sono un retaggio della malaugurata politica de li' o n. Prinetti che ha lasciato qui tracce profonde.

Se questo Governo è in certo modo convinto in parte delle nostre disposizioni e del nostro proposito di procedere d'accordo con lui, perché è in grado di rendersi conto di essi, lo stesso non può dirsi degli uomini politici e specialmente dell'opinione pubblica della Monarchia. Onde a questa conviene rivolgere le nostre cure per eliminare i sospetti che si manifestano.

Uno dei mezzi che potrebbero far conseguire l 'intento consisterebbe, mi sembra, nel promuovere fra le stampe di entrambi i paesi i maggiori possibili rapporti, mediante corrispondenti abili, coscienziosi ed imparziali che, giudicando in modo obbiettivo le cose ed i fatti, si ingegnassero col temperare i linguaggi dei vari giornali e coll'evitare di accogliere notizie fantastiche atte ad inasprire gli animi, ad imprimere all'opinione pubblica una direzione più confacente ai vincoli di alleanza.

Uno studio più ponderato dell'ambiente in cui essi si troverebbero e le loro relazioni colla parte intellettuale del paese li metterebbe nel caso di meglio conoscere le disposizioni delle popolazioni e dei Governi rispettivi. Infatti una delle cause principali delle diffidenze che si nutrono a vicenda è l'ignoranza in cui si è tanto in Austria-Ungheria che in Italia di tale disposizione, la quale falsa i giudizi che si formano e fa deviare l'opinione pubblica dal retto sentiero. Così accade, per esempio, che le pubblicazioni poco favorevoli ali' Austria-Ungheria e le enunciazioni irredentiste che avvengono da noi, le quali, data l 'indole impulsiva delle nostre popolazioni e la piena libertà di pensiero e di azione di cui godono, non sono che l'effetto di emanazioni individuali o ristrette ad un nucleo di persone, vengono considerate qui, ove non vi ha un'eguale libertà, come una manifestazione generale del paese. Ne conseguono quindi quelle leggende strane che circa l'irredentismo si propagano, le quali fanno credere come probabile anche alle persone più serie di questo paese l'eventualità di un movimento nel Regno, che, provocando un'invasione di bande garibaldine sul territorio della Monarchia, possa trascinare il Governo stesso ad un conflitto coll'Austria-Ungheria.

Né meno strane d'altra parte possono essere ritenute le notizie esagerate che vengono facilmente diffuse in Italia, di cui è purtroppo nota l'origine, le quali mantengono l'opinione pubblica in uno stato di continua apprensione, facendo credere alla possibilità di una guerra che sarebbe provocata contro di noi dall'Austria-Ungheria.

Chi è addentro però nella politica del Governo imperiale e reale, nelle condizioni della Monarchia e pur tenendo ben aperti gli occhi per evitare a tempo qualsiasi sorpresa, esamina con la dovuta serenità di giudizio quelle notizie, non potrà non ridurle alla giusta misura: l'Austria-Ungheria, quantunque si appresti con la maggiore attività a porre il suo esercito in grado di far fronte ad ogni evento, non ha affatto l'intenzione, a quanto è dato di giudicare, di provocare un conflitto coll'Italia, né nelle presenti circostanze, né se le nostre relazioni invece di migliorare ritornassero nello stato in cui si trovavano sotto il Gabinetto Zanardelli. Un tale conflitto potrebbe bensì avvenire in futuro se da noi vi si desse appiglio con un contegno aggressivo qualsiasi.

Allo scopo sopraindicato potrebbero contribuire pure utilmente le Camere di commercio ed i vari istituti di credito coll'iniziare e rendere più frequenti i loro rapporti, per collegarli vieppiù nell'interesse dell'incremento degli scambi dei due paesi. Ed un'occasione propizia potrebbe essere ora fornita dall'Esposizione di Milano e dai Congressi che vi si terranno.

Ma all'azione che fosse esercitata in tale direzione potrebbero imprimere un impulso maggiore gli uomini politici dirigenti se si decidessero ad entrare in relazioni dirette tra loro ed a fare la rispettiva conoscenza personale, la quale non potrebbe non riuscire profittevole alla causa comune, perché darebbe loro agio di rendersi un conto più esatto del vero stato delle cose.

Se l'intenzione del R. Governo è tale quale me la rappresento, e nulla m'induce a credere di essere nell'errore, questa mi sembra sia una delle vie da battere per migliorare i nostri reciproci rapporti.

Non sarebbe certo conveniente ai nostri interessi di lasciare perdurare lo stato di cose presente che non dà luogo per ora ad apprensioni, ma che potrebbe produrre coll'andare del tempo serie conseguenze se n eli' opinione pubblica italiana pigliasse piede e si generalizzasse la corrente che si constata contraria ali' Austria-Ungheria ed all'alleanza, la quale, è ovvio il dirlo, se non fosse un fatto compiuto, dovrebbe essere stipulata, perché permette di risolvere amichevolmente i continui incidenti che sorgono, i quali prenderebbero ben altra piega se essa non esistesse.

A discarico della mia responsabilità ed a complemento di quanto feci conoscere ali' E. V. colla mia lettera particolare del 20 marzo scorso, ho creduto mio debito di riferirle, in via confidenziale, le cose dettemi dal personaggio suddetto accompagnandole da alcune considerazioni che spero vorrà accogliere benevolmente.

638 1 Non pubblicati.

639 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto; privo dell'indicazione della data di arrivo.

640

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 838. Roma, 5 aprile 1906, ore 18,30.

Vedo che perdura in una parte della stampa tedesca un linguaggio malevolo verso l'Italia e sembra che il malumore persista anche in taluna sfera ufficiale. Desidererei che V.E. mi facesse conoscere il suo pensiero circa il movente, l'importanza ed eventualmente anche lo scopo di un simile atteggiamento a nostro riguardo, suggerendomi, altresì, se e quale potrebbe esserne, da parte nostra, l'opportuno correttivo 1•

641

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 407/111. Londra, 5 aprile 1906 (perv. i/12).

Ho l'onore di riferirmi al mio telegramma di ieri n. 301 . Già il mio predecessore, in esecuzione delle istruzioni contenute nel telegramma di V.E. in data 23 marzo n. 7152 , aveva fatto manifestare al generale Swayne il desiderio di vederlo durante il soggiorno di lui a Londra. Egli difatti non mancò di mettersi in rapporto colla r. ambasciata non appena fu qui giunto, e ieri ebbi con lui un lungo e cordiale colloquio.

Dopo aver lodato in genere l'attività ed il coraggio del Pestalozza, il generale Swayne mi disse che l 'Inghilterra, per evitare conflitti con gli abissini, si era astenuta dall'armare le tribù del confine, ma che ciò non era servito a raggiungere lo scopo prefisso, perché gli abissini avevano ugualmente attaccato quelle popolazioni inermi. Ora per evitare simili pericolosi contatti, si faranno retrocedere quelle tribù allontanandole sempre più dal confine.

Circa al commercio delle armi il mio interlocutore riconobbe esser vero che molte ne entrano in Somalia dall'Abissinia per la via di Gibuti. La Società coloniale francese fa in grande tale speculazione e non teme, in grazia delle forti influenze che gode a Parigi, l'azione contraria che il governatore di Gibuti potrebbe esercitare contro di essa. Parte delle armi va in Arabia, spesso per Gibuti, e di là in Somalia per

2 Con il quale Guicciardini aveva dato le seguenti istruzioni: «Sarebbe utile che V.E. vedesse Swayne per uno scambio di idee sulla situazione in Somalia e che poi tenesse parola al Foreign Office della necessità che gli agenti italiani ed inglesi in Somalia si tengano in continua amichevole intesa».

mezzo di sambuchi che facilmente si sottraggono alla vigilanza in modo che non vi è da farsi illusioni che col tempo tutte le tribù del Benadir e della Somalia non debbano esser armate di fucili.

Quando ciò si sarà avverato l 'unico mezzo di dominazione e di difesa che resterà all'Inghilterra, e specialmente all'Italia, sarà la rivalità fra le varie tribù, a meno che si vogliano intraprendere costose spedizioni militari, cui tende costantemente l'elemento militare di terra e di mare e che giustamente il generale Swayne vorrebbe evitare a qualunque costo. A tal proposito egli soggiunse che la cooperazione dell'Italia fu preziosa per ottenere la pace col Mullah e troncare così le velleità dei militari inglesi in Somalia i quali avrebbero desiderato di procedere oltre. Ora il Mullah sembra desiderare sinceramente la pace e tutta la Somalia inglese è tranquilla in seguito al pieno successo ottenuto dalla politica inglese di non permettere a nessun capo di acquistare soverchia importanza. Ma per l'Italia (concluse lo Swayne) che ha da fare coi sultani di Obbia e dei Migiurtini, la pacificazione del paese presenta molte maggiori difficoltà. Ad ogni modo egli augura alla nostra politica coloniale ogni migliore esito e confida che il suo successore, M. Cordeaux, s'intenderà perfettamente col Pestalozza.

Il generale Swayne parte prossimamente per assumere il posto di governatore n eli 'Honduras.

Ricevo in questo momento il dispaccio di V.E. del 2 corrente (n. 115 ufficio coloniale)3 ed assicuro che non mancherò di far presenti al Foreign Office le considerazioni in esso contenute.

640 1 Per la risposta vedi D. 646.

641 1 Tittoni con T. 910/30 comunicava di aver conferito con Swayne il quale aveva raccomandato a Cordeaux di mantenere buoni rapporti con Pestalozza.

642

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA

T. 841 1• Roma, 6 aprile 1906, ore 12,30.

Ricevuto telegramma 29 marzo 32 circa delimitazione anglo-etiopica2 .

L'ho comunicato a Londra. A questo proposito non posso che riferirmi, in linea generale, alle proposte dei delegati italiani e britannici del dicembre 1903 3 , alle istruzioni contenute specialmente nel telegramma 8 ottobre 19054• In conformità a quanto è stato stabilito nella intesa derivante da scambio di note italo-britannico 29 gennaio9 febbraio 1903 5 , R. Governo deve avere da Governo britannico esatta previa comu

642 1 Trasmesso via Asmara.

In realtà del 27 marzo, con il quale Ciccodicola informava che l'accordo per la frontiera meridionale dell'Etiopia fra Menelik ed Harrington era in via di conclusione.

3 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

4 Vedi D. 302.

5 Vedi serie terza, vol. VII, DD. 321 e 336.

nicazione del progetto di accordo anglo-etiopico per frontiera, affinché possano da noi essere contemporaneamente concretate opportune guarentigie con Inghilterra verso territorio britannico e con Menelik verso territorio etiopico, in modo che delimitazione anglo-etiopica non si compia a nostro danno in relazione questione Lugh. Ho telegrafato in questo senso a Londra affinché Harrington abbia istruzioni di mettersi d'accordo con lei per trattare la questione delle vie carovaniere e delle relazioni commerciali verso il Giuba e di appoggiare la S.V. per Lugh. Desidero, a questo proposito, conoscere se ella crede giunto il momento di trattare con Menelik sulla base della soluzione da noi suggerita nel dispaccio del 28 ottobre 1905 n. 26266 .

641 1 Vedi D. 636.

643

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. RISERVATO 842. Roma, 6 aprile !906, ore 16,15.

Ciccodicola telegrafa:

«Notifico d'urgenza a V.E. che accordo per frontiera sud-etiopica, fra Menelik e Harrington è, in via di massima, già concluso. Harrington mi dice che la linea di frontiera concordata è quella notificata già a codesto Ministero alla Conferenza di Roma col comm. Agnesa».

Prego V. E. tener presenti a questo proposito seguenti documenti: l) proposte delegati italiani e britannici 19 dicembre 1903; 2) dispaccio a Ciccodicola 28 ottobre 1903 nei documenti diplomatici serie XCIV n. 294.

Affinché la delimitazione anglo-etiopica non si compia a nostro danno, è necessario che Italia verso territorio etiopico e verso territorio britannico abbia guarentigie domandate nella Conferenza di Roma del 1903 e nelle istruzioni a Ciccodicola dello stesso anno, e che dovranno essere concretate in un accordo con Inghilterra di indole commerciale, e in un accordo con Menelik per regolare la questione di Lugh. Desideriamo pertanto, in base alla intesa stabilita nello scambio di note itala-britannico del 29 gennaio-9 febbraio I 903 2 , avere: l) esatta previa conoscenza del progetto d'accordo tra Inghilterra e Etiopia che sarebbe stato in massima concordato, e di cui da codesto Governo non ci è stata data finora alcuna notizia; 2) la assicurazione che sarà proceduto tra Inghilterra e Italia ad una intesa speciale relativa alle vie carovaniere e alle stazioni commerciali, c che il rappresentante britannico a Addis Abeba abbia istruzioni di trattare questo argomento con Ciccodicola e appoggiare presso Menelik la nostra azione per risolvere la questione di Lugh. Prego la E.V. di fare, nel modo che crederà più opportuno, precisa comunicazione a codesto Governo di quanto precede, mentre io telegrafo analogamente a Ciccodicola.

2 Vedi serie terza, vol. VII, DD. 321 e 336.

642 6 Non pubblicato. Per la risposta vedi D. 653.

643 1 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 84.

644

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. RISERVATO 843. Roma, 6 aprile 1906 ore 17, l 5.

Faccio seguito al mio telegramma n. 714 circa ferrovia etiopica 1•

Chiesi riservatamente a Ciccodicola quali sarebbero state, a suo avviso le conseguenze nel caso che non si fosse giunti ad un accordo per la ferrovia, e se, in questa eventualità, fosse possibile che Menelik facesse proseguire ferrovia per conto suo ·e con suoi denari o con fondi Banco Etiopia fomiti alla Compagnia francese.

Ciccodicola mi risponde quanto segue2: «Per ora coupons ferrovia Gibuti sono pagati da Ochs che tratta con la Banca di Etiopia per interessarla. Menelik coi suoi mezzi non può proseguire lavori e, volendolo, dovrebbe ricorrere a prestito banca, oppure altri. Non intervenendo accordo, resteremo isolati perché Francia ed Inghilterra sembra abbiano tutte le possibilità e buon volere di intendersi senza di noi. Difatti Inghilterra può disinteressarsi ferrovia Gibuti, perché oggi con ogni espediente cerca attrarre tutti questi traffici al Nilo, mentre Francia contentasi padronanza commerciale fra Addis Abeba [sic] rinunziando Etiopia-nilotica. In questo momento Chcfneux per incoraggiare azionisti, fa eseguire da indigeni fomiti da Menelik una linea ferroviaria da qui verso Auasch. Sono stati fatti pochi chilometri e Menelik ha inaugurato lavori».

645

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. RISERVATO 844. Roma, 6 aprile 1906, ore 14,15.

Tenuto conto del parere di V.E. e di Ciccodicola e dei gravi interessi che consigliano il Governo, autorizzo viaggio Addis Abeba con ritorno per Gibuti, qualora si verifichino le condizioni indicate nel suo telegramma 62 2 , e cioè espressione rammarico Menelik per mancato convegno e ripetizione invio. Qualora siffatte condizioni si verifichino, prego V.E. informarmene subito.

2 T. 35 del l o aprile trasmesso via Asmara il 2 (T. 893). 645 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 282. 2 T. 928/62 del 5 aprile, non pubblicato.

644 1 Del 22 marzo, non pubblicato, ma vedi DD. 602 e 612.

646

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 937/87. Berlino, 6 aprile 1906, ore 17,24 (perv. ore 21).

Rispondo al suo telegramma n. 83 81•

Il linguaggio della stampa tedesca a nostro riguardo, rispecchia fedelmente la pubblica opinione ed una situazione che, come ella ha rilevato dai miei rapporti, è senza dubbio grave. La condizione di cose presente rispetto a noi è in diretta ed immediata relazione con la linea di condotta da noi seguita nella questione del Marocco ed in ispecie nella riunione di Algeciras. Noi ci siamo sforzati a fare tra i due contendenti la parte del mediatore, mentre della sola nostra mediazione da qui non eravamo richiesti. Il paragone della nostra attitudine con quella dell'Austria ha attirato maggiormente su noi la diffidente attenzione di tutti; e così è venuto naturale il sospetto che tra l'Italia e la Francia esistessero impegni segreti i quali abbiano portata ben più lunga di quella da noi già confessata. Ho detto più su che la situazione qui a nostro riguardo è grave, ed ora lo ripeto, aggiungendo che siffatta situazione risulta dalle impressioni, dai giudizi, dalle diffidenze che si riscontrano nel pubblico, nel Governo e presso lo stesso Imperatore; né sono isolate le manifestazioni della stampa; perché ora si sono aggiunte ad essa le manifestazioni della tribuna parlamentare delle quali rendo conto con altro telegramma2 . E per esser veritiero debbo anche dire che quello che viene a giorno è a tinta meno carica di quanto si pensa perché qui si tiene a non dare soddisfazione alle affermazioni francesi che, cioè, la Triplice Alleanza ha la sua tomba in Algeciras. Correttivo da parte nostra, se teniamo al mantenimento efficace ed al ristabilimento del prestigio della Triplice Alleanza, non può sperarsi che nell'opera del tempo la quale secondata abilmente dall'opera del Governo risani non solo le ferite, ma faccia anche, possibilmente, sparire le cicatrici. Una nostra iniziativa diretta a scagionare la politica italiana da quell'impeto di malanimo e di diffidenza che ora l 'avvolge, sarebbe al di sotto di ogni sentimento di dignità nazionale. Noi dobbiamo però preoccuparci di usare nei nostri rapporti con la Francia tutti quei riguardi che ci sono imposti imprescindibilmente dai nostri legami con la Germania. Amici della Francia sì, ma non con quella intimità con la quale non ci riuscisse a conciliare coi nostri obblighi di alleati, se tali vogliamo rimanere.

Fatti del genere di quello che ora accade a Milano circa l'invito alla esposizione diretto a Barrère senza uguale cortesia agli ambasciatori di Germania e di AustriaUngheria, producono qui pessima impressione. V.E. vorrà perdonare se io scendo in questi particolari che qui già sono oggetto dei malevoli commenti della stampa e che sorpresero sgradevolmente anche questi circoli governativi.

2 T. 940/89, pari data non pubblicato.

Di quanto forma oggetto di questo telegramma io mi riservavo e mi riservo di intrattenerla a Roma in occasione del congedo che ho già richiesto con rapporto, al quale, dalla cortesia di V. E., attendo risposta3•

646 1 Vedi D. 640.

647

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 936/415. Parigi, 6 aprile 1906 (perv. l'li).

Ho riferito con altro mio rapporto d'oggi' circa la soddisfazione che questo ministro degli affari esteri dimostra per l'esito finale dei lavori della Conferenza di Algeciras. La grande maggioranza dei francesi concorda indubbiamente in questo sentimento con il suo Governo. Ne sono inspirati i principali e più autorevoli giornali di questo paese. Da tutte le parti risuona la nota identica che le concessioni reciproche attestano l'interesse comune della Francia e della Germania a mantenersi in relazioni amichevoli, che le due potenze sortono dalla Conferenza senza aver subito disfatte, che esse possono ormai attendere con sicurezza ai loro propri affari.

È certo che l'accoglienza fatta dalla pubblica opinione in Francia all'opera della Conferenza è determinata principalmente dal bisogno qui sentito che nei rapporti con la Germania cessasse lo stato di tensione che teneva paralizzati ingenti interessi economici e finanziari. Fu, a questo riguardo, con un senso di sollievo che la conseguita conciliazione degli interessi in presenza ad Algeciras, fu universalmente accolta in Francia. Il conseguimento di questo effetto indiretto sembra perfino aver impedito che, nel primo momento, si esaminassero pacatamente il merito intrinseco e il valore pratico delle eseguite transazioni. Più legittima apparisce la soddisfazione per la conferma che ebbero, durante la Conferenza, l'alleanza con la Russia e le amicizie con l'Italia, con l'Inghilterra e con la Spagna. Ne risulta manifestamente consolidata la posizione politica della Francia.

È cosa singolare che, sebbene l'Austria-Ungheria abbia presentato alla Conferenza le decisive concessioni della Germania, senza le quali l'accordo generale sarebbe rimasto impossibile nessuno in Francia sembra disposto ad attribuire al Gabinetto di Vienna una parte eminente del merito della compiutasi opera di conciliazione. L'opinione pubblica francese resta anzi convinta che l'Impero austro-ungarico è rimasto solo a muoversi strettamente nell'orbita del suo alleato, l'Impero tedesco.

Per quanto riguarda l'impressione prodottasi in Francia, l'Italia sorte invece dalla Conferenza in condizioni favorevolissime. Se queste perdureranno, ne avremo vantaggio per condurre a buon fine le diverse trattative che abbiamo dovuto finora

647 1 R. riservato 934/413, non pubblicato.

aggiornare ma che toccano ad interessi importanti ai quali importa ormai provvedere. Non gioverebbe il dissimularci la fragilità del favore che l'atteggiamento nostro ad Algeciras ci ha procurato in questo paese. Una mossa nostra, fatta in altro senso, basterebbe forse a distruggerlo. Esso non si appoggia infatti a reali, evidenti servigi resi alla causa della Francia al Marocco: ma fu ottenuto sovra tutto confermando l'opinione che già qui si avea, che il vincolo dell'alleanza con la Germania non impedisce all'Italia di unirsi alla Francia nelle questioni d'interesse comune. L'autorità personale e la riconosciuta competenza del marchese Visconti Venosta contribuirono efficacemente a conseguire tale effetto e conviene pure riconoscere che l'azione esercitata in conformità delle istruzioni del R. Governo dal suo rappresentante in Parigi fu ognora accolta con deferenza amichevole dai ministri della Repubblica.

Alla prova di una prolungata discussione di questioni che mettevano in giuoco interessi diversi, ai quali l'Inghilterra era stata altre volte più sensibile, non si è mai smentita l'intimità dell'amicizia inglese per la Francia. Il rinnovamento di essa ne sorte singolarmente consolidato. Ciò che sarà per derivare nei rapporti fra la Francia e la Spagna dalla loro associazione determinata dal riconoscimento di avere entrambi particolari interessi da tutelare al Marocco, nessuno qui ricerca in questo momento. L'ora delle note dissonanti non è ancora giunta. Verrà forse il giorno in cui converrà si esamini se sia stato savio il concetto di creare al Marocco un nuovo Impero Ottomano, sul quale la tutela dell'Europa e degli Stati Uniti americani si esercita non sovra la base che esclude l'esistenza di separati preponderanti interessi, ma sovra quella invece del riconoscimento degli interessi che ciascuno degli Stati tutori dell'indipendenza marocchina accampa. Si troverà probabilmente allora che assai male si accordano con la proclamazione dell'indipendenza della sovranità del Marocco le minute disposizioni adottate dalla Conferenza per limitare l'esercizio della potestà sovrana del Sultano attribuendo al Corpo diplomatico a Tangeri attribuzioni che sembrano sconvolgere tutto il sistema riconosciuto sul quale si fondava la limitazione dell'azione legittima della diplomazia presso gli Stati indipendenti. L'avvenire dirà forse anche se da tutto ciò non saranno alterate troppo profondamente le basi della responsabilità che è precipuo attributo e necessaria condizione dell'indipendenza sovrana e se gl'interessi internazionali che si vollero guarentire, non ne riceveranno invece detrimento.

Chi presentemente si accingesse alla ricerca del come si risolveranno i problemi creati dal nuovo stato di cose creato ad Algeciras, sembrerebbe voglioso di stridenti dissonanze nell'universale concerto dell'ottimismo che si afferma da tutte le parti. Sarei io pure inclinato a credere che nulla di fattizio esiste nel soddisfacente movimento di opinione prodottosi in questi giorni in Francia, se, secondo l'aspettazione, la conclusione favorevole dei lavori della Conferenza non avesse segnata l'ora della ripresa della opera colossale della ricostituzione finanziaria e materiale della potenza russa. Vi occorrono due miliardi e mezzo e mentre fin qui si parlava di prestiti successivi che la finanza imperiale avrebbe fatti all'estero e principalmente in Francia, ora si prepara invece una sola operazione per riunire tutta l'ingente somma. Ciò richiede il concorso del capitale mondiale ed il riunirlo esige che nelle previsioni comuni sia esclusa qualunque causa prossima di nuovi turbamenti nelle relazioni internazionali. È nell'ordine naturale delle cose che l'alta banca francese spieghi la potente sua influenza per formare un ambiente favorevole alla riuscita di una opera

zione sotto ogni rispetto importantissima per tutti i paesi, ma principalmente per la Francia tanto dal punto di vista politico, quanto da quello economico e finanziario. Né chi crede che i vincoli nascenti fra gli Stati dalla comunanza d'interessi costituita dalle grandi operazioni finanziarie, sono destinati ad esercitare una decisiva influenza pacifica, potrebbe vedere altrimenti che con inquietudine fallire il progetto del colossale prestito al quale parteciperebbero, con la Francia, tutti gli Stati, una partecipazione importante essendo assegnata anche all'Italia. Se il progetto dovesse essere abbandonato si avrebbe un grave sintomo che indurrebbe a ritenere che il movimento d'opinione prodotto dalla conclusione dei lavori della Conferenza è superficiale e non abbastanza solido per far progredire la desiderabile solidarietà degli interessi la quale assicura la stabilità della pace internazionale.

646 1 Per la risposta vedi D. 648.

648

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. 861. Roma, 7 aprile 1906, ore 20.

Ringrazio per il telegramma n. 87 1•

È un argomento importante di cui dovremo discorrere quando V.E. sarà in breve qui presente. Intanto mi preme di rettificare quello che costì si è creduto circa l 'invito fatto al solo ambasciatore di Francia, mentre fu invece un semplice preavviso verbale dell'invito che si sarebbe poi rivolto a tutti i capi missione; preavviso che il Comitato dell'Esposizione portò all'ambasciatore Barrère supponendo erroneamente che egli fosse il decano del Corpo diplomatico. Il Comitato si è indi scusato col decano ambasciatore di Turchia ripetendogli il preavviso con lettera di cui Rescid si dichiarò inteso e soddisfatto. Gli inviti diretti ai singoli capi di missione dal Comitato saranno ora mandati ai destinatari per il tramite di questo Ministero.

648 1 Vedi D. 646.

649

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. CONFIDENZIALE 862. Roma, 7 aprile 1906, ore 20.

Dal r. ministro in Belgrado ricevo il seguente telegramma 1:

«Questo ministro degli affari esteri mi ha detto che sarebbe disposto a mettere a riposo i cinque capi principali cospirazione militare ed allontanarne altri due, qualora fosse certo che ciò basterebbe al Governo inglese per la ripresa delle relazioni diplomatiche. Aggiunse che non potendo avere questa assicurazione direttamente dal Governo inglese, gli basterebbe attenerla indirettamente per mezzo di un Governo amico. Pregava perciò me, come ministri di Francia e di Russia di interessare i rispettivi Governi in questo senso. Detti ministri hanno già scritto. Questione deve risolversi prima dell'apertura della Skuptcina il23 corrente».

V.E. conosce le precedenti nostre pratiche officiose circa questo delicato argomento e ne ricorda l'esito negativo. Ella vedrà ora interrogando anche cautamente i colleghi di Francia e di Russia, se nuovi ufficì si possano tentare, se non con probabilità di successo, quanto meno senza urtare le suscettibilità di codesto Governo.

650

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 952-953/79-80. Algeciras, 7 aprile 1906, part. ore 0,40 del/'8 (perv. ore 6,45).

[79] White mi ha letto un telegramma del suo Governo nel quale sono esposte le ragioni per le quali esso crede poco conveniente la data del luglio per la riunione della Conferenza d eli' Aja. White è incaricato di adoperarsi perché Governo italiano si accordi col Governo degli Stati Uniti nel considerare data luglio troppo vicina per il necessario studio delle questioni ed opportuno differirla alquanto. Ambasciatore degli Stati Uniti che sarà mercoledì [l' 11] a Roma verrà egli stesso a parlarne. Frattanto mi ha chiesto avvertirne V.E.

[80] Oggi ultima seduta per la firma del protocollo. Pregato dai miei colleghi, pronunziai discorso d'uso. Ringraziai presidente, il quale risposemi con parole personalmente assai gentili. Finita la mia missione, ringrazio V.E. della fiducia dimostratami e delle espressioni che ha voluto rivolgermi nel telegramma 3 aprile 1• Parto domani per via di terra alla volta di Roma, facendomi accompagnare da Sforza.

650 1 In realtà del 2 aprile. Vedi D. 632.

649 1 T. 936/14 del 6 aprile.

651

L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BARRÈRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. Roma, 8 aprile 1906.

Je viens de recevoir de M. Léon Bourgeois un télégramme relatif à la clòture des travaux de la Conférence d' Algésiras. Il m'est particulièrement agréable de piacer sous !es yeux de V.E. le texte meme de cette communication de mon Gouvemement1•

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, BOURGEOIS, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BARRÈRE

Au moment où le travail de la Conférence se termine je vous prie d'exprimer nos remerciements au Gouvemement italien pour l'appui que nous a prèté sa diplomatie et qui a si heureusement contribué à l'entente définitive, en affirmant la solidarité des intérèts de la France et de l'Italie dans !es questions méditerranéennes.

652

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 977/33. Londra, 10 aprile 1906, ore 20,50.

Oggi ho presentata copia mie lettere credenziali ministro degli affari esteri. Dopo cordiale conversazione, constatante eccellenti rapporti anglo-italiani e reciproco desiderio renderli sempre più intimi, gli ho consegnato nota verbale circa trattative per confine anglo-etiopico ed egli si è riservato esaminarla. Quindi gli ho parlato convenzione anglo-italiana-francese per Abissinia, delineando sinteticamente modificazioni da noi desiderate. Egli ha detto riconoscere valore ragioni da me esposte, ha ammesso che, evitando parte riguardante eventuale smembramento Etiopia, non si sarebbe allarmato Menelik; e, quanto a ferrovie, ha detto che egli volentieri pattuirà parità trattamento per merci di tutte le nazioni. Però, mi ha pregato di ritenere queste sue opinioni come confidenziali e non impegnative, volendo sentire prima che cosa dirà Francia. E poiché Cambon è partito e torna dopo il 20, ministro degli affari esteri

che si assenta anche lui per Pasqua, ha preso appuntamento con me per il 25 per discorrere circa convenzione ed altre pendenze coloniali. Dopo ho veduto sottosegretario di Stato per gli affari esteri Fitzmaurice e l 'ho ringraziato per parole pronunziate per Visconti Venosta.

651 1 Guicciardini rispose il 12 aprile (L. 2006/146): «Je remercie VE. de m'avoir communiqué le télégramme que S.E. M. Bourgeois lui a adressé à l'occasion de la clòture de la Conférencc d'Algeciras. L'Italie a excrcé dans la Conférence, un ròle de conciliation qui n'a pas été sans efficacité. Elle est heureusc d'apprcndre que la France nous sait gré de notre reuvre désintéressée et impartialc, qui a contribué, nous cn avons la conviction, à l 'entente définitivc».

653

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1017/40. Addis Abeba, Il aprile 19061•

Credo sia giunto il momento di trattare la questione di Lugh, ora che Menelik cede alle richieste inglesi per confini sud. Per iniziare trattative con conoscenza dei concreti intendimenti del Governo nel senso cioè di ottenere che determinate regioni e popolazioni neutre non siano né occupate, né razziate (dispaccio 8 ottobre 1903)2 , prego V.E. di farmi conoscere quali popolazioni e regioni dovrebbero costituire zona neutra, indicandomi punti noti per determinarli a Menelik su carte da noi possedute3 .

654

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

T. CONFIDENZIALE 907. Roma, 12 aprile 1906, ore 20.

Da quasi tutti i Governi ci giungono, per il disastro di Napoli, manifestazioni di simpatia e di condoglianza. Temo che possa essere notato il silenzio di codesto Governo. Non è certamente il caso di sollecitare. Però V.E. accennando alle manifestazioni che già ci sono venute, ha modo indiretto di fare costì sorgere spontaneo il pensiero di analoga manifestazione 1 .

653 1 Trasmesso da Asmara dal governatore Martini il 13 aprile. 2 Non pubblicato. 3 La risposta non è stata rinvenuta.

654 1 Per la risposta vedi D. 658.

655

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 4501121. Londra, 12 aprile 1906 (perv. i/16).

Ho l'onore di riferirmi al telegramma di V.E. in data 7 aprile n. 862 1 , e di far seguito al mio di ieri n. 362 .

La questione dei rapporti diplomatici fra la Gran Bretagna e la Serbia non potrà in nessun modo risolversi prima del 23 corrente giacché S.M. il Re Edoardo VII vi prende diretto interessamento, e quindi il Suo Governo non delibererà nulla in proposito prima del ritorno di Sua Maestà. Al ritardo contribuirà anche l'assenza di questo ambasciatore di Francia, il quale non sarà a Londra prima del 20 aprile. Le dichiarazioni di sir E. Grey fatte ieri alla Camera dei Comuni e che formarono oggetto del mio precitato telegramma, dimostrano chiaramente la difficoltà di addivenire ad una soluzione, perché il Governo serbo non ha mai potuto parlare che della possibilità di rimuovere alcuni degli ufficiali regicidi, e non già tutti, sommando essi a più di cento.

Questa mane ho parlato lungamente della questione col mio collega russo, conte di Benckendorf. Egli mi ha detto di aver ricevuto dal suo Governo istruzioni analoghe a quelle che V.E. mi ha fatto l'onore d'inviarmi; però egli consiglia una gran cautela trattandosi d'argomento scottante e qui poco gradito, e sarebbe d'opinione che io lui e Cambon parlassimo separatamente della cosa a sir E. Grey, come di nostra iniziativa personale e non come d'incarico ricevuto dai nostri Governi. Non crede però il conte di Benckendorf che qui si abbia molta fiducia che il re Pietro voglia e, volendo, possa eliminare veramente i regicidi; che anzi, secondo lui, si teme da questo Governo che essi verrebbero assunti ad uffici più alti di quelli da cui verrebbero rimossi. Il conte Benckendorf divide pienamente tale timore, e mi ha raccontato che, avendo alcune settimane or sono incontrato a Pietroburgo il fratello di re Pietro, ufficiale nello esercito russo, egli gli confessò che al Re riesce impossibile di disfarsi completamente dai regicidi.

Ad ogni modo, tanto a noi che alla Francia ed alla Russia, riuscirà impossibile di garantire alla Serbia quel che farà l'Inghilterra. Questa non vuole patteggiare, né prendere impegni di sorta in precedenza; ma si riserba, dopoché la Serbia avrà fatto riguardo ai regicidi ciò che le sarà parso opportuno, di decidere se quel tanto possa essere sufficiente o no.

L'ambasciatore di Russia è anche d'opinione, per ciò che riguarda il lato politico della questione, che l'accomodamento avvenuto fra il re Francesco Giuseppe e la nazione ungherese renda meno necessario per l 'Inghilterra la presenza di un suo rappresentante a Belgrado.

2 T. 991/36, non pubblicato.

Ad ogni modo appena il re Edoardo VII sarà qui giunto mi riservo di riprendere la questione con questi miei colleghi di Francia e di Russia.

P. S. Unisco il testo della risposta data ieri sera alla Camera dei Comuni da sir Edward Grey al deputato sir G. Parker ed unisco anche un articolo del Times di stamane sull'argomento3 .

Dall'una e dall'altro mi pare rilevare una migliore disposizione delle sfere dirigenti inglesi a considerare la cosa e di ciò cercherò di trarre profitto.

655 1 Vedi D. 649.

656

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 451/122. Londra, 12 aprile 1906 (perv. il 25).

Ho fatto visita a questo ambasciatore di Germania conte Paolo Wolff-Metternich. Egli mi ha ricevuto coll'espansione di gentiluomo correttissimo e cortesissimo, ma per quanto io abbia fatto mi è stato impossibile porre la conversazione sul terreno politico. Mi era già stato detto che mi sarei trovato con un uomo di poche parole e che non ha l'abitudine d'aprire l'animo suo ad alcuno. Soltanto questa sua abitudine è variamente giudicata. Il mio predecessore qui, cav. Pansa, la faceva dipendere dal carattere dell'uomo, mentre l'ambasciatore germanico a Roma, conte Monts, in un colloquio confidenzialissimo ch'ebbi con lui prima della mia partenza, ebbe ad attribuirla a mediocrità intellettuale. A meno che dopo il telegramma dell'imperatore Guglielmo al conte Goluchowski, che la stampa inglese è unanime nell'apprezzare come pubblica manifestazione del malcontento e biasimo imperiale verso l 'Italia, il contegno riservato dell'ambasciatore germanico non debba attribuirsi ad istruzioni venute da Berlino. VE. che sull'argomento avrà avuto certe comunicazioni da S.E. Lanza e colloqui col conte Monts potrà meglio illuminarmi in proposito.

In contrasto assoluto colla riserva dell'ambasciatore germanico fu il contegno tenuto verso di me dall'ambasciatore austro-ungarico conte Mensdorff. Questi mi fece subito menzione della opera mia di ministro degli affari esteri nel migliorare i rapporti italo-austriaci, e notò che il suo paese ed il nostro si trovano d'accordo nel voler conservare l'alleanza colla Germania ed, al tempo stesso, mantenere, salda l'amicizia coll'Inghilterra, la quale è tradizione della politica austriaca non meno che della italiana. Mi dichiarò poi che intendeva proceder meco nella più intima e piena confidenza1•

656 1 Per la risposta vedi D. 688.

655 3 Non pubblicati.

657

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 249/110. Pietroburgo, 12 aprile 1906 (perv. i/18).

Ora che la Conferenza di Algeciras è finalmente riuscita ad appianare l'aspro conflitto sorto tra la Francia e la Germania, e ciò in modo da lasciar sperare che per qualche tempo almeno non sia più turbata la situazione internazionale, non ha la Francia, come me lo assicurava recentemente ancora il sig. Bompard, più alcun serio motivo per esimersi dall'impegno anteriormente assunto di venire in aiuto alla sua alleata nelle presenti sue gravi difficoltà finanziarie. Appare difatti dalle informazioni che ho potuto assumere a fonte autorizzata che sarebbe sul punto di effettuarsi, per cura specialmente delle banche francesi, la contrattazione di un imprestito di due miliardi di franchi a cui concorrerebbero pure, oltre ai francesi, alcuni fra i principali istituti bancarì d'Europa e d'America.

L'operazione non appare tuttavia interamente compiuta, né mi stupirebbe che all'ultimo momento sorgesse qualche difficoltà atta a ritardarne ancora l'effettuazione. Appare difatti assai azzardoso l'investire in questo momento grossi capitali in Russia, prima ancora cioè che sia stata convocata la Duma dell'Impero, la quale sola potrà fornire ali' estero un sicuro pronostico della piega che saranno qui per prendere le cose della rivoluzione. L'attendere quella data sembrerebbe poi ora tanto più opportuno dopo i trionfi elettorali dei partiti d'opposizione di sinistra che lasciano prevedere probabile un serio conflitto fra la Camera in maggioranza liberale ed il Governo, atto a ripiombare il paese in nuove agitazioni. All'alta finanza europea, ove predominano gli elementi israeliti che per le loro aderenze coi correligionarì russi, tutti partigiani delle idee novelle, si manifestano più che altro inclinati ad appoggiare il movimento liberale, non deve sfuggire la considerazione che il concedere in questo momento l'appoggio dci suoi capitali al Governo dei sigg. Witte e Durnovo sarebbe avvantaggiare anzitutto gli interessi del presente regime il quale, più che a sanare la situazione economica e finanziaria del paese potrebbe servirsene a scopo di propria difesa e conservazione. Conscia di un siffatto pericolo questa stampa liberale sta già da qualche tempo intraprendendo una vigorosa campagna per spingere i capitalisti esteri ad astenersi per il momento da qualsiasi prestazione di fondi allo Stato russo. Né credo che l'improvvisa ritirata delle banche tedesche, che si è voluta attribuire esclusivamente ai rancori sollevati in Germania contro la condotta della Russia ad Algeciras, sia stata del tutto estranea a tali considerazioni, che i banchieri tedeschi, per la più esatta conoscenza che hanno delle cose russe, sono meglio di altri capaci di comprendere e valutare. E gli stessi francesi, per quanto mossi dalla loro lealtà politica a non abbandonare l'alleata nelle presenti gravi sue difficoltà, per quanto materialmente interessati a puntellare con ogni mezzo il crollante edificio finanziario russo per non vedere irrimediabilmente perduti i tanti e tanti miliardi già da loro qui investiti, non vi possono pure rimanere indifferenti. Essi devono capire che la soluzione della crisi russa in senso conforme alle legittime rivendicazioni dei liberali, sarebbe indubbiamente a loro favorevole in quanto che ne verrebbe considerevolmente rinforzata la compagine dell'Impero ed in ugual modo rinsaldati i vincoli di alleanza fra i due paesi e che loro convenga quindi astenersi da qualunque atto suscettibile di impedire o ritardare una simile soluzione.

658

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1016/61. Vienna, 13 aprile 1906, ore 18,50.

Risposta al telegramma n. 907 1•

In un colloquio privato avuto ieri mattina col sig. de Mérey, egli avendomi informato dell'intenzione del conte Goluchowski di far pervenire al R. Governo sentimenti di viva simpatia e condoglianza del Governo imperiale e reale per il disastro di Napoli, io profittai della occasione per fargli conoscere che essi sarebbero stati accolti dal R. Governo e dalla opinione pubblica italiana con tanta maggiore soddisfazione per quanto più prontamente verrebbero manifestati. Oggi poi il sig. de Mérey mi ha comunicato che il conte Goluchowski aveva dato seguito al suo proposito col telegrafare nel pomeriggio di ieri al conte Uitzow incaricandolo rendersi interprete di quei sentimenti presso il R. Governo.

659

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. PERSONALE. Vienna, 13 aprile 1906.

Il sig. de Mérey mi disse ieri in via confidenziale che dai rapporti pervenuti al comandante della Sezione della Marina presso questo Ministero comune della guerra dalle Autorità imperiali e reali marittime risultava che il r. trasporto «Ciclope» incaricato dal R. Governo di recarsi nello scorso febbraio da Venezia a Fiume per ritirarvi dei siluri già pronti per la consegna, era passato nel suo viaggio presso Pola rallentando nelle sue vicinanze il cammino forse per osservarne le fortificazioni e di là invece di continuare la sua rotta per Fiume erasi diretto verso Sebenico da dove

entrando in quel canale aveva continuato a navigare nelle acque dalmatine fino a Fiume. Il passaggio del «Ciclope» era stato constatato da due torpediniere austroungariche che trovavasi in quei paraggi.

La rotta adottata dal «Ciclope», che non era certamente quella che avrebbe dovuto seguire, era stata rilevata dal contrammiraglio conte Montecuccoli come da questi circoli navali i quali non spiegandosi le ragioni dalle quali essa fosse stata motivata non potevano scorgere in essa altro scopo che quello di spiare ed osservare i lavori di fortificazione che s'intraprendevano lungo le coste dalmatine e l'impressione che ne avevano riportato era tanto più viva che ricordavano che il ritiro di materiale da guerra da Fiume era stato effettuato in epoca anteriore a mezzo di piroscafi di società private italiane e che nella presente circostanza il R. Governo aveva creduto servirsi di una r. nave ma senza far conoscere ad un tempo per la regolarità della cosa al Governo imperiale e reale la data della sua partenza da Venezia e del suo arrivo a Fiume.

Il sig. de Mérey non mi nascose che tale fatto del quale il conte di Liltzow era stato incaricato dal conte Goluchowski d'intrattenere V.E. in via ufficiosa non poteva che ribadire nell'opinione pubblica della Monarchia quella specie di diffidenza che vi serpeggiava ed a cui era opportuno di non fornire nuovi elementi per non farla annientare ma procurare anzi di dissiparla nel comune interesse.

Egli mi pregò quindi di volere scrivere dal mio lato all 'E.V. in via privata segnalando l'incidente suddetto nonché la sgradevole impressione che aveva qui prodotto.

Risposi al sig. de Mérey ch'io doveva escludere innanzi tutto in una nave appartenente alla R. Marina l'intenzione attribuitagli di profittare dell'incarico affidatogli dal R. Governo per spiare i lavori di fortificazione delle coste della Dalmazia. Ma se le cose stessero tal quali me l'affermava era da supporre più tosto che la rotta adottata dal «Ciclope» nel recarsi a Fiume fosse stata consigliata non già dai motivi che qui si sospettavano bensì dalle convenienze di navigazione che prescrivevano alle navi che percorrono il Mare Adriatico di tenersi verso la costa orientale per avere così la possibilità di ripararsi in caso di cattivo tempo in uno di quei

. .

numerosi ancoraggi.

D'altra parte non comprendeva le continue diffidenze che ad ogni benché minimo fatto qui sorgevano contro di noi che una più perfetta conoscenza dei nostri intimi sentimenti verso l'Austria Ungheria avrebbe dovuto far dissipare. Queste diffidenze siccome avevagli dichiarato a più riprese non avevano ragione di essere ed io non poteva che assicurarlo ancora una volta del fermo proposito del R. Governo di seguire verso il Governo imperiale e reale la linea di condotta più leale per evitare qualsiasi cosa che potesse motivarle e del suo sincero desiderio d'intrattenere con esso i più fiduciosi rapporti che erano richiesti dai reciproci interessi.

Nel riferire all'E.V. in via privata le cose dettemi dal sig. de Mérey ...

658 1 Vedi D. 654.

660

IL MINISTRO A BELGRADO, GUICCIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1033/15. Belgrado, 16 aprile 1906, ore 20,20.

Malgrado dichiarazioni Governo inglese al Parlamento, Re di Serbia esita ancora mettere a riposo capi cospiratori che si rifiutano dare volontariamente loro dimissioni. Se la questione non si risolve prima del 23 corrente apertura della sessione, ciò aggraverà sempre più una situazione politica che la attitudine minacciosa austro-ungarica rendeva già pericolosa.

661

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1044/85. Pera, 17 aprile 1906, ore 17,50.

Sultano chiamato Romei espresse sentimenti cordoglio per disastro Vesuvio; disse essere desideroso di mostrare suo personale interessamento per le vittime; e che a Costantinopoli abbiano luogo manifestazioni pubbliche simpatia, mediante concerto a beneficio vittime sotto suo alto patronato, organizzato dalla r. ambasciata. Quindi Sultano domandò Romei quanto fondamento avesse notizia pubblicata circa raffreddamento relazioni itala-germaniche, in seguito Conferenza Algeciras.

Romei rispose notizia infondata, nessuno può dubitare lealtà Italia. Germania stessa apprezza azione conciliatrice del delegato italiano: relazioni fra i due popoli, Governi immutate, amichevoli. Sultano, visibilmente tranquillizzato, replicò esserne felicissimo, perché era rimasto molto addolorato da notizia raffreddamento tra due paesi suoi amici.

662

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 478/132. Londra, 18 aprile 1906 (perv. il 26).

Come ebbi l'onore d'informarne l'E.V. col mio telegramma dellO aprile n. 33 1 , fin dalla mia prima visita al Foreign Office rimisi a sir Edward Grey un pro-memoria contenente le domande del R. Governo rispetto ai negoziati fra la Gran Bretagna e l'Abissinia per la frontiera sud-etiopica2 . Il Foreign Office mi risponde ora essere esatta la notizia che tali negoziati sono sul punto d'essere conchiusi; che il Governo britannico non conosce ancora esattamente i termini della Convenzione ma che ha ragione di credere che essa si sia fatta sulla base della linea che segue il fiume Daua fino alla confluenza col fiume Giuba. Il Governo britannico ritiene che il Governo italiano non possa avere obbiezioni ad ammettere tale base che lascerà l'imperatore Menelik in possesso d'un territorio assai più vasto che non quello che a lui veniva assegnato nel Protocollo anglo-italiano del24 marzo 1891.

Quanto alla comunicazione al Governo Italiano di ogni cambiamento alla linea di frontiera stabilita nel predetto Protocollo (comunicazione a cui il Governo inglese si obbligò collo scambio di note del 29 gennaio-9 febbraio 1903)3 , il Governo inglese sembra ritenere di non essersi in nessuna guisa sottratto ad essa; giacché, oltre alle informazioni che esso ora ci dà esso ricorda che il ministro d'Italia ad Addis Abeba, prima della sua partenza di là nel maggio 1904, fu informato che i negoziati sarebbero stati condotti sulla base di quanto era stato convenuto a Roma nel dicembre 1903, e che il capitano Ciccodicola rispose a sir J. Harrington che il Governo italiano non aveva nulla da obbiettare a ciò; e che inoltre il r. incaricato d'affari ad Addis Abeba fu informato nell'agosto 1904 dei risultati delle interviste di sir J. Harrington coll'imperatore Menelik a tale riguardo.

Quanto poi alla nostra domanda intesa ad ottenere che l'accordo anglo-abissino per la frontiera sud-etiopica, sia accompagnato da uno speciale accordo fra l'Italia e la Gran Bretagna relativo alle vie carovaniere, e che il ministro d'Inghilterra ad Addis Abeba debba aiutare l'azione nostra per risolvere la questione di Lugh, il Foreign Office mi risponde in termini che non hanno che far nulla colla domanda da me indirizzatagli e che mi dimostrano che questa, benché chiaramente espressa, non era stata ben compresa. Vado perciò a chiarire meglio questo punto col Foreign Office, ed in ogni caso mi riserbo di intrattenerne direttamente sir Edward Grey nella conversazione che avrò con lui il giorno 254 .

662 1 Vedi D. 652. 2 Vedi D. 643. 3 Vedi serie terza, vol. VII, DD. 321 e 336. 4 Per la risposta vedi D. 708.

663

L'AMBASCIATORE A MADRID, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 441/218. Madrid, 18 aprile 1906 (perv. il 22).

La questione del Marocco essendo il più importante dei pochissimi affari politici di competenza di questa ambasciata, io sono costretto a riferirne di nuovo al superiore dicastero, dopo il silenzio assoluto che mi prefissi durante la Conferenza.

Conversazioni che sarebbe noioso e superfluo narrare partitamente, avute qui coi ministri spagnuoli e coi principali colleghi, mi permettono di riassumere come segue la situazione lasciata dal consesso europeo di Algeciras.

La Spagna anzitutto non nasconde la sua soddisfazione pel successo riportato; il quale, se è specialmente morale, riesce forse perciò maggiormente gradito poiché non richiede soverchie ed immediate iniziative e responsabilità; mentre significa il riconoscimento della sfera d'influenza ottenuta dalla Francia coli' accordo dell' autunno 1904, e dei famosi diritti storici fondati sul testamento d'Isabella la Cattolica.

La Francia pure è contenta perché uscita da un pericoloso incidente meglio di quanto sperava, e perché tutte le potenze hanno ammesso la sua predominanza politica nell'Impero sceriffiano, divisa colla Spagna in conformità dell'accordo sopra citato, già con questa concluso.

Quanto alla Germania, le dichiarazioni del principe di Biilow e le altissime onorificenze conferite ai delegati de Radowitz e Tattenbach basterebbero a provare la sua soddisfazione per le stipulazioni concordate, se queste non si trovassero in disaccordo coi documenti diplomatici pubblicati a Berlino e a Parigi nello scorso decembre. La poca importanza per la Germania della questione marocchina e l'alternativa non esclusa d'una guerra nella quale la Francia sarebbe appoggiata dall'Inghilterra, la determinarono forse a rinunziare al proposito d'istituire un controllo internazionale efficiente al Marocco: è difficile tuttavia di comprendere come, venuto a tale partito, il Governo tedesco non abbia preferito d'accontentarsi del risultato raggiunto nella prima seduta della Conferenza, ossia della sanzione europea dell'indipendenza e dell'integrità del Marocco e del principio della porta aperta, facendo aggiornare i provvedimenti sulla polizia e sulla Banca per non compromettere il risultato suddetto col riconoscimento del predominio politico della Francia e della Spagna.

L'Inghilterra per la quale il Marocco, situato come è sulla porta del Mare Mediterraneo, ha formato sempre una preoccupazione di primaria importanza, si considera senza dubbio contenta, mentre il suo accordo dell' 8 aprile 1904 non è andato, come si credeva, distrutto. E parlando di tale accordo io intendo alludere assai più che agli articoli pubblicati, alla sua parte segreta1 . Al quale riguardo sono in grado di confermare che, se il Governo britannico consentì a disinteressarsi del Marocco verso la

Francia, lo fece solo coll'esplicita condizione che le coste ed i territori situati lungo e vicino allo Stretto di Gibilterra fossero, coll'obbligo di non erigervi fortificazioni, attribuiti alla Spagna, ad una potenza cioè che non poteva ispirargli gelosie né timori. Ed allorché tale sistemazione della questione parve minacciata e la Germania accennò a voler prendere piede ed influenza permanente nell'Impero sceriffiano col controllo sulla polizia e le finanze, l'ambasciatore Nicolson non nascose la ferma intenzione di far naufragare la Conferenza. La sua nota frase, riprodotta e commentata dalla stampa, diceva infatti: «L'internazionalizzazione è lo stesso che la germanizzazione; l'Inghilterra non può accettarla».

I rappresentanti degli Stati minori non nascondono il loro entusiasmo per l'opera d'Algeciras, che dischiude i porti marocchini minacciati com'erano di subire le sorti della Tunisia. Al quale riguardo tuttavia il loro soverchio ottimismo non sembra giustificato poiché la polizia franco-spagnola, allorché sia realmente organizzata, avrà anche sulle relazioni commerciali una portata non dubbia, ed il Banco stesso è fatalmente destinato a divenire un istituto francese.

Resta infine a parlare dell'Italia, che, sebbene più di tutte le altre Potenze si sia mostrata disinteressata nel seno della Conferenza e null'altro abbia voluto o cercato ali 'infuori della conciliazione del dissidio, è stata fatta segno a polemiche offensive o importune nella stampa europea, rimettendosi in discussione le sue alleanze, le sue amicizie e la sua politica. Non deve tuttavia recar meraviglia se alla decisione subitanea del precedente Gabinetto, d'affidare all'ultima ora la rappresentanza dell'Italia a Algeciras ad un personaggio che per la sua importanza e pel suo passato era troppo superiore ai delegati di tutte le altre potenze, venne data l'interpretazione abbastanza logica che l'Italia volesse esercitare un'azione efficace e preminente nel seno della Conferenza. Conoscendonsi d'altra parte gli impegni che ci disinteressavano dal Marocco, si attribuì da principio al R. Governo il proposito di divenire il gran mediatore fra i contendenti: ma questa versione venne meno al primo sorgere delle difficoltà ed al rinviarsi, come si fece, della loro soluzione a negoziati diretti fra i Governi interessati. Si prese allora a dire, in mancanza d'altre spiegazioni, che l'Italia preoccupata dei suoi interessi nel Mediterraneo desiderava allearsi alla Francia ed all'Inghilterra, ed in segno di questa sua evoluzione aveva mandato ad Algeciras ad appoggiare la loro politica un delegato d'altissima levatura. Le risposte che siffatti articoli della stampa francese e italiana provocarono sui giornali tedeschi inasprirono la discussione, e l'opinione pubblica europea, ignara dell'azione corretta esercitata dal delegato italiano e dello stato vero delle relazioni del nostro Gabinetto cogli alleati, ha riportato l 'impressione che la nostra politica estera attraversi una fase incerta e morbosa.

Senza voler dare soverchia importanza a siffatte polemiche, conviene tuttavia riconoscere che non si sarebbe fornito loro il pretesto se il R. Governo, mantenendo le determinazioni prese ai primi di dicembre, si fosse accontentato di rappresentare a Algeciras non solo nella sostanza ma anche nell'apparenza, quella parte tranquilla e passiva che gli era imposta dalla sua speciale situazione verso i due contendenti, e sulla quale le modeste scelte allora fatte dei delegati non lasciavano certamente alcun dubbio.

663 1 Nota del documento: «vedi i miei rapporti del 3 maggio, 23 giugno, 12 e 27 ottobre 1904, nn. 97, 149, 276, 303» (non pubblicati).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 1107/474. Parigi, 21 aprile 1906 (perv. il 26).

Durante la consueta visita ebdomadaria che feci a questo ministro degli affari esteri il dì 18 di questo mese, portai il discorso sovra l'opportunità di prendere in esame la questione della proroga delle convenzioni franco-italiane per la Tunisia.

Malgrado i rapporti presentati annualmente al Parlamento in occasione del bilancio con i quali furono domandate certe innovazioni, il Parlamento stesso avea, anche quest'anno, manifestato di disinteressarsi di tali variazioni in uno statu qua creato dall'applicazione pacifica e senza contrasti delle convenzioni stipulate da oltre un novennio. Lo stesso presidente della Commissione permanente della Camera dei deputati per le colonie ed i protettorati, nel suo discorso di chiusura dei lavori della legislatura, non aveva fatto menzione alcuna della Tunisia benché egli avesse molto minutamente passato in rassegna tutti gl'interessi che la Commissione tramandava per la loro realizzazione, o per il loro componimento, alla futura Camera. Ciò autorizzava a credere che le circostanze erano favorevoli per prendere in considerazione la reciproca utilità di mettere al sicuro gli interessi delicati ai quali si era provveduto con le convenzioni del 1896. Questi non erano evidentemente in pericolo, poiché, per tacita riconduzione, le convenzioni stesse rimanevano in vigore per un anno intero anche se l'una parte, o l'altra le denunciasse. Ma da parte nostra si riteneva che non convenisse lasciar esposti gl'interessi stessi ad una sorpresa parlamentare. Era d'altronde cosa naturale che si ricercasse d'introdurre variazioni in uno stato di cose che si poteva considerare precario; mentre, se le convenzioni venissero prorogate, a questo lavorìo inteso a modificarle si rinuncerebbe.

Il sig. L. Bourgeois mi ascoltò con attenzione e mi parve si convincesse delle buone ragioni che c'inducono a desiderare la proroga delle esistenti convenzioni. Egli ne avrebbe conferito col presidente francese, sig. Pichon, attualmente in Francia ed aspettato prossimamente a Par;gi. Poi avremmo ripreso questo discorso 1•

664 1 Per la risposta vedi D. 692.

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L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 269/120. Pietroburgo, 21 aprile 1906 (perv. il 2 maggio).

Già da qualche tempo circola qui la voce che siano in corso tanto a Londra che a Pietroburgo attivissime pratiche in vista di un riavvicinamento fra la Russia e l'Inghilterra. Alcune allusioni sfuggite a questo incaricato d'affari d'Inghilterra in un colloquio che ebbi recentemente con lui sulla questione del nuovo prestito russo e che lasciava travedere come il premuroso aiuto prestato in quella occasione alla Russia dalle banche inglesi dovesse agli occhi della diplomazia britannica preludere fra i due paesi a qualche cosa ancora di più importante mi fanno ora ritenere che un tentativo in tal senso sia, se non già avvenuto, sul punto di realizzarsi. Questa opinione è ancora avvalorata dal fatto che le attuali condizioni politiche sembrano presentarsi oltremodo propizie ad un siffatto riavvicinamento. Gli otto mesi che ci separano dalla pace di Portsmouth hanno già avuto il tempo di attenuare sensibilmente in seno alla società russa l'irritazione destata dall'azione dell'Inghilterra nell'ultima guerra, come lo attesta il linguaggio della stampa in generale e di quegli stessi organi riconosciuti più anglofobi, che si è fatto in questi ultimi tempi insolitamente conciliante e moderato. Così pure la sempre più intima intesa che si sta attualmente verificando fra Londra e Parigi non doveva mancare alla lunga di avere una ripercussione sulle relazioni russo-britanniche e di preparare il terreno ad un maggiore riavvicinamento fra i due paesi, che è evidentemente nei voti del Gabinetto di Londra come quello che oltre ad agevolare la soluzione di molti difficili e delicati problemi che da lungo tempo furono occasioni di continui e gravi litigi, potrebbe pure contribuire a determinare un nuovo raggruppamento delle Potenze europee che figura indubbiamente fra gli obbiettivi dell'Inghilterra. Non mi stupirebbe che un tale riavvicinamento potesse fin d'ora venir propiziamente iniziato mercé un accordo fra i due Governi inteso a regolare la rispettiva posizione e sfera d'influenza delle due Potenze nell'Asia centrale e particolarmente in Persia. Per quanto le gravi difficoltà interne in cui attualmente si dibatte la Russia non lascino prevedere prossima un'attiva ripresa della sua politica d'espansione in Asia, sarà sempre per la diplomazia inglese opera saggia e previdente il premunirsi fin d'ora contro i pericoli dell'avvenire. Grazie alle garanzie che ha saputo assicurarsi con il suo nuovo trattato col Giappone può oggidì l'Inghilterra dimostrarsi, senza pregiudicare il futuro, più arrendevole verso la Russia nella questione persiana di ciò che lo poteva fare in addietro, e dal canto suo la diplomazia russa, presentemente così vilipesa ed attaccata, accoglierebbe indubbiamente con favore qualunque concessione che potesse anche avere la sola apparenza di un successo. Da un simile accordo anglo-russo si avvantaggerebbe poi grandemente tutta la situazione politica in Asia nel senso che esso avrebbe pure immancabilmente una certa ripercussione sui rapporti fra la Russia e il Giappone contribuendo forse ad allontanare il pericolo di nuove conflagrazioni nell'Estremo Oriente.

L'Inghilterra sarà fra non molto rappresentata in Persia da un intelligente ed attivo diplomatico, il sig. Spring-Rice, esatto conoscitore delle cose di questo paese per il lungo soggiorno da lui fatto a Pietroburgo, dove presentemente ancora regge l'ambasciata britannica. Ed il sig. Spring-Rice sarà colà tanto più in grado di efficacemente cooperare ad una intesa anglo-russa che gli spetterà la buona fortuna di avere come collega di Russia a Teheran l'ex capo del dipartimento politico di questo Ministero degli affari esteri, sig. Hartwig, con cui è legato da buona amicizia e che si mostrerebbe del pari propenso ad un siffatto accordo. Così pure l'opera del riavvicinamento sarà indubbiamente avvantaggiata dal prossimo arrivo a Pietroburgo del nuovo titolare dell'ambasciata britannica sir A. Nicholson, uomo a quanto pare di grandissimo valore e già qui favorevolmente noto per la parte da lui presa alla recente Conferenza di Algeciras.

Esito tuttavia a ritenere che il riavvicinamento in questione possa spingersi al punto di indurre la Russia, come ne è corsa la voce ad addivenire, accanto alla sua alleata francese, ad un'intima intesa coll'Inghilterra riguardo alle cose di Europa. Per quanto viva sia stata l 'irritazione qui cagionata dal contegno poco benevolo usato recentemente verso la Russia dal Governo e dalla stampa germanica, non credo però che nell'attuale condizione di cose, ove predominano anzitutto considerazioni di ordine politico-interno, possa questo Impero azzardarsi ad un passo che indubbiamente gli susciterebbe al più alto grado le ire e le animosità del suo terribile e vendicativo vicino contro cui un tale accordo sarebbe anzitutto diretto. Fintantoché dureranno i presenti ordinamenti politici in Russia, il Governo dello Zar, in un interesse di propria difesa e conservazione, è fatalmente condannato a rimanere nell'orbita della Germania. L'alienarsi quella potenza costituirebbe per esso un gravissimo errore, le cui conseguenze possono essere incalcolabili 1•

666

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. CONFIDENZIALE 775/256. Costantinopoli, 22 aprile 1906 (perv. il ! 0 maggio).

L'ambasciatore d'Inghilterra mi ha spontaneamente intrattenuto della riorganizzazione della gendarmeria nel vilayet di Adrianopoli. Mi rammentò anzitutto lo scambio di idee che egli ebbe su questo argomento con me e col marchese Imperiali nell'estate 1904, e col marchese Imperiali l'anno appresso. (A tale oggetto si riferì

scono fra altri il mio rapporto s.n. al ministro Tittoni, delli 27 luglio 1904, e il rapporto del r. ambasciatore n. 559 del 14 agosto 1905. Citerò ugualmente il dispaccio ministeriale n. 260 del 3 agosto 1904) 1 .

Sir Nicholas O'Conor mi disse che egli non aveva mai abbandonato del tutto il pensiero che fosse opportuno di spingere in modo più efficace l'estensione al vilayet di Adrianopoli della riorganizzazione della gendarmeria. Aggiunse che il suo console in Adrianopoli lo aveva tenuto al corrente di quanto faceva il capitano Tornassi, che egli apprezzava come ufficiale di molto merito; il capitano Tornassi presentava al Governo imperiale, per mezzo del valì, molte e pratiche proposte per la riorganizzazione, ma di queste proposte non veniva tenuto conto alcuno. In complesso, non si era fatto assolutamente nulla. E non è impossibile, soggiungeva sir Nicholas, che la questione venga portata al Parlamento britannico e il Governo inglese non potrebbe nascondere la verità, e cioè che il risultato finora ottenuto è nullo; e sarebbe certo spiacevole dover dire che l'opera di ufficiali italiani non ha servito a niente. Sir Nicholas insisteva però nell'affermare che nessun biasimo va attribuito al capitano Tornassi, essendo anche troppo constatato che causa del male è l'indolenza e la resistenza del Governo ottomano e del Sultano.

Quindi l'ambasciatore accennò, in modo alquanto vago, alla possibilità di un'azione concorde dell'Italia e dell'Inghilterra per ottenere qualche pratico risultato; sarebbe troppo difficile ottenere che la riorganizzazione della gendarmeria a Adrianopoli venisse affidata al generale De Giorgis, ma si potrebbe però prendere per modello il sistema da lui applicato e, a questo effetto, alcuni degli ufficiali inglesi che lavorano nel vicino settore di Drama potrebbero essere destinati a collaborare cogli ufficiali italiani che sono a Adrianopoli.

Indi sir Nicholas mi rammentò l'opinione personale da me altra volta espressagli, e cioè che negli affari balcanici l'Inghilterra e l'Italia dovevano procedere d'accordo. Mi sovvengo bene d'avergli detto questo allorquando, nel1904, si trattò, come è noto a codesto Ministero, di sventare il progetto austriaco della commissione mista per la Macedonia, che doveva avere per effetto di subordinare il generale De Giorgis agli agenti civili austro-russi; nella quale circostanza sir Nicholas non so bene fino a che punto autorizzato dal suo Governo ci prestò così efficace ed intelligente concorso.

Mi astenni dall'esprimere qualsiasi opinione circa le idee esposte da sir Nicholas O'Conor, limitandomi ad informarlo che ne avrei fatto cenno all'E.V. Ora, nell'ipotesi probabile che sir Nicholas riprenda questo discorso, prego l'E.V. di volermi favorire le sue istruzioni 2 .

Come l'E.V. rileverà dalla precedente corrispondenza, il Sultano teme sopratutto che gli inglesi mettano piede a Adrianapoli per la riorganizzazione della gendarmeria e credo, in fondo, che questo sia il principale motivo della missione affidata colà ad ufficiali italiani.

Ma, pur lasciando in disparte ogni considerazione circa l'ipotesi di un'eventuale azione anglo-italiana, nulla si oppone, a mio subordinato avviso, che si faccia frattanto in modo segreto presentire al Sultano come, nel suo stesso interesse, convenga

2 Non rinvenute.

dare qualche seguito più appariscente alle tante proposte presentate dal capitano Tornassi. E forse la paura di veder sopraggiungere gli inglesi (ed a questa possibilità si potrebbe fare qualche cenno discreto) persuaderebbe S.M. Imperiale a dare ordini opportuni affinché l'opera del capitano Tornassi e del tenente Mazza apparisca feconda di qualche più manifesto beneficio.

665 1 Tittoni rispose con dispaccio 24935/99 del 7 maggio del quale si pubblica il seguente passo: «l n parti colar modo la ringrazio delle importanti sue comunicazioni e faccio pieno affidamento sul provato zelo della S.V. perché ella non cessi di invigilare con ogni attenzione e continui a riferirmi prontamente di tutto quanto concerne questo interessante e delicato argomento».

666 1 Non pubblicati.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1107/109. Berlino, 24 aprile 1906, ore 20,30.

Reichstag, riunitosi oggi dopo le vacanze, presidente ha espresso parte viva e cordiale che la Dieta imperiale prende al lutto causato dal Vesuvio ali 'Italia alleata, con cui popolo tedesco è strettamente legato da antiche, storiche relazioni e presentemente da speciali sentimenti di simpatia. Miilhberg mi ha detto oggi dell'articolo della Norddeutsche Allgemeine Zeitung, nel quale era espressa la simpatia del Governo e del popolo tedesco. Gli ho risposto ringraziandolo, ma gli ho osservato che quell'articolo era al di sotto della temperatura normale. S.E. ha finito per riconoscerlo, confessando francamente, sono sue parole, che il torto spettava al conte di Monts, dai cui rapporti il disastro non era risultato in tutta la sua gravità.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T.lll5/39. Londra, 25 aprile 1906, ore 12,35.

Agenzia Reuter comunica ai giornali inglesi corrispondenza Petit Parisien, la quale afferma mia nomina Londra avere scopo disfare quanto Italia e Inghilterra avevano già convenuto circa internazionalizzazione ferrovie abissine e rendere nuova convenzione più favorevole alla Francia. Che Pansa era contrario pretese francesi e che io, venuto qui per favorirle, temporeggio per timore Germania.

Ritengo indispensabile che Tribuna e Giornale d'Italia senza entrare dettagli dichiarino informazioni detti giornali sono cumulo sciocchezze, esprimendo meraviglia che una Agenzia seria come Reuter si è prestata a diffonderle.

669

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1123/41. Londra, 25 aprile 1906, ore 20.

Ho avuto una conversazione con questo ministro degli affari esteri circa convenzione Abissinia. Alla seconda parte ha assistito anche Gorst. Ho dovuto convincermi che dopo quanto era avvenuto a Roma tra San Giuliano, Pansa e Barrère è ora impossibile ricondurre le cose sul terreno rigoroso delle scritte istruzioni che V.E. mi ha date2 . Inghilterra non rinuncerebbe mai a quanto fu da noi ammesso circa suo interesse sulla regione, le cui acque vanno al Nilo, e, quanto alla ferrovia, non credo si può negare oggi alla Francia ciò che avevamo mostrato volerle concedere. Essendo per noi indispensabile aver nelle trattative con la Francia appoggio dell'Inghilterra, perché ciò ci pone al sicuro dalla possibile sorpresa di un accordo a due senza noi, ho seguito la traccia di sir Edoardo Grey, e con lui avrei concordato le seguenti tre modificazioni da chiedere alla Francia:

l) All'articolo 4 paragrafo B, ristabilire la frase voluta dall'Italia e già accettata dall'Inghilterra, e cioè che tra Eritrea e Benadir non debba esservi soluzione di continuità. Con questo sarebbe eliminata dichiarazione segreta, che la Francia aveva redatta più a vantaggio suo che nostro.

2) All'articolo 6 e 7 stabilire parità trattamento per tutte le Nazioni. 3) All'articolo 9, invece di dire semplicemente «concorrenza» dire «concorrenza diretta», limitando molto con questo portata di tale espressione.

Io avrei voluto tener conto dell'osservazione di Martini, formulando articolo 7 in modo che per le [... p e Italia obbligo parità trattamento per tutti cominciasse solo dal giorno in cui ferrovie per l'Etiopia fossero costruite. Inghilterra non vuole né per sé, né per altri tale limitazione. Del resto io credo che, in qualunque modo, il giorno in cui sorgano reclami, trattamento che noi facciamo Massaua alle merci in transito sia difficilmente sostenibile.

Credo che Convenzione colle tre modificazioni accennate, che rispondono alle principali obiezioni cui dava luogo, sarebbe notevolmente migliorata a nostro vantaggio c potrebbe essere da noi firmata. Ponendoci su questo terreno siamo sicuri dell'appoggio dell'Inghilterra, che questo ministro degli affari esteri mi ha formalmente promesso, e senza il quale sarebbe vano sperare che la Francia ceda. Chiedendo altro corriamo rischio che l 'Inghilterra ci abbandoni e si intenda con la Francia.

Ad ogni modo prima di impegnarmi più oltre chiedo a V.E. se, come io spero, approva mio operato e mi autorizza proseguire su questa via4•

2 Vedi D. 617.

3 Gruppo mancante.

4 Per la risposta vedi D. 671.

669 1 Ed. in SONNINO, Carteggio cit., pp. 435-436.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 1159/490. Parigi, 25 aprile 1906 (perv. 1'8 maggio).

Mi pervennero successivamente i dispacci di VE. del 9 e 19 aprile ed i due telegrammi del201 dello stesso mese, circa gli affari di Creta.

Al primo dei summentovati dispacci è allegata la lettera confidenziale con la quale la Commissione d'inchiesta inviava da Atene, il 30 marzo ultimo, ai Governi delle potenze protettrici la sua relazione. Nell'altro dispaccio, VE. mi esprime il desiderio di conoscere l'impressione prodotta nel sig. Bourgeois dalla lettura di quell'interessante documento.

I due telegrammi si riferivano alle disposizioni che dovettero essere adottate d'accordo fra le quattro potenze per rinforzare la gendarmeria del settore italiano e dare al corpo operante carattere internazionale.

Ringrazio VE. di queste comunicazioni, le quali mi permisero di riprendere con questo ministro degli affari esteri la conversazione relativa alla situazione in Creta.

Riferendomi al colloquio che ebbimo il 28 marzo ed ali 'intesa in cui rimanemmo di riprendere il discorso sovra la condizione di cose esistente in Creta, chiesi oggi al sig. Bourgeois se egli avesse ricevuto dalla Commissione d'inchiesta l'importante lettera accompagnatoria del rapporto della medesima. Era questo un documento destinato a produrre nei Governi delle potenze protettrici una grave impressione ed il mio Governo desiderava conoscere quella che ne aveva avuto il Gabinetto di Parigi. Il sig. Bourgeois mi rispose tosto che recentemente due questioni relative alla Creta gli erano state sottoposte: l'una riguardava la nostra domanda concernente un rinforzo avente carattere internazionale per certe operazioni relative al ristabilimento dell'ordine in regioni comprese nel settore italiano; l'altra concerneva il progetto di far procedere alle elezioni nei diversi settori a date diverse per poter provvedere con la concentrazione di forze sufficienti al mantenimento de li'ordine ed alla tranquillità delle operazioni elettorali in ciascuno di essi separatamente. Sovra i provvedimenti da prendere per risolvere la prima questione, egli si era semplicemente riferito a ciò che l 'Italia proponeva, se anche le altre due potenze protettrici vi consentivano. Un telegramma dell'ambasciata francese a Pietroburgo, che il sig. Bourgeois teneva fra le mani, lo avvertiva che la Russia era assenziente.

Per l'altra questione, il mio interlocutore mi confessò che a prima giunta gli si erano affacciate serie obbiezioni d'ordine giuridico. Si proponeva in sostanza di fissare date diverse per le elezioni nelle singole zone per poter avere sotto la mano durante le elezioni stesse delle forze militari capaci di mantenere la tranquillità. Non si potrebbe dire che questo sistema mira ad esercitare una pressione indebita sovra il corpo elettorale? E la legittimità della rappresentanza nazionale ottenuta per tal guisa

non sarebbe poi messa in dubbio e contestata? Queste obbiezioni non avranno forse, soggiunse il sig. Bourgeois, in Creta, lo stesso valore che sicuramente avrebbero nei nostri paesi e giova crederlo, poiché si afferma che colà tutti s'accordano, anche nel partito di opposizione, a considerare che col proposito sistema si offrirebbero guarentigie alla sincerità del voto. Se tutti davvero ne sono contenti la Francia non farà obbiezioni dal canto suo all'accettazione del sistema che alle altre tre potenze sembrerà opportuno d'introdurre per le elezioni cretesi.

Replicai che io era ben soddisfatto di sentire che nella questione dci settori non vi erano divergenze con le idee del mio Governo. Circa la fissazione delle date diverse per le elezioni di ciascun settore, io non conoscevo finora altro che quello che la Commissione d'inchiesta aveva essa stessa suggerito.

A questo punto del colloquio, il sig. Bourgeois mi disse che egli desiderava avere sott'occhio la lettera della Commissione alle potenze e se la fece portare, proponendomi di rileggerla in presenza mia. Di mano in mano ch'egli procedeva nella lettura ad alta voce del documento, il sig. Bourgcois faceva sopra di esso le sue riflessioni.

Non si poteva contestare che le impressioni raccolte unanimemente dai commissari inquirenti conducevano sempre ad una sola e medesima conclusione. Il modo di risolvere tutte le difficoltà consisterebbe nel disinteressarsi ormai della Creta e consentire alla sua unione alla Grecia. Ma la Commissione si era essa resa conto delle circostanze generali, od aveva limitata la sua indagine a ciò che essa poteva osservare nell'isola? Il sig. Bourgeois osservava che se le potenze riconoscessero alla Grecia il diritto di annettersi, anche soltanto in una forma imperfetta, la Creta, laSerbia sorgerebbe a reclamare l'annessione della Vecchia Serbia, la Bulgaria, i cutzovalacchi, tutta la Macedonia esigerebbe l'applicazione degli stessi principii, dei medesimi procedimenti. E poi la Turchia reclamerebbe a sua volta e «dietro la Turchia vi è -cosi disse il sig. Bourgeois -chi ben sapete». Le potenze rappresentate nella Commissione d'inchiesta fossero pure unanimemente concordi ad accettarne le conclusioni, bisognerebbe che esse si assicurassero di avere consenzienti i Gabinetti delle altre due potenze garanti dell'Impero Ottomano.

Quando, nella lettura del documento, il mio interlocutore arrivò al paragrafo che concerne il ritardo della data di riunione dell'Assemblea generale, egli mi domandò se fosse a mia notizia che sia stata messa innanzi a questo riguardo una proposta ed, in seguito ad una mia risposta negativa, egli soggiunse che pareva pur tempo di prendere in proposito le occorrenti intelligenze.

Riassumendo poi in ultimo il suo pensiero, il sig. Bourgeois venne a dire che il punto fisso verso il quale le potenze dovrebbero indirizzarsi è manifestamente la soddisfazione da darsi alle popolazioni elleniche dell'isola e della Grecia; ma che il conseguimento di questo fine potrà essere raggiunto soltanto con il concorso di circostanze generali che presentemente non esistono, con l'assentimento di tutte le potenze garanti e prendendo in ogni caso efficaci guarentigie per la popolazione musulmana dell'isola. E siccome, riscaldandosi nel discorso, il ministro pareva già voler indicare che presso le due potenze che non presero parte all'inchiesta l'Italia dovrebbe esercitare la sua azione persuasiva, io lo fermai tosto facendogli considerare che io era stato incaricato di sapere soltanto per ora ciò che il Gabinetto di Parigi pensava circa le idee emesse dalla Commissione.

670 1 Non pubblicati.

671

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. 1039. Roma, 26 aprile 1906, ore 14,30.

Ricevo suo telegramma n. 41 1•

Mi riservo risponderle dopo averne conferito col presidente del Consiglio. Intanto debbo, fin d'ora, premettere due osservazioni. L'una è che, essendo convenuto di comunicare poi l'accordo a Menelik, la cosa non mi sembra conciliabile con la stipulazione che non debba esservi soluzione di continuità tra Eritrea e Benadir, la quale agli occhi di Menelik apparirà come una nostra pretesa territoriale a danno dell'Abissinia. In secondo luogo, anche tenuto conto della presente situazione politica, mi sembra evidente il nostro obbligo di comunicare alla Germania l'accordo prima che sia concluso2 .

672

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. RISERVATO 1045. Roma, 26 aprile 1906, ore 20.

Da mio dispaccio 5 aprile corrente n. 2302 VE. conosce quale sia situazione negoziato per accordo per Etiopia e quali istruzioni siano state ali 'uopo impartite al r. ambasciatore Londra3 . Accordo fra le tre potenze non è ancora intervenuto, e quindi anche questione ferrovie rimane in sospeso. Non è improbabile dopo quanto mi telegrafava Ciccodico1a il 18 marzo u.s. 4 che si cerchi su questione ferrovie di intendersi tra Francia e Inghilterra inducendo Menelik a cedere. Ora preme moltissimo al R. Governo che sia fatto prevalere presso Menelik principio di nulla consentire per continuazione ferrovia oltre Dire Daua se prima non sia intervenuto accordo tra potenze interessate. Confermandole pertanto concetti espressi a questo proposito nei telegrammi di questo Ministero 185 e 29 dicembre 19056 , interesso vivamente V. E. ad agire in questo senso presso Menelik !asciandogli intendere che nel caso dovesse egli

2 Vedi D. 675.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 617.

4 Vedi D. 602.

5 Vedi D. 378.

6 Vedi D. 394.

provvedere direttamente alla costruzione, Governo italiano saprebbe metterlo in grado di procurarsi mezzi finanziari necessari. Se si riuscisse a indurre Menelik a non cedere su questione ferroviaria se prima non sia intervenuto accordo tre potenze oltreché si farebbe vero interesse Etiopia, potremo noi negoziare più utilmente a Londra per accordo generale per Etiopia.

671 1 Vedi D. 669.

672 1 Ed., con la data del 28 aprile, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 314-315.

673

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1130/43. Londra, 26 aprile 1906, ore 13,50.

Ambasciatore di Francia dopo aver conferito con questo ministro degli affari esteri il quale gli ha comunicato appoggiandole le modificazioni alla convenzione Abissinia di cui è cenno nel mio telegramma n. 41 1 , è venuto a vedermi. Mi ha detto che a Parigi ha parlato con Bourgeois il quale non conosceva nulla della questione ed ha giustamente osservato che ciò porterà un ritardo poiché occorreva qualche tempo per comprenderla bene da chi non ha seguito tutte le fasi.

Cambon riferirà a Bourgeois. Intanto mi disse essere favorevole al principio della porta aperta ed a limitare significato della convenzione aggiungendovi la qualifica diretta.

Quanto ai nostri interessi di cui all'art. 4 fece da principio obiezioni, ma poi stretto dalle mie argomentazioni, non ha potuto replicare, né contrastare che la formula già concertata fra Italia e Inghilterra è la sola che veramente tutela interessi italiani. Credetti soggiungere a Cambon che ove fosse noto in Italia, che Francia ostacola domande italiane ammesse dall'Inghilterra, cordialità rapporti tra i due paesi ne soffrirebbe certamente.

673 1 Vedi D. 669.

674

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MATTIOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 11311111. Berlino, 26 aprile 1906, ore 17,45 (perv. ore 19,35).

Ho veduto oggi il sottosegretario di Stato per gli affari esteri.

S.E. mi ha detto che aveva letto il discorso pronunziato da V.E. in Senato 1: che l'attitudine dell'Italia a Algeciras era argomento esaurito e che su questo argomento ella erasi manifestata come non avrebbe potuto altrimenti il ministro degli affari esteri d'Italia. Miilhberg ha aggiunto che se il Governo del Re vorrà dare prova della sua amicizia per il Governo imperiale, le occasioni, in avvenire, non sarebbero mancate, ed a questo proposito ha accennato alla fase attuale della questione per la Banca marocchina, per la quale codesto ambasciatore di Germania è ora in relazione con

V.E. Miilhberg mi ha infine detto che aveva dato istruzione di inspirare in questo senso la stampa germanica. A questa inspirazione ufficiosa corrispondono le parche manifestazioni dei giornali. La Norddeutsche Allgemeine Zeitung ha riprodotto il discorso di V.E. senza una sola parola di apprezzamento. L'attitudine presente del Governo, della stampa e d eli'opinione pubblica a nostro riguardo può essere così riassunta: attesa del linguaggio oggettivo dei fatti con marcata diffidenza soggettiva. Segretario di Stato per gli affari esteri travasi tuttora presso l'Imperatore a Homburg.

675

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1145/44. Londra, 27 aprile 1906, ore 18,50.

Ricevuto telegramma di V.E. 1•

Appena vedrò Grey e Cambon dirò loro come V.E. ritenga che noi non possiamo dispensarci di comunicare alla Germania l'accordo prima che sia concluso. Salvo ordini contrari di V.E., mi esprimerò in modo da far ritenere che detta comunicazione è per semplice notizia, e non per chiedere pareri od accettare osservazioni.

Quanto all'accordo stesso, secondo intesa con V.E., io mi ero proposto di temporeggiare, ma ho veduto che ciò non era più possibile per le notizie da Addis

Abeba fornitemi con suoi telegrammi nn. 7142 e 843 3 e perché avendo voluto nella conversazione con Grey assicurarmi se vi era pericolo che l'Inghilterra si intendesse con la Francia senza di noi, ciò che Francia ha già tentato una volta di fare, c ciò che Barrère a Roma mi fece capire, avrebbe potuto tentare ancora, potei raccogliere dalle labbra di Grey questa dichiarazione che Inghilterra si sente impegnata a concludere accordo a tre, appoggiando, all'uopo, le domande dell'Italia che le sembrano giuste, ma che se si accorgesse che Italia non ha voglia di concludere accordo, ovvero vuole ritornare su ciò che aveva separatamcnte convenuto con Inghilterra, in tal caso dovrebbe fare accordo a due con Francia. Ora nelle nostre trattative separate con Inghilterra, noi avevamo riconosciuto suo interesse sulle acque che vanno al Nilo, e ciò Inghilterra vuole rimanga fermo, come riconosce che fermo deve rimanere nostro diritto alla riunione della Eritrea col Benadir, senonché la frase, che non vi sia soluzione di continuità che era stata compresa in un accordo che doveva rimanere segreto V.E. osserva che, ora che accordo che deve essere pubblico e comunicato a Menelik, lo disporrebbe contro di noi. Ciò posto, io non vedo che due soluzioni: o il tornare alla dichiarazione segreta offerta dalla Francia, sopprimendo però l 'ultimo periodo col quale la Francia vorrebbe spingere ad ovest di Addis Abeba nostra zona territoriale, periodo che, dopo le spiegazioni da me dategli, anche Grey riconobbe inaccettabile. Però tale soluzione ha inconveniente che Inghilterra ha assoluta ripugnanza per qualunque aggiunta segreta all'accordo e che di questo Governo italiano non potrebbe valersi presso il suo Parlamento e sua pubblica opinione per dimostrare bontà accordo stesso. Quindi sarebbe preferibile una dizione dell'articolo 4 che tuteli gli interessi nostri senza urtare Menelik. Io credo che questo si otterrebbe quando al paragrafo b si parlasse di un nostro hinterland come se ne parla al paragrafo c per la Francia, e che sarebbe per noi base alla rivendicazione del Tigré, c quando alla comunicazione si aggiungesse l'aggettivo «territoriale» che fu già proposto da Barrère invece del «terrestre» del Governo francese che non significava nulla ed a cui accennò con me anche Cambon, mostrando di prcferirlo c di ritenerlo di soddisfacente soluzione.

Quindi il paragrafo b) dell'articolo 4 sarebbe concepito così: «Gli interessi dell 'Italia in Etiopia relativi alla Eritrea ed alla Somalia (compreso il Benadir) e più specialmente a ciò che riguarda l'hinterland di questo possedimento e la comunicazione territoriale tra di loro».

Prego V.E. di telegrafarmi, appena può, se crede che io possa caldeggiare questa formula, ovvero quale altra devo proporre invece di questa; perchè Grey, a quanto io gli scrissi e dissi a difesa degli interessi e del punto di vista italiano, mi replicò che riconosceva il valore dei miei ragionamenti, ma che desiderava porre la questione sul terreno pratico e perciò scartata la frase generica da me proposta dell'impegno delle tre potenze di procedere d'accordo, in caso di inevitabile smembramento dell'Abissinia, mi chiedeva, per tale eventualità, proposte e formule complete4 .

674 1 In risposta ad un interpellanza di De Martino sull'effettivo ruolo della Triplice Alleanza nella politica estera italiana: vedi Atti Parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, 1904-1906, vol. V, tornata del 24 aprile 1906, pp. 3039-3043.

675 1 Vedi D. 671.

675 2 Del22 marzo, non pubblicato ma vedi DD. 602 e 612. 3 Vedi D. 644. 4 Vedi D. 681.

676

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

DISP. CONFIDENZIALE 23066/159. Roma, 27 aprile 1906.

Comunico confidenzialmente a V.E. un dispaccio che, oggi stesso, dirigo al r. ambasciatore in Vienna 1•

Se, come vorrei sperare, il Gabinetto austro-ungarico accoglie il mio suggerimento, codesto ambasciatore di Austria-Ungheria terrà, dal canto suo, con codesto, ministro degli affari esteri un linguaggio conforme al nostro desiderio; di che l'E.V. potrà accertarsi conversando col collega. In ogni modo, V.E. potrà, in ogni propizia occasione, esprimersi con sir E. Grey nel senso del mio dispaccio al duca Avarna, essendo naturale che da noi si desiderino cordiali relazioni tra la potenza alleata e la potenza amica, ed essendo del pari naturale che al raggiungimento di tal fine da noi si volgano i nostri sforzi.

Di quanto ella sarà per fare a questo proposito, e del risultato che possa ottenerne, gradirò di essere informato.

677

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

DISP. CONFIDENZIALE 23071/333. Roma, 2 7 aprile 1906.

V.E. avrà certo notato, nel mio recente discorso al Senatol, come io abbia creduto opportuno di insistere in parti colar modo sulla situazione de li'Inghilterra rispetto alla Triplice Alleanza.

A me premeva anzitutto di escludere il dubbio, a cui era stato accennato, che la nostra politica, fondata sulla Triplice Alleanza e sull'amicizia tradizionale con l'Inghilterra, potesse trovarsi infirmata per il fatto di meno cordiali rapporti tra l'Inghilterra e la Germania. Però a me stava pure a cuore di mettere in luce che l'Italia, appunto perché fermamente risoluta a serbare coll'Inghilterra la tradizionale sua amicizia e sicura di una perfetta reciprocità, potesse essere, in certa guisa, la naturale intermediaria tra la grande potenza insulare ed il gruppo della Triplice Alleanza.

L'Austria-Ungheria ha pure con l'Inghilterra ottimi rapporti che essa, con ragione, diligentemente coltiva. Eppure mi parrebbe cosa indicata dalla situazione che entrambi i Governi si adoperino a Londra, così che tra il Governo britannico e il ger

677 1 Vedi D. 674, nota l.

manico si stabilisca una corrente di cordialità che sarebbe certamente propizia alla causa della pace a cui tutti i Gabinetti desiderano contribuire.

Dal canto mio, fin da ora scrivo al r. ambasciatore in Londra2 acciocché il suo linguaggio sia improntato a questo intendimento. Gioverebbe che altrettanto si facesse da codesto Governo.

Un cenno in questo senso ne ho già fatto con questo ambasciatore di AustriaUngheria il quale certamente ne avrà riferito al conte Goluchowski.

Desidero che V.E. ne intrattenga del pari codesto ministro degli affari esteri e mi faccia conoscere il risultato del suo colloquio 3•

676 1 Vedi D. 677.

678

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. RISERVATO PERSONALE 1 . Milano, 28 aprile 1906.

Credo dover segnalare a V.E. alcuni incidenti spiacevoli provocati dal conte Monts sin dal suo arrivo a Milano. Già a Roma egli credette lagnarsi meco dell'itinerario fissato per S.M. il Re alla cerimonia de li'inaugurazione della mostra, secondo il quale Sua Maestà si sarebbe trovato a visitare prima del padiglione tedesco, quello francese. Ed io consentendo sull'opportunità della sua osservazione trovai modo di far modificare l'itinerario in guisa che la visita del Sovrano ai padiglioni esteri si compiesse in maniera da soddisfare completamente i desideri dell'ambasciatore. Nulla obiettammo d'altra parte sull'arrivo c la presenza a Milano degli ottanta soldati germanici in uniforme ai quali si dà cordiale ospitalità nelle nostre caserme, mentre abbiamo trovato plausibili ragioni per eludere analogo desiderio di altri Stati. Ad onta di queste nostre spiccate preferenze il conte Monts sollevò ieri qui un primo incidente col municipio di Milano annunciando all'improvviso la presenza di altri otto rappresentanti tedeschi all'Esposizione e pretendendo che venissero anche essi invitati a tutte le cerimonie quantunque non fossero nella nota ufficialmente comunicata pel tramite nostro e minacciando in caso contrario di abbandonare immediatamente Milano con tutti i suoi. Anche in ciò egli fu soddisfatto. Tuttavia stamane alla cerimonia inaugurale, in presenza del Corpo diplomatico e delle rappresentanze parlamentari mentre si attendeva l'arrivo del Re egli mi avvicinò e in modo da essere udito dai vicini pronunciò la seguente frase: «qui non vi sono in uniforme che i diplomatici e i servitori», aggiungendo: «questa che vi faccio è una osservazione molto seria». Al che io tenuto conto del momento e delle circostanze nulla risposi mentre il conte Monts volgendosi attorno disse sempre ad alta voce accennando allo stato del piazzale prodotto dalle piogge: «guardate che porcheria». Poco dopo mentre seguiva il Re nel giro per l'esposi

zione, incontratosi col sindaco lo abbordò lagnandosi vivacemente di non avere avuto la scorta militare nel tragitto tra l'albergo e il recinto, scorta che nessun diplomatico ebbe: e di ciò il sindaco di Milano, il quale è pur noto come persona mite e riguardosa, sporse meco reclamo tanto per la sostanza quanto per la forma. Io voglio ritenere che questo atteggiamento da cui risulta un evidente malanimo dipenda esclusivamente dal carattere personale del conte Monts. Dati i nostri rapporti col Governo germanico ritengo nondimeno opportuno che ella si valga della prima sollecita occasione per far sentire che non possiamo trascurare un contegno che dobbiamo credere non risponda affatto alle intenzioni di codesto Governo e che non è punto giustificato da quanto avviene fra noi per tutto ciò che si riferisce alla Germania2•

677 2 Vedi D. 676. 3 Per la risposta vedi D. 714. 678 1 Minuta priva del numero di protocollo e dell'ora di partenza conservata nell'archivio segreto di Gabinetto.

679

L'AMBASCIATOREA VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1152/66. Vienna, 28 aprile 1906, ore 20.

Avendo avuto occasione intrattenermi oggi col conte Goluchowski egli mi ha espresso sua soddisfazione per esplicite dichiarazioni fatte da V.E. al Senato 1 in ordine alla Triplice Alleanza ed alle cordiali relazioni tra Italia ed Austria-Ungheria.

680

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. RISERVATO 1068. Milano, 29 aprile 1906, ore 19.

Credo utile per trattazione accordo Etiopia che V.E. si procuri notizie esatte sulla situazione finanziaria gruppo inglese e francese ferrovie Etiopia. Tali notizie ella potrebbe avere da banchiere Ochs che trovasi a Londra e che passando da Roma ha cercato di interessare il Governo italiano alla intemazionalizzazione della detta ferrovia contro possibile intromissione Banca Etiopia. Lascio a lei di giudicare in qual modo più opportuno possa comunicare con lui anche indirettamente.

678 2 Guicciardini telegrafò il giorno seguente, ore 11,45 (T. riservato personale s.n.) quanto segue: «A parziale rettifica del mio telegramma di ieri informo V.E. che l'incidente sollevato dal conte Monts col sindaco di Milano non ebbe per motivo la pretesa di una scorta militare, sibbcne il pubblico e clamoroso lamento di lui verso il sindaco per una pretesa mancanza di riguardo agli ambasciatori nel servizio delle carrozze all'uscita dall'Esposizione. Confenno il telegramma in tutto il rimanente».

679 1 Vedi D. 674, nota l.

681

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T.'. Milano, 29 aprile 1906.

Uno dei punti oscuri convenzione etiopica è quello relativo regime acque riservato all'Inghilterra colla sola riserva di un qualche rispetto agli interessi locali. Questo patto secondoché s'interpreti può essere tollerabile oppure può compromettere tutto ordinamento economico agricolo anche Tigré che è hinterland Eritrea. È indispensabile definire bene cosa viene compreso cosa escluso da questa riserva regime acque. Non c'è ragione di non parlar chiaro intendersi chiaramente. Se ciò richiede tempo tanto meglio. L'abbiezione che pare risulti dalle osservazioni di Grey che nelle trattative separate coll'Inghilterra noi avevamo già riconosciuto suoi interessi sulle acque del Nilo, non può avere tutto il valore che le si attribuisce inquantoché l'accordo che ne risultò poteva rappresentare il pensiero dei funzionari incaricati delle trattative ma non giunse fino alla approvazione dei due Governi. I quali devono intendersi tuttora legati dal protocollo del 1891. Quanto al progetto di nuovo testo del paragrafo b) articolo 4 da V. E. proposto farò conoscere pensiero del Governo dopo aver conferito col presidente del Consiglio.

682

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, CICCODICOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T.ll87/44. Addis Abeba, 29 aprile 19061•

Telegramma n. 10132 comunicato Menelik che sorprendesi essendo qui capi delle regioni confinanti con Somalia. Menelik insiste necessità stabilire limite ali' azione sue truppe e, per evitare incidenti, conforrnente intesa con inglesi, vorrebbe cooperazione nostre truppe con le sue per prendere, punire capi ribelli, che razziano oltre frontiera. Sostiene che non può avere azione su gente sottrattasi sua autorità ed è impossibile parlare di sconfinamenti quando non è noto confine. Per nulla pregiudicare mi sono limitato ad assicurare avrei riferito Governo. Prevengo che ora qui comincia notarsi latente anarchia per indifferenza dei capi agli ordini di Menelik. Lagarde protesta per razzie verso colonia Gibuti. Harrington protesta per razzie frontiera Sudan e ha dovuto assicurare cooperazione truppe sudanesi con truppe abissine

2 Del 24 aprile, non pubblicato.

per tentare prendere razziatori. Tutti i grandi capi sono convinti [ ... p Governi qui interessati e perciò non temensi impressione nostre proteste. Situazione è propizia ministro germanico, che arriva fra poco, poiché egli saprà atteggiarsi ad unico, disinteressato difensore indipendenza Etiopia. Sarebbe opportuno, per mia norma e condotta, avere anche direttive circa relazioni e contegno col predetto ministro.

681 1 Da Ministero dell'Africa italiana, Archivio Storico. Risponde al D. 675.

682 1 Trasmesso da Asmara dal governatore Martin i il 2 maggio.

683

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1177/46. Londra, 30 aprile 1906, part. ore 12,40 del1°maggio.

V.E. nel telegramma direttomi da Milano 1 dubito ritenga essere possibile sostenere che la formula dell'accordo per l'Abissinia relativa regime Nilo, rappresenti il pensiero dei funzionari che trattarono l'accordo, ma non quella dei Governi italiano ed inglese, dei quali mancò l'approvazione. Un esame diligente di tutta la corrispondenza scambiata fra codesto Ministero e questa ambasciata, e fra questa ambasciata ed il F oreign Office dal 24 marzo 1904 al 16 febbraio 1905 mi fa venire ad una conclusione del tutto opposta. Risulta infatti che la frase circa interessi britannici acque Nilo fu durante undici mesi oggetto di trattative e discussioni fra i Governi italiano ed inglese e, fra varie proposte di modificazioni, fu concordata definitivamente nella formula attuale. L'accettazione di tale formula coll'ultima modificazione chiesta dall 'Italia fu dal Ministero degli affari esteri telegrafata a P ansa il 21 gennaio 1905 2 , e della nostra accettazione, marchese Lansdowne dava atto a Pansa con nota 3 l gennaio 1909. In seguito a questa, Italia ed Inghilterra presentarono Francia testo accordo. Invio oggi stesso rapporto4 dettagliato su cui mi permetto richiamare attenzione di V.E. dal quale risulta più specificatamente impossibile per noi risollevare la questione di fronte Inghilterra5•

682 3 Gruppo mancante.

683 1 Vedi D. 681. 2 Non pubblicato ma vedi serie terza, vol. VIII, D. 836. 3 Non pubblicato. 4 Non rinvenuto. 5 Per la risposta vedi D. 685.

684

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. 23473/96. Roma, 30 aprile 1906.

A quanto mi ha riferito il r. ambasciatore in Londra, con rapporto in data delli 12 corrente1 , in un colloquio avuto con quell'ambasciatore di Russia, questi accennò a dissensi tra l 'Italia e la Russia per ciò che concerne gli affari di Creta.

Il senatore Tittoni replicò essere nostro desiderio di dare al principe Giorgio tutto l'appoggio possibile ma che non possiamo appoggiare né la cattiva amministrazione di lui, né i cattivi consiglieri, che hanno suscitato legittimo malcontento nella popolazione dell'isola. Tanto mi reco a procurare di comunicare all'E.V., per opportuna sua notizia, aggiungendo che ho approvato la risposta data dal r. ambasciatore al suo interlocutore, e ho fatto rilevare al senatore Tittoni come sia fuori dubbio che l'atteggiamento della Russia, verso il principe alto commissario, è una delle cause della cattiva situazione politica dell'isola.

685

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. RISERVATO 1075. Roma, 1° maggio 1906, ore 22,15.

Ricevo suo telegramma l o corr. n. 46 1 e sciolgo la riserva contenuta nei miei telegrammi 1039 del26 aprile da Roma e 29 aprile da Milano 2 •

Le faccio osservare

l) che l'introdurre nel paragrafo b) dell'art. 4 concetto di hinterland e di comunicazione territoriale urterebbe Menelik e d'altro lato non escluderebbe necessità di una clausola segreta per impedire quandochessia la interpretazione che comunicazione territoriale non implica concetto di continuità di territorio. Parmi quindi difficilmente evitabile una dichiarazione segreta.

2) Sta bene agli articoli 6 e 7 parità di trattamento per tutte le nazioni.

3) Riguardo alle ferrovie concorrenti, bisogna chiarire che il patto non potrà colpire lo sviluppo della rete ferroviaria eritrea oltre i confini della Colonia né una eventuale ferrovia da Assab verso Borumieda.

Pur confermando necessità chiarire significato e contenuto della riserva inglese per regime delle acque secondo mio telegramma del 29 aprile scorso, attenderò rapporto da V.E. preannunciato per definire istruzioni al riguardo3 .

2 Vedi DD. 671 e 681.

3 Non rinvenuto.

684 1 R. 449/120 non pubblicato.

685 1 Vedi D. 683.

686

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

T. RISERVATO 1076. Roma, l 0 maggio 1906, ore 22,45.

Credo opportuno informarla avere interessato con telegramma del 26 aprile' il r. commissario per l'Eritrea in viaggio per Addis Abeba di far prevalere presso Menelik il principio di nulla consentire per continuazione ferrovia oltre Dire-Daua se prima non sia intervenuto accordo tre potenze interessate lasciando intendere al Negus che, nel caso dovesse provvedere direttamente alla costruzione, Governo italiano saprebbe metterlo in grado di procurarsi mezzi finanziari necessari.

687

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. URGENTE l 077. Roma, ] 0 maggio 1906, ore 23,15.

Ciccodicola il 18 marzo telegrafò 2 che, se a fine aprile nulla fosse stato concordato tra Francia Italia ed Inghilterra per proseguimento ferrovia Etiopia, Menelik avrebbe provveduto per suo conto. Fu risposto a Ciccodicola il 22 marzo3 che questione ferrovia era da noi trattata con altre due potenze secondo intendimenti chiaramente espressi da Menelik, che accordo non era ancora intervenuto, ma che si sperava intervenisse come conseguenza negoziato che si stava conducendo a Londra. Stando così le cose, lascio a V.E. giudicare quale comunicazione telegrafica V.E. creda di dover dare a Ciccodicola in base al mio telegramma diretto a V.E. il26 aprile4 .

686 1 Vedi D. 672.

687 1 Ed., con la data del 2 maggio, in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., pp. 327-328. 2 Vedi D. 602. 3 Vedi D. 612. 4 Vedi D. 672.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

DISP. RISERVATO 23959/166. Roma, 2 maggio 1906.

Ho ricevuto l 'interessante rapporto in data delli 12 corrente n. 1221, con il quale riferendomi i colloqui da lei avuti, nella recente sua prima visita, con i suoi colleghi di Germania e di Austria-Ungheria, l'E.V. accenna alla diversità a lei riservata nel contegno e nel linguaggio da quei suoi interlocutori in tale occasione.

La ringrazio in particolar modo delle sue informazioni e specialmente mi compiaccio della accoglienza e delle dichiarazioni fattele da codesto ambasciatore di Austria-Ungheria, essendo, sotto ogni punto di vista, assai opportuno che con la massima cura siano sempre mantenute le migliori relazioni personali fra l'E.V. ed il conte Mensdorff.

689

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATO 1194/47. Londra, 3 maggio 1906.

Rispondo al suo telegramma n. l 07 5 1•

Sta bene quanto V.E. mi significa ai nn. due e tre riservando questione interessi britannici per acqua dopo che V.E. avrà letto mio rapporto. Circa n. uno io non vedo perché menzione nostro hinterland al paragrafo b) dell'art. 4 dovrebbe urtare Menelik più della menzione hinterland francese al paragrafo c), né credo che frase comunicazioni territoriali al paragrafo b) impressionerebbe Menelik più della menzione al paragrafo a) dell'interesse britannico sull'acqua, di più di mezza Abissinia. Non mi sembra che dobbiamo preoccuparci di Menelik più di quello che se ne preoccupano Inghilterra e Francia. Perciò alla dichiarazione segreta preferirei un miglioramento paragrafo b) o nei termini da me indicati, o in altri termini che siano da V.E. preferiti. A me la frase comunicazione territoriale parrebbe sufficiente chiara per nostri interessi perché territorio implica possesso. Però se malgrado queste considerazioni V.E. ritiene che paragrafo b) debba rimanere in termini generali e si debba richiedere per spiegarlo una dichiarazione segreta escludendo, ben inteso, dalla medesima qualunque limitazione e riserve a favore interessi francesi, io gradirei che V.E. mi desse, su questo punto, categoriche istruzioni poiché in tal caso abbandonerei definitivamente

689 1 Vedi D. 685.

qualunque proposta di modificazione al paragrafo b) e farei formale proposta di ritornare alla dichiarazione segreta malgrado le ripugnanze inglesi al riguardo e malgrado io le divida anche perché non ci porrebbe in grado di mostrare vantaggi dell'accordo al nostro Parlamento.

Attenderò con molto interesse risultato colloquio Martini-Menelik circa ferrovie secondo dispaccio di V. E. n. l 076 2•

688 1 Vedi D. 656.

690

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 118 1 . Berlino, 3 maggio 1906, ore 19,50. (perv. ore 20,45).

Ho veduto oggi il segretario di Stato per gli affari esteri.

Gli ho detto che sono tornato a Berlino molto rattristato per quanto era successo durante il mio congedo. L'attitudine dell'Italia nella questione del Marocco era argomento che dopo le dichiarazioni di V.E. in Senato2 non comportava più discussione. Le nostre intenzioni rispetto all'Alleanza risultavano, dalle allegazioni di lei, talmente chiare che io non sentivo alcun bisogno, non di rafforzarle ma neppure di commentarle. Certe manifestazioni imperiali, però, esplicatesi tanto in forma affermativa quanto in forma negativa, avevano nociuto non poco al prestigio di quegli stretti vincoli che noi teniamo a mantenere altrettanto quanto ha interesse la Germania a vederli consolidati. Ho detto poi francamente al segretario di Stato, come da amico ad amico, che a favorire questa opera comune da svolgere a pro dell'alleanza ci manchi, nel fatto, il concorso positivo di un coefficiente sul quale non solo il Governo italiano ma anche e più il Governo germanico dovrebbero poter sicuramente contare. Dissi così per quali considerazioni e per quali circostanze di fatto l'attività svolta dal conte di Monts non poteva essere calcolata a favore di una ripresa di rapporti cordiali e senza restrizioni fiduciose tra i due Governi.

Il segretario di Stato mi rispose ringraziandomi della franchezza con la quale gli avevo parlato e contava sul mio lungo concorso per vedere [ ...] rinsaldati quei rapporti che, se corrispondono alle convenienze dell'Italia, favoriscono non meno gli interessi della Germania. Anche egli considerava come esaurito l'argomento dell'attitudine dell'Italia nella questione del Marocco. Il Governo imperiale, disse egli, non dubita della fede dell'Italia, ma non può dimenticare fatti, non può cioè non ricordare che l'Italia, ad insaputa dell'alleato, ha con la Francia impegni il prendere i quali, specialmente il tenerli segreti alla Germania, non sono consoni con lo spirito del trat

690 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Vedi D. 674, nota l.

tato politico. Sulle manifestazioni imperiali, delle quali io avevo detto che avevano prodotto per la popolarità della Triplice Alleanza peggior effetto che tutti i nostri peccati veniali del flirt con la Francia, il segretario di Stato si mantenne [riservato o silenziosoP, né io insistetti per tirar fuori dalle sue labbra giudizi sull'attitudine del suo Sovrano: mi limitai perciò ad esprimere il vivo augurio che il ristabilimento di rapporti reciprocamente fiduciosi tra i due paesi fosse favorito da una ripresa di relazioni cordiali da parte dell'Imperatore con il mio Sovrano.

Circa il conte Monts, il segretario di Stato mi disse di riconosceme i difetti: egli riteneva anzi che il conte Monts non era l'uomo fatto per il posto di Roma. Le congiunture presenti non sono però tali da consigliare un pronto richiamo: in ciò io convenni, esprimendo però la convenienza che qui si avvisasse e si prendessero le opportune misure in conformità del giudizio che veniva portato su quell'ambasciatore.

Come conclusione della mia precedente corrispondenza, delle mie conversazioni costà, delle comunicazioni fattele dal r. incaricato d'affari durante la mia assenza e delle mie impressioni al mio ritorno, riassumo ora l'attitudine qui assunta a nostro riguardo: «attesa diffidente del significato dei fatti, in previsione dei quali sono ammessi buoni rapporti dell'Italia colla Francia sì, ma entro i limiti che lo spirito dell'alleanza segna» 4 .

689 2 Vedi D. 686.

691

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

D!SP. 24212/151. Roma, 3 maggio 1906.

Comunico a V.E. copia di un dispaccio che ho diretto in data del 27 aprile al r. ambasciatore in Vienna 1 e di un altro dispaccio inviato sotto la stessa data al r. ambasciatore in Londra2 entrambi relativi alle relazioni anglo-germaniche. Desidero che la

S.V. sia informata del tenore di queste due mie comunicazioni, e per sua personale notizia, e per norma di linguaggio in previsione del caso che venendo codesto Governo ad essere ragguagliato per via indiretta della iniziativa da noi presa, di ciò fosse fatta costì parola alla S.V.

In attesa di un cenno di ricevuta del presente dispaccio ...

4 Per la risposta vedi D. 693. 691 1 Vedi D. 677. 2 Vedi D. 676.

690 3 Integrazione del decifratore.

692

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI

D!SP. RISERVATO 24218/462. Roma, 3 maggio 1906.

Mi è pervenuto il rapporto della E.V. in data 21 aprile, n. 4741 , relativo alla questione della proroga delle convenzioni franco-italiane per la Tunisia.

Mentre ringrazio V.E. della sua comunicazione, non ho, per parte mia, che a riferirmi al dispaccio riservato delli 15 febbraio u.s., n. 1862 . Come era detto in quel dispaccio, le nostre premure presso codesto Governo devono proporsi per obbiettivo, non già di stipulare una formale proroga di quelle convenzioni, per la quale occorrerebbe richiedere, in Francia, e forse anche in Italia, l'approvazione parlamentare, ma, sibbene, soltanto di concretare un reciproco impegno, da Governo a Governo, di non fare uso, né dall'una, né dall'altra parte, per un certo periodo di tempo, della facoltà, che spetta a ciascuno dei Governi, di denunziare le convenzioni stesse.

L'E.V. mi farà cosa grata adoperandosi nel senso predetto, e, in attesa che ella si compiaccia di farmi conoscere l'esito dei suoi ufficì, ...

693

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. RISERVATISSIM0 1 . Roma, 4 maggio 1906, ore 19,35.

Ricevo il suo telegramma riservatissimo2 e la ringrazio in parti colar modo.

Approvo interamente l'opportuno suo linguaggio. Confido, per raggiungere lo scopo, a cui miriamo, d'un ritorno a reciproca piena fiducia, sull'opera di lei, alla quale procurerò di contribuire, dal canto mio, nella maggior misura che le circostanze mi possano consentire3 .

692 1 Vedi D. 664. 2 Vedi D. 503.

693 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Vedi D. 690. 3 Per la risposta vedi D. 706.

694

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. l 056/530. Vienna, 6 maggio 1906 (perv. il 13).

Nell'anteriore mia corrispondenza ebbi l'onore di far conoscere all'E.V. le accuse di cui il conte Goluchowski era stato fatto segno durante la crisi ungherese per parte della stampa locale e dei membri del partito della coalizione che l'incolpavano di attraversare, con i consigli che si pretendeva avesse dati a S. M. l'Imperatore, la realizzazione delle loro aspirazioni nazionali e di seguire nei Balcani una politica poco conforme agl'interessi della Monarchia.

Le voci che allora corsero circa il probabile ritiro di lui dalla direzione del Ministero degli affari esteri si sono rinnovate in questi ultimi tempi con maggiore insistenza in seguito alla riconciliazione avvenuta tra la Corona e il partito della coalizione.

I principali uomini di questo partito e specialmente il sig. conte Andnissy e il sig. conte Apponyi non nascondono infatti la loro avversione per il conte Goluchowski ed il loro desiderio di vederlo sostituire da persona che goda la loro simpatia e tuteli meglio di lui gl'interessi austro-ungarici.

Quantunque l'esito favorevole raggiunto dal conte Goluchowski col contegno tenuto nella Conferenza di Algeciras e la piega che si adopera ora a dare alle questioni che si dibattono tra il Governo imperiale e reale ed il Governo serbo si giudichino generalmente siccome atte a far modificare in parte le disposizioni poco favorevoli che si nutrono a suo riguardo dai circoli dirigenti ungheresi, tuttavia si prevede che la sua politica formerà oggetto nelle Delegazioni, la cui riunione sembra avrà luogo nel prossimo giugno, di severe critiche da parte dei delegati ungheresi che procureranno, per quanto da loro dipenderà, di scuoterne la situazione e provocarne il ritiro.

Tra i candidati alla successione del conte Goluchowski si citano innanzi tutto il barone di Burifm, il barone Aehrenthal ed il marche3e Pallavicini.

Il barone di Burian, attuale ministro comune delle Finanze, ha fama di uomo di gran valore per la sua intelligenza e capacità, ma l'indole eccessivamente riservata di lui non permette di portare per il momento un giudizio esatto sulla linea di condotta che sarebbe per seguire qualora fosse chiamato alla direzione della politica estera della Monarchia. Sebbene egli sia legato da stretti vincoli di parentela col generale barone di Fejérvary, la sua scelta sarebbe accolta con favore in Ungheria.

Rispetto al barone di Aehrenthal, che rappresenta l'Austria-Ungheria in Pietroburga, egli era designato per addietro come il vero successore del conte Goluchowski, ma il suo contegno nei recenti avvenimenti di Russia, che non avrebbe previsto, aveva reso meno probabile la sua scelta a ministro comune degli affari esteri. Sembra però che egli abbia riacquistato ora il favore di S. M. l'Imperatore e la sua nomina, qualora avvenisse, non incontrerebbe da parte degli uomini politici ungheresi alcuna abbiezione.

Circa il marchese Pallavicini ebbi già occasione di riferire all'E.V. con mio rapporto del 26 aprile p.p. n. 992/501 1• Secondo quanto si afferma il conte Goluchowski si riserverebbe di designarlo a S.M. l'Imperatore quale suo successore ov'egli dovesse abbandonare il Ministero degli affari esteri.

Siccome un sintomo precursore del probabile ritiro del conte Goluchowski è stato affermato in questi circoli politici che egli non sarebbe stato consultato dall'Imperatore in occasione della scelta del successore del barone di Gautsch alla presidenza del consiglio dei ministri austriaci, la quale sarebbe avvenuta senza che ne avesse previamente sentore. Ma a refutare tale asserzione si osserva che Sua Maestà non avrebbe giudicato opportuno di conferire a tale riguardo col conte Goluchowski sapendo come la nomina del principe Hohenlohe-Schillingsfùrst non avrebbe potuto incontrare la sua approvazione essendo questi noto fautore del suffragio universale, di cui il ministro imperiale e reale degli affari esteri è un avversario reciso per massima ed anche per i danni che potrebbero ridondame agli interessi politici in Galizia, donde è originario.

Da fonte attendibile però mi risulta che il conte Goluchowski gode tuttora della fiducia del Sovrano e nessun indizio esiste per il momento che faccia prevedere come imminente il suo ritiro. Ma questo potrebbe diventare un fatto compiuto se egli persistesse nella sua opposizione contro la riforma elettorale da introdursi in ambo le parti della Monarchia e se la sua permanenza al potere fosse d'impaccio alla buona armonia coll'Ungheria: in tal caso Sua Maestà non esiterebbe un istante a disfarsi di lui e a dargli un successore

Il ritiro del conte Goluchowski non potrebbe non essere vivamente lamentato in Italia: noi perderemmo in lui persona nelle cui amichevoli disposizioni possiamo fare sicuro assegnamento. Egli infatti si è sempre comportato verso l'Italia ed il R. Governo colla massima correttezza e lealtà e si è studiato per quanto da lui è dipeso a rendere più intimi i reciproci rapporti2 .

695

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL CONSOLE GENERALE AD ADEN, PESTALOZZA

DISP. 24967/74. Roma, 7 maggio 1906.

Mi riferisco al rapporto del cav. Cappello del4 aprile n. 107/751 ed al telegramma della S.V. del 16 stesso mese2 , col quale mi si comunica l'esito della ultima sua missione presso il Mullah e presso il Sultano di Obbia.

2 Annotazione a margine: «7». 695 1 Non pubblicato. 2 T. 1027, non pubblicato.

Allo stato delle cose non resta che attendere il risultato dell'azione della S.V.

Sarà però sempre assai utile, per le considerazioni esposte nel mio telegramma 26 marzo scorso n. 7383 , di continuare ad insistere (specie presso il Sultano di Obbia, ed in tutte le possibili occasioni) affinché il conflitto sia evitato tenendo però ben presente che noi abbandoneremo Jusuf Ali alla sua sorte, se egli non ubbidirà nel termine fissato nelle istruzioni )asciategli dalla S.V. e se continuerà ad essere elemento provocatore di conflitti.

Circa le misure coercitive da adottare a di lui riguardo, secondo l'avviso del cav. Cappello, mi riserbo pronunziarmi in base al successivo contegno del Sultano stesso.

Prendo infine atto delle attuali buone disposizioni del Sultano dei Migiurtini verso il Mullah, e voglio sperare che siano sincere le recenti sue intenzioni, di inviare in sambuco ad Tllig la propria figlia al Saied o di spedirla a Bender Cassem, dove le genti del Mullah potrebbero andare a rilevarla.

Circa l'arrivo di armi nei sultanati, io raccomando la massima possibile vigilanza e la continua azione presso i nostri protetti, perché l'atto di Bruxelles sia rigorosamente osservato.

694 1 Non pubblicato.

696

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. l 083/545 1• Vienna, 8 maggio 1906.

I negoziati commerciali tra l'Austria-Ungheria e la Serbia si proseguono tuttora presso questo Ministero imperiale e reale degli affari esteri tra i rispettivi delegati tecnici ed hanno per scopo l'equiparazione cogli altri diritti della tariffa convenzionale dei diritti ad valorem che costituiscono [ ... f che da entrambi i Governi si è convenuto di sopprimere perché poco conformi ai comuni interessi, non che l'esame delle disposizioni della cessata convenzione veterinaria che il Governo imperiale e reale ha rifiutato di rimettere in vigore, da inserirsi nel nuovo trattato.

Questo però non potrà essere conchiuso finché il Governo serbo non si decida a consentire alle domande del Governo imperiale e reale contenute in una memoria rimessa in via confidenziale dopo le feste pasquali ai delegati sigg. Vujié e Milovanovié.

In questa memoria si chiedeva che il Governo serbo si obblighi mediante una dichiarazione scritta a dare la preferenza nelle forniture di Stato ai prodotti delle industrie austro-ungariche qualora queste si trovino a parità di qualità e di prezzo di fronte ai prodotti delle altre industrie estere. Con tale domanda il Governo imperiale

696 1 Dall'archivio dell'ambasciata a Vienna. 2 Parola illeggibile.

e reale verrà ad assicurare per l'avvenire alla propria industria sul mercato serbo condizioni più vantaggiose delle presenti e ad ottenere intanto che le artiglierie richieste per l'esercito serbo ed il materiale per la costruzione delle nuove ferrovie siano somministrate dalle fabbriche austro-ungariche.

Inoltre nella memoria suddetta si chiedeva come corrispettivo per le concessioni che l 'Ungheria sarebbe per fare alla Serbi a rispetto al bestiame che questa si obblighi a provvedersi in quel Regno, del sale che ora si procura dalla Romania.

Infine per ovviare ai danni risultanti al proprio commercio dalla composizione del consiglio direttivo dell'amministrazione dei monopoli in Serbia (mio rapporto

n. 444 del 18 aprile u.s_)3 il Governo imperiale e reale insisteva per l'ammissione in quel consiglio di un rappresentante austro-ungarico perché gli interessi industriali della Monarchia in Serbia siano tutelati in avvenire meglio di quello che non sono attualmente.

Il sig. Vuié col quale ebbi occasione di intrattenermi in questi giorni mi fece conoscere che le domande suddette non erano state presentate dal Governo imperiale e reale come se alla loro accettazione dovesse essere subordinata la stipulazione del nuovo trattato di commercio. Ma esso aveva fatto intendere che ove non fossero state soddisfatte il trattato sarebbe stato concluso a condizioni meno favorevoli per la Serbia. Il sig. Vuié ignorava per il momento quali fossero le disposizioni del nuovo Gabinetto al riguardo, ma non si dissimulava la difficoltà che sarebbe per incontrare per darvi una soluzione conforme agli interessi serbi.

Tra le questioni però ora pendenti quella che gli sembrava necessaria innanzi tutto di definire prontamente si era quella dell'allontanamento dall'esercito degli ufficiali regicidi che era richiesta per ragioni non solo internazionali ma anche interne giacché cominciava ad appassionare il paese. Egli non aveva tralasciato di dichiararlo francamente al re Pietro ed aveva declinato l'offerta fattagli a più riprese di assumere il potere senza prima avere ottenuto da Sua Maestà l'autorizzazione di risolvere in modo definitivo quella questione.

Ma il re Pietro quantunque riconoscesse l'urgenza di una tale decisione esitava ancora a prenderla sembrandogli conveniente di agire colle dovute cautele verso coloro a cui doveva il trono onde credeva temporeggiare per trovare un mezzo più acconcio a risolvere la questione la quale era stata messa per il momento da banda, il barone Pasié avendo accettato di costituire il nuovo Gabinetto alla condizione di rimandarne la definizione ad epoca più opportuna.

695 3 Vedi D. 618.

696 3 Non pubblicato.

697

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL SENATORE VISCONTI VENOSTA

L. PERSONALE 25545/318. Roma, 9 maggio 1906.

Già due volte il nostro ambasciatore a Vienna, scrivendomi in forma particolare, mi avverte che, in quei circoli politici, esiste e si va accreditando l'impressione che, se l'Austria-Ungheria non fu compresa fra quegli Stati ai quali è riservata la facoltà di far designare alla propria banca uno dei censori per la Banca del Marocco, ciò sia dovuto alla opposizione della delegazione italiana.

Essendo nostro fermo proposito di coltivare con la vicina Monarchia i più cordiali rapporti e di eliminare anche solo ogni ombra che possa turbame lo svolgimento, vorrei tosto correggere una così erronea impressione prima che diventi una non più cancellabile leggenda. Né la cosa mi riuscirebbe malagevole mercé quanto chiaramente risulta dai carteggi di lei. Però, come la smentita avrebbe manifestamente maggior efficacia se fosse corroborata da questo particolare, mi permetto di fare appello alla cortesia di V.E. con la preghiera di volermi esporre, ove ella stimi di poterlo fare mercé i suoi personali ricordi, l'esatto procedimento per effetto del quale la designazione dei censori rimase riservata soltanto alle banche di Stato di Francia, Germania, Inghilterra e Spagna1•

698

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 1324/563. Parigi, 9 maggio 1906 (perv. il 25).

Dal principio di quest'anno fino ad oggi, mi pervennero successivamente parecchie comunicazioni di codesto R. Ministero le quali, riferendosi ai rapporti dci consolati di Sua Maestà in Algeri, Tunisi e Tripoli ed agli apprezzamenti in essi contenuti, tenderebbero a tenere sveglia la mia attenzione sovra l'azione della Francia verso la Tripolitania.

Mentre le potenze erano riunite ad Algeciras non era in verità fra le cose prevedibili che il Gabinetto di Parigi volesse di deliberato proposito permettere che sia dall'Algeria, sia dalla Tunisia, s'intraprendessero mosse le quali avessero potuto suscitare legittime inquietudini in Italia. E per altra parte, durante i lavori della Conferenza, se pure qualche motivo d'inquietudine si fosse manifestato, avrei ritenuto cosa poco

cauta lo aprire, a tale proposito, l'adito a spiegazioni nostre col Governo francese le quali avrebbero potuto riuscire intempestive.

Ma ora che le questioni per le quali la Conferenza fu convocata sembrano composte, mi parve che la stessa riserva nei miei colloqui con questo ministro degli affari esteri più non si imponesse e che uno scambio d'idee circa lo stato di agitazione rivelatosi, sovratutto negli ultimi tempi, nel sud tunisino e verso i confini della regione tripolina, potesse aver luogo qui senza alcun inconveniente.

Il R. Governo, in seguito alle notizie pervenutegli da Tripoli circa una incursione di qualche decina di Tuareg Azger nell'Oasi di Tamassamin da dove gli abitanti col loro capo, in tutto dieci persone, erano fuggiti, ha domandato, in gennaio ultimo, al r. console generale in Algeri informazioni sovra i preparativi di una grande spedizione che da Uaregla (Algeria) avrebbe dovuto muovere per andare a punire i Tuareg Azger. Il sig. comm. Baroli mi comunicò in febbraio la sua risposta sovra la quale

V.E. chiamò la mia attenzione con il dispaccio del 22 di quello stesse mese 1 . In realtà quel rapporto nulla contiene relativamente all'incidente di Tamassamin ed ai provvedimenti militari ai quali esso avrebbe dato motivo; ma il r. console generale in Algeri colse l'occasione di quel suo rapporto per diffondersi più che sovra i fatti compiuti negli ultimi anni dalla Francia verso il confine sud della Tripolitania, sulle intenzioni attribuite al Governo francese.

Più tardi V.E. m'informò delle razzie eseguite dagli Sciamba a danno di carovane tripoline e del contegno delle autorità algerine le quali, per parte loro, sembravano quanto meno disinteressarsi del ripetersi di tali incidenti.

In aprile, il tema e l'importanza delle manovre alle quali prese parte il corpo di occupazione della Tunisia ed un incidente occorso fra pochi spahis ed alcuni soldati turchi in occasione di uno sconfinamento, richiamarono l'attenzione del Governo di Sua Maestà che mi comunicò i rapporti consolari che vi si riferivano.

Restituisco, allegandoli a questo rapporto, i carteggi originali che andavano annessi ai dispacci ministeriali sovramenzionati.

In sostanza da essi risultava, in linea di fatto, che si erano, durante gli ultimi mesi, prodotti incidenti che purtroppo sono frequenti ed abituali nelle regioni dove si erano verificati; ma che le autorità francesi non ne aveano colta l'occasione per prendere insolite misure di repressione o di espansione. Non sarebbe stato pertanto sovra questi fatti specifici che io avrei potuto utilmente intrattenermi ora con il sig. Bourgeois e preferii invece introdurre oggi con lui il discorso sovra il movimento prodottosi nelle popolazioni del sud tunisino al quale, se sono esatte le informazioni comunicate dall'Agenzia Havas, sarebbe attribuito un carattere religioso islamitico. Dissi pertanto a questo ministro degli affari esteri che gli sarei stato grato se egli avesse potuto darmi notizia dell'indole e della estensione di quel movimento e delle cause del medesimo. Il sig. Bourgeois mi rispose con molta franchezza. Egli stimava che i fatti occorsi non avessero importanza maggiore di quella che appariva dal racconto che ne aveano fatto i giornali. Era però certo che negli ultimi mesi si era rivelata nelle popolazioni musulmane de II' Africa una agitazione che pareva principalmente essere stata predisposta per certe eventualità contro la Francia.

Vi erano state missioni che, sotto aspetto commerciale e scientifico, erano penetrate all'interno per la via della Tripolitania. Egli non comprendeva come tutte le nazioni europee, chiamate qual più qual meno ad avere contatto con popolazioni islamitiche, non sentissero il dovere di solidarietà di astenersi dal fomentare il fanatismo di quelle genti. In ogni caso ciò che avveniva nella zona tripolo-tunisina dovea, a giusta ragione, interessare l'Italia ed egli prendeva l'impegno di tenermi informato di ciò che sarebbe pervenuto a notizia sua, come sperava che, con uguale fiducia, noi gli avremmo fatto conoscere ciò che fosse di nostro comune interesse in quella regione.

Non mi aspettavo, in verità, che la conversazione dovesse prendere subito la piega così marcata di non dissimulato sospetto contro l'azione diretta od indiretta della Germania in appoggio del movimento islamitico. In ogni caso non sarebbe stato opportuno lo insistere sovra un tema di discorso al quale il mio interlocutore dava un simile indirizzo. Intanto lo aver anche brevemente e superficialmente parlato di queste cose con il sig. Bourgeois avrà servito a mettere in sodo che nell'opinione di questo ministro rimangono fermi i concetti secondo i quali gli eventi che si producono nella regione turbata dai recenti moti islamitici, interessano l'Italia quanto la Francia. Se l'interesse nostro il consigliasse, e se ve ne fosse l'opportunità, noi potremmo quindi prendere le mosse da questo colloquio per uno scambio più vasto di idee relativo alla Tripolitania.

697 1 Per la risposta vedi D. 715.

698 1 Non pubblicato.

699

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 3091135. Pietroburgo, 9 maggio 1906 (perv. il 17).

Dopo un Ministero di più di un sessennio il conte Lamsdorf ha finalmente rassegnate le sue dimissioni nelle mani dell'imperatore Nicola il quale, un po' suo malgrado, si è visto nell'obbligo di accettarle. Fieramente attaccato e sistematicamente denigrato dali' opinione pubblica e dalla stampa che molto ingiustamente persisteva a far risalire a lui gran parte della responsabilità dell'ultima disgraziata campagna contro il Giappone, già più volte egli avrebbe manifestato, a quanto pare, il desiderio di abbandonare il potere, ma le affettuose insistenze dell'Imperatore e l'amicizia che lo univa al conte Witte lo avevano finora distolto dal farlo. La scomparsa ora dalla scena politica del Witte ed il paventato inizio, per le cose interne, del nuovo corso politico a cui repugnavano le sue idee personali altamente conservatrici, e più ancora il timore che la convocazione della Duma lo avrebbe ora costretto ad assumere, a difesa della sua politica, una parte attiva nei dibattiti parlamentari, a cui non sapeva adattarsi la sua riserva e timidità di parole, lo hanno ora spinto a persistere nella sua volontà di ritiro.

Al conte Lamsdorf non mancarono certamente gli elementi essenziali ad un distinto funzionario e diplomatico. Mente lucida e profonda, dotata di molto tatto e ponderatezza, con una lunghissima esperienza degli affari acquistata in più di quaranta anni di servizio continuamente prestati negli uffici del Dicastero degli affari esteri, egli fu sempre un preziosissimo strumento nelle mani dei tre ministri che Io precedettero, i sigg. Giers, Lobanov e Muraviev. Ma a lui facevano difetto quelle qualità creatrici, quel temperamento attivo e vigoroso, quella fermezza e pertinacia di propositi indispensabili alla direzione della politica estera di un grande Impero. Di sua natura riservato e modesto, alieno da ogni appariscenza, segregantesi volontariamente dal mondo esteriore, egli si compiaceva di preferenza nelle mezze tinte e di lui puossi dire che la sua politica fu banale ed incolore come la sua vita. Né seppe, come lo doveva, opportunamente reagire contro le nefaste influenze che circondavano il trono, che invadevano il campo della politica estera e che condussero la Russia alla disgraziata guerra contro il Giappone.

Maggior traccia di sé egli ha lasciata nella politica balcanica e particolarmente nell'intesa coll'Austria, già, egli è vero, iniziata dai suoi predecessori, ma che con lui raggiunse il suo punto culminante. Permettendo che la politica austriaca assumesse, nella concertata azione nei Balcani, una parte soverchiamente preponderante, contribuì a dare a quell'impresa un carattere pericoloso tanto per gli interessi russi come per quelli dell'Italia. Senza essere di noi sistematicamente nemico, lasciò, senza opporvisi, che altri a nostro danno intrigasse ed agisse, in modo che puossi dire che la sua dipartita non debba essere per noi argomento di molto rimpianto.

700

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 310/136. Pietroburgo, 9 maggio 1906 (perv. i/17).

Come già lo preannunciavo a V.E. col mio telegramma in data 5 corrente\ a succedere al conte Lamsdorf alla direzione del Ministero degli affari esteri è stato chiamato il sig. lzvolskij che in questi ultimi anni rappresentava la Russia presso la Corte danese. Egli ha già lasciato Copenaghen per Pietroburgo e fra pochi giorni potrà prender possesso del suo portafoglio.

Il sig. Izvolskij, che ebbi per più di due anni come collega a Tokio ed ove ebbi campo di conoscerlo molto da vicino, è un uomo di indiscutibile valore che ha dei diplomatici slavi tutte le qualità di seduzione: la parola facile ed arguta, i modi signorili, l'ingegno pronto e brillante. Se ciò nondimeno la sua missione al Giappone non fu un successo ciò devesi al fatto che egli manovrava su un terreno ove appunto quelle qualità meno attecchiscono ed ove tutti i maggiori artifizii della diplomazia erano fatalmente chiamati a naufragare davanti alle esigenze di una situazione politica che irremediabilmente presto o tardi doveva condurre alla guerra.

È uomo di idee moderne ed, al punto di vista di queste sfere burocratiche, soverchiamente liberali; gode di una buona coltura storica artistica letteraria di cui si compiace volentieri far sfoggio.

Già più di dieci anni or sono, all'epoca in cui il principe Lobanov, che nutriva per lui molta stima, trovavasi alla direzione della politica estera, fu, ancora giovanissimo, in predicato per il posto di aggiunto al Dicastero degli affari esteri, ma sotto i due successori del rimpianto Principe, il conte Muraviev e il conte Lamsdorf, che a quanto dicesi, avevano per lui scarse simpatie, vegetò ancora a lungo (se si eccettua Tokio) in posti diplomatici secondarii.

Soggiornò a due riprese in Roma, la prima volta, agli inizii della sua carriera diplomatica, e se ben mi ricordo nel 1876, in qualità di addetto all'ambasciata russa presso il Quirinale: vi ritornò più tardi e per più anni quale ministro presso la Santa Sede, e di queste sue lunghe permanenze in Italia ha conservato, come almeno spesse volte manifestava, vive simpatie per noi e per le cose nostre, ed una esatta conoscenza delle esigenze della nostra situazione internazionale. Le sue note tendenze slavofile parrebbero doverlo rendere poco propizio alla politica filo-austriaca del suo predecessore. Mi ricordo che conversando con lui a Tokio nel 1901 circa gli affari nostri egli ebbe più volte di sua spontanea iniziativa ad accennare a quanto veniva allora da noi intrapreso in Albania per l'incremento colà della nostra influenza plaudendo apertamente a quel risveglio dell'azione italiana in Oriente.

D'altra parte nulla mi è noto delle sue simpatie per la Germania a cui accennano i giornali tedeschi, e ritengo che tale voce non abbia altro fondamento di quello di essere stato l'lzvolskij il candidato ufficiale, annuente l'imperatore Guglielmo, alla successione, al di là da venire, del conte Osten-Sacken al posto di ambasciatore di Russia a Berlino. Le sue idee politiche e la sua nota anglomania me lo farebbero invece credere propenso a favorire un riavvicinamento coll'Inghilterra.

Non so se il sig. Izvolskij, per quanto abile diplomatico, abbia in lui la stoffa di un buon ministro degli affari esteri: mi permetto però di esprimere l'augurio che dalla sua presenza al potere abbiano i nostri interessi politici a ritrarre maggiore giovamento di ciò che sia stato il caso col suo predecessore. Non devesi tuttavia dimenticare che la poca stabilità del Gabinetto Goremykin, di cui l 'Izvolskij è chiamato a far parte, le incertezze derivanti dalle tristissime condizioni interne della Russia e che ben poco si addicono a radicali cambiamenti nell'indirizzo della politica estera ed infine le disposizioni dominanti nelle alte sfere di Corte sono suscettibili ancora di molto modificare ed alterare i propositi e le idee politiche del nuovo ministro.

700 1 T. 1224 del 5 maggio, non pubblicato.

701

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 356/109. Belgrado, 9 maggio 1906 (perv. i/14).

Riferendomi ai precedenti rapporti che il marchese Guiccioli ha diretto all'E.V. sugli ufficiali cospiratori, panni pure utile attirare la di lei attenzione sulla ben maggiore importanza e sul diverso carattere che ha assunto in questi ultimi tempi la permanenza di costoro nelle alte cariche che attualmente occupano.

Se finora questa quistione, sotto ogni rapporto incresciosa, aveva infatti potuto essere considerata da noi, come dagli altri Governi che riconobbero il nuovo regime in Serbia, come di carattere puramente interno, non è più così da poi che il Gabinetto di Vienna, abbandonando subitamente la posizione presa finora al riguardo dei regicidi, ha chiaramente mostrato di volersi servire di loro per impedire, da un lato, quella ripresa delle relazioni diplomatiche della Serbia con l'Inghilterra che varrebbe a ricostituire in parte l'equilibrio di influenze rotto dalla situazione speciale in cui trovasi la Russia; dall'altro di attirare a sé, sempre per loro mezzo, la Corona, isolarla completamente dal paese, obbligarla, come le precedenti dinastie, a contare sul solo suo appoggio, e per mezzo di essa tener aperta la via delle future sue aspirazioni verso la Macedonia. In tal modo la questione degli ufficiali cospiratori viene a toccare anche gli interessi nostri ed a formare una grave minaccia al successo di quello che è stato finora il fine della nostra politica in questa penisola, l'accordo degli Stati balcanici, ed un'amichevole influenza sui consigli di questa Corona.

È perciò che, seguendo in ciò la linea di condotta del marchese Guiccioli, avendo avuto occasione di vedere questa mattina il sig. Pasié, gli ho fatto le più vive raccomandazioni perché, senza indugiare oltre, valendosi della maggiore autorità che gode relativamente a' suoi predecessori, egli ritiri dal servizio attivo i noti cinque o sei capi della congiura. E gli ho fatto rilevare che si era giunti ormai al momento critico, poiché ogni ritardo comprometteva sempre più una situazione che poteva divenire senza rimedio.

La ragione di ciò sta in questo, che, effettivamente, come ha riferito il r. ministro e come il sig. Pasié mi ha confermato, il Gabinetto di Vienna ha fatto sapere al Re che, dopo la conclusione del trattato di commercio, egli avrebbe potuto essere ricevuto a Vienna accompagnato dal Damjan Popovié. La qual cosa se si effettuasse prenderebbe carattere di dimostrazione ostile ali 'Inghilterra ed avrebbe per risultato quasi sicuro un 'intesa della Corona, o meglio dei suoi consiglieri, con l'Austria, intesa piena di gravi conseguenze, sia per la politica della Serbia nei Balcani, che per la situazione del Re, il quale, dotato di tutte le migliori qualità, non è l'autore di questo indirizzo, ma vi è spinto dalle persone che lo circondano, e non si rende conto che lo si conduce gradatamente a porsi in opposizione con tutto il suo popolo.

Inoltre, se il Gabinetto Pasié si presenterà alle elezioni senza aver definita la quistione degli ufficiali, raccoglierà difficilmente, secondo il parere dei più, una maggioranza che gli permetterà di governare, e la situazione si ripresenterebbe tale e quale è ora, facilitando così l'attuazione di quel regime restrittivo che è nei piani dell'Austria e degli ufficiali stessi.

Il sig. Pasié, che si rende perfettamente conto di tutto questo, mi assicurò riservatamente che egli lavorava già a tutt'uomo per eliminare al più presto questi pericolosi signori mettendoli al riposo col massimo della pensione, che qui è uguale alla paga in servizio attivo. Egli mi autorizzò anche ad informare confidenzialmente il viceconsole inglese, perché tenga al corrente di queste sue disposizioni il proprio Governo e mantenga vive a Londra le benevoli disposizioni manifestate dal ministro inglese nelle sue ultime dichiarazioni alla Camera dei Comuni.

Nei discorsi tenuti col primo ministro ho sempre parlato a mio nome e valendomi dell'amicizia personale che ho col sig. Pasié, riservandomi di rinnovare in forma ufficiale e a nome del R. Governo queste stesse raccomandazioni se V.E. lo crede opportuno e mi autorizza a farlo.

702

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CALVI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 143/69. Copenaghen, l O maggio 1906 (perv. i/14).

Il sig. Izvolskij è partito ieri l'altro per recarsi a Pietroburgo ad assumere il portafoglio degli affari esteri.

Nel prendere congedo da me egli ha voluto esprimermi, coll'intenzione evidente che io lo ripeta all'E.V., la grande sua simpatia per l'Italia, e la alta stima che ha per i nostri Sovrani. Mi disse che suo grande desiderio sarebbe di poter finire la sua carriera a Roma, e soggiunse anche che sperava recarvisi nelle attuali sue funzioni, alludendo con ciò alla possibilità di un prossimo viaggio dell'Imperatore di Russia a Roma.

La nomina del sig. Izvolskij è una guarenzia di buone relazioni colla Germania. Circa le sue opinioni verso l'Inghilterra, potrei ricordare, ora specialmente che si sta trattando per un'intesa anglo-russa, la conversazione che avevo avuta con lui l 'anno scorso al castello di Aalholm e che narrai nel mio rapporto n. 181/84 del 28 luglio 19051 . Egli si mostrava a quell'epoca fautore di un'intesa di tutti i paesi d'Europa contro l'Inghilterra. Ma erano quelle, idee espresse nella libertà delle lunghe conversazioni di campagna e nella disposizione di spirito che faceva seguito ad una guerra disastrosa. Non si può asserire debbano perdurare in un ministro responsabile. Ad ogni modo il risultato della entente in corso di trattative, da quanto dicesi, ci darà ben presto la misura del valore che si può attribuire a quelle parole.

Pel presente però, come il sig. Izvolskij ebbe a dirmi, tutto cede il passo alla questione interna.

702 1 Vedi D. 204.

703

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE AL CAIRO, SALVAGO RAGGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. 466/143 1• Il Cairo, l O maggio 1906 (perv. i/25).

Ho avuto l'onore di inviare ali'E.V. il rapporto annuale di lord Cromer sull'Egitto e Sudan che contiene, come già ebbi a far notare, notizie degne di tutta l'attenzione del R. Ministero.

Il punto che ha maggiormente attirata l'attenzione del pubblico egiziano, e non è passato inosservato neanche in Europa, è quella parte che riguarda le capitolazioni. Perfino nei giornali italiani si è commentato il progetto indicato dal rappresentante britannico per trasformare questa istituzione secolare, la quale -bisogna pur convenirne -comincia a costituire in Egitto un anacronismo.

Le capitolazioni, nate per garantire gli europei dagli abusi di un governo dispotico quale era l'egiziano fino a non molti anni or sono, rendono ancora servizi innegabili alle colonie straniere in Turchia, ma lo stesso non può dirsi per l'Egitto, che da alcuni anni è sottoposto ad un regime regolare e dove gli abusi costituiscono una eccezione sempre più rara.

Non ho bisogno di ripetere qui il sistema proposto da lord Cromer per giungere alla soppressione della capitolazioni e da lui diffusamente, se non minutamente, spiegato nel suo rapporto, del quale non è possibile dare un giudizio completo, senza conoscere con esattezza alcuni particolari che non sono stati precisati. Sarebbe, per esempio, assai importante di conoscere con quali criteri sarà costituito il corpo elettorale, giacché l'accenno fatto da lord Cromer, ai grandi interessi che ha in Egitto la colonia germanica, benché poco numerosa, ed ai meno importanti interessi della colonia greca, pur tanto numerosa, sembra lasciar credere che il solo concetto a cui si ispirerebbe la futura legge elettorale, sarebbe quello di accordare una rappresentanza alla proprietà, agli interessi commerciali e industriali, e non alla popolazione operaia,

o ai piccoli esercenti che costituiscono la grande maggioranza della nostra colonia.

Un altro punto meriterebbe di essere conosciuto con maggior chiarezza, ed è quello della immutabilità di alcuni ordinamenti tra i vari suggeriti da lord Cromer; immutabilità, che sarebbe indispensabile per evitare che le garanzie accordate ora a stranieri, spariscano fra un anno, colla complicità del nuovo consiglio, nel quale, come l'E.V. avrà senza dubbio notato, lord Cromer assicura la maggioranza agli inglesi. Se la legge elettorale fosse, ad esempio mutabile, senza il consenso delle potenze, per opera del consiglio, sarebbe assai facile a lord Cromer, o a chi lo sostituisca, il far votare una nuova legge elettorale che indirettamente escludesse i non inglesi dal corpo elettorale, ed una volta che il consiglio fosse composto di soli inglesi, gli stranieri in Egitto si troverebbero nella intera dipendenza della colonia inglese.

Se prima di pronunciare un giudizio qualunque sui progetti di lord Cromer converrebbe, dal punto di vista degli interessi della nostra colonia, chiarire meglio questi due punti, altre osservazioni si potrebbero fare, e generalmente si fanno, sulle proposte che il rappresentante britannico ci annuncia di voler sottoporre, in un avvenire più o meno prossimo, al suo Governo. La prima che si affaccia naturalmente a chiunque si interessi alla questione, è quella concernente la giurisdizione consolare che dovrebbe «cessare pari passu con la istituzione, da parte del Governo egiziano, di tribunali competenti».

Credo che nessuno in Egitto possa illudersi di veder continuare indefinitamente la giurisdizione consolare, e, per conto mio, aggiungo che non credo si debba nemmeno augurare la continuazione di questo sistema, che non risponde più alle esigenze degli interessi attuali delle nostre colonie e di questo paese. Ma, d'altro canto, è assai naturale di domandarsi se, volendo sopprimere la giurisdizione consolare, sia proprio necessario di correre i rischi di sperimentare una incognita, quale sarebbe la creazione di speciali tribunali istituiti dal Governo egiziano «in virtù di poteri conferitigli da un trattato concluso colle potenze ed in seguito alla procedura legale prescritta da detto trattato», mentre esistono in Egitto dei tribunali che già funzionano regolarmente e giudicano in materia civile gli stranieri e gli indigeni, per cui basterebbe accordare ad essi la giurisdizione penale.

I tribunali misti, ai quali alludo, hanno fatto, nell'insieme buona prova, per cui non vi sarebbe alcuna ragione di escludere questa soluzione più semplice, più sicura e che riuscirebbe più simpatica a tutti.

Contro i tribunali misti lo stesso lord Cromer non ha mai avuto gravi lagnanze ed il solo inconveniente da lui segnalato dipendeva dalla designazione dei magistrati fatta da alcuni Governi (a proposito della nomina di magistrati italiani specialmente), nomine che egli diceva fatte per favoritismo, senza badare alle qualità richieste per i magistrati dalla riforma, ecc., ecc. Queste accuse, è doloroso il riconoscerlo, non erano prive di fondamento. Come rimedio a tale inconveniente, lord Cromer aveva trovato di far applicare d'ora innanzi, alla lettera, l'art. S del «regolamento d'organizzazione giudiziaria per i processi misti in Egitto», in grazia al quale, la nomina e la scelta dei magistrati spetta al Governo egiziano. Con questa misura, che ormai è stata accettata dalla Spagna e in certo modo anche dalla Francia, ogni ingerenza dei Governi esteri nella nomina dei magistrati era esclusa, e se a quei tribunali volesse il Governo egiziano proporre di affidare la giurisdizione penale sugli stranieri, è assai probabile che nessuna potenza solleverebbe serie obiezioni.

La ragione per la quale lord Cromer non si è fermato a questo progetto (che senza alcun dubbio si è per primo affacciato alla sua mente), è probabilmente che nei tribunali misti tutte le potenze sono rappresentate da qualche magistrato, e il numero dei giudici inglesi è limitato, ed, invece, nei futuri tribunali che il nuovo consiglio dovrebbe creare è assai probabile che vi saranno soltanto magistrati inglesi. Questa probabilità è tale da preoccupare seriamente, non perché vi sia ragione di dubitare dell'imparzialità di magistrati inglesi, ma perché la legge da applicare dovrà essere, lord Cromer lo dice chiaramente nel suo rapporto, «quella dei codici delle nazioni latine». Io non so se una magistratura composta esclusivamente di inglesi sia proprio la più adatta ad applicare queste leggi.

Un altro inconveniente sorgerà, senza dubbio, dal fatto dell'essere i magistrati per la gran maggioranza inglesi (e che tale sia l 'intenzione di lord Cromer, non credo vi sia dubbio) e nascerà perché nel nuovo tribunale «le lingue inglese, francese ed italiana dovrebbero essere lingue ufficiali e poste sopra un piede di perfetta uguaglianza».

Un'altra obbiezione viene fatta a tutto l'insieme di proposte formulate quest'anno da lord Cromer, ed è quella che la polizia non dà finora tutte le garanzie desiderabili per poterne estendere l'azione anche sugli stranieri.

A quest'ultima, come a parecchie altre obbiezioni, è assai probabile che lord Cromer risponderà nel suo rapporto dell'anno prossimo, giacché, a quanto egli afferma, non sembra abbia intenzione di procedere con sollecitudine nell'iniziare negoziati con le potenze a questo proposito.

Prima di queste osservazioni di dettaglio, è evidente che le potente dovranno esaminare quella di massima sull'opportunità di venire ad una qualunque modificazione delle capitolazioni, e di dare, cioè, ancor maggior libertà d'azione al Governo inglese in Egitto.

Su questo punto io non ho creduto fermarmi, giacché soltanto argomenti di politica generale possono consigliare al R. Governo una linea di condotta piuttosto che un'altra.

703 1 Originale non rinvenuto (copia tratta da MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Documento Diplomatici, serie XXX, Egitto (avvenimenti generali), 1902-1910, Roma, Tipografia del Ministero degli affari esteri, s.d., D. 3751).

704

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 360/110. Belgrado, Il maggio 1906 (perv. ill4).

A conferma di quanto ho riferito a V. E. col mio rapporto del 9 corrente 1 , circa il diverso significato e la maggiore importanza politica presa dalla questione degli ufficiali cospiratori, ho l'onore d'informarla che, anche il ministro di Germania, principe di Ratibor, appoggia ora apertamente l'azione dell'Austria, consigliando di mantenere al potere i capi della congiura delli Il giugno.

Ciò mi è stato detto confidenzialmente dal presidente del Consiglio che è venuto a vedermi ieri mattina. Ma oltre a questa informazione, che il sig. Pasié mi ha dato incidentalmente e per mostrare come si rendeva ben conto che i tentativi dell'Austria erano diretti a metter la mano sul comando dell'esercito serbo tenuto ora dai congiurati, la visita del ministro aveva altro scopo.

Il sig. Pasié mi disse che, dopo il discorso avuto meco ier l'altro, e di cui ho scritto nel mio precedente rapporto, egli aveva tenuto una conferenza con i sigg. Popovié, Masin, Misié e Kostié in seguito alla quale costoro si erano finalmente lasciati convincere a chiedere il ritiro.

Come V.E. già conosce, poiché S.M. il Re Pietro considera come un impegno d'onore quello di non deporre con un proprio atto coloro che egli ritiene agirono nell'interesse del paese e lo chiamarono al trono, è ormai questa delle spontanee dimissioni degli ufficiali la sola forma di soluzione possibile.

Il ministro aggiunse che, sebbene egli fosse deciso ad attuare questa misura in ogni modo, ritenendo che sarebbe stata sufficiente a riprendere le relazioni con l'Inghilterra, mi sarebbe stato assai riconoscente se avessi indotto il console inglese a fare un altro tentativo presso il suo Governo per vedere di ottenerne una più formale e diretta assicurazione. Egli mi pregava pure di far sapere per lo stesso intermediario al Gabinetto inglese che, immediatamente dopo le dimissioni dei quattro ufficiali, e se l'Inghilterra lo gradiva, egli avrebbe proceduto alla nomina del ministro serbo a Londra nella persona del sig. Militchevitch, attualmente ministro a Berlino, che per la sua conoscenza del paese e per le sue qualità personali riteneva fosse la persona destinata a riescire più accetta a S.M. il Re Edoardo.

Gli risposi che di buon grado avrei aderito al suo desiderio. Avendone perciò parlato al sig. Thesiger egli inviò a Londra il telegramma di cui trascrivo la traduzione2, il quale, all'infuori dell'argomento che lo ha provocato, è notevole perché dimostra quale mutamento sia avvenuto nell'indirizzo della politica estera inglese, la quale aveva finora evitato di porsi nei Balcani in aperto contrasto con la politica austriaca. Il sig. Thesiger mi disse che, se pure il suo Governo persistesse nella linea di condotta seguita finora di non voler dare dirette assicurazioni circa questa questione, sue informazioni particolari ricevute da Costantinopoli, lo mettevano al caso di assicurare che le misure proposte sarebbero ritenute a Londra come sufficienti, e le relazioni fra i due paesi sarebbero subito riallacciate.

704 1 Vedi D. 701.

705

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, LANZA, E A VIENNA, AVARNA

T. CONFIDENZIALJSSIMO 1153. Roma, 12 maggio 1906, ore 9, 15.

La prossima visita dell'imperatore Guglielmo a Vienna non mi lascia senza qualche preoccupazione sia per la possibilità di alcuna sua nuova manifestazione per noi men gradita, sia per l'influenza che egli possa esercitare sul Governo austroungarico con l'associarlo al suo malumore ed alle sue diffidenze verso di noi. Sopra questo delicato argomento credo opportuno richiamare l'attenzione di V.E. pregandola di telegrafarmi ogni sua informazione ed impressione in proposito 1 .

705 1 Per la risposta vedi DD. 707 e 71 O.

704 2 Del l O maggio, non pubblicato.

706

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1241 . Berlino, 12 maggio 1906, ore 18,51 (perv. ore 20,50).

Ringrazio l'E.V. del suo telegramma del 5 corrente2 col quale ella si è compiaciuta manifestarmi la sua approvazione per il linguaggio da me tenuto al segretario di Stato degli affari esteri. Della sua approvazione mi compiaccio anche perché vedo che quanto io ho detto qui non ha mancato di avere l'effetto sperato.

Stamane il Cancelliere dell'Impero mi ha pregato di recarmi da lui. Egli, che è già in avanzata convalescenza, mi ha detto quanto gli sia rincresciuto l'accidente toccato gli nella seduta del 5 aprile anche per le buone relazioni con l'Italia. Egli lamentava, infatti, di non essersi trovato al suo posto, mentre la stampa germanica si conduceva in modo impolitico verso l 'Italia, e mentre partiva da Berlino per Vienna una manifestazione imperiale, che l 'individualità impulsiva dell'Augusto mittente può scusare, e sulla quale il Cancelliere preferiva riservare per sé il suo giudizio. In Germania, dicevami il principe di Biilow, fece impressione il voto del marchese Visconti Venosta dato con la Francia contro la Germania nella questione formale dei lavori della Conferenza, e sotto questa impressione si trova tuttora il pubblico tedesco. Se avesse potuto pronunziare il secondo discorso che aveva preparato per la seduta del 5 aprile, il Cancelliere avrebbe reagito contro questa disposizione dello spirito pubblico. Egli mi ha letto, infatti, il brano della sua orazione preparata per noi. In questo brano si rende ragione alla situazione delicata in cui l'Italia si è trovata adAlgeciras, all'opera intelligente spiegata dal marchese Visconti Venosta per attutire i contrasti e preparare le soluzioni, al riconoscimento di quest'opera da parte degli stessi delegati tedeschi, etc.

L'impressione di insieme da me riportata dalla conversazione col Cancelliere è che non tutto quanto egli mi ha detto corrisponda al fondo del suo pensiero. A fatto compiuto Sua Altezza non è stata malcontenta del quos ego imperiale. La parte sostanziale e vera delle sue allegazioni consiste nel respingere la responsabilità di Governo in atti compiuti non solo senza il suo concorso, ma ben anche contro quelle che sarebbero state le sue intenzioni, consiste inoltre nel desiderio di vedere posta da noi una pietra sopra l'accaduto, consiste infine nella persuasione della necessità per l 'Italia sì, ma in misura certamente non minore per la Germania, di continuare la politica della Triplice. A rafforzare il prestigio dell'alleanza il Cancelliere dell 'Impero lavorerà come meglio potrà, contando anche sulla cooperazione di V.E.

Ho toccato la questione Monts anche con il Cancelliere e qui ho avuto facile giuoco, poiché mi sono accorto subito di predicare ad un ormai convertito. Il Cancelliere dell'Impero mi ha fatto persino vari nomi dei candidati alla successione la quale, dalle parole del Cancelliere, non dovrebbe molto attendere il giorno in cui sarà aperta.

2 In realtà del 4 maggio. Vedi D. 693.

706 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

707

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. SEGRETO 125 1 . Berlino, 12 maggio 1906, ore 18,50 (perv. ore 20,20).

Rispondo al suo telegramma n. 11532 della visita dell'imperatore Guglielmo a Vienna.

Io avevo intrattenuto già stamane stesso il Cancelliere dell'Impero. Sua Altezza mi ha detto che la visita non ha scopo politico speciale e che aveva già, per mezzo della stampa, fatto togliere alla visita stessa quel significato che si era voluto attribuirle, ma che essa non comporta. Il Cancelliere ha aggiunto che, ad ogni buon fine, aveva condotto le cose in modo che l'Imperatore fosse accompagnato dal segretario di Stato degli affari esteri, il quale, col suo tatto, avrebbe impedito qualsiasi poco opportuna manifestazione. Del resto, per quanto può concernere l'attitudine della politica germanica verso noi, mi riferisco al mio telegramma odierno 1243 . L'interesse della Germania di continuare la politica della Triplice finirà per avere ragione anche dei malumori e delle diffidenze a nostro riguardo, se la nostra condotta non risentirà delle oscillazioni del passato.

708

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

DISP. 26058/182. Roma, 12 maggio 1906.

Ho ricevuto il rapporto 478/132 del 18 aprile1 ed attendo le ulteriori comunicazioni che ella mi farà dopo aver conferito con sir Grey circa la frontiera verso Lugh.

Ci preme avere dal Governo inglese l'assicurazione di ciò che esso ha già accettato, ossia che addiverrà con noi ad un accordo, affinché le strade carovaniere tra le stazioni italiane del Giuba e l 'Etiopia meridionale siano lasciate aperte ai traffici del Benadir attraverso il territorio britannico sulla destra del Giuba stesso e del Daua, e che lo stesso Governo appoggerà l'azione nostra presso Menelik, per ottenere all'Italia una conveniente soluzione politico-commerciale della questione di Lugh.

2 Vedi D. 705.

3 Vedi D. 706.

707 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

708 1 Vedi D. 662.

709

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. CIFRATO 365/112. Belgrado, 12 maggio 1906 (perv. il 15).

Facendo seguito al mio rapporto n. I l 01 , ho l'onore di informare V.E. che il telegramma inviato da questo console inglese al suo Governo non è rimasto senza effetto.

Gli aggiungeva [sic] infatti questa mattina la seguente risposta: «Dai suoi precedenti telegrammi appariva che fossero sei i regicidi responsabili. Se questi fossero allontanati, si potrebbe riaprire la questione».

Atteso l'ostinato silenzio opposto fino ad ora dal Governo britannico a tutte le aperture fatte precedentemente per indurlo a precisare i suoi desideri, questa risposta deve considerarsi come un successo e prova come anche a Londra non sia sfuggito il pericolo che rappresenterebbe, per tutti gli Stati interessati ad impedire un'egemonia austriaca in Serbia, la permanenza al potere degli ufficiali cospiratori.

Il primo ministro, al quale comunicai il telegramma sovraccennato, se ne è mostrato oltre ogni dire soddisfatto. Mentre mi ha assicurato, confermato che i quattro capi cospiratori erano sempre disposti a dare le loro dimissioni, ed il Re ad accettarle, aggiunse che si sarebbe subito posto ali' opera per indurre gli altri due, Salareich2 e Lazarevié, ad imitarne l'esempio.

Di questa trattativa nulla fino ad ora è trapelato.

710

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. PERSONALE 701 . Vienna, 13 maggio 1906 (perv. ore 22,20).

Non mancherò conformarmi istruzioni impartitemi con telegramma n. 11532 telegrafando V.E. ogni mia informazione ed impressione circa prossima visita Imperatore di Germania in Vienna. Questa non sembra essere vista di molto buon occhio da una parte opinione pubblica Monarchia in cui non si è dileguata ancora sgradita impressione prodotta dal telegramma Imperatore di Germania al conte Goluchowski. Ad eccezione principali periodici tedeschi, quelli czechi, polacchi, croati e specialmente ungheresi

2 Solarevié.

2 Vedi D. 705.

l'accolgono con poco favore perché, conoscendo azione preponderante che Germania mira esercitare ovunque, sospettano che Imperatore di Germania profitti sua visita per tentare di attirare maggiormente Austria-Ungheria nella cerchia della propria politica cui essi si dimostrano avversari, involgendola così nell'isolamento nel quale si pretende si trovi attualmente. A tali manifestazioni, però, motivate in parte da questioni interne inerenti a quelle nazionalità, non devesi attribuire soverchia importanza quantunque non siano da lasciare inosservate per le conseguenze che potrebbero risultare per l'avvenire. Ed è da aggiungere che ove azione Imperatore di Germania si svolgesse realmente nel senso sospettato da stampa suddetta, ciò che è da dubitare, non è da supporre che essa possa condurre ad un risultato pratico dati i sentimenti dell'Imperatore d'Austria-Ungheria e la linea di condotta prudente e pacifica del Governo imperiale e reale. Nei circoli ufficiali la visita è considerata come una conferma [degli ottimi?P rapporti esistenti tra i due Sovrani e i due Governi, non le si attribuisce speciale importanza politica e si dichiara del tutto erronea la supposizione che essa costituisca una nuova manifestazione all'indirizzo dell'Italia, e infondati gli apprezzamenti di cui è fatta oggetto da una parte dell'opinione pubblica della Monarchia.

709 1 Vedi D. 704.

710 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

711

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

T. SEGRET0 1 . Roma, 14 maggio 1906, ore 9,30.

Riferendomi la conversazione da lei avuta, circa i nostri rapporti con la Germania, col sig. Miihlberg, VE. mi faceva sapere che questi le aveva accennato alla convenienza che l'Italia comunicasse alla Germania i suoi accordi con la Francia2 . Un consimile cenno mi venne fatto da Monts nell'ultima sua visita prima di partire per Milano.

Da gran tempo ci eravamo posto il quesito se, qualora la Francia consentisse a liberarci dall'obbligo del segreto, ci convenisse di comunicare quei documenti alla Germania. Da un lato noi consideriamo che questa comunicazione toglierebbe di mezzo il principale motivo che si adduce dalla Germania per giustificare le sue diffidenze, quello cioè di un segreto che autorizza maggiori sospetti. Ma d'altro canto dobbiamo pur tener conto della impressione che la Germania potrebbe trarre dalla conoscenza testuale dei documenti, potendone derivare motivo o pretesto a più grave risentimento. Prima di prendere una così importante decisione, desideriamo conoscere in proposito il parere di lei. Se V.E. non avesse, per pronunciarsi, un ricordo abbastanza esatto dei documenti, mi affretterei, da lei avvertito, di farle pervenire, in modo cauto, una copia di essi per mezzo del corriere di Gabinetto del 16 corrente3 .

71 O3 Il punto interrogativo è del decifratore.

2 Vedi D. 368, nota l.

3 Per la risposta vedi D. 712.

711 1 Dali' archivio segreto di Gabinetto.

712

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. SEGRETO 1271 . Berlino, 14 maggio 1906.

Rispondo al suo telegramma di oggi2 .

I documenti relativi ai nostri accordi colla Francia non mi sono noti che in modo sommario e quindi se V.E. vorrà farmene tenere copia, io le sarò grato per l'elemento di giudizio che mi viene così fornito. In linea generale è mio parere che, se la Francia ci libera dall'obbligo del segreto e se dalla nostra comunicazione non nascano inconvenienti per noi, utile certamente sarebbe portare i documenti stessi a conoscenza di questo Governo. Altra cosa è, però, il decidere se siffatta comunicazione sia opportuna nel momento presente fino a che dura, cioè, la condizione di cose creata dagli incidenti di ieri. A questo riguardo io sono di parere recisamente negativo, poiché ritengo essere al di sotto della nostra dignità il dare spiegazioni sia pure spontanee sotto la pressione della diffidenza che si fa pesare su di noi. Quando qui si sarà fatta larga strada un consiglio più equo, potranno, date le condizioni da me più su accennate, essere mostrati i documenti quasi a esuberante prova che la diffidenza non era meritata.

713

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, TITTONI, A PARIGI, TORNIELLI E A PIETROBURGO, MELEGARI

0JSP. 1• Roma, 15 maggio 1906.

Trasmetto aii'E.V. due rapporti del r. console generale in Canea, 3 e 4 maggio, nn. 663/248 e 665/2502•

Come l'E.V. rileverà dalla lettura di queste due comunicazioni, i consoli delle potenze protettrici in Creta, in vista anche del programma dell'opposizione testé pubblicato, si preoccupano della eventualità che la nuova Assemblea possa, nella prima sua adunanza, proclamare decaduto il regime colà attualmente in vigore e deliberare l'annessione dell'isola alla Grecia.

I consoli propongono, pertanto, che i Governi protettori dirigano serie e vive raccomandazioni al principe Giorgio, perché egli si valga della sua influenza presso gli aderenti al Governo, allo scopo di scongiurare il pericolo più sopra accennato.

In relazione a siffatto suggerimento del corpo consolare, osservo, per parte mia, come non sia da escludere la possibilità che il principe non intenda, in fatto, aderire alla linea di condotta raccomandatagli dalle potenze, o che, anche ammessa la sua adesione, l'Assemblea proceda di propria iniziativa e effettivamente deliberi la annessione.

Parmi, quindi, opportuno che le potenze prendano, sin da ora, in esame le conseguenze di siffatta eventualità e decidano, di comune accordo, l'atteggiamento ed i provvedimenti da adottarsi alla circostanza.

Prego la E.V. di voler, su quanto precede, richiamare l'attenzione di codesto sig. ministro degli affari esteri e di riferirmi poi il suo modo di vedere in proposito.

712 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto. 2 Vedi D. 711. 713 1 Trasmesso alle ambasciate a Londra, Parigi e Pietroburgo rispettivamente con i nn. 26514/191, 26515/510,26516/109, del15 maggio. 2 Non pubblicati.

714

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. CONFIDENZIALE 1116/566. Vienna, 15 maggio 1906 (perv. il 22).

Ho profittato del ritorno del conte Goluchowski in Vienna, avvenuto ieri, per intrattenerlo dell'argomento del dispaccio segnato in margine 1 , esprimendomi seco lui a seconda delle istruzioni impartitemi dall'E.V.

Il conte Goluchowski mi fece conoscere di aver avuto comunicazione dal conte di Liitzow di quanto V.E. avevagli detto in ordine a quell'argomento, del quale era stato in pari tempo informato dal conte di Mensdorff-Pouilly, a cui il r. ambasciatore in Londra avevane tenuto parola direttamente.

Quantunque il conte di Mensdorff-Pouilly avesse avuto sempre cura di tenere a Londra il linguaggio desiderato dali'E.V., egli non aveva mancato, in seguito alla informazione da lui pervenutagli, di scrivergli raccomandandogli di continuare ad agire nel medesimo senso al fine di contribuire a stabilire, nell'interesse della causa della pace, una corrente di cordialità tra il Governo britannico ed il Governo germanico.

Non dubitava quindi ch'egli si sarebbe adoperato in tale scopo, ove l'occasione propizia gli si presentasse, giovandosi della situazione speciale che occupava a Londra per i legami di parentela che l'univano a quella Corte, ma aggiunse, incidentalmente, che non sembravagli opportuno d'iniziare un'azione comune, né di esercitare, ciò che era ovvio, una specie di mediazione, non esistendo fra quei due paesi un vero e reale conflitto2 .

2 Per la risposta vedi D. 736.

714 1 Vedi D. 677.

715

IL SENATORE VISCONTI VENOSTA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

L. PERSONALE. Roma, 15 maggio 1906.

V.E., con la sua lettera del 9 corrente 1 , mi chiede una relazione intorno alle trattative che ebbero luogo alla Conferenza di Algeciras per la designazione dei censori presso la Banca di Stato del Marocco.

Mi affretto a rispondere al desiderio di V.E. aggiungendo maggiori particolari alle informazioni che già risultano dal mio carteggio e dai miei telegrammi al R. Ministero.

Nel laborioso negoziato intorno alla costituzione della Banca marocchina, la questione del modo con cui ordinarne la sorveglianza e il controllo fu una di quelle che rimasero più a lungo in sospeso prima di giungere ad un accordo.

La delegazione germanica, nel progetto da essa presentato sulla Banca2 , aveva proposto e più tardi, nella seduta del 24 febbraio3 , aveva sostenuto che la sorveglianza fosse affidata al Corpo diplomatico a Tangeri.

La delegazione francese si era decisamente dichiarata contraria a tale risoluzione.

Il delegato della Gran Bretagna aveva allora suggerito l'istituzione di tre censori designati dal Comitato incaricato di redigere gli Statuti, con ratifica susseguente della Assemblea degli azionisti (Protocollo 24 febbraio).

La delegazione germanica accettò, in principio, il sistema dei tre censori, ma, tendendo sempre ad affermare il carattere internazionale della Banca, in una seduta posteriore (3 marzo )4 domandò che essi fossero nominati dal Corpo diplomatico a Tangeri. La delegazione francese, che cercava di far prevalere nella Banca il carattere finanziario, si oppose a questo sistema di elezione.

In seguito a questo rifiuto, nella seduta 8 marzo5 , il delegato germanico, conte di Tattenbach, accennò all'idea di deferire la nomina di un censore a ciascuna delle quattro banche di Stato di Francia, di Inghilterra, di Germania e di Spagna. Non fu presa allora alcuna deliberazione.

Nella seduta del lO marzo6 il conte di Tattenbach trasformò il suo suggerimento in una proposta formale, motivandola con la considerazione che, se la nomina dei censori fosse attribuita alle banche di Stato di tutte le potenze rappresentate alla Conferenza, il numero ne sarebbe eccessivo, e che quelle di esse che non avevano banche di Stato o che avevano al Marocco interessi minori delle Potenze da lui indicate, avrebbero potuto aderire alla sua proposta.

R. 29 del 9 marzo, non pubblicato.

6 Vedi D. 582. Sulla proposta di Tattenbach Visconti Venosta riferì anche con R. 30 dell'Il marzo, non pubblicato.

La Conferenza decise allora che i particolari della proposta sarebbero stati studiati dal Comitato di redazione che, per la procedura adottata, aveva l'incarico di presentare all'approvazione del consesso la formala degli articoli accettati in principio.

Nell'adunanza del Comitato di redazione il secondo delegato italiano fece notare che il numero pari di quattro, fissato pei censori, i quali erano chiamati a deliberare collettivamente, poteva avere l'inconveniente di rendere impossibile una maggioranza. Egli propose il numero di cinque, il che costituiva una piccola modificazione, ed aggiunse che, quando questa fosse accolta, si poteva pensare alla Banca d'Italia, poiché la sua situazione di potenza mediterranea, le sue secolari relazioni col Marocco, i suoi interessi commerciali parevano designare l'Italia per tale scelta.

Questa proposta ebbe nel Comitato una favorevole accoglienza, eccettuato il secondo delegato austro-ungarico il quale dichiarò che, se il primitivo numero di quattro avesse dovuto essere aumentato, egli domanderebbe un censore per la Banca di Stato austriaca.

In realtà, poiché era poco conveniente l'oltrepassare il numero dei cinque censori e quindi il posto disponibile era uno solo, la dichiarazione del delegato austroungarico non poteva avere altro effetto pratico che l'esclusione della Banca d'Italia.

Frattanto, questa opposizione del delegato austro-ungarico ebbe la prevedibile conseguenza che, in seguito ad essa, altri delegati, come quello dei Paesi Bassi e quello del Portogallo, si riservarono di chiedere, in tal caso, un censore per le Banche dei loro rispettivi paesi. Il delegato del Belgio formulò, esso pure, una riserva.

Il Comitato di redazione non prese alcuna decisione, ma, per mezzo del suo relatore, riferì, alla Conferenza, nella seduta del 27 marzo7 , quello che era lo stato delle cose. Espose le osservazioni fatte a proposito del numero, la soluzione eventuale della difficoltà coll'aggiunta di un quinto censore, la prima domanda dell'Italia, la domanda concorrente dell'Austria-Ungheria, quella di altri delegati, osservò che, coll'aggiunta della Banca austriaca a quella italiana, il numero dei censori ritornava ad essere pari e che, dopo questa domanda, non si poteva trovare il numero dispari che aumentando i censori in modo eccessivo oppure riducendoli a tre, colla soppressione di quello assegnato alla Banca d'Inghilterra. Il Comitato di redazione non faceva proposte, ma sottometteva le due ipotesi alle considerazioni della Conferenza.

Allora il delegato della Gran Bretagna dichiarò che, desiderando una soluzione di tale difficoltà, avrebbe telegrafato al suo Governo per rendergli conto della situazione. Egli mi disse poi, personalmente, che non escludeva che il Governo inglese fosse indifferente all'avere o al non avere un censore.

Se il Governo britannico avesse rinunciato, il che era molto pretendere, quando si confronta il commercio dell'Inghilterra al Marocco con quello dell'Austria o dell'Italia, la soluzione sarebbe stata facile poiché si poteva facilmente aggiungere alle Banche di Francia, di Germania e di Spagna quelle d'Austria e d'Italia.

Ma nella seduta seguente del 29 marzo 8 , il delegato britannico dichiarò che egli aveva avuto l'istruzione di insistere perché la designazione di uno dei censori fosse riservata alla Banca d'Inghilterra, in ragione dei grandi interessi economici della Gran Bretagna al Marocco.

8 Vedi D. 627.

Come si presentava allora la questione? L'accrescere i censori da quattro a cinque si spiegava per la già accennata ragione, ma l'accrescerli, senza alcuna necessità ed utilità, da quattro a sei, ritornando appunto a quel numero pari che si era voluto evitare, non si spiegava per altro motivo che per la competizione sorta tra l'AustriaUngheria e l'Italia. D'altra parte, il reclamo fatto dal delegato austro-ungarico contro la proposta italiana aveva aperto l'adito alle domande di altre delegazioni. Non era facile il respingerle perché il principio che informava tutto l'atto costitutivo della Banca era quello della perfetta eguaglianza delle potenze che prendevano parte alla sua costituzione. Come, per esempio, non prendere in considerazione la domanda del Belgio che ha col Marocco un commercio assai superiore a quello dell'Austria e dell 'Italia e i cui capitali entrarono, in proporzione notevole, nel prestito marocchino del 1904? E come, al tempo stesso, moltiplicare, in modo affatto inconsueto, i censori, i cui emolumenti e indennità andavano a carico della Banca marocchina?

Ho creduto, per parte mia, che non convenisse prolungare, in seno alla Conferenza, e precisamente quando si era ottenuto l'accordo su questioni ben più importanti, una situazione incresciosa e una rivalità che non poteva continuarsi senza qualche sacrificio di dignità per tutti.

Udita dunque la dichiarazione del delegato della Gran Bretagna, osservai «che, in tale stato di cose, mi pareva più semplice ritornare alla cifra dei censori, proposti dalla delegazione germanica, riservandone la designazione alle Banche di Germania, di Spagna, di Francia e della Gran Bretagna».

Il primo delegato austro-ungarico dichiarò che egli non aveva pensato a domandare una partecipazione per la Banca di Stato austriaca che perché era stato proposto di oltrepassare il numero di quattro. Se la Conferenza ritornava a questa cifra l'Austria-Ungheria rinunciava alla sua domanda. Era un dire chiaramente che, quando anche l'aumento dei censori da quattro a cinque fosse stato il solo ammissibile, la delegazione austro-ungarica si sarebbe opposta a che questo ultimo posto fosse occupato dalla Banca d'Italia.

In seguito a ciò, i delegati del Belgio, dei Paesi Bassi, del Portogallo ritirarono le loro riserve.

Così la quistione fu chiusa, né poteva chiudersi diversamente.

Io non ho posto molta importanza a questo incidente, a cui non si associava alcun interesse rilevante. Esso mi spiacque solo per quell'apparenza di rivalità che sembrava derivarne tra l'Austria-Ungheria e l'Italia.

V.E., nel chiedermi la presente relazione, mi informa come nei circoli politici, a Vienna, si vada accreditando l'opinione che se quella Banca di Stato non ebbe, come le Banche di Germania, d'Inghilterra, di Francia e di Spagna, la facoltà di designare un censore presso la Banca marocchina, ciò avvenne per l'opposizione fatta dalla delegazione italiana.

Quanto ho sopra riferito a V.E. dimostra come questa opinione non sia conforme alla verità dei fatti.

715 1 Vedi D. 697. 2 Vedi D. 518. 3 Vedi D. 536. 4 Vedi D. 561. 5 Vedi D. 574. Sulla questione della nomina dei censori Visconti Venosta riferì anche con

715 7 Vedi D. 625.

716

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1327171. Vienna, 16 maggio 1906, ore 18,25.

Nel parlarmi oggi della prossima visita dell'imperatore Guglielmo in Vienna, conte Goluchowski ha contestato, nel modo più formale, le varie interpretazioni di cui era stata oggetto per parte certa stampa della Monarchia, ed innanzi tutto quella di una manifestazione ostile all'Italia. Ed a questo proposito ha osservato che le visite che Sua Maestà aveva fatto a più riprese in tempi anteriori in Italia non vennero mai qui considerate siccome una dimostrazione di poca simpatia verso l'Austria-Ungheria. Senza contestare che la visita fosse in qualche correlazione coll'opera compiuta dal Governo imperiale e reale nella Conferenza di Algeciras, ha dichiarato che era stata motivata dal desiderio espresso dall'Imperatore di Germania di abboccarsi coll'imperatore Francesco Giuseppe, che non vedeva da più anni. Essa, infatti, non avrebbe avuto che un carattere del tutto privato, né alcun brindisi sarebbe stato pronunziato nel pranzo di Corte a Schonbrunn, e, accennando nel corso del colloquio, al malumore manifestatosi a nostro riguardo in Germania all'occasione Conferenza Algeciras ed alla polemica sorta tra la stampa italiana e la germanica, conte Goluchowski ha rilevato come il linguaggio di quest'ultima, specialmente di quella ufficiosa, si fosse modificato, onde non dubitava che le cose sarebbero ritornate, all'occasione, nello stato primitivo ed avrebbero ripreso il loro andamento regolare di un tempo.

717

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. RISERVATISSIMO PERSONALE 1281 . Berlino, 16 maggio 1906, ore 18,33 (perv. ore 20,50).

Ho veduto ier sera il segretario di Stato ed ho colto l'occasione per dirgli quanto era desiderabile che nessuna inopportuna manifestazione da parte dell'Imperatore avesse luogo a Vienna. Il segretario di Stato mi rispose che egli non mancava di adoperarsi perché la visita di Vienna non perdesse il carattere intimo che doveva avere e che quindi prevedibilmente né brindisi, né discorsi sarebbero stati pronunziati, essendovi di più in questo senso anche il desideratum qui espresso da parte austriaca. Noi quindi potevamo attendere tranquilli lo svolgersi della visita sovrana per quanto egli,

segretario di Stato, non fosse in grado di assumere una responsabilità preventiva del silenzio dell'impulsivo suo Sovrano. Che da parte austriaca sia stato qui espresso il desideratum cui accennava il segretario di Stato mi è confermato anche da quanto mi ha detto in via del tutto confidenziale il mio collega d'Austria-Ungheria. Questi non mi ha nascosto che a Vienna si ha timore analogo a quello di cui era parola nel telegramma di V.E. 1153 2; ma confida che il senno e la prudenza del vecchio Imperatore finiranno in ogni caso per avere ragione di fronte all'eventualità di inconsiderate manifestazioni.

717 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

718

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

DISP. 26889/195. Roma, 16 maggio 1906.

Ricevo il rapporto di V.E. in data dello maggio, n. 542/149 1 , relativo all'accordo che stiamo negoziando per l'Etiopia, e ne traggo che, come già me lo faceva supporre il telegramma da lei dello stesso giorno2 , il mio pensiero non le fu reso abbastanza chiaro da quanto esponevo nel mio telegramma da Milano del 29 aprile3 .

L'E.V., citando particolareggiatamente le successive comunicazioni scambiate tra il R. Governo ed il Governo britannico circa l'art. 4 dell'accordo, conclude che la formala relativa agli interessi inglesi, così come presentemente figura nello schema in discussione, è stata accettata dali 'una e dali' altra parte, di guisa che il tornare oggi a sollevarla non condurebbe ad alcun risultato pratico, non essendo sperabile che l'Inghilterra ci sciolga dall'adesione da noi data. Ora io convengo bensì-né potrei disconvenire, trattandosi di una questione di fatto-che l'attuale formala costituisce oramai uno dei punti acquisiti al negoziato, ma non mi sembra che debba da ciò dedursi la conseguenza che sia tolto ai due Governi il modo di occuparsene ancora quando la cosa sia riconosciuta di reciproco vantaggio.

Non ho d'uopo di ricordare a V.E. essere massima costantemente ammessa che fino a definitiva ed integrale conclusione del negoziato i punti già concordati possano tuttavia, per giusti motivi, essere oggetto di nuovi studii e di nuove trattative. Nel caso presente sono avvii, agli occhi nostri, i motivi che consigliano uno studio ulteriore dell'argomento. La formala che richiama la nostra attenzione è così concepita: «Les intérèts de la Grande-Bretagne et de l'Égypte dans le bassin du Nil et plus spécialement en ce qui concerne la réglementation des eaux de ce fleuve et de ses affluents (la considération qui leur est due étant donnée aux intérèts locaux)». Più si

2 Vedi D. 683.

3 Vedi D. 681.

esamina questa formola, e più ne risulta tale un difetto di chiarezza, tale una oscurità di locuzione, che necessariamente ne derivano dissidii che è comune interesse dei due Governi siano fin d'ora rimossi. Spiegare il preciso significato di quella riserva è adunque un dovere di entrambe le parti; e tale è precisamente l'intento che ci muove.

Ed invero può sostenersi che con la formola suddetta il Governo britannico abbia voluto premunirsi contro l'eventualità che, mediante deviazione delle acque dal loro corso naturale, si voglia impedire il loro deflusso verso il Nilo; ed in questo caso noi non avremmo manifestatamente ragione alcuna di eccepire contro un così legittimo e ragionevole desiderio. Ma potrebbe altresì sostenersi che la portata effettiva della formola dovesse costituire, per gli affluenti superiori del Nilo, tale un vincolo per cui fossero proibite senza il consenso dell'Inghilterra le derivazioni a scopo di irrigazione o industriale; ed in questo caso noi dovremmo rilevare che sarebbe compromesso ogni progresso agricolo dell'Etiopia, compreso il Tigrè che è l'hinterland dell'Eritrea; e opporci a una interpretazione che paralizzerebbe ogni opera nostra nello stesso hinterland eritreo.

So bene, avendo sotto gli occhi il rapporto del predecessore di lei, in data 12 ottobre 1904, n. 4834, che, per meglio definire il significato della formola mercé opportuna aggiunta, furono fatti, presso il Foreign Office, insistenti offici che a nulla approdarono. Però è così profondo in me il convincimento dei pericoli e delle complicazioni a cui si andrebbe incontro, che io stimo mio debito di fare, presso codesto Governo, nuove pratiche per ottenere che la formala sia modificata in guisa da darle quella chiarezza che è indispensabile per evitare sicuri dissidii

V.E. conosce ed apprezza la nostra ferma opinione, e cioè che i nostri diritti, nella regione etiopica, trovano, nei rapporti nostri coll'Inghilterra, guarentigia e tutela negli accordi del 1891. Se dovesse rimanere immutata e senza opportuno chiarimento, nello schema di accordo, una formola così oscura e così pericolosa quale è quella risultante dai termini in cui è attualmente concepita, noi saremmo condotti a considerare se non ci convenga piuttosto rinunziare a nuove stipulazioni, confidando nell'utile effetto dei protocolli del 1891, essendo stato costantemente riconosciuto dal Governo britannico che essi sono tuttora in pieno vigore.

Una grande cautela tanto più ci è imposta nel presente negoziato, in quanto che se, per una parte, i precedenti del negoziato stesso non possono da noi essere disconosciuti, non debbo, d'altra parte, tacerle che il divisato accordo suscita gravi dubbii e preoccupazioni presso autorevolissime persone; e lo stesso on. Martini si manifesta decisamente avverso. Tra l 'una e l'altra difficoltà che ci premono, la situazione nostra è delicata assai, ed io mi affido al tatto ed alla abilità dell'E. V. per uscirne con correttezza e con risultato per noi vantaggioso.

717 2 Vedi D.705.

718 1 Non rinvenuto.

718 4 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 661.

719

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA

L. RISERVATISSIMA. Roma, 16 maggio 1906.

Aderendo al desiderio di lei, mi affretto a mandarle, insieme con questa lettera costì recata dal corriere di Gabinetto, copia dei documenti che costituiscono gli accordi segreti stipulati con la Francia dal marchese Visconti Venosta e dall'an. Prinetti1• V.E. avrà la bontà di rinviarmi la copia stessa col ritorno del corriere, non essendo cosa cauta che di così gelosi documenti si moltiplichino le copie e la copia acchiusa essendo qui necessaria.

Per meglio spiegarmi il suo pensiero circa il delicato ed arduo quesito che le proposi, VE. vorrà probabilmente intrattenermene con lettera da affidarsi al corriere; però le sarei grato se un cenno succinto me ne porgesse, con telegramma riservatissimo, non appena ella stimi di poterlo fare.

Dove consista il punto più scabroso del problema, V.E. stessa ha già potuto immaginare: quale, cioè, sarebbe per essere l'impressione di codesto Governo quando venisse a conoscere i precisi termini dell'accordo Prinetti in quanto questo accordo concerne i rapporti d'ordine generale tra l 'Italia e la Francia: sia perché siffatti termini lasciano implicitamente argomentare, per via di esclusione, il contenuto del Trattato di Triplice Alleanza, sia perché l'accordo attribuisce alla eventuale neutralità dell'Italia un carattere obbligatorio rimpetto alla Francia, sia infine perché vi si fa, in certa guisa, intervenire anche la Francia nell'accertamento del caso di provocazione diretta. Questi sono rilievi di cui certo non le sfugge la gravità, e che debbono essere seriamente ponderati prima di decidere il quid agendum.

Naturalmente, anche avuto il consenso della Francia, l'eventuale comunicazione, dato che tale fosse la nostra decisione, non dovrebbe avvenire che nel momento opportuno, e sopratutto allora soltanto quando vi si potesse procedere con la pienezza della nostra dignità.

D'altra parte, non debbo tacerle una circostanza di fatto donde potrebbe derivare, per noi, l'urgenza di una decisione. Secondo un cenno che già me ne fece l'ambasciatore Monts, si sarebbe pensato, a Berlino, di costituire, per la Banca del Marocco, tra la Germania ed altre potenze partecipanti al capitale della Banca, una specie di sindacato, base del quale sarebbe il reciproco impegno che, quante volte una delle potenze aderenti volesse rinunciare alla sua quota di capitale, questa rimanga proprietà collettiva delle altre. Se l'invito di accedere a questa combinazione ci fosse formalmente rivolto, sorgerebbe, per noi, la necessità di spiegare il nostro eventuale diniego col rendere nota alla Germania la precisa nostra situazione verso la Francia rispetto alle cose del Marocco, e di porre così un termine, mercé una leale e completa esposizione, a quel sistema di reticenze che, forse assai più dei fatti sospettati, ha contribuito a creare un ambiente di diffidenza tra Roma e Berlino.

VE. trae da questa mia lettera i vari lati del problema come a me si presentano. Attenderò ora, con anticipati ringraziamenti, l'autorevole suo parere 2•

719 1 Vedi D. 368, nota l.

720

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

L. PERSONALE. Roma, 16 maggio 1906.

A due riprese V.E. mi aveva accennato, nel suo carteggio particolare, alla opinione, costì accreditatasi, che l'esclusione della Banca austriaca dal novero di quelle chiamate a designare i censori della Banca di Stato del Marocco sia dovuta alla opposizione della delegazione italiana nella Conferenza di Algeciras.

I rapporti della nostra delegazione già mi erano sufficienti per smentire una siffatta supposizione.

Però, standomi a cuore di mettere l 'E.V. in grado di fornire, in proposito, quei maggiori particolari che valgano ad eliminare ogni dubbiezza, e di dimostrare come, anche nella presente circostanza, l'azione diplomatica dell'Italia fosse stata ispirata a quei sentimenti di cordiale amicizia che ci animano verso la vicina Monarchia, ho pregato S.E. il marchese Visconti Venosta di compendiare, in apposita relazione, i particolari di quello che è avvenuto, nella Conferenza di Algeciras, rispetto al presente argomento.

Il marchese Visconti Venosta ha cortesemente annuito al mio desiderio inviandomi la relazione di cui qui accludo una copia 1 . V.E. potrà giovarsi di questo documento per mettere in giusta luce l'operato del nostro primo delegato, e chiarire così che la esclusione della Banca austriaca fu sostanzialmente dovuta a quegli stessi criteri d'ordine generale che hanno del pari condotto alla esclusione della Banca d'Italia.

719 2 Per la risposta vedi D. 729. 720 1 Vedi D. 715.

721

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AL COMMISSARIO CIVILE PER L'ERITREA, MARTINI

T. 1188. Roma, 18 maggio 1906, ore 19,45.

Il negoziato a Londra per raccordo relativo all'Abissinia incontra difficoltà che potrebbero essere insormontabili. Le invio, a questo riguardo, copia di un mio dispaccio all'ambasciatore Tittoni2 . Per attenuare eventualmente l'effetto del mancato accordo, è per noi indispensabile avere la certezza che, anche in tale ipotesi, la questione ferroviaria non sarà risoluta senza di noi ed in senso contrario ai nostri interessi. Importa quindi che V.E. si adoperi con la massima efficacia presso Menelik acciocché questi stia fermo sul proposito, già manifestato, di riservare a sé la costruzione delle ferrovie se per esse non intervenga un accordo fra le tre potenze Italia, Francia ed Inghilterra. Quantunque già io le abbia telegrafato il nostro pensiero su questo soggetto, desidero qui additarle ancora una volta questo che è per noi il tema di maggior importanza del convegno di Addis Abeba.

722

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, TITTONI, A PARIGI, TORNIELLI, E A PIETROBURGO, MELEGARI

T. 1201. Roma, 20 maggio 1906, ore 19.

Riferendomi al mio dispaccio del15 1 di questo mese, qui riproduco un mio telegramma al r. ministro in Atene2: «l consoli in Creta si preoccupano delle eventualità che la nuova Assemblea, anche per impulso del partito governativo, proclami, come suo primo e forse unico atto, l'annessione alla Grecia. Essi propongono, pertanto, che i quattro Governi rivolgano al principe Giorgio, mentre ancora si trova in Atene, seria raccomandazione di adoperare la sua influenza per scongiurare tale eventualità che creerebbe grave ostacolo all'opera delle potenze in favore dell'isola. L'ambasciatore di Russia mi ha espresso il desiderio, in nome del suo Governo, che istruzioni in questo senso le siano impartite. Autorizzo quindi la S.V., tosto che anche i ministri di Francia e di Inghilterra siano del pari autorizzati, ad associarsi agli offici del collega russo in quella forma che di comune accordo parrà la più opportuna».

2 Vedi D. 718.

2 T. 1200, pari data.

(Per Parigi e Londra) Ritengo che l'ambasciatore di Russia avrà fatto costì comunicazione analoga. Desidero conoscere quale accoglienza è stata fatta costì alla proposta e quali istruzioni siano state date al rappresentante di codesto Governo in Atene.

(Per tutte e tre le ambasciate) Come dissi nel precitato mio dispaccio del 15 mi sembra opportuno che le quattro potenze prendano fin d'ora in considerazione l'eventualità che, malgrado la raccomandazione al principe Giorgio, l'Assemblea proclami l'annessione. In considerazione di questa eventualità, che credo molto probabile, confermo che mi pare opportuno che le potenze protettrici fin d'ora decidano di comune accordo, quali provvedimenti sarebbero da adottarsi in tal caso. Prego V.E. di volerne intrattenere codesto ministro degli affari esteri e riferirmene il pensiero3•

721 1 Ed. in MARTIN!, Il Diario Eritreo, vol. IV, cit., p. 367.

722 1 Vedi D. 713.

723

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 650/189. Londra, 20 maggio 1906 (perv. il 25).

Prima di partire in congedo l'ambasciatore germanico conte Metternich m'invitò a pranzo con lui en téte à téte. Dopo il pranzo restammo soli durante due ore in lungo colloquio. Il conte Metternich mi dichiarò che intendeva uscire dalla riserva in cui finora si era chiuso ed esprimermi tutto l'animo suo avendo in me la più grande fiducia poiché sapeva che io era in Italia uno dei partigiani più fedeli della Triplice Alleanza e conosceva anche i rapporti di personale amicizia che mi legano al principe di Billow. Egli aveva salutato con grande soddisfazione la mia nomina a Londra e riteneva che avrei potuto aiutare molto il miglioramento dei rapporti anglo-germanici, ove ciò fosse negli intendimenti miei e in quelli del mio Governo. Risposi ringraziando della fiducia in me riposta ed assicurando che il Governo italiano era desiderosissimo di veder migliorate le relazioni tra Inghilterra e Germania e che io molto volentieri mi sarei adoperato pel raggiungimento di questo fine nell'interesse dell'Italia, che tiene molto al tempo stesso all'alleanza germanica e all'amicizia inglese. Rimanemmo quindi d'intesa di procedere d'accordo e di avere frequenti scambi d'idee e d'informazioni.

Il conte Metternich contesta nel modo più assoluto che la rivalità commerciale abbia influito nell'intorbidire i rapporti anglo-germanici. Egli afferma che il ceto industriale che tutte le Camere di Commercio che i finanzieri della City sono e sono stati sempre favorevoli ad un'intesa con la Germania. Egli attribuisce lo stato di cose presente da un lato ai malintesi tra il re Edoardo e l'imperatore Guglielmo i cui caratteri non sono fatti per simpatizzare tra loro e dall'altro ad una tenace campagna orga

nizzata da un gruppo di giornalisti filosofi e letterati col Times alla testa eh'è riuscita a trascinare seco la maggioranza dell'opinione pubblica inglese.

Il conte Metternich negò che la guerra del Transvaal abbia gettato seme d'inimicizia tra la nazione inglese e germanica. Dopo il famoso telegramma al presidente Kruger dell'imperatore Guglielmo, questi aveva riveduto re Edoardo ed era tornato con lui in buoni rapporti anzi vi era stato un momento in cui sembrò che ogni dissidio ed ogni antipatia tra i due Sovrani fossero scomparsi. Le manifestazioni del popolo e della stampa germanica a favore dei boeri non sono state certamente più vivaci di quelle del popolo e della stampa francese.

Intanto la spinta all'opinione pubblica inglese contro la Germania è stata data, ed ora è ben difficile farla tornare indietro. Ciò non può ottenersi che con un'opera lenta e paziente soprattutto presso re Edoardo al quale specialmente in fatto di politica estera l'intera nazione deferisce. A ragione o a torto re Edoardo si è acquistato presso il suo popolo la fama di diplomatico finissimo e di prim'ordine, e quindi oggi chiunque vuol moversi sullo scacchiere europeo deve fare i conti con lui. Il conte Metternich spera un miglioramento dalla situazione soltanto da un incontro del re Edoardo coll'imperatore Guglielmo e crede che si debba sopratutto mirare a renderlo possibile e a prepararlo.

La mia posizione qui, ha conchiuso il conte Metternich, è ben curiosa. Con sir Edward Grey nulla abbiamo mai da dirci. Nulla la Germania chiede mai all'Inghilterra e nulla l'Inghilterra alla Germania. Questa situazione d'indifferenza che si cela sotto l'apparenza di rapporti freddamenti corretti, costituisce un pericolo che bisogna rimuovere.

Il conte Metternich parlando d'altre cose espresse il suo vivo rammarico per le polemiche intervenute tra stampa tedesca ed italiana ed insieme la speranza che nulla più turbi l'alleanza che è necessaria ai due paesi. A questo punto io non mancai di fargli rilevare come i torti non fossero da parte dell'Italia.

Il conte Metternich vedrebbe un pericolo nella venuta a Londra di un uomo come Barrère. Meglio allora, ha esclamato, averlo a Berlino, anzi credo che a Berlino farebbe bene. Ed invero «si vous voulez qu'une chasse soit gardée vous n'avez qu'à la confier à la garde d'un braconnier».

E questo fu «le mot de la fin».

722 3 Vedi DD. 732 e 733. Non si pubblica la risposta da Pietroburgo.

724

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. RISERVATO 652/191. Londra, 20 maggio 1906 (perv. il 25).

Nella mia breve dimora a Parigi ho avuto occasione d'incontrare il ministro degli esteri Bourgeois e l'ambasciatore Barrère. Col ministro Bourgeois la conversazione si mantenne in termini generali. Egli mi manifestò il suo fermo proposito di contribuire colla sua politica al mantenimento

della pace ed in questa affermazione era veramente sincero poiché certamente egli è tra gli uomini politici francesi il meno affetto da chauvinisme.

Rouvier era egualmente pacifico ma aveva meno scrupoli e nessuna rettitudine politica. Noi dovremmo desiderare che la presenza di Bourgeois al Quai d'Orsay si prolungasse. Molto meno favorevoli per noi e meno propizi per la pace europea sarebbero un Deschanel, un Étienne o un Delcassé.

Bourgeois mi disse che un solo punto nero vi era sull'orizzonte europeo, la situazione della Russia. Egli però è ottimista e spera che, mediante reciproche concessioni tra lo Czar e la rappresentanza popolare, la Russia possa senza troppo gravi scosse avviarsi alla nuova evoluzione politica e sociale.

Avendogli io accennato alle voci di una entente anglo-russa, mi rispose: certamente i rapporti tra i due paesi sono molto migliorati e tra i due paesi è vivo il desiderio di trovar modo di procedere d'accordo in Asia e nell'Oriente europeo; per ora però non c'è altro. Avendogli io osservato che importante elemento per la conservazione della pace erano i buoni rapporti tra la Germania e la Francia egli mi rispose: ma io desidero che tali sieno e si mantengano. Io faccio il possibile per evitare qualunque cosa che possa blesser la Germania. Il mio discorso sulle conclusioni della Conferenza di Algeciras ne è la miglior prova.

Bourgeois soggiunse che aveva molto a lodarsi dei suoi colloqui col Re d'Inghilterra il quale di sua propria iniziativa aveva, rispondendo al brindisi di Fallière, accentuato la nota dell'Entente Cordiale.

Cercai di continuare la conversazione su questo tema per indagare se egli avesse col Re d'Inghilterra trattato qualche questione speciale, ma nulla potei rilevare al riguardo.

Si passò poi a parlare della politica interna. Egli si mostrò soddisfatto delle elezioni generali e disse che molto aveano influito sul risultato gli errori, le esagerazioni e la violenza dei partiti reazionari e la fermezza colla quale il Governo aveva represso gli scioperi procedendo ad arresti su vasta scala specialmente dei comitati organizzatori e rassicurando così la borghesia alla quale si voleva far credere che il Ministero fosse incapace di mantenere l'ordine pubblico.

Gli chiesi: non credete che i socialisti cresciuti di numero e d'audacia nella nuova Camera non abbiano a crearvi seri imbarazzi con pretese esagerate ed inattuabili? -Mi rispose: fortunatamente tra gli eletti vi è Giulio Guesde che trascinerà la maggioranza dei socialisti contro il Ministero lasciando a noi Jaurès con i socialisti più moderati. Così non si potrà dire che noi governiamo a beneficio dei socialisti e potremo avere con noi i repubblicani moderati.

Da conversazioni che ho avute in due saloni di Parigi mi risulterebbe che queste previsioni di Bourgeois sono troppo ottimiste. Se Guesde trascinerà all'opposizione il nerbo dei socialisti il Governo non potrà contare su di una maggioranza sicura se non avrà con sé i progressisti di Ribot. E sarà possibile conciliare Ribot e Jaurès?

Negli stessi saloni correva la voce che Barrère fosse a Parigi perché gli era stata offerta una grande posizione finanziaria per la quale egli avrebbe lasciato l'ambasciata di Roma. Avendone fatto cenno a Barrère, questi mi rispose smentendo la voce. La smentita però ha un valore relativo poiché, dato che Barrère trattasse per una posizione finanziaria, è evidente che fino a che la cosa non fosse risoluta egli non ne fiaterebbe con alcuno. È notevole che Barrère il quale, alla vigilia della mia partenza da Roma, mi parlò apertamente della sua aspirazione all'ambasciata di Londra, questa volta abbia taciuto al riguardo. Ciò dimostra che egli ha tastato il terreno a Parigi e non lo ha trovato favorevole. Infatti la posizione di Cambon a Londra è molto forte e non credo che il re Edoardo gradirebbe che fosse cambiato.

Tanto Bourgeois quanto Barrère mi tennero parola della convenzione di Abissinia esprimendo vivissimo desiderio perché non ne fosse più a lungo ritardata la conclusione. Barrère mi soggiunse: «A Roma mi hanno detto che l'Italia deve chiedere all'Inghilterra di modificare la parte che riguarda gli interessi inglesi. Fate pure quel che credete, ciò non riguarda la Francia, ma vi avverto che non troverete terreno propizio e correrete rischio di guastarvi coll'Inghilterra». A ciò io non credetti di replicare e la conversazione ebbe termine.

725

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, MELEGARI

DISP. RISERVATO 27683/113 1 . Roma, 21 maggio 1906.

Trasmetto a V.E. per sua opportuna notizia un rapporto del l O corrente, del r. ministro in Copenaghen relativo alla partenza da colà del sig. Izvolskij2. Nel riferirmi le buone disposizioni verso il nostro paese manifestategli nella sua visita di congedo, dal sig. Izvolskij, il r. ministro fa allusione a proposito delle trattative in corso per una entente anglo-russa ai sentimenti meno favorevoli all'Inghilterra espressigli da quello stesso diplomatico in precedenti conversazioni dello scorso anno. Le informazioni che l'E.V. mi favorirà a suo tempo mi metteranno in grado di apprezzare gli intendimenti del nuovo ministro imperiale, anche per quanto riguarda siffatta questione dei rapporti russo-britannici alla quale si riferiva il rapporto dell'E. V. in data del 21 aprile p.p. n. 1203.

Gradirò, intanto, che ella continui a tenermi con frequenza e particolarmente informato delle trattative di cui nel suo rapporto ed in quello qui unito si fa cenno, così per quanto riguarda il loro progresso, come per ciò che concerne lo scopo che le medesime si prefiggono.

Ciò che specialmente preme di sapere è se l'intesa anglo-russa rinvierebbe ad un accordo per le questioni asiatiche esclusivamente o se, invece, anche le questioni

2 Vedi D. 702.

3 Vedi D. 665.

europee, ed in ispecie quelle attinenti agli affari balcanici, dovrebbero far oggetto della intesa in parola. Nel pregarla di inviarmi il rapporto annesso, ...

725 1 Analogo dispaccio (27682/29) fu indirizzato pari data alla legazione a Copenaghen con il seguente incipit: «Segno ricevuta del rapporto in data del l O corrente n. 69, relativo alla partenza da costà del sig. Tzvolskij, chiamato a Pietroburgo ad assumere il portafoglio degli affari esteri. Nel ringraziarla in particolar modo degli apprezzamenti coi quali ella ha accompagnato le informazioni favoritemi della cosa dettale dal sig. Tzvolskij, nella sua visita di congedo, relativamente alla sua buona disposizione verso il nostro paese, ...».

726

IL CONSOLE GENERALE AD ADEN, PESTALOZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

R. S.N./1. Aden, 21 maggio 1906 (perv. i/15 giugno).

Dai precedenti miei rapporti come dal notiziario ultimo che qui unisco 1 si deve rilevare che, contrariamente ad ogni suo interesse, il Mullah si mantiene completamente sotto la perfida influenza di quei spudorati Migiurtini che lo hanno attorniato e lo inducono alle più grandi sciocchezze, contro le quali io stesso lo avevo messo in guardia, all'ultimo mio passaggio da E il in aprile.

Solo scopo di quegli intriganti è di compromettere il Saied Mohammed col Governo italiano e in genere con chiunque abbia cercato di avvicinarlo; non riesco a capire come quell'uomo che, per quanto bizzarro, non è d'altronde privo di perspicacia, abbia potuto lasciarsi trascinare e illudersi di chissà quale successo immaginario fatto balenare alla sua mente vanitosa.

Abdallah Scehri, che ha buon senso ed è onesto (almeno così credo), ne è sinceramente indignato e addolorato; egli voleva ad ogni costo ritirarsi, abbandonando il maestro alla sua sorte, giacché gli insistenti e savi consigli datigli furono senza effetto; egli sarebbe andato alla Mecca, presso il vero capo della confraternita, Sceik Mohammed Saleh, per dedicarsi completamente alla religione ed allo studio della medesima. Con grande fatica e con ragionamenti più o meno persuasivi sono riuscito a dissuaderlo e ad indurlo di usare ancora della fiducia che il Saied Mohammed ha così spesso riposta in lui, per tentare di controbilanciare e possibilmente di distruggere la influenza malefica, che al presente trascina il Mullah ed i suoi dervisci alla propria rovina.

Abdallah Scehri ha ceduto alle mie insistenze e oggi stesso egli parte per Berbera, accompagnato dall'interprete Hersi Ismail, la cui presenza conserva alla pratica un carattere amichevole da parte nostra. Ho creduto dovere anche dare maggiormente quelle apparenze alla missione, col mandare al Mullah, come già ne scrissi, l'ammontare dei suoi assegni per il corrente anno; vi ho pure aggiunto, a preghiera di Abdallah, una somma di rupi e duemilacinquecento, calcolata essere l'eccedenza disponibile a favore del Mullah per conto di Jusuf Ali, dopo deduzione delle rupie diecimila circa che il Saied Mohammed vorrebbe da noi anticipate ai suoi creditori sulla indennità pagabile dagli inglesi al Jusuf Ali di Obbia; della ripartizione di quelle diecimila rupie risulta da qui unito mio rapporto speciale 1•

Il sig. Cordeaux, commissario inglese del Somaliland, che avevo prevenuto del passaggio dei nostri messaggeri a traverso il suo territorio, mi rispose che avrebbe loro agevolato il viaggio in ogni modo, ed io, ringraziandolo, gli rivolsi la lettera di cui unisco copia2 •

In questa ho voluto accennare allo stato delle cose presso il Mullah, e dirgli che, per quanto non creda a pericolo imminente da quella parte, pur non di meno lo stato anormale delle cose consiglia di stare in guardia.

In ogni modo, spero che la missione affidata ora a Abdallah Scehri, se non farà bene, non farà male certamente, e potrà servire a calmare i bollori e per ciò sono certo che il sig. Cordeaux vorrà in conseguenza usare verso quei messi ogni migliore trattamento e soddisfarli.

Per tutta quella gente somala l'interesse è il maggiore movente; io stesso che non lo ignoro, ho forse il torto di non muovere abbastanza quella pedina, mentre so che in questi ultimi tempi si è empito la testa del Mullah di compensi di migliaia e migliaia di rupie, cui avrebbe potuto e dovuto pretendere; si spinse la menzogna sino a dirgli che gli inglesi avevano pagato al Pestalozza migliaia di sterline destinate a lui, che naturalmente non gli pervennero. Nello stesso modo quegli intriganti invidiosi cercano di screditare Abdallah Scehri facendo credere che egli abbia ricevuto per l'opera sua somme favolose che tiene nascoste e che oramai egli è creatura degli italiani.

Per ciò, per quanto in tali contingenze potesse sembrare più savio di nulla dare, non ho potuto sottrarmi alla necessità di promettere a Abdallah Scehri che, se la difficile sua missione riusciva, mi sarei fatto uno scrupolo di ricompensarlo con un migliaio di rupie; è mio dovere dichiararlo sin d'ora, perché in ogni eventualità la

E.V. ne sia informata, convinto come sono che in quel caso il successo sarebbe ottenuto a buon prezzo.

Ripeto che credo Abdallah sincero ed il pericolo cui si espone ora non è piccolo; meritevole sarà anche l'interprete Hersi che lo accompagna se anche egli avrà saputo fare bene.

Auguro che tutto vada per il meglio, ma in ogni modo ne resta ormai fortemente scossa la fiducia in una cooperazione savia ed efficace del Saied Mohammed ben Abdallah per la pace; quegli atti suoi inconsulti non possono che esserci di ammonimento e consigliarci per la Somalia settentrionale, nell'interesse stesso della Somalia meridionale cui teniamo, una azione ponderata, seria e continuata. Sarà fortuna se, in tanto, i dervisci non muoveranno contro Obbia e tutta quella regione degli Hania verso la Scebele; temo però il contrario, né oso farmi illusioni.

Le mia azione pacificatrice sembra oramai al suo termine e credo che convenga invece pensare ad una azione per lo meno difensiva, ma meglio ancora offensiva per la distruzione di quell'elemento decisamente sovversivo capitanato dal Mullah. Lascio ad altri il non meno difficile compito. Da Aden vi si potrà coadiuvare, ma è da un punto stabile della nostra costa somala che dovremo iniziare ogni futura nostra azione se la vogliamo efficace.

Al cav. Cappello che mi sostituisce ed ha sottomano persone e documenti, ho lasciato il compito di meglio riferire ali'E.V. in merito a quelle ultime notizie della

Somalia settentrionale, invitandolo a liberamente esporre il proprio modo di vedere. Io fui esecutore delle istruzioni impartitemi, ora che la situazione si modifica quattro occhi vedranno meglio di due.

Ignoro quello che si vorrà decidere, ma partendo oggi stesso in breve licenza per le gravi ragioni di famiglia già esposte, sarò in Italia a disposizione dell'E.V. per quel poco che posso.

726 1 Non pubblicato.

726 2 Non pubblicata.

727

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI

DISP. 27885/201. Roma, 22 maggio 1906.

Mi riferisco ai miei dispacci del24 marzo e 2 aprile a.c. nn.l6464!108 e 179911141•

L'accordo preliminare ad referendum intervenuto in Lione fra il comm. Pestalozza ed il generale Swayne al 9 di agosto del decorso anno2 , non è divenuto ancora definitivo, non avendo il Governo britannico, com'era detto nel rapporto di codesta ambasciata in data l 0 marzo pp. n. 763 , riconosciuto l'opportunità di rettificare il confine anglo-italiano nel senso indicato nel detto accordo preliminare.

Dopo lo scambio di idee avvenuto col Foreign Office pel tramite di codesta ambasciata ed a seguito del persistente diniego del Governo britannico, io credo che convenga ormai addivenire alla firma dell'accordo sulle seguenti basi:

a) lasciare fuori la questione della rettifica della frontiera in corrispondenza del medio Nogal, ma mettendo bene in chiaro che rimane all'Inghilterra la responsabilità per la tranquillità nella regione concessa al Mullah per uso di pascolo:

b) insistere perché Bander Ziade, continui a rimanere italiano, attesoché è abitato da Migiurtini, ed è sempre stato sotto l'influenza e l'autorità del sultano Osman Mahmud, e che per la stessa conformazione topografica dei luoghi, B. Ziade rientra naturalmente nella cerchia di Bander Cassem e del paese migiurtino:

c) ottenere dal Governo britannico il pagamento delle lire quattromila sterline convenute fra il generale Swayne ed il comm. Pestalozza, quale risarcimento di danni sofferti per la guerra da Jusuf Alì e Migiurtini, tale pagamento essendo oggetto di continuate insistenze da parte di Jusuf Alì, cui conviene porre un termine, non essendovi ormai ragione di differirlo ulteriormente.

Quanto all'altra somma posta a disposizione del R. Governo per corrisponderla al Sultano dei Migiurtini, quale compenso per la sua cooperazione nella campagna contro il Mullah, e di cui codesta ambasciata mi trasmetteva la seconda e la terza rata

2 Vedi D. 268.

3 Non pubblicato.

col rapporto del 6 aprile 1905 n. 1283 furono pagate finora ad Osman Mahmud la prima rata tredicimila rupie e semilamila rupie della seconda rata e si vedrà se sia il caso di corrispondergli anche il residuo della stessa rata. Quanto alle ultime quindicimila rupie, costituenti la terza rata, già pagata dal Governo britannico, il comm. Pestalozza, avendo dichiarato che non l'aveva promessa al Sultano dei Migiurtini, sembrerebbe dovere di correttezza di restituirla al Governo inglese, se esso non ci permettesse di utilizzarla ad un qualche uso di comune interesse, o di unirla a quella di lire sterline quattromila che lo stesso Governo deve ancora pagare come indennità agli stessi Sultani, per sistemare così definitivamente tutte le pendenze con quei Sultani. Perciò, prima di prendere una decisione, prego l'E.V. di voler tenere parola anche di questo al Foreign Office.

727 1 Non pubblicati.

728

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. SEGRET01 . Berlino, 23 maggio 1906, ore 11,08 (perv. ore 14,25).

Monts ripartito per Roma. Fu qui due giorni e sia dal Cancelliere dell'Impero, sia dal segretario del Dipartimento esteri egli ebbe gravi ammonizioni per sua condotta a Milano. Anche io ebbi con lui lungo colloquio, nel quale, con assoluta franchezza, gli esposi gli appunti che gli si fanno a Roma e quanto io avevo riferito in proposito al Cancelliere dell'Impero. Egli si dimostrò meco convinto dei suoi torti e disposto a fare tutto il possibile per correggersi da certi difetti, che, a suo dire, dipesero da stato sua salute, ora, fortunatamente, ristabilita. Ieri sera segretario di Stato affari esteri, che è compagno e amico intimo di Monts, riparlandomi di lui, dissemi sperare che V.E. vorrà scusarlo e continuare avere in Monts fiducia che, malgrado suoi difetti, egli si merita. Di buon grado Cancelliere dell'Impero toglierebbe ora Monts da Roma, ma non possibile ora fare cambio con altro ambasciatore. Biilow, che non vorrebbe rovinare carriera Monts, si riserva, evidentemente, a preghiera del segretario di Stato affari esteri, ogni provvedimento in proposito, fidando su quanto anche a me disse Monts, come scolare preso in fallo, «non lo farò più». Credo che, per ora, ci convenga considerare chiuso incidente. Prego V.E. però tenermi informato se avesse altre lagnanze da fare sul conte Monts.

728 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

729

L'AMBASCIATORE A BERLINO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. SEGRETO 132 1 . Berlino, 23 maggio 1906, ore 17,35 (perv. ore 21).

Rispondo lettera particolare di V.E. dell6 corrente2 .

Da un attento esame della corrispondenza scambiata tra Visconti Venosta, Prinetti e Barrère ho avuto conferma della mia opinione che le dichiarazioni contenute in quelle lettere non vanno contro impegni che risultano per noi dalla Triplice Alleanza.

Non voglio esaminare se lo avere tenuto segreti gli accordi italo-francesi alla Germania sia consono con quella fiducia e franchezza necessarie nelle relazioni di alleati; constato però una volta di più con dolore che le supposizioni su quegli accordi, dei quali Francia fu la prima a fare trapelare l'esistenza alla Germania, e che non furono mai comunicati a me né ufficialmente né in via privata, né da Visconti Venosta, né da Prinetti, fecero nascere dubbi sulla nostra fedeltà agli impegni presi con gli alleati. Quei dubbi che furono appena in parte dissipati dalla nota lettera Giolitti-Tittoni3 , sulla quale io richiamo in modo del tutto speciale attenzione di lei, rinacquero più vivi presso il Governo germanico e si moltiplicarono clamorosamente nella opinione pubblica e nella stampa tedesca durante e dopo Conferenza Algeciras.

Il dubbio arreca danno grave ai nostri rapporti con la Germania e minaccia essenza stessa alleanza. Urge quindi provvedere perché volendo riaffermare efficacia della Triplice Alleanza, esso sparisca.

V.E. vorrebbe a tale scopo comunicare a questo Governo imperiale i nostri accordi con la Francia. La trattengono, però, considerazioni che ella fa circa possibile impressione che i termini precisi di quegli accordi possano esercitare sul Governo germanico e, a questo riguardo, ella mi fa l'onore di chiedere mio parere. Io non posso, innanzi tutto, che rallegrarmi del suo proposito di comunicare gli accordi presi con Barrère da Visconti Venosta e Prinetti senza riserve, senza sottintesi. Certo, per considerazioni che ella svolge nella sua lettera, la conoscenza del testo di questi accordi non può produrre qui impressione gradita. Ma Governo imperiale non dovrà perdere di vista le circostanze dalle quali linea di condotta iniziata da Visconti Venosta e precisata da Prinetti, fu consigliata alla politica italiana. Né, per quanto ci concerne, dobbiamo temere che il peso di quell'impressione sia per noi e per i nostri rapporti di alleanza più pregiudizievole di quanto lo è quello del dubbio che la non conoscenza delle intese stesse fa gravare su noi. La comunicazione che noi faremo dei nostri accordi colla Francia non aggiungerà molto, del resto, a quanto abbiamo detto già sulla loro sostanza e servirà, spero, a mettere termine ad ogni discussione sulla nostra fedeltà di alleati. Non è a farsi illusione sul silenzio e sulla riserva che ora la stampa e la pubblica opinione osservano a nostro riguardo: il dubbio, allo stato attuale delle cose, non è dissipato né in alto né in basso.

2 Vedi D. 719.

3 Vedi serie terza, vol. VIII, D. 926.

Rispetto alla comunicazione di quegli accordi, il mio parere è, senza restrizione, affermativo, anche perché io non posso escludere che avanti la scadenza del prossimo termine della Triplice, alla prima favorevole occasione noi veniamo a ricevere un intìmo di mostrare le carte. Circa il momento e il modo di farlo e circa le intese eventualmente necessarie per ciò con la Francia, V.E. è in grado di giudicare in piena conoscenza del complesso della situazione, che a me qui necessariamente sfugge.

729 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

730

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1382/58. Londra, 24 maggio 1906, ore 12,40.

Dopo conversazione, con la quale cercai, con tatto e circospezione, accennare idee ultimo dispaccio di V.E. 1 , ministro affari esteri mi disse che egli aveva compreso come l'Italia non fosse per ora disposta a firmare convenzione Abissina, e che perciò con la Francia era avvenuto scambio di idee per firmarla a due, lasciando all'Italia di aderirvi in seguito se avesse creduto. Feci rilevare a Grey lato politico della questione, insistendo perché attendesse che fosse avvenuta intesa completa con l'Italia. Grey, che per dimostrarmi la sua deferenza era disposto ancora ad attendere ma che gli era impossibile attendere oltre il 15 giugno, poiché nella seconda metà di giugno Harrington deve venire in congedo per ragioni di salute e prima di partire da Addis Abeba deve presentare a Menelik convenzione firmata. Sabato mattina [il 26] sarò a Roma e nel pomeriggio verrò da V.E.

731

L'AMBASCIATORE A LONDRA, TITTONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1384/60. Londra, 24 maggio 1906, ore 13,10.

S. M. britannica, nell'udienza particolare accordatami stamane, mi ha incaricato di esprimere i suoi sentimenti di vivo affetto alle Loro Maestà il Re e la Regina. Parlando della situazione politica, si è dichiarato contento della discussione che ha avuto luogo ieri al Reichstag germanico ed ha espresso la più grande soddisfazione per i rapporti sempre più buoni tra l'Italia e l'Austria, che S.M. ha detto essere elemento essenziale della pace europea.

730 1 Vedi D. 718.

732

L'AMBASCIATORE A PARIGI, TORNIELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1387/86. Parigi, 24 maggio 1906 ore 15,30 (perv. ore 17,55).

Questo ministro affari esteri ha ricevuto ieri la comunicazione dell'ambasciatore di Russia relativa alle raccomandazioni da fare al principe Giorgio durante il suo soggiorno in Atene. Egli ha aderito ad associarsi a quelle raccomandazioni e manderà al ministro di Francia in Grecia istruzioni eguali a quelle da VE. comunicatemi col telegramma del 20 corrente 1• Parlando con l'ambasciatore di Russia, questo ministro degli affari esteri ha ufficialmente lasciato intendere che forse più che l'azione ufficiale delle quattro potenze protettrici riuscirebbero efficaci gli ammonimenti che alla Corte di Atene pervenissero in via famigliare, tanto dallo Zar quanto da re Edoardo. Circa l'opportunità che i Gabinetti delle quattro Potenze prendano in considerazione l'eventualità della proclamazione dell'annessione, questo ministro affari esteri mi ha manifestato le sue perplessità in termini poco concludenti ed ha finito per dire che gli era necessario riflettere.

733

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, DE BOSDARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1408/63. Londra, 25 maggio 1906, ore 17,52.

Rispondo telegramma n. 120 11 .

Governo britannico divide pienamente preoccupazioni Governo italiano circa possibile proclamazione annessione Creta alla Grecia. Ha dato istruzioni suo ministro ad Atene, simili a quelle mandate da VE. a Bollati. Se Russia e successivamente Italia e Francia accetteranno proposta britannica contenuta nel memorandum che questa ambasciata trasmise a VE. con rapporto n. 1852 , Governo britannico ritiene che si troverà in essa il rimedio alla pericolosa eventualità. Se quella proposta non fosse accettata, Governo britannico non prevede ciò che accadrà, e amerebbe che qualcuna delle potenze protettrici facesse altra proposta che esso sarebbe sempre disposto accettare nei limiti delle sue convenienze.

733 1 Vedi D. 722. 2 Non pubblicato.

732 1 Vedi D. 722.

734

L'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. SEGRETO PERSONALE 761 . Vienna, 25 maggio 1906, ore 19,15 (perv. ore 20,50).

Dalla situazione di cose in Austria-Ungheria, e dalle disposizioni del Governo imperiale e reale, non sembra si possa arguire che ove Imperatore di Germania eserciti durante la sua visita a Vienna azione accennata telegramma di V.E. n. 11532 , Sua Maestà sia per trovare qui terreno favorevole.

Esistono bensì nel Governo imperiale e reale e nell'imperatore Francesco Giuseppe, certe diffidenze latenti contro di noi, risvegliate in parte dal nostro contegno ad Algeciras, che si riconosce però non avrebbe potuto essere diverso, per gli accordi precedentemente intervenuti con la Francia e dei quali si lamenta che il R. Governo non abbia creduto comunicare testo suoi alleati. Nonostante tali diffidenze nessun indizio esiste, che dia a presumere che Governo imperiale e reale possa lasciarsi indurre a turbare, senza ragione plausibile, suoi rapporti con noi, al punto da rendere più nominale che effettiva l'alleanza, che non sembra disposto denunziare, per il momento, a quanto potei rilevare nei miei colloqui privati con le persone più influenti di questo Ministero degli affari esteri. Parlo ben inteso delle disposizioni presenti; dell'avvenire più o meno lontano, nessuno può rispondere.

Né è da supporre d'altra parte che il Governo imperiale e reale, anche se fosse assicurato dall'Imperatore Guglielmo dell'appoggio della Germania, si lascerebbe trascinare ad una [azione p militare al di là della sua frontiera orientale, in opposizione nostre vedute, senza motivi che possano giustificarla, di fronte altra potenza, la quale [azione p, non sarebbe per ora in grado di effettuare, per le considerazioni esposte mio rapporto n. 5434 e per situazione generale Europa che gli consiglia maggiore circospezione. A tale intrapresa, che non è qui desiderata, è contraria opinione pubblica della Monarchia, nella quale si è constatato, durante la discussione cui visita Imperatore di Germania Vienna ha dato luogo per parte di questa stampa, un certo qual mutamento a noi favorevo!e, per ora appena percettibile in Austria, ma più accentuato in Ungheria, ove non si celano disposizioni simpatiche verso l'Italia. Per cui da quanto è dato di giudicare, per il momento è da dubitare, salvo circostanze impreviste, che ora non si avvertono, che visita imperatore Guglielmo possa avere per conseguenza di accrescere nel Governo imperiale e reale diffidenze verso di noi,

o fargli modificare in qualche modo reciproci rapporti, che è suo desiderio mantenere più amichevoli e rendere più intimi, per quanto da esso dipende, siccome esprimevasi meco nello scorso febbraio imperatore Francesco Giuseppe.

2 Vedi D. 705.

1 Integrazione del decifratore.

4 R. 1081/543 dell'li maggio, non pubblicato.

734 1 Dall'archivio segreto di Gabinetto.

735

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, ROMANO AVEZZANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1415/22. Belgrado, 26 maggio 1906, ore 12.

Riferendomi al mio rapporto n. 1151 , ho l'onore d'informare l'E.V. che, dietro favorevole parere dato a mia istanza da questo console inglese, Governo britannico ha consentito a che colonnello Solarevié, la di cui resistenza minacciava di far fallire negoziati, rimanga in servizio.

In seguito a ciò il ministro degli affari esteri inglese ha autorizzato suo ambasciatore in Vienna a comunicare a quel ministro di Serbia che, subito dopo le dimissioni dei cinque ufficiali già nominati, Governo inglese invierà il suo rappresentante a Belgrado e riceverà rappresentante della Serbia a Londra, aggiungendo che la riammissione in servizio di detti ufficiali porterebbe nuovamente al ritiro del ministro britannico da Belgrado.

736

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, AVARNA

DISP. RISERVATO 28689/416. Roma, 26 maggio 1906.

Mi è regolarmente pervenuto l'interessante rapporto del 15 di questo mese,

n. 5661 , col quale l'E.V. m'informa del colloquio da lei avuto col conte Goluchowski circa le relazioni anglo-germaniche, e mi riferisce le cose dettele dal suo interlocutore, in risposta a quelle dall'E.V. espostegli, in conformità alle istruzioni da me impartitele, a suo tempo, in ordine a tale argomento.

Ho preso atto, con particolare soddisfazione, della concordanza che si rileva fra le mie vedute e quelle di codesto ministro degli affari esteri, e mi compiaccio del linguaggio tenuto a Londra dal conte di Mensdorff-Pouilly, e delle raccomandazioni, recentemente rivoltegli, di perseverare ad agire nel senso prescrittogli, per contribuire a stabilire una corrente di cordialità fra il Governo britannico e il Governo germanico.

Nel ringraziare l'E.V. della sua comunicazione, appena mi occorre di rilevare, a proposito della incidentale osservazione fatta dal conte Goluchowski e della quale è cenno in fine del rapporto al quale rispondo, che il mio intendimento, come risulta dalle istruzioni inviate a V.E. col dispaccio del 27 aprile p.p. 2 , non andava oltre a quanto, appunto, anche codesto ministro degli affari esteri, per parte sua, ha ritenuto che fosse il caso di fare nelle attuali circostanze.

2 Vedi D. 677.

Il concetto di una azione formale, da esperirsi in comune, era affatto aliena dal mio pensiero; e, tanto meno, mi sarei potuto soffermare all'idea di una forma qualsiasi di mediazione, per la quale mancherebbe, oltre che ogni opportunità, anche la materia su cui esercitarla.

735 1 R. 384/115 del 16 maggio, non pubblicato.

736 1 Vedi D. 714.

737

L'INCARICATO D'AFFARI A COSTANTINOPOLI, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GUICCIARDINI

T. 1430/128. Therapia, 28 maggio 1906, ore 21,55.

Gran visir mi ha oggi informato spontaneamente che banda greca, colpevole massacri, oggetto rapporti 14,21 corrente 1 , fu distrutta dalle truppe. Gran visir mi ha detto poi di avere avuto notizia che duecento uomini partiti da Pireo per Volo ove saranno organizzati da ufficiali greci per passare frontiera. Autorità militare turca avvertita. Gran visir mi ha chiesto di pregare telegraficamente V.E. ordinare opportune comunicazioni Gabinetto di Atene per impedire formazione interno di bande. Gran visir desidera, però, non esser nominato, avendo presa tale iniziativa senza consultare Consiglio dei ministri allo scopo di evitare incagli. Suppongo gran visir farà analoga comunicazione altri rappresentanti, per cui, qualora V.E. giudicasse opportuno che il

r. ministro in Atene non assuma iniziativa isolata, nulla osterebbe egli soprassieda, ove occorra, alquanto per eventuali concerti con altri rappresentanti esteri in Atene.

737 1 Non pubblicati.

<
APPENDICI

APPENDICE!

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

(29 marzo 1905-28 maggio 1906)

MINISTRO

TITTONI Tommaso, senatore del Regno, fino al 24 dicembre 1905; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno, dal 25 dicembre 1905 all'8 febbraio 1906; GUICCIARDINI conte Francesco, deputato al Parlamento, dall'8 febbraio 19061•

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

FusiNATO Guido, deputato al Parlamento, fino al23 dicembre 1905; CAPECEMINUTOLO DI BuGNANO Alfredo, deputato al Parlamento, dal 24 dicembre 1905 all'8 febbraio 1906; LANZA DI ScALEA principe Pietro, deputato al Parlamento, dal 9 febbraio 1906.

SEGRETARIO GENERALE

MALVANO Giacomo, senatore del Regno, consigliere di Stato.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO

Capo della segreteria: MACCHI DI CELLERE Vincenzo, segretario di legazione, dal 21 ottobre 1905.

Segretario particolare: BoRGHESE Livio, addetto di legazione, dal l ottobre 1905.

1 La data efffettiva di assunzione delle funzioni è il 9 febbraio (vedi D. 480).

Segretari: MoRI UBALDINI ALBERI! conte Alberto, segretario, fino al 23 dicembre 1905; BACCHETTI Tito, sottoprefetto, fino a123 dicembre 1905; D'URso Pasquale, ispettore al Ministero di agricoltura, industria e commercio, fino al 23 dicembre 1905; RINELLA Sabino, vice segretario, dall'aprile 1905.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO

Capo della segreteria: CoNTARINI Salvatore, segretario, dal dicembre 1905 all'aprile 1906.

Segretari particolari: RICCI BUSATTI Arturo, segretario, fino al 20 novembre 1905; TORLONIA Carlo, addetto di legazione, fino al 23 dicembre 1905; DI FEDE marchese Giovanni, segretario di prefettura, dal 9 febbraio 1906.

UFFICIO DIPLOMATICO Direttore capo divisione: PASSATI DI BALZOLA Ferdinando. Capo sezione: VOLTATTORNI Gabriele. Segretario: MAESTRI MoLINARI marchese Francesco. Addetti all'ufficio: BRUNO Luigi, consigliere di legazione, fino all'Il luglio 1905;

CELESIA DI VEGLIASCO barone Alessandro, segretario di legazione, fino al 18 settembre 1905; QUARTO DI BELGIOIOSO Antonio, conte del Vaglio, segretario di legazione; SACERDOTI DI CARROBIO conte Vittorio, segretario di legazione; TORLONIA Carlo, addetto di legazione; TKALAC Emerico, interprete.

Archivisti: NEGRI Rodolfo; GALLINGANI Augusto; PERRERO Camillo; BONGIOVANNI Emilio; ZuccHETTI Pietro; CLAUS Giuseppe. Direttore della tipografia: ALFERAZZI Giacomo Antonio.

UFFICIO DELLA CIFRA E DEL TELEGRAF02 Capo sezione: VOLTATTORNI Gabriele. Archivisti: NEGRI Rodolfo; GALLINGANI Augusto; PERRERO Camillo.

2 Il personale in servizio presso l'Ufficio cifra e telegrafo fu trasferito all'Ufficio diplomatico in data 25 luglio 1904.

UFFICIO COLONIALE

Direttore centrale per gli affari coloniali: AGNESA Giacomo.

Capo sezione: DECIANI Vittorio Tiberio.

Segretario: CONTARINI Salvatore.

Addetti ali 'ufficio: PRINETTI conte Emanuele, segretario di legazione, fino al 30 novembre 1905; LAGO Mario, vice console; BoNGIOVANNI Simone, capitano di fanteria; BoDRERO Alessandro, capitano dei bersaglieri, sostituito poi da BROGGI Antonino, capitano dei bersaglieri; RossETTI Carlo, tenente di vascello; LEONETTI Francesco, tenente contabile; MANTIA Giuseppe, ufficiale coloniale; MARCHISIO Ernesto, ufficiale coloniale; PELLEGRINI Battista, ufficiale coloniale.

COMMISSARIATO DELL'EMIGRAZIONE Commissario generale: REYNAUDI Carlo Leone, contrammiraglio (incaricato delle funzioni). Commissari: Bosco Augusto, professore di statistica nella Regia Università di Roma (incaricato delle funzioni); Rossi Egisto; MALNATE Natale, questore di P. S. (incaricato delle funzioni). Ispettori viaggianti: Rossi Adolfo; CaLETTI Silvio; LABRIOLA Franz Alberto;

TOMEZZOLI Umberto. Ragioniere: MARCONI Alfredo. Archivista: Russo Giovanni.

ISPETTORATO GENERALE DELLE SCUOLE ITALIANE ALL'ESTERO Ispettore generale: SCALABRINI Angelo. Segretario: BoccoNI Luigi. Segretari di ragioneria: FIORETTI Vittorio; SuGLIANI Augusto; FRANZETTI Attilio. Archivista: BARBÈRI Francesco.

DIVISIONE I

Affari commerciali

Direttore capo divisione: BERTOLLA Cesare.

SEZIONE I

Capo sezione: KocH Ernesto.

Segretario: ANIELLI Lorenzo.

Addetti all'ufficio: RANUZZI SEGNI conte Cesare, consigliere di legazione; VIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, addetto di legazione, dal 25 maggio 1905; VANNUTELLI Luigi, addetto di legazione, fino al 24 gennaio 1906; POMA Cesare, console, dall'8 marzo al 18 aprile 1906; BIANCHI Vittorio, applicato volontario, dal 24 febbraio 1906.

SEZIONE II

Capo sezione: PELUCCHI Carlo.

Segretario: SARTORI Francesco.

DIVISIONE II

Ajjàri privati e contenziosi

Direttore capo divisione: VACCAJ Giulio.

SEZIONE l

Capo sezione: CHICCO Enrico.

Segretari: RICCI BusATTI Arturo; LEVI Giorgio.

Addetti ali 'ufficio: FRESCHI DI CucANEA conte Carlo Giovanni, addetto di legazione, dal 17 gennaio 1906; SAINT MARTIN Giuseppe, console; Rossi Lorenzo, console; FALIER conte Onori o, vice console, fino al 26 ottobre 1905; GALLI Carlo, applicato volontario, fino al 17 dicembre 1905.

SEZIONE II

Capo sezione: BARILARI Pompeo. Segretario: DuRANO DE LA PENNE marchese Enrico.

SEZIONE III Capo sezione: SERRA Carlo. Segretario: CANONICO Edoardo. Addetti ali 'ufficio: NIGRA conte Guido, addetto di legazione, dal 3 luglio 1905;

TosCANI Angelo, vice console; ANFosso Luigi, vice console; PASCALE Giovanni, applicato volontario, fino al IO settembre 1905; SALERNO MELE Giovanni, applicato volontario, fino al 30 settembre 1905.

Archivisti: SILVANI LORENI Demetrio; SANDRUCCI Lorenzo; BENFENATI Evaristo.

DIVISIONE III

Personale

Direttore capo divisione: BARILARI Federico, ispettore generale.

SEZIONE I

Personale

Capo sezione: LANDI VrTTORJ Vittorio.

Segretari: RANDACCIO Ignazio; SANDICCHI Pasquale.

Addetto all'ufficio: GAZZURELLI Adelchi, vice console, dal25 gennaio 1906.

Archivista capo: ZAVEL DE LOUVIGNY Filippo Antonio.

Archivista: PEROTTI Felice.

SEZIONE II

Cerimoniale

Capi sezione: BROFFERIO Tullio; VALENTTNI Claudio.

Addetto all'ufficio: COMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, addetto di legazione, dal 13 maggio 1905 al 12 marzo 1906.

Legalizzazioni

Archivisti: DE GREGORIO Francesco; MoRONE Vittorio.

DIVISIONE IV

Biblioteca

Direttore capo divisione: N. N.

BIBLIOTECA Capo sezione: PASQUALUCCI Loreto. Archivista: SoRMANI Gilberto.

DIVISIONE V

Ragioneria

Direttore capo divisione: CALVARI Ludovico.

SEZIONE I Capo sezione: BoNAMICO Cesare. Segretari: D'AvANZO Carlo; CRIVELLAR! Quirino; CASONI Enrico; DE SANTIS Paolo. Vice segretario: BoNAVINO Arturo.

SEZIONE II Capo sezione: CASA Dro Carlo. Segretari: FANO Alberto; VINARDI Giuseppe, cassiere. Vice segretari: RrNVERSI Romolo; VERDESI Ettore; CARDELLINI Lorenzo.

Economato

Economo: DE ANGIOLI Eugenio.

ARCHIVIO STORICO

Direttore: GoRRINI Giacomo (con grado fisso di capo divisione).

Registrazione e spedizione

Archivisti: BENETTI Carlo; PASANISI Francesco; CIACI Romolo.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

PRESIDENTE

TITTONI Tommaso, senatore del Regno, ministro degli esteri, fino al 24 dicembre 1905; DI SAN GIULIANO marchese Antonino, senatore del Regno, ministro degli esteri, dal 25 dicembre 1905 all'8 febbraio 1906; GUICCIARDINI conte Francesco, deputato al Parlamento, ministro degli esteri, dall'8 febbraio 1906.

VICE PRESIDENTE

BIANCHERI Giuseppe, deputato al Parlamento.

CONSIGLIERI

CAPPELLI marchese Raffaele, deputato al Parlamento.

FÈ o'OSTIANI conte Alessandro, senatore del Regno, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, a riposo, fino al 4 giugno 1905.

FINALI Gaspare, senatore del Regno, presidente della Corte dei Conti.

GABBA Carlo Francesco, senatore del Regno, professore di diritto civile nella Regia Università di Pisa.

TNGHILLERI Calcedonio, senatore del Regno, consigliere di Stato. PAGANO GUARNASCHELLI Giambattista, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Roma. PIERANTONI Augusto, senatore del Regno, professore di diritto internazionale nella

Regia Università di Roma. POMPILJ Guido, deputato al Parlamento. SANMINIATELLI conte Fabio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onora

no. GREPPI conte Giuseppe, senatore del Regno, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, con credenziali di ambasciatore, a riposo. FIORE Pasquale, professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università di Napoli. SCIALOJA Vittorio, senatore del Regno, professore ordinario di diritto romano e ordinamento giudiziario nella Regia Università di Roma. BONASI conte Adeodato, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato. GRIPPO Pasquale, deputato al Parlamento, libero docente di diritto costituzionale nella Regia Università di Napoli. FUSINATO Guido, deputato al Parlamento, professore ordinario di diritto internazionale nella Regia Università di Torino, dal 24 dicembre 1905.

SEGRETARIO GENERALE PucciONI Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI ITALIANE ALL'ESTERO

(29 marzo 1905-28 maggio 1906)

ARGENTINA

Buenos Aires-BoTTARO COSTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NEGROTTO CAMBIASO Lazzaro, segretario, dall' 11 maggio 1906; MEDICI Giuseppe, addetto, fino al 7 luglio 1905.

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -AVARNA DI GuALTIERI duca Giuseppe, ambasciatore; CARLOTTI marchese Andrea, segretario; NEGROTTO CAMBIASO Lazzaro, segretario, fino al lO maggio 1906; D'AYALA Francesco Saverio, addetto; ALLIATA DI VILLAFRANCA Giovanni, addetto; CERRUTI Vittorio, addetto; GoDio Cesare Alberto, addetto, dal 25 ottobre 1905; DEL MASTRO Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; SIGRAY AsiNARI conte Alessandro, capitano di cavalleria, addetto militare.

BAVIERA

Monaco-BERTI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BELGIO

Bruxelles -BoNIN LONGARE conte Lelio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RusPOLI Mario, principe di Poggio Suasa, segretario; DE RISEIS Mario, addetto; CHAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi).

BOLIVIA

CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -FRrozzr marchese Lorenzo, principe di Cariati, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERRA Attilio, segretario. CILE Santiago -ORFINI conte Ercole, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

CINA

Pechino -BAROLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SFORZA Carlo, segretario, fino all'Il maggio 1905; VITALE Guido, interprete, col titolo onorario di segretario-interprete; CAVIGLIA Enrico, maggiore, addetto militare (residente a Tokio ).

COLOMBIA Bogotà -AGNOLI Ruffillo, ministro residente, dal 9 gennaio 1906.

COREA Seoul-MoNACO Attilio, ministro residente'.

COSTARICA NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

CUBA Avana -SAVINA Oreste, ministro residente.

DANIMARCA

Copenaghen -CALVI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

1 Fino al 17 novembre 1905, data alla quale risale il trattato stipulato dalla Corea con il Giappone che privò la Corea stessa del diritto di accreditare presso il proprio Governo rappresentanze diplomatiche straniere.

EQUATORE

CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Lima). ETIOPIA

Addis Abeba -CiccoDICOLA Federico, maggiore di artiglieria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAETANI Livio, segretario.

FRANCIA

Parigi -TORNIELLI BRUSATI DI VERGANO conte Giuseppe, ambasciatore; PAULUCCI DE' CALBOLI conte Raniero, segretario; ToMMASINI Francesco, segretario; CAMBIAGIO Silvio, addetto, fino al 19 giugno 1905; NIGRA conte Guido, addetto; CARACCIOLO DI CASTAGNETO principe Gaetano, addetto, dal 15 giugno 1905; GIANNUZZI SAVELLI Fabrizio, addetto; COMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, addetto, dal 13 marzo 1906; ALOJSI Pompeo, addetto, incaricato delle funzioni di addetto navale; CHAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

GERMANIA

Berlino -LANZA conte Carlo, tenente generale, ambasciatore; MATTIOLI PASQUALINI Alessandro, segretario; ORSINI BARONI Luca, segretario; DEPRETIS Agostino, addetto; FRESCHI DI CucANEA conte Carlo Giovanni, addetto, fino al 16 gennaio 1906; GASTALDELLO Annibale, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

GIAPPONE

Tokyo -VINCI GIGLIUCCI conte Giulio Cesare, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi TOESCA Vincenzo, segretario, fino al 20 dicembre 1905; MINISCALCHI ERIZZO conte Francesco, addetto, fino al 18 ottobre 1905; CASATI Luigi, interprete; GAsco Alfonso, interprete; CAVIGLIA Enrico, maggiore, addetto militare; BuRZAGLI Ernesto, tenente di vascello, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -PANSA Alberto, ambasciatore, fino al l 0 aprile 1906; TITTONI Tommaso, ambasciatore, dal 2 aprile 1906; CARIGNANI DI NovoLI Francesco, segretario, fino al 27 dicembre 1905; DE BosDARI conte Alessandro, segretario, dal 28 dicembre 1905; MARTIN-FRANKLIN Alberto, addetto; CORINALDI Leopoldo, addetto; Gom o Cesare Alberto, addetto, fino al 24 ottobre 1905; BRAMBILLA Giuseppe, addetto; CHAPPERON Alessio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Parigi); REY DI VILLAREY Carlo, tenente di vascello, addetto navale.

GRECIA

Atene -BOLLATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRUNO Luigi, consigliere, dal 12 luglio; FASCIOTTI barone Carlo, segretario, fino al 15 giugno 1905; DE GRESTI DI SAN LEONARDO Guido, addetto; BORGHETTI Riccardo, addetto, dal 21 dicembre 1905; ELIA Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Costantinopoli); DIMADI Costantino, interprete.

GUATEMALA

NAGAR Carlo, ministro residente.

HAITI

SAVINA Oreste, ministro residente (residente a L'Avana).

HONDURAS

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

LUSSEMBURGO

TUGINI Salvatore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Aja).

MAROCCO

Tangeri -MALMUSI Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIANATELLI GENTILE Agesilao, interprete col titolo onorario di segretario-interprete.

MESSICO

Messico -NOBILI Aldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MONTENEGRO

Cettigne -CusANI CONFALONIERI marchese Luigi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RuBIN DE CERVIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare (residente a Sofia).

NICARAGUA

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

NORVEGIA

CALVI DI BERGOLO conte Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal30 ottobre 1905 (residente a Copenaghen).

PAESI BASSI

L 'Aja -TUGINI Salvatore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DELLA TORRE DI LAVAGNA conte Giulio, segretario.

PARAGUAY

BoTTARO CosTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Buenos Aires) fino al2l novembre 1905; GAZZANIGA Ettore, incaricato d'affari, dal22 novembre 1905.

PERSIA

Teheran-RIVA Giovanni Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima -CARLETTI Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PORTOGALLO

Lisbona -GuAsco DI BISIO Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANCILOTTO conte Giuseppe, segretario; MARCHETTI FERRANTE Giulio, addetto, dal 12 febbraio 1906.

ROMANIA

Bucarest -BECCARIA INCISA Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SFORZA Carlo, segretario, dal 12 maggio 1905 al 3 maggio 1906; ARRIVABENE VALENTI GONZAGA conte Carlo, segretario, dal 15 marzo 1906; CATALANI Giuseppe, addetto, fino al 9 ottobre 1905; ZAMPOLLI l si doro, capitano di Stato Maggiore, addetto militare; GRONDA Giuseppe, interprete.

RUSSIA

Pietroburgo -MELEGARI Giulio, ambasciatore; CoBIANCHI Vittore, segretario; T O MASI DELLA TORRETTA Pietro, addetto (dal 22 ottobre 1905 segretario); DURIN! DI MoNZA conte Ercole, addetto; RuGGERI LADERCHI conte Paolo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GHERSI Alessandro Arturo, archivista interprete.

SALVADOR

NAGAR Carlo, ministro residente (residente a Guatemala).

SANTO DOMINGO

SAVINA Oreste, ministro residente (residente a L'Avana).

SERBIA

Belgrado -GUICCIOLI marchese Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROMANO AVEZZANA barone Camillo, segretario; COMPANS DI BRICHANTEAU marchese Alessandro, addetto, fino al 12 maggio 1905; DEL MASTRO Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Vienna); DE SARNO SAN GIORGIO Dionisio, interprete.

SIAM

Bangkok-N. N. Ministro residente.

SPAGNA

Madrid-SILVESTRELLI Giulio, ambasciatore; DE BosoARI conte Alessandro, segretario, fino al 27 dicembre 1905; SFORZA Carlo, segretario, dal 4 maggio 1906; CAMBIAGIO Silvio, segretario, dal 20 giugno 1905.

STATI UNITI

Washington D. C. -MAYOR DES PLANCHES barone Edmondo, ambasciatore; MONTAGNA Giulio Cesare, segretario; BoRGHETTI Riccardo, addetto, fino al 20 dicembre 1905; NANI MOCENIGO conte Giovanni Battista, addetto; CENTARO Roberto, addetto; PFISTER CARLO, tenente di vascello, addetto navale; RAVAJOLI Antonio, delegato commerciale.

SVEZIA E NORVEGIA1

Stacco/ma -DE FORESTA Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRARA conte Enrico, segretario.

SVEZIA

Stacco/ma -DE FORESTA Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 19 febbraio 1906; CAPRARA conte Enrico, segretario, incaricato d'affari dal 30 gennaio 1906.

SVIZZERA

Berna -MAGLIANO DI VILLAR SAN MARCO conte Roberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Dr MoNTAGLIARI marchese Paolo, segretario; MARCHETTI FERRANTE Giulio, segretario, fino all' 11 febbraio 1906; VIGANOTTI GIUSTI Gianfranco, addetto, fino al24 maggio 1905; PIGNATTI MORANO conte Bonifacio, addetto; CATALANI Giuseppe, addetto, dal 10 ottobre 1905; VANNUTELLI Luigi, addetto, dal 25 gennaio 1906; ROPOLO Edoardo, capitano di Stato Maggiore, addetto militare.

TURCHIA

Costantinopoli -IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, ambasciatore; DE MARTINO Giacomo, segretario; Garbasso Carlo, segretario; GATTONI Giulio, addetto; MEDICI Giuseppe, addetto, dall'8 luglio 1905; DURINI DI MONZA conte Ercole, addetto, dal 17 febbraio 1906; MELIA Carmelo, addetto commerciale; CANGIÀ Alfredo, interprete; CHABERT Alberto, interprete; ELIA Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

1 Dopo che la Norvegia ebbe proclamato la propria indipendenza dalla Svezia il 7 giugno 1905,

riconosciuta dalla Svezia il 26 ottobre, l'Italia in data 30 ottobre accettò di stabilire rapporti ufficiali con

il Governo norvegese indipendentemente dalla Svezia, vedi ad indicem.

EGITTO

Cairo -SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, agente diplomatico e console generale; ARRIVABENE VALENTI GONZAGA conte Carlo, segretario, fino al 14 marzo 1906; MANZONI Gaetano, segretario, dal 23 novembre 1905.

BULGARIA

Sofia -CucCHI BoAsso Fausto, agente diplomatico e console generale; RuBIN DE CERVIN Gustavo, maggiore di cavalleria, addetto militare.

URUGUAY

Montevideo-BOTTARO CosTA conte Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Buenos Aires).

VENEZUELA

Caracas-ALIOTTI Carlo, incaricato d'affari, fino all' 11 novembre 1905; SERRA Carlo Filippo, ministro residente, dal 5 marzo 1906.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE PRESSO IL RE D'ITALIA

(29 marzo 1905-28 maggio 1906)

Argentina -MORENO Enrique, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FoNSECA Baldomero M., primo segretario, dal giugno all'ottobre 1905; MARTINEZCAMPOS Gabriele, primo segretario, dal settembre 1905; REYES Jorge, secondo segretario; DE Rossr Eduardo, addetto; ZILERI Ferruccio, addetto commerciale; O' DONELL Teofilo R., colonnello, addetto militare, fino al novembre 1905; BESSON Beltrando, tenente di vascello, addetto navale; MORA Alejandro, addetto onorario; DE ALVEAR Diego, addetto onorario.

Austria-Ungheria -VON LOTzow Heinrich, ambasciatore; FORGACH DE GHYMES ÉS GAcs conte Janos, consigliere, fino al novembre 1905; RIEDL VON RIEDENAU barone Franz, consigliere, dal novembre 1905 al marzo 1906; VON FLOTOW barone Ludwig, segretario (dall'aprile 1905, consigliere) dal novembre 1905; DEYM VON STRITEZ conte Konstantin, segretario, fino all'ottobre 1905; voN HOHENLOHE-WALDENBURG principe Nikolaus, addetto; DE SzENT-JvANY Moritz, addetto, fino al luglio 1905; VON THURN conte Alexander, addetto, dal luglio 1905; VON FRANCKENSTEIN, barone Georg, addetto, dal settembre 1905; ZuccuLIN Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MICHIELI DE VITTURI Nicola, tenente di vascello, addetto navale.

Baviera-VON TANN-RATHSAMHAUSEN barone Rudolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VON GRUNELIUS barone Emst, segretario (dal dicembre 1905 consigliere); VON LOTZBECK barone Karl, addetto.

Belgio -VERHAEGHE DE NAEYER Léon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DEGRELLE-ROGIER Édouard, consigliere, fino al giugno 1905; GRENIER barone Alberic, consigliere, dall'ottobre 1905; NOTHOMB barone Raymond, primo segretario, fino al maggio 1905; VAN YPERSELE DE STRIHOU Maxime, primo segretario; DE WOELMONT barone Henri, secondo segretario, dal dicembre 1905 all'aprile 1906.

Brasile -DE MELLO EALVIM Julio H., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BARROS MOREIRA Alfredo, primo segretario; DE SOUZA DANTAS Luiz Martins, secondo segretario.

Bulgaria-MINCOVJé Dimitri, agente diplomatico; KoLUCEV Nedelko, primo segretario; EXARQUE Ivan A., segretario, dall'ottobre 1905; STOYANOV Aleksander, addetto, fino al maggio 1905; BURMOV Christo, maggiore, addetto militare.

Cile -SILVA CRUZ Raimundo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino all'ottobre 1905; EDWARDS McCLURE Agustin, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal febbraio 1906; GREZ Victor, primo segretario; RoDRIGUEZ MENDOZA Emilio, secondo segretario, dal maggio 1905; SMITH Ramon Escobar, secondo segretario, dal febbraio 1906; LYON Arturo, addetto, fino all'aprile 1905; MURILLO Alejandro, addetto, dal febbraio 1906; MERY L. Jorge, capitano di fregata, addetto navale, dal febbraio 1906.

Cina -Hsu Kioh, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al settembre 1905; HouANG Kao, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal settembre 1905; TCHAI Tching-Soung, segretario interprete; HoUANG Chien, segretario, dal marzo 1906; HouANG En-Yao, segretario interprete, dal marzo 1906; FoNo Kong-Pao, addetto interprete e commerciale, dal marzo 1906; TAEN TzoJen, addetto, dal novembre 1905, segretario; Hsu Muh-Jung, addetto; Hsu ToNFENG, addetto; LI Hong-Ping, addetto, dal marzo 1906.

Colombia-HURTADO José Marcelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1905.

Corea 1 -MIN Yung-Ton, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); Aw Dal-Yung, terzo segretario (assente); Yr Han-Eung, terzo segretario, incaricato d'affari ad interim; Yr Key-Hyun, addetto (assente); MIN Yu-Sik, addetto (assente); KANG Kiu-Siung, addetto.

Costarica-MONTEALEGRE Rafael, incaricato d'affari.

Cuba -FERRER Y PrcABIA Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal l aprile 1906; PEDROSO Carlo, segretario.

1 La legazione aveva sede a Londra, tuttavia, in seguito al trattato con il Giappone del 17 novembre 1905 la Corea cessò di avere proprie rappresentanze diplomatiche al! 'estero.

Danimarca -MOLTKE Karl, incaricato d'affari; BERTOUCH-LEHN barone Poul J., addetto onorario, dal l febbraio 1906.

Francia -BARRÈRE Camille, ambasciatore; LEGRAND Albert, consigliere; DE FoNTARCE René, secondo segretario; LAROCHE Jules, secondo segretario; GATINE Lucien, terzo segretario; DE LA CROIX DE RAVIGNAN barone Marie-André-Jean, addetto (dal gennaio 1906 terzo segretario); DE SAINT-JAMES Edgard, tenente colonnello, addetto militare; LACAZE Lucien, capitano di vascello, addetto navale.

Germania -MoNTS VON MAZIN conte Anton, ambasciatore; VON JAGOW Gottlieb, consigliere; VON DER LANCKEN-WAKENITZ barone Oskar, secondo segretario; VON LUXBURG, conte, terzo segretario, fino al maggio 1905; VON LIPPE principe Julius Ernst, terzo segretario, dal novembre 1905; VON JOHNSTON, tenente, addetto, fino all'ottobre 1905; VON GOERTZ, conte Karl, tenente, addetto, dal marzo 1906; VON CHELIUS Oskar, tenente colonnello, addetto militare, fino al luglio 1905; VON HAMMERSTEIN-EQUORD barone, comandante di Stato Maggiore, addetto militare, dal luglio 1905; KocH R., capitano di corvetta, addetto navale, fino all'aprile 1905; RAMPOLD, addetto navale, dall'aprile 1905.

Giappone -OHYAMA Tsunaské, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KASAKABÉ Sankuro, primo segretario, dal maggio 1906; IIJIMA Kamétaro, secondo segretario, fino al marzo 1906; IMA! Shinooh, addetto (dall'aprile 1906 terzo segretario); SHOJI Yoshimoto, capitano di vascello, addetto navale, dal marzo 1906.

Gran Bretagna -EGERTON sir Edwin Henry, ambasciatore; LISTER Reginald, consigliere, fino al maggio 1905; DES GRAZ Charles Louis, consigliere, dal maggio 1905; CHEETHAM Milne, secondo segretario; HAMILTON Ronald, secondo segretario; TYRRELL George William, secondo segretario, fino al maggio 1905; WELLESLEY Victor Alexander A. H., secondo segretario, dal maggio 1905; PETO Ralph Harding, terzo segretario, dal novembre 1905; C uvE Robert Henry, addetto, fino al novembre 1905; LASCELLES visconte Henry George Charles, addetto, dal novembre 1905; DELMÉ RADCLIFFE Charles, tenente colonnello, addetto militare; KERR Mark Edward Frederic, capitano, addetto navale, fino al maggio 1905; KEYES Roger John Brownlow, comandante, addetto navale, dal maggio 1905; BENNETT Andrew Percy, addetto commerciale.

Grecia-MIZZOPOULOS Christos, incaricato d'affari.

Guatemala -TIBLE Y MACHADO José, segretario, incaricato d'affari (la legazione aveva sede a Londra).

Messico -EsTEVA Gonzalo A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EsTEVA Y CuEVAS Eduardo A., secondo segretario; NAJERA Y DE PINDTER Domingo, addetto ad interim, fino all'ottobre 1905; PEREZ José Maria, generale, addetto militare.

Monaco -DuGUÉ DE MAC CARTHY Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FLOQUET Georges, addetto.

Nicaragua -CRISANTO MEDINA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal marzo 1906; MONZANO TORRES T., segretario, dal novembre 1905 (la legazione aveva sede a Parigi).

Norvegia -VON DITTEN Thor, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal maggio 1906; LIE Michael Stroem, consigliere, dal maggio 1906; MICHELET Johan Wilhelm, segretario, dal maggio 1906; HUITFELDT Arild, addetto, dal maggio 1906.

Paesi Bassi -GEVERS barone Wilhelm A. F., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al novembre 1905; VAN WEEDE H., inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal novembre 1905; VAN DER GOES Aert, primo segretario, fino al marzo 1906; MELVILL VAN CARNBEE R., segretario, dal marzo 1906, incaricato d'affari.

Paraguay -IRALA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al maggio 1905.

Persia -MALCOM Mirza khan, principe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MIRZA BAGHER khan, addetto, dal maggio 1905; FREYDUN khan, principe, addetto militare.

Perù -CACERES generale Andrés Avelino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal maggio 1906, MELENDEZ Wenceslao, primo segretario, dal maggio 1906.

Portogallo~ DE CARVALHO E VASCONCELLOS Mathias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONTEVERDE Alfredo Achille, primo segretario; LAMBERT!NI PINTO José Maria, secondo segretario; NOGUEIRA PINTO José Leite, addetto.

Romania ~ FLEVA Nicolae, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZAMFIRESCU Duilius, consigliere; LAHOVARY Ion A., terzo segretario.

Russia ~ MURAV'Ev Nicolaj Valerianovic, ambasciatore, dall'aprile 1905; KRUPENSKIJ Anatolij, consigliere, fino al giugno 1905; KORFF-SCHMISING barone Modesto, primo segretario (dal 1906 consigliere); LERMONTOV G., primo segretario, dall'aprile 1906; KELLER conte Aleksandr, secondo segretario; RUKAVICHNIKOV Vassi1ij, addetto; NARISCHKIN Aleksandr, addetto, fino al settembre 1905; BERNOV Boris, tenente colonnello di cavalleria, addetto; VON MOLLER Evgenij, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; RODZIANKO Pavel, addetto, dal settembre 1905 al maggio 1906; KAPNIST, conte, addetto navale.

Serbia ~ MILOVANOVIé Milovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

S. Domingo ~ FAszowrcz DI FARENSBACH barone Justyn, incaricato d'affari, fino al luglio 1905.

Siam ~ PHYA SURIYA NuvATR, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHAROON principe, incaricato d'affari, dal settembre 1905; CoRRAGIONI D' 0RELLI Carlo, consigliere; LUANG CHAMNONG DITHAKAR, segretario, fino al settembre 1905; LUANG MONTRI NIKARA KOSA, segretario, dal settembre 1905; RYCKMAN Fernand, addetto; NAI CHAI, addetto (la legazione aveva sede a Parigi).

Spagna~ PoLO DE BERNABÉ Luis, ambasciatore, fino al marzo 1905; DE CASTRO Y CASALEIZ Antonio, ambasciatore, dal maggio al settembre 1905; BRUNETTI Y GAYoso DE LOS Cosos, José Ambrosio duca d'Arcos, ambasciatore, dal dicembre 1905; SoLER Y GUARDIOLA Pablo, consigliere; QuARTIN Pedro, secondo segretario, fino ali' ottobre 1905; GIL DELGADO Manuel, secondo segretario, dal novembre 1905; ALCALÀ GALlANO Fernando, addetto; lNCLÀN Manuel, addetto, dal maggio 1905; DEL RIO YGARCIA Gonzalo, addetto, dal maggio 1906; DE LA GANDARA Y PLAZAOLA José, marchese de la Gandara, addetto onorario, fino al marzo 1906; CAVALCANTI DE ALBURQUERQUE Y PADIERNA José, comandante di cavalleria, addetto militare.

Stati Uniti-VON LENGERKE MEYER GEORGE, ambasciatore, fino all'aprile 1905; WHITE Henry, ambasciatore dall'aprile 1905; IDDINGS Lewis Morris, primo segretario, fino al giugno 1905; HITT R. S. Reynolds, primo segretario, dall'agosto 1905; THOMAS Leonard Moorhead, secondo segretario; WARREN Joseph, addetto; O'D. ISELIN William, addetto, dal maggio 1905; EDWARDS Frank A., maggiore, addetto militare; HOWARD William, comandante, addetto navale.

Svezia e Norvegia 1 -VON DITTEN Thor, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al giugno 1905; RAEDER Hans Georg Jacob, addetto, dall'aprile al giugno 1905; SPENS conte Harald, capitano, addetto militare, fino al maggio 1905.

Svezia -BILDT barone Cari Nils Daniel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal dicembre 1905.

Svizzera -PIODA Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LARDY Charles L. E., segretario; PARAVICINI Charles Rodolph, addetto, fino al maggio 1905; SCHNEELI Gustav, addetto, dall'ottobre 1905; WIEDEMANN Karl Pau!, addetto, dal gennaio 1906.

Turchia-RESHID Mustafa bey, ambasciatore; FUAD HIKMET Ali bey, consigliere, dal febbraio 1906; CuYUMDJIAN Ohanes bey, primo segretario; BLACQUE R. bey, secondo segretario; ZIA Ibrahim bey, secondo segretario; ARIF Ismail bey, addetto; BASRY Hassan bey, terzo segretario, fino al marzo 1906; CHEFIK Hussein bey, addetto, dal febbraio 1906; FAIK bey, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare.

Uruguay -CuESTAS Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RoviRA Enrique, primo segretario; RoVIRA Enrique José, addetto onorario; EscABINI Stefano, addetto militare, dal luglio 1905.

1 Dopo che la Norvegia ebbe proclamato la propria indipendenza dalla Svezia il 7 giugno 1905, riconosciuta dalla Svezia il 26 ottobre, i due paesi ebbero distinte rappresentanze diplomatiche, vedi ad indicem.